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Autore: AnyaTheThief    02/06/2016    2 recensioni
Roman Kozlov fissava quella palazzina da alcuni minuti. Gli sembrava incredibile che fosse rimasta in piedi, visto il destino crudele nel quale era incorsa Vienna intera.
“Quanto tempo è passato? Quanto tempo dall'ultima volta che mi hai baciata e senza parlare mi hai promesso una vita assieme?”
Athos si svegliò all'improvviso con un sussulto ed ansimò forte, in un letto di sudore. Si portò le mani tra i capelli fradici e fissò il vuoto per alcuni minuti.
Sbroglierò i nodi che ho creato nei due capitoli precedenti di Crossed Lives, spero li abbiate letti!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Milady De Winter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Quanto tempo è passato? Quanto tempo dall'ultima volta che mi hai baciata e senza parlare mi hai promesso una vita assieme?”

Athos si svegliò all'improvviso con un sussulto ed ansimò forte, in un letto di sudore. Si portò le mani tra i capelli fradici e fissò il vuoto per alcuni minuti.

Non era la prima volta che la sognava. Gli succedeva in particolare dopo una sbronza, e forse era anche quello il motivo per cui gli appariva ancora più bella di quanto ricordasse. Rise ironicamente, senza riuscire a controllarsi: proprio lei gli compariva in sogno come un angelo. Lei, che era il demonio fatto a persona.

Ributtò la testa sul cuscino e rise fino a consumarsi i polmoni.

Poi pianse.

Nella solitudine della sua stanza, esaurì le proprie lacrime crogiolandosi nella propria vergogna.

Quella donna gli aveva tarlato il cervello fino a raggiungere quel punto nascosto e remoto che, appena solleticato, gli faceva pentire di essere ancora al mondo. Rimpiangeva di non esserle mai corso dietro, di aver accettato il ruolo di Capitano – Capitano! Lui, che non sapeva nemmeno controllare se stesso quando versava la bottiglia di vino! – di non averle mai detto ciò che provava ancora per lei.

Era furente. A distanza di cinque anni, ancora lo tormentava. Nessuno gliel'aveva potuta far dimenticare, nemmeno per un istante. Se faceva l'amore con un'altra donna, continuava a sentire il profumo dei nontiscordardime, a vedere la sua chioma bruna, ad immaginarsi le sue labbra che gli baciavano il corpo, a sentire la sua voce. Alla fine, ne usciva più distrutto di prima e ritornava in un circolo vizioso di alcol e prostitute destinato a non finire mai.

Il fatto di aver perso persino D'Artagnan, che gli era spirato tra le braccia, non aiutava a migliorare il quadro della situazione. Porthos non era stato più lo stesso da allora. Si era chiuso e parlava ancora meno di prima, ancora meno di lui stesso. Aramis era quasi un ricordo lontano, ma ancora non aveva superato la sua dipartita. Eppure, per quanto dolore potesse provare nel ricordare i suoi amici scomparsi, la sua immagine tornava sempre a trovarlo nei sogni, anche quelli ad occhi aperti.

La odiava.

Gli aveva rovinato la vita per sempre.

Quella mattina, Athos non fu visto da nessuno nella guarnigione.

Da quella mattina, Athos non fu più visto per lungo tempo a Parigi.

Partì a cavallo, da solo, con una scorta di cibo per un viaggio destinato a durare giorni ed un guanto da donna bianco infilato nella tasca. Non disse niente a nessuno. Era una cosa che riguardava soltanto loro due. Qualunque tentativo di aiuto o di intromissione sarebbe stata una seccatura ulteriore che lo avrebbe prima o poi fatto desistere dal suo scopo.

Cavalcò verso nord per un'infinità di tempo, fermandosi solo di rado e senza riuscire a pensare ad altro che a lei, anche se non aveva idea di come avrebbe fatto a ritrovarla. Ma lo avrebbe fatto, o sarebbe morto tentando.

Giunto a Calais, vide gli occhi di lei scrutarlo maliziosi nei riverberi che la luce della luna rifletteva tra le onde del mare, e desiderò di affogarci dentro.

 

 

 

 

Roman correva a perdifiato, per quanto il dolore al braccio glielo permettesse. Era giunto pungente e lo aveva lasciato senza fiato: sentiva il sangue scorrergli sotto la divisa ed un formicolio dilagante.

“Ehi!!” riuscì a gridare. “Tu, fermati!!” riusciva a scorgerlo sempre soltanto per pochi istanti, prima che svoltasse una volta a destra, un'altra a sinistra.

Non voleva lasciarselo sfuggire: perché gli aveva sparato? Si stava ormai abituando agli sguardi impauriti degli austriaci quando notavano la sua divisa sovietica, ma lui non aveva mai fatto del male a nessuno. Che fosse soltanto qualcuno che cercava di vendicarsi per un torto subito da un altro soldato?

Lo perse di vista dopo alcuni minuti. Non aveva più fiato e il braccio gli doleva parecchio, anche se la pallottola non fosse rimasta nella sua carne. Nonostante tutto, continuò a camminare con il fucile imbracciato. Notò che la strada proseguiva in una direzione obbligata, e più andava avanti, più sperava che si concludesse in un vicolo cieco. La sua mente ragionava veloce, mentre prestava un po' di attenzione alla ferita, un po' ai suoi passi. Se quella via non aveva uscita, allora, a meno che non fosse entrato in una di quelle case, in fondo ad essa avrebbe trovato...

Non quello che si aspettava. C'era una ragazza lì, in mezzo alle macerie di una casa distrutta, che frugava a terra in quello che pareva un mucchio di spazzatura mista a calcinacci.

