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Autore: PandaNemoMinerva    02/06/2016    1 recensioni
Un fiume, una chiesa diroccata, una specie di domanda.
Forse anche un'occasione.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ai conigli e alle farfalle, a chi ha il tea come inchiostro e a chi immagina
 

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Vieni via da questo imbroglio
Vieni via da questo abbaglio
Portami al fiume a benedire
Portami al fiume mi voglio salvare
 
Il cavallo percorreva al galoppo il corso del piccolo fiume, sollevando schizzi d’acqua che gli avevano bagnato pelle e vestiti senza che ci facesse caso.
L’unica cosa importante era il suono ritmico degli zoccoli contro il terreno, l’aria che gli strisciava contro.
Quel corso d’acqua poteva rappresentare la salvezza, la benedizione del recuperare e tenere fra le mani qualcosa di contorto e lacerato.
Solo quello contava, e l’uniforme che si portava addosso.
Sanguinava.
Sanguinava e gli zoccoli del cavallo avevano calpestato, alla partenza, i frammenti di quella ferita.
Ancora una volta si era ritrovato bruscamente impattato contro i suoi errori, contro la vana e mal riposta speranza di fare la cosa giusta.
Ancora una volta aveva preso ciò che rimaneva di un cuore dannato, di un amore ferito ed era partito verso il nulla.
In passato a benedirlo, a dargli conforto, era stato il vino.
Ora era l’acqua di quel fiume, la sagoma gonfia della collina che si profilava in lontananza.
Se ancora aveva una possibilità.
 
“è bella. Quella chiesa” aveva indicato la piccola struttura sulla collina
“ se davvero ti piace andremo a passeggiare su quel colle.”

 
Era diventato il loro angolo segreto e tranquillo, soprattutto quando il paesaggio si riempiva di spighe di grano.
Ora quei mattoni racchiudevano tutto.
 
C’è una chiesa sulla collina
C’è una chiesa che ci perdona
 
Il tramonto giocava con i vetri crinati e colorati, dipingendo l’arcobaleno sul pavimento di quella chiesa abbandonata.
Dipingeva l’arcobaleno sul vestito di lei bagnato dalla medesima acqua del medesimo fiume, sui capelli scuri, sulla sua ombra.
Voltarsi appena, rassicurarsi e agitarsi con la sola reciproca presenza.
Parlarsi e ascoltarsi in silenzio, gli occhi fissi sul bassorilievo di un angelo scheggiato.
Un’ala mozzata.
Scampato il pericolo state fisicamente bene.
L’animo è certamente tutta un’altra faccenda, faccenda che avete sempre soffocato con vino scadente e gioielli luminosi.
Poi era semplicemente arrivata, una seconda e preziosa presa di coscienza.
L’ultima occasione.
“Quindi alla fine siete riusciti a…”
“Si. Tutti morti  o in prigione.” Finisci la frase per lei.

Ennesima conclusione.
Di una frase.
Di un rapporto.
Di voi.
 
La luce della luna ha preso da tempo il posto del tramonto, illumina statue e forme.
Una luna gonfia e candida.
Bianco.
Come quel vecchio vestito.
Il silenzio rotto dal fruscio del raso infangato contro il pavimento.
“Addio.”
Poche lettere pronunciate. Una sola parola.
Molte lettere non dette. Tante parole.
Si allontana.
Va via.
Ancora una volta.
Ancora una volta immoto e in ritardo.
 
that’s a lie oggi*
 
In ritardo, la raggiungi a metà del colle.
Il passo imposto veloce su quei conosciuti percorsi semibui.
Passo veloce che non s’arresta.
“Anne!”
Il polso minuto nella tua mano grande e ruvida.
Ti guarda, in silenzio.
 
Vieni via ferito amore
Vieni via dannato cuore
C’è una chiesa sulla collina
C’è una chiesa che ci perdona
 
“Seguimi. Per favore.”
Le prendi la mano e correte su per il crinale, sull’erba nera e luminosa.
Eco dissonante delle azioni di un tempo.
Si fermano i passi davanti al vecchio altare logorato dal tempo.
“Che significa.”
“Ti voglio sposare. Di nuovo”
“Sposarmi.”
“Si.

 Qui.
 Ora.
Qui e ora che ci vengono perdonati tutti i peccati.”
“Dopo tutto ciò che è stato, questo.”
Tremano gli occhi e l’animo.
Trema il cielo, trema l’erba.
 
Ti voglio sposare that’s no lie
that’s no lie oggi
“Ti voglio sposare.
Non è una bugia.
Non oggi e non domani.”
“Athos.”
Siete già sposati, non serve davvero.
Serve.
“Dimmi solo si.”

 
Vi hanno fatto da testimoni la luna e le stelle, ad officiare un angelo con un’ala spezzata.
La prima notte da marito e moglie.
Di nuovo.
Notte troppo breve da vivere, passata a ribadire quel si, quelle promesse di nuovo scambiate.
Il primo sole vi trova accoccolati sul pavimento e chissà se quella chiesa perdona proprio ogni peccato.
Parlate  in silenzio, cercate profumi, battiti del cuore.
Cuore di nuovo intero, seppur lacerato e contorto.
 
Viene infine il momento di affrontare il mondo.
Mondo che si affaccia dalle porte della chiesa.
La prendi all’improvviso fra le braccia, varcate la soglia.
“Normalmente si porta la sposa in braccio oltre la soglia di casa.”
“Lo so.” E la stringi un poco più stretta.

I raggi del sole come petali e riso.
 

 

Ti voglio bene
Ti porto al sole

 

Ad adornare le ali dell’angelo, un ciondolo d’argento.

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice:
Non ho molto da dire, è una Milathos in 700 parole e poco più scritta di getto senza capo o coda.
Le frasi in grassetto sono versi della canzone di Zucchero “Ti voglio sposare”
 

 *     la frase orginale è " that's no lie oggi " 

Con ritardo mi riferisco al finale della seconda stagione, quando Athos non riesce a raggiungere la carrozza di Milady.

Potete immaginare la shot nel periodo che più vi piace, io la immagino come finale della terza stagione.

 

 

   
 
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