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Autore: MisterXPaulPollo    31/05/2016    4 recensioni
Sono nato un venerdì.
Il tredici di un venerdì di Maggio, alle ore 17:00.
Ho la sfiga impiantata addosso come Wolverine l'adamantio.
Sono talmente sfigato che stamani, nel tentativo di avvelenare il latte del mio schifoso coinquilino infetto, non mi sono accorto che il figlio di puttana aveva invertito le tazze.
Risultato.
Ho avvelenato il mio latte.
La mia tazza adesso è infetta.
Il latte di riso è finito.
Oggi muoio.
Genere: Commedia, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo IV
 
24/12/2008 – Londra, aeroporto LHR – Ore 11:50

Londra, città della nebbia e della pioggia, affascinante metropoli dalla sanguinolenta ed intrigante storia, popolata da pittoreschi personaggi impassibili armati fino ai denti, con vistosi colbacchi in pelle d’orso.
Il volo da New York a Londra non è stato poi così terribile come pensavo, considerando che sono svenuto poco dopo la partenza. Ora che mi soffermo a pensarci, non so calcolare il numero esatto di volte che sono svenuto durante tutta la durata del volo, ma posso facilmente attribuire la colpa a quell’ossuta vecchietta seduta accanto a me. È impossibile non svenire, se si ha la consapevolezza di essere gomito contro gomito con la morte.
Però non sono morto.
Che mi abbia graziato?
Sì, non può essere stata fortuna.
Sicuramente ha in serbo qualcosa di meglio per me, non può farmi morire miseramente su un aereo.
Sono vivo.
Almeno per oggi.
Credo.
Fuori dall’aeroporto mi accorgo della vastità di persone diverse che affollano quel posto, probabilmente ogni giorno, ad ogni ora.
Indiani, inglesi, americani, italiani, perfino qualche irlandese. Oh sì, si riconoscono da lontano gli irlandesi.
Tranne me e Noah.
Già, noi siamo le eccezioni che confermano la regola.
Ed a proposito di irlandesi, che tipo di persona è lo zio?
C’è questo pensiero che proprio non vuole abbandonarmi, questa domanda che fluttua come un piccolo ed insignificante ectoplasma nella mia mente da poco lucida. Mia madre, no, la signora Stenac non mi ha parlato molto di lui. In realtà non l’ha mai fatto, mi ha semplicemente messo in tasca un foglietto con scritto il suo indirizzo, insieme a qualche sterlina per cavarmela al mio arrivo. Sarei riuscito a prendere un taxi, non volevo fare il viaggio in un qualche autobus circondato da batteri internazionali. C’era il rischio di svenire per l’ennesima volta.
Mi guardo intorno, osservando e passando allo scanner ogni singolo taxi nero in fila ed in attesa.
So che stanno aspettando un potenziale pollo da poter spennare, ed io sono uno di loro, ma la loro carrozzeria così sudicia, sporca di fango e di impronte digitali mi irrigidisce il corpo provocando una sensazione di ribrezzo, alimentato inoltre dal freddo insopportabile a cui questa città mi sta sottoponendo.
Non che New York fosse più calda, anzi.
Sospiro appena, osservando la piccola nuvoletta bianca condensatasi ad un filo dalle mie labbra, ed è solo quando questa scompare che riesco a scorgere un taxi dalla lucente carrozzeria, talmente linda da permettere ad una donna di rifarsi il trucco su di essa e…
No, aspetta un attimo.
FERMATI DONNA, non ruberai il mio taxi.
Stringo le dita della mano destra sulla maniglia di quella valigia quasi più grande di me dotata, per mia fortuna, di quattro ruote piroettanti che consentono grandi manovre degne di un film di James Bond. Corro sfidando il freddo, sfidando Bolt, sfidando probabilmente anche la gravità quando con entrambe le mani lancio il mio bagaglio contro quell’essere femminile dal seno prosperoso e i tacchi vertiginosi, il cappotto di pelliccia bianco e i capelli color del miele.
Le lancio contro un bagaglio che si impunta nelle fughe di quel pavimento di cemento, che cade al suolo aggiungendo un’altra ammaccatura, che frena inoltre la mia corsa ormai inutile.
Dannate fughe poco igieniche.
La donna trasale, forse per il rumore, o forse è traumatizzata dal colore della mia pelle così in contrasto con quello di lei, visibilmente abbronzata e piena di soldi, ma stranamente gentile nonostante i suoi eccentrici modi.
Gentile perché ha indietreggiato con un piccolo sorriso, cedendomi volentieri il posto, eccentrica perché anche un cieco avrebbe colto il disgusto mal celato del suo volto.
Perché quell’espressione?
Cosa l’ha spinta ad indossare quell’espressione?
Va bene che non sono il massimo della bellezza, ma una reazione del genere non è forse troppo eccessiva?
Credo di poter capire adesso i sentimenti del povero Quasimodo, non deve essere stato affatto facile per lui essere scritto e descritto come un abominio dal caro Hugo.
Alzo le spalle in segno di noncuranza, felice di essere riuscito a conquistare quel taxi così pulito e ben curato, sebbene io non possa dire lo stesso dell’autista che nel frattempo è uscito dalla scatola meccanica, tuonando.

