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Autore: teen_hardship    01/06/2016    0 recensioni
Melanie Owens: sognatrice, testarda, lunatica, tenace. La musica è il suo unico punto di riferimento saldamente fisso nel suo cuore, la sua sola immagine di salvezza impressa nella sua mente. Il basso, il suo più caro amico, colui che davvero c'è sempre stato nel bene e nel male. Cresciuta in un contesto complesso da capire e da viverci come quello degli anni '60, nel quale si butta a capofitto, forse un po' ingenuamente, come se fosse una fiaba, un gioco, con lo stesso entusiasmo di una bambina.
Ben presto, peró si renderà conto di quanto sia difficile affrontare la giungla,mondo discriminatorio, ipocrita e tremendamente ingiusto. In questa esperienza totalmente nuova per lei, con suo fratello avrà modo di conoscere quattro ragazzi di Liverpool, coloro che da semplici giovani talentuosi arriveranno ai Fab Four che scriveranno la storia degli allora imminenti anni '60 e dell'epoche successive. Nuove amicizie, scoperte, delusioni, influenze esterne e amori che trasformeranno la protagonista rendendola una Melanie totalmente diversa da quella iniziale.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi ritrovai in una sala abbastanza grande, dalle alti pareti in legno che, non so perchè, mi ricordarono subito una cupa foresta. Sulla destra si apriva un enorme vetrata che lasciava intravedere tutto il necessario per le registrazioni, in fondo vi era un tavolo che ospitava quattro giovani ragazzi. Fortunatamente, non erano gli ibridi che avevo immaginato la notte precedente, altrimenti sarebbe stato un incontro leggermente imbarazzante. Mi avvicinai con il passo più disinvolto che riuscissi a fare così che potei notare meglio i loro visi. Il primo a sinistra aveva i capelli tagliati a caschetto corto con frangetta , il viso un po' scarno e degli occhi nocciola. Il ragazzo che gli stava accanto gli somigliava molto ma aveva il viso più pieno con un evidente naso aquilino. Il terzo aveva lo stesso taglio di capelli del primo, gli occhi calanti e un viso quasi infantile che mi fece subito pensare al fatto che fosse il più giovane del gruppo. L'ultimo invece aveva i capelli leggermente arruffati, degli occhi azzurri e un sorriso mozzafiato, pregi che non potei fare a meno di notare. Mano a mano che avanzavo sentivo le gambe abbandonarmi ma mi feci coraggio e riuscii ad arrivare difronte a loro. Nella mia vita avevo partecipato a tantissimi concorsi sin da quando ero piccola, ma ogni volta era come se fosse la prima. Sempre le stesse emozioni, gli stessi malesseri, a partire dal fastidioso prurito in gola fino alla pesantezza delle gambe. Benchè fossi arrivata alla maggiore età e avessi affrontato tantissime sfide del genere, in fondo, ero quasi certa di essere ancora così ansiosa e credevo non sarei mai riuscita a sorvolare questo stadio.  
Mi posizionai al centro della sala e per un attimo mi godetti tre meravigliosi sguardi sorpresi, misti a curiosità: -Paulie quando ti degnerai di alzare lo sguardo non crederai ai tuoi occhi- , -Dovrei proprio degnarmi Johnny? - rispose a tono il ragazzo impegnato a scrivere su un foglio: -Dovresti- insistette colui che si chiamava Johnny, o John da quel che potevo intuire. 
Iniziavo a sentirmi a disagio: perchè continuavano a parlottare tra loro facendo finta che non ci fossi? E poi, non potrebbero togliere quegli sguardi insistenti su di me? Istintivamente pensando a ció abbassai gli occhi ed in quel momento mi sentii richiamare da una voce profonda: -Che cosa curiosa. Una bella ragazza che suona il basso e contro i pregiudizi di tutti viene qui. Non mi era ancora capitato-, parló il quarto. 
