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Autore: sarasuskind    01/06/2016    0 recensioni
questa sera sento dentro me un infinito, un senso di eternità così avvolgente da farmi desiderare di....
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Gli alberi erano fitti e alti. E le foglie ci sovrastavano, oscuravano quella poca luce, che anche se impedita, trapelava leggera tra i rami. E i raggi si stendevano come fili d’oro sull’erba alta e incolta. Tutto intorno si avvertiva alto il ronzio delle api, e la musica, che traboccava dalle casse semi-rotte. Era il turno di David Bowie, che con il suo essere eroe anche solo per tre minuti e quaranta, riempiva e inondava quel bosco. E il suono si spargeva ampio, pieno e cos’ profondo, e ci attraversava quel senso di immortalità, comune in coloro che hanno appena compiuto i diciotto anni, ma non sanno nemmeno per idea cosa sia la vita. E in quella sera avvolta nella luce leggera, e ora guidata dal Maggiore Tom, ricordo di non aver ma controllato l’orario, mi preoccupavo solamente di versarmi sangria nel bicchiere di carta, il quale si macchiava di rosso dopo ogni bevuta, come d’altronde le mie labbra screpolate, che per i giorni avvenire avrebbero conservato quel bordeaux. Respiravamo. In quella musica travolgente, e nell’erba alta, esalavamo tonnellate enormi di aria, forse per il sollievo di un anno quasi finito, o per la felicità di sentire il caldo sulla pelle. Una boccata, e l’aria scendeva nei polmoni, e tutto era molto più leggero.
E lui non era lì con noi. Ma il mio pensiero era costantemente rivolto alle sue labbra, che mai avevo osato sfiorare,  e ai suoi occhi, per nulla particolari, ma erano i suoi, e per questo erano diversi e fuori dal mondo per me. Quel senso di immortalità mi faceva credere di amare, di sapere cosa fosse l’amore, e di conoscere la mia anima dall’inizio alla fine. Ma credo sia normale e adatta all’adolescenza questa vena di presunzione. Nessuno di noi si conosceva. Nessuno. Eppure in quell’aurea quasi divina, trasportati dal vino rosso, e dalla melodia ora del boogie anni ’50, e dal fumo di innocenti erbe magiche, ci sentivamo padroni di questa terra, e di tutti i pianeti che osavano compiere rivoluzioni intorno ad essa. E credevamo di essere unici, puri, e dotati di un qualsiasi talento, che, beh, dovevamo ancora scoprire. E la verità è che lo credo ancora. Noi a diciotto anni eravamo dotati di un qualcosa che non avremmo mai più trovato in tutta la nostra vita: eravamo privi di responsabilità; piuttosto liberi, piuttosto presuntuosi, e così egocentrici ed egoisti, da essere invidiabili.
E niente di che, semplicemente cento ragazzini, cento bambini, in un bosco a fine maggio. Ora la luce tra le foglie era completamente scomparsa, lasciando che la luna si accendesse, come le torce sparse tra i cespugli e le lanterne sui rami bassi.  La musica si interruppe, e iniziò un lieve accordo di chitarra. Le dita della ragazza dai capelli rossi, ondeggiavano sulle corde e creavano la voce della figlia preferita di Cohen. Fu come una preghiera. Ognuno di noi, guardando le dita senza smalto della rossa, sperò di rivivere tutto quello che gli stava scivolando sulla pelle leggero leggero, ancora una volta nella propria vita. Io pregai. Lo ricordo chiaramente. Alla mia mente portai il nome di dio; non mi ascoltò, perché mai più provai quel  senso di leggerezza, da non scambiare con superficialità. Dopo poco mi sedetti sull’erba, e tra gli alberi più vicini scorsi una figura, un ragazzo, un ragazzo con i capelli mori, un ragazzo dai capelli mori e dalla camminata cascante, quel ragazzo. Si avvicinò a me e mi fece alzare, e d’un tratto, prendendomi per mano, mi portò via. O forse questo fu solo il sogno ad occhi aperti, causato del vino. Perché a diciotto anni si  esprimono così tanti desideri, che se anche esistesse un dio, non riuscirebbe a tenerne conto, e non li esaudirebbe per ripicca verso il nostro volere sempre troppo. Eppure io ero sicura di averlo il mondo in mano. Lo sentivo tra le dita. E poi mi è sfuggito.
Se lui fosse arrivato, io gli avrei messo le mani al collo e avrei passato le nocche e il palmo della mano sulla sua schiena, lo avrei guardato così tanto negli occhi, da poterli poi disegnare e poter dire a quale tipo di legno assomigliava più il colore. Ma questo tipo di incanto rimane tale solo se non si realizza. Triste storia la giovinezza, ma il luogo e il tempo più affascinante, eccitante e stupefacente che abbia mai visitato, anche solo nei miei sogni.
   
 
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