« Si può sapere che aspetti? Quel bagaglio non si rialzerà da solo, sai? »

Scorbutico.
Grasso.
Alto.
Con la barba da fare.
Con i capelli rossicci spettinati.
Irlandese.
Dove diavolo è l’autista lindo, perfetto e tipicamente inglese che mi ero immaginato?
Resto a bocca aperta di fronte a quella scena, di fronte a quest’uomo così rozzo e sudicio. Voglio raccogliere il bagaglio da terra, ma sono paralizzato ed inorridito.
Voglio fuggire, ma sono un pezzo di ghiaccio.

« Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua, Silvestro? Lascia stare moccioso, ci penso io, ma prima dimmi; hai i soldi per pagarmi?»

Le mie palpebre sbattono per ben due volte, scongelando gambe e braccia quanto basta per poter indietreggiare da lui, e cercare quelle poche sterline che speravo potessero bastarmi per tutto il viaggio.
L’ uomo si avvicina, mi osserva attentamente, studia il palmo delle mie mani sui quali sono poggiate due banconote da cinquanta sterline, per un totale di cento.
Sarebbero bastate, vero?
Dovevano bastare per forza.
Il tricheco irlandese sorride, con quella smorfia furba, tipica di chi sta per fare un bell’affare a tua insaputa.
Una truffa celata agli occhi della regina in persona, come i finti poliziotti, i finti operatori tecnici, i finti infermieri e perché no, i ladri che si dichiarano tali ma a cui la gente non pone mai la dovuta attenzione. Dopotutto è uno scherzo, no? La burla di qualche ragazzotto nel pieno della sua gioventù.
Ah, l’infanzia.

« Sì, direi che possono bastare. Monta in macchina sottospecie di lastra ambulante. E sistematela da solo la valigia. »

La sua grossa e grassa mano si posa con arroganza sulle mie, strusciando quelle dita sudice sul palmo delle mie mani per ritirare tutti i soldi che avevo, come se avesse appena prelevato da un bancomat. Il mio sguardo si fa torvo nei confronti di quell’uomo che si sta rivelando tutt’altro che onesto, una persona sporca a differenza di quel taxi dalla carrozzeria talmente linda da permettere di specchiarsi.
Mai giudicare un libro dalla copertina, mai.
Sbatto per un attimo i palmi tra di loro, ringraziando il freddo pungente per avermi costretto ad indossare quei caldissimi guanti in pelle nera, rivestiti all’interno da una confortevole massa lanosa bianca che scaldava anche il cuore.
Li avrei lavati.
Senza dubbio.
Almeno due volte.
L’uomo fa il giro della macchina, aprendo successivamente lo sportello per sistemarsi all’interno della stessa, il tutto mentre controllava l’autenticità del mio denaro.
Devo sbrigarmi a salire, perché se ho capito che tipo di persona ho di fronte, quest’uomo sarebbe capace di partire e lasciarmi all’aeroporto. Come un baccalà. Senza il becco di un quattrino.
Apro in fretta la portiera dunque, e alzo da terra la pesante valigia per poterla posizionare all’interno di quella vettura che adesso, mi fa rabbrividire.
I sedili sono forse la cosa più pulita all’interno di una macchina dai tappetini ricoperti di cartacce, pacchetti vuoti di sigarette, riviste pornografiche con donne munite di seni talmente grossi da poter essere scambiate facilmente per le mammelle di una mucca e, ultimo ma non ultimo, un pittoresco segnalibro in lattice abbandonato tra le pagine di una di queste riviste.
Una signora tanto gentile quanto furba, mh?
Grazie signora, non le sarò sicuramente riconoscente.
Schiudo le labbra in un’espressione disgustata, fermandomi per un attimo a pensare se quello era davvero il taxi dalla carrozzeria immacolata per il quale avevo corso. Devo proprio salire in questa scatola degli orrori?
Ho pagato.
No, sono stato fregato.
Mi ha rubato i soldi.
Devo salire, non posso permettergli di andare via con i miei soldi, e di lasciarmi come un baccalà al freddo.
Potrei sempre ucciderlo però.
No, ma cosa sto pensando, non posso uccidere un essere umano.
E se invece potessi?