Si vedeva lontano mille miglia quanto questo fosse carismatico e se vogliamo intelligente, non perchè mi abbia implicitamente fatto un complimento, ma perché cercava di smorzare l'atmosfera che stava diventando troppo opprimente per i miei gusti. Lo guardai ed accennai un timido sorriso. Lui mi guardó teneramente, facendomi pensare a tutte quelle persone che prima mi avevano guardato con sufficienza. -Ti ringrazio- , dissi cercando di instaurare una decente conversazione, in quel momento il ragazzo più giovane alzó lo sguardo guardandomi stranito. Dopo un po' assunse una faccia a metà tra il divertito e lo scioccato, cercando di trattenere una risata sotto l'occhiata severa di quel John. Cercai di non farci caso, così continuai: -Mi chiamo Melanie, Melanie Owens. Non sono di qui, ma americana...- , -Come hai saputo di questa opportunità?- chiese il ragazzo più a sinistra interrompendomi: -Ho una mia amica che vive qui, anche lei musicista, ci sentiamo spesso e sapendo che suono il basso e che mi piacerebbe iniziare qualcosa di più serio rispetto all'esperienze musicali che ho vissuto fin'ora mi ha proposto di partecipare- . Ci fu un attimo di silenzio, come se dovessero metabolizzare quello che avevo detto. Poi riprese John: -Bene Melanie. Spero non ti dispiaccia il fatto che ti diamo del 'tu' dal momento che sei praticamente nostra coetanea. Io sono John, capellone qui è George, questo stronzo è Paul e il modello laggiù è Ringo- ridemmo tutti di gusto. Era incredibile il fatto che stessero riuscendo a mettermi a mio agio in così poco tempo. 
Non erano come tutti i giudici di quegli stupidi concorsi, quelli presuntuosi che credono nella loro ridicola onniscienza e onnipotenza, lo apprezzai molto. Più in generale non si facevano influenzare da alcun pregiudizio, mi trattavano alla pari degli altri ma in modo quasi confidenziale dato che non erano 'nessuno'. Tutto sommato, erano semplicemente giovani, lavoravano divertendosi e si divertivano lavorando, a prima occhiata. Procedettero per un breve tempo facendomi delle domande. Io rispondevo cercando di essere il più precisa e coincisa possibile. Erano visibilmente incuriositi da me, tranne quel Paul che continuava a guardarmi senza proferire parola, limitandosi ad ascoltare la maggior parte delle volte disinteressato. Non capivo cosa ci fosse di sbagliato in me per lui, ma non ci diedi molto peso e mi concentrai sugli altri tre. 
-Quindi cosa ci fai sentire?- disse improvvisamente George, ricordandomi il motivo della mia presenza: -Twenty Flight Rock, di Cochran- risposi senza esitazione. Mentre preparavo le ultime cose, accordavo perfettamente lo strumento, notai con la cosa dell'occhio John e Paul che si lanciavano uno sguardo di intesa e quando alzai lo sguardo mi ritrovai dei maliziosi occhi verdi puntati su di me in atteggiamento di sfida. 
Questo mi indispettì e mi diede la giusta carica per fare un'eccellente esibizione, migliore di quelle che avevo provato a casa. Conclusi la mia performance e finalmente aprii gli occhi. Non mi ero nemmeno accorta di averli chiusi, dunque, mi risvegliai dal mio stato di trance e potei notare con soddisfazione di essere riuscita nel mio intento, e non c'era niente di più bello. Riuscire a far arrivare qualcosa al cuore, emozioni che scaldano e rigenerano l'anima, al mondo non esiste cosa più bella, più giusta, piú vera, ed il fatto che tutto ció era quello che avevo appena fatto mi provocó una gioia irrefrenabile che manifestai con un semplice sorriso compiaciuto. 
Solitamente, infatti, non esternavo mai chiaramente le mie emozioni: poteva capitare spesso che all'apparenza non fossi arrabbiata, ma tranquilla e serena, invece dentro di me si scatenavano uragani e catastrofi naturali pronti a distruggere tutto ciò che mi circondava, per esempio. Da queste trappole, poi, nasceva la mia libertà, ossia le mie composizioni.