Roman comparve in fondo alla strada con il fucile puntato verso di lei, ma quando si accorse che era soltanto una ragazza, lo lasciò penzolare dal braccio ferito e si bloccò per non spaventarla.

Lei si voltò di scatto ed emise uno squittio spaventato, poi cercò di scappare al di là della montagna di macerie.

“Aspetta, ferma! Non voglio farti del male!” era già la seconda volta quel giorno che doveva rassicurare una donna di non avere cattive intenzioni. Lei scivolò sulle rovine della casa, slittando fino a ricadere a terra. “E' pericoloso, ferma...!” Roman le si avvicinò lentamente, mentre lei continuava ad annaspare, schiacciandosi contro il mucchio di macerie alle sue spalle, e cercando di restare in piedi.

Lui sollevò di nuovo le mani in segno di resa. “Non temere.” la tranquillizzò con voce profonda, sfoderando poi un sorriso per nulla intimidatorio.

“La prego, non...” la ragazza si strinse nelle spalle, facendosi piccola e tremante, si portò le braccia davanti al seno come a farsi scudo con esse e chiuse gli occhi, piangendo terrorizzata.

“Cosa ti è successo?” le chiese avvicinandosi ancora di più. Lei aprì gli occhi per un attimo per sbirciare le sue fattezze, ma poi distolse lo sguardo di nuovo.

Finalmente Roman ebbe l'occasione di vederla bene in viso e notò che era bellissima, anche se lo nascondeva bene sotto un abito sciupato e logoro, ed i capelli stopposi e spettinati.

“Cercavo solo un po' di cibo... Fatemi andare a casa, vi prego, mia sorella è ferita.” disse tutto d'un fiato. “Fate di me ciò che volete, ma fate in fretta, vi scongiuro.” e scoppiò di nuovo in singhiozzi.

Roman la fissò a lungo, cercando di trovare le parole giuste per consolarla, ma era rimasto affascinato dalle sue movenze. Lei sembrava essere più consapevole di sé di quanto volesse fargli credere, e la cosa lo fece sentire stupido, perché invece credeva ad ogni sua parola ed ogni sua lacrima, tanto da restarne quasi commosso. Poi tornò in sé.

“Sto cercando un uomo, d'accordo?” cercò di spiegarle. “Hai visto un uomo passare di qui? Con un cappello...”

La ragazza, che ora lo guardava negli occhi, scosse il capo rapidamente. Roman dedusse che doveva essere entrato in una di quelle case, oppure aveva scavalcato la montagna di macerie passandole di fianco e lei gli stava mentendo spudoratamente. Si rassegnò a desistere dal cercare colui che gli aveva sparato.

Controllò la ferita: non era così grave, ma ancora stava sanguinando.

“Ti porterò un pasto caldo e medicine per tua sorella, se mi dai una mano a medicarmi.” le propose. Lei sgranò gli occhi, tentennando, poi annuì timidamente.

“Perfetto. Hai qualcosa per fasciarlo?” aveva appena terminato la domanda, che lei si era già strappata un pezzo di vestito e glielo stava legando attorno al braccio.

Roman si sentì preso in giro alla grande, dopo aver assistito a quel cambiamento repentino. Quella ragazza non era una sciocca, innocente austriaca terrorizzata dai soldati; c'era qualcosa che non gli stava dicendo.

“Non era necessario...” cercò di dirle, stando al suo gioco. “Come ti chiami?”

“Vanessa. Vanessa Berger.” gli rispose con un fil di voce. I suoi gesti contrastavano gli uni con gli altri, e lui non riusciva a trovare un senso logico al suo comportamento. Era o no spaventata da lui? Sentiva come se fosse lei ad avere in mano la situazione; lei disarmata, lei donna, lei che piangeva.

“Sono Roman Kozlov.” si presentò, ancora attonito da quell'insieme di sentimenti opposti che gli stava trasmettendo quella ragazza. Cosa era vero e cosa no? Gli aveva almeno detto il suo nome reale o se lo era inventata al momento? Se aveva mentito era dannatamente brava. Ma forse era tutta una sua impressione, forse aveva agito così rapidamente soltanto perché aveva davvero fretta di tornare a casa, come diceva.

“Se hai fame, perché non vieni a prendere il cibo che distribuiamo tutte le sere?” chiese, cercando di coglierla alla sprovvista, mentre lei stringeva quella benda arrangiata attorno al suo braccio con una forza che mai si sarebbe aspettato da quella gracile corporatura.

Lei non rispose e si rabbuiò.

“Non siamo tutti uguali, sai?” le disse allora lui.

Lei di nuovo non rispose.

“Ti accompagno a casa, e stasera vi porterò qualcosa da mangiare.”

Vanessa si allontanò, dopo avergli medicato il braccio, in silenzio.

“Verrò solo, te lo giuro.” le parlò con il cuore in mano. Davvero si stava riducendo quasi a supplicarla pur di rivederla? I suoi occhi cristallini non trasmettevano altro che sincerità, mentre gli smeraldi di Vanessa vacillavano perplessi, squadrandolo.

“Non me ne faccio nulla delle promesse di un soldato. Addio.” Lo oltrepassò e sparì dalla sua vista.

Roman rimase di nuovo stordito: cos'era appena accaduto? Non sapeva dire perché quando se n'era andata gli avesse lasciato dentro un vuoto incolmabile e straziante. Doveva rivederla.

Ma quando stava per mettersi al suo inseguimento, qualcos'altro attirò la sua attenzione tra le macerie. 

  
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