« Allora, ti vuoi muovere o no? »

Volto di scatto lo sguardo verso di lui, indirizzandogli occhi carichi di sfida, astio, rabbia, uno sguardo che parla da solo.
Io non ti temo sudicio irlandese.
Riempio i polmoni con quanta più aria pulita possibile, prima di entrare dentro quella scatola infernale dall’odore nauseabondo, spingendo la valigia per farmi spazio.
Chiudo lo sportello subito dopo, non avendo neanche il coraggio di indossare la cintura di sicurezza, ma prima che lui possa nuovamente dare fiato alla bocca, tiro fuori dalla tasca il foglietto con sopra segnato l’indirizzo e lo abbandono sul sedile posto accanto a quello del guidatore.
Effettivamente potrei ucciderlo, una persona che ha riviste porno sui tappetini, ha solo due possibilità.
Una moglie molto brutta, o nessuno che lo aspetta a casa.
La prima è l’opzione che mi sento di escludere. Se fossi una donna, non resterei neanche un secondo accanto ad un uomo del genere, neanche se fosse milionario.
Avrebbe qualche speranza se fosse miliardario, ma in quel caso il letto nuziale sarebbe ricoperto da palchi con ramificazioni talmente fitte da poter essere usate come lenzuola.
Cervidi, cervidi ovunque.
Osservo il colosso che con un gesto piuttosto stizzito prende il foglietto leggendo la prima lettera con distrazione, ma aumentando il grado d’interesse lettera dopo lettera.
Lo legge attentamente per due, tre, o forse perfino quattro volte prima di spostare l’attenzione su di me.
Che vuole adesso?
Perché mi fissa?
Non ha già preso i soldi?
Non ne ho altri.
Con mio stupore, l’uomo apre le fauci per inondarmi con una grassa risata, una di quelle che più sono rumorose, più sono profonde e sentite.
Cosa c’è di così divertente in un indirizzo?

« Tennyson Rd? Sul serio? »

Più lui blatera, più il desiderio di ucciderlo si fa spazio nella mia testolina.
Che male ci sarebbe ad eliminare una persona per la quale nessuno piangerà? Alla quale nessuno porterà i fiori una volta seppellita?
Potrebbe essere la soluzione che sto cercando, forse l’omicidio è quello che mi serve per affermarmi nel mondo.
Se uccido quest’uomo, di certo non passerò inosservato.
Parleranno di me in televisione, scriveranno interi articoli su Paul, il ragazzo muto che ha sconvolto l’Inghilterra.
Non sarò più l’invisibile ragazzo muto contro cui la distratta gente va a sbattere contro.
Non sarò più uno scarto umano.
Potrò essere considerato anche io, al pari di una persona che la società ritiene “normale”.
Non voglio più essere un’ombra su un vecchio muro, non voglio più essere un suppellettile di poco conto su un mobile impolverato.
Mamma, se io uccido quest’uomo, forse tu potrai finalmente voltare lo sguardo verso di me e chiamarmi figlio.
Perché tu lo farai, vero?
Io so che se uccido quest’uomo, ti volterai verso di me con occhi pieni d’amore.
Io so che lo farai, in fondo mi hai amato per nove mesi, no?

« Quindi tu sei Paul, giusto? Il ragazzino muto che tua madre ha scaricato. »

I miei occhi si sgranano per lo stupore, non capendo come quest’uomo possa conoscere il mio nome. Non è scritto sul foglietto che gli ho dato, lo so bene, l’ho riletto almeno cinque volte per memorizzare bene il nome della strada.
L’uomo si volta con tutto il corpo verso di me, poggiando il braccio sinistro sullo schienale del sedile prima di tornare a parlarmi con un sorriso inquietante, che non lasciava spazio all’ottimismo.
Ed è in questo preciso istante che il neurone colpisce con forza l’ostacolo come la pallina di un flipper, facendo illuminare tutto il cervello come fosse un albero di natale.
No, quell’uomo non poteva essere chi pensavo fosse.
Un uomo così rozzo non poteva neanche minimamente essere paragonato alla signora Stenac.
No, mi rifiutavo anche solo di crederlo.

« Effettivamente mi aveva avvisato del tuo arrivo, ma chi poteva immaginare che ci saremmo incontrati direttamente in aeroporto. Quanto è piccolo il mondo, eh? Se lo avessi saputo, mi sarei addirittura preoccupato di levare la polvere dai sedili. Ah, io sono la persona a cui pagherai l’affitto da ora in poi, ben arrivato a Londra, fiocco di neve. »

Un ultimo sguardo pietrificato.
Una verità ancora più agghiacciante del clima invernale di Londra.
Poi, come uno spaventoso déjà vu, tutto si oscura accompagnato dall’orribile e sgraziato suono della sua risata.
Il nero mi avvolge, come il caldo mantello della Signora in nero.
Domani muoio.
   
 
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