-Benissimo, anzi di più. Ti faremo sapere al più presto- disse Paul. 
Sinceramente mi aspettavo qualcosa di più, e ció smorzó un po' la mia euforia. Salutai con un 'arrivederci' generale, seguito da un mormorio di 'ciao', e me ne andai da un lato soddisfatta, perchè ero per buona parte riuscita nel mio intento, dall'altro turbata. 
Quella frase continuava a rimbombare nella mia mente 'ti faremo sapere'. Non sapevo se prenderla sul serio, o se mi stessi facendo influenzare dalle mie paranoie, cosa che mi accadeva spesso in tutti gli ambiti della mia vita. 

Iniziavo seriamente a prendere in considerazione la possibilità che non mi scelgano: cosa avrei fatto? Avrei fallito, avrei dovuto convincere i miei a farmi restare qui almeno per l'estate per cercare di costruirmi una mia vita, mi sarei dovuta organizzare diversamente, e Spencer? Mi aveva già avvertito, ma io dovevo sempre fare di testa mia. Mi maledissi centinaia di volte quella mattina. Improvvisamente mi resi conto dei pensieri che appannavano la mia lucidità, erano tanto pesanti che iniziavano a bruciarmi le tempie. Smisi subito, un po' per il dolore, un po' perché mi ricordai della promessa che mi ero fatta prima di partire: non pensare sempre al peggio. Da sempre ero stata pessimista in tutte le situazioni e, per una volta, volevo godermi questa nuova esperienza pienamente e senza rimpianti. 

Appena uscita, trovai mio fratello seduto con la testa tra le mani. Mi preoccupai subito e gli corsi incontro, per poi rendermi conto che in realtà non era successo niente: -Ero solo...preoccupato per te- . Non lo aveva detto veramente, incredibile. Mi guardava con quegli occhi che, come ho già detto, mi ricordavano tanto mio padre, forse perché erano sguardi molto simili. Emanavano tenerezza, ma ero sicura che dietro c'era dell'altro. Allora capii e mi appuntai mentalmente di andare più spesso con lui a fare la spesa. Tornammo a casa con la Vespa e cucinammo qualcosa, per la prima volta lo aiutai.
La prima settimana lo avevo trascurato molto e dovevo farmi perdonare in qualche modo. Mentre tagliavo i pomodori ricominciai a pensare. 'Quei tipi erano davvero diversi', riflettei istintivamente. Per "diversi" intendevo il fatto che non mi era ancora capitato di incontrare dei ragazzi come loro: chi più, chi meno, erano coinvolgenti. Mi stavano venendo le parole più strane per descriverli, ma non potevo altrimenti. Coinvolgenti perché avevano un'energia che ti inondava appena entravi e il bello era che la mettevano tutta in quello che facevano. Ho incontrato tanti artisti in vita mia: c'erano quelli che lo facevano passivamente, quelli che fingevano di fare qualcosa definibile arte, quelli che copiavano senza criterio qualsiasi cosa trovassero,anche quelli che credevano che la musica fosse un modo per rimorchiare, poi quelli che lo facevano perché gli piaceva davvero, perché volevano evadere, ma come loro nessuno. Sembravano un gruppo abbastanza unito, anche se a quei tempi era difficile fare carriera e quindi avevo seri dubbi sul loro successo. Ma alla fine, credo che a loro non importasse questo. Morivo dalla irrefrenabile curiosità di ascoltare qualche loro canzone, sentire cosa avevano da dire, perché sembrava davvero che avessero tanto di cui discutere. Mi promisi che avrei fatto di tutto pur di ascoltare anche solo una strofa. 

Mi ricordai di Ringo e pensai che a volte Lui lassù fa veramente dei bei lavori. Che ragazzo carismatico e gentile! Soprattutto con una ragazza che, allora, avrebbero potuto benissimo mandare a quel paese. Poi mi ricordai di Peter...Paulie? Ah no, Paul (credo), e riflettei bene su quello che avevo pensato precedentemente, diminuendo le probabilità di produzione di persone come Ringo drasticamente. Avevo ancora impresso nella mente il suo sguardo su di me: sfida, quasi disprezzo. Ero certa di non averlo mai visto in vita mia e di conseguenza non avrei mai potuto fare qualcosa a lui poco gradita. In un certo senso metteva in soggezione: perché diavolo ce l'aveva con me? Non sapevo più cosa pensare. Lasciai perdere e aiutai ancora mio fratello. Compiendo quei gesti mi convinsi che potevo farcela a restare anche da sola. Dovevo solo organizzarmi bene: lavorare sodo con la band, pensare alla spesa, all'affitto e cose del genere. -A cosa pensi?- mi chiese Spencer. Allora realizzai che non avevo ancora iniziato a mangiare e guardai mio fratello: -Secondo te mamma e papà mi lascerebbero vivere qui sola?- , di rimando lui mi guardò con aria poco fiduciosa: -Dovresti garantirgli il fatto che avrai un lavoro sicuro e ben pagato e, beh' un po' per paradosso, che tu non sia sola- , -Che intendi?-, -Intendo il fatto che tu abbia come vivere-. Mi trattenni a stento dal lanciargli qualcosa, non doveva iniziare a fare il finto tonto con me: -Sai bene che mi riferivo al fatto che non dovrei essere da sola. Mi spieghi come faccio? Tu non potrai stare qui perché ti sei già iscritto a medicina ad Harvard quindi? Con chi dovrei stare? Una baby-sitter?- iniziai a perdere la pazienza. Lui era calmo, come al solito, anzi aveva un sorriso divertito stampato in volto: -Hai mai sentito la parola 'fidanzato', piccola ed innocente sorellina?- . Ero convinta mi stesse prendendo in giro, mi stesse semplicemente stuzzicando per stizzirmi e per suo divertimento: -Sappi che non sei divertente, con queste battute non farai nemmeno colpo su Trisha- , toccai il punto debole. Alzò gli occhi dal suo piatto e mi guardò sorpreso: -Non ti sto prendendo in giro e poi... cosa? Sei seria?! Io, lo giuro...- iniziò a farneticare cose senza senso mentre io mi godevo la scena con le mani poggiate sotto il mento. Strabiliante come toccando un semplice tasto si possa mandare in tilt una macchina: -Il tuo segreto è al sicuro- , -Ma a me non piace quindi non c'è niente da tenere nascosto a nessuno, tornando al discorso di prima, non stavo scherzando: esci, trova nuovi amici e conosci qualcuno, non avevi un'amica qui? Chiamala- disse improvvisamente risoluto e deciso. Era molto strano sentirsi dire quelle cose da un fratello maggiore: -Mi dovrò aspettare seguenti reazioni di gelosia o lo dici sul serio?- chiesi sospettosa. Rispose poco dopo: -Nah, non sono papà. Credo nelle tue capacità, Mel, anche se a volte dimostro il contrario. E' diverso, perché io non credo nel mondo, ecco il motivo per il quale poco tempo fa rimasi scettico sulla tua scelta di trasferirti qui da sola. Non hai idea là fuori di che giungla sia, e potrebbe essere difficilissimo costruirsi una vita per una donna. Credi davvero che condivida ideali conservatori come i nostri? Andiamo sono quasi tuo coetaneo alla fine, che saranno mai quattro anni di differenza- . Mi stava confondendo le idee: prima diceva una cosa, poi se la rigirava nelle sue infinite sfumature. Ci rinunciai, la sostanza era che... ci rifletterò. 
D'un tratto chiesi: -Lo fai per aiutarmi a restare qui così mi levo dai piedi o perché?- . Ci pensò un po', poi rispose: -Alla fine lo faccio per te, sorellina, e un po' anche per quello- sorrise. Mi decisi a chiamare la mia amica Tiffany e così feci il pomeriggio seguente, dopo aver sentito i miei. Inserii uno degli ultimi gettoni che mi rimanevano e attesi con ansia risposta. Uno squillo, due, tre: -Pronto?- , -Tiffany! Sono Melanie-.

   
 
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