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Autore: pandamito    03/06/2016    1 recensioni
Mentre da una parte nel mondo Andrea e Giuliano incontrarono Licia per caso, in un’altra parte sempre molto super random qualcuno mi chiese mi raccontare una storia. Sinceramente non ne avevo proprio voglia, però sapete com’è, non avevo niente di meglio da fare mentre il torrent finiva di scaricarsi e poi ho realizzato: quello era il mio momento. Il Destino, il Fato, un cavallo, qualcosa di mistico e onnipresente che governava le forze dell’universo mi stava dando l’opportunità che avevo sempre aspettato per risplendere ancor di più, per infangare ancora il nome di qualche persona e bearmi delle loro sventure.
E così una testolina riccia e nera trotterellava tranquilla per strada, intento nel tornare a casa da-
No, aspettate, non è così che inizia la storia.
Torniamo indietro. Rewind.

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Basically: gente molto random e scapestrata abita in un condominio dove succede di tutto e di più e fanno cose.
Ovvero chiamata "la storia che nessuno aveva bisogno che io scrivessi".
Genere: Commedia, Demenziale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash, Crack Pairing
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
Capitoli:
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Per una volta nella vita l’appartamento numero dodici nella palazzina era in perfetto silenzio, sebbene non per volontà degli inquilini che lo abitavano.
Poco prima Tony stava tranquillamente strimpellando la sua chitarra, mentre Peggy gli inveiva contro dal letto che poteva pure sforzarsi di suonare qualcosa di decente. Per tutta risposta Tony si mise a cantare ancora più forte qualcosa di estremamente malinconico come «Did you see me bleeding out?» al che Peggy gli tirò contro uno dei suoi cuscini.
Svegliata e contrariata, lanciò uno sguardo al letto a castello vicino al suo, dove Robin stava dormendo. Sebbene all’inizio volesse lasciarlo dormire, annoiata, lo strattonò mettendogli un piede in faccia, il quale l’altro quasi morse, infastidito, facendo lanciare a Peggy un urletto a metà tra l’impaurito e il disgusto.
«Non me ne frega un cazzo, non rompere» brontolò il fratello.
Questo avvenne prima che Philip Orwell imponesse il suo governo e fece ammutolire tutti. Ma come ci riuscì? Non fu per niente facile, in realtà, ma quando Philip aveva uno scopo a cui teneva più di ogni altra cosa, riusciva a tirar fuori lo spirito che risiedeva in lui e a imporsi.
E qual era questo scopo? I suoi soufflé.
Approfittando che Theodore quella mattina era a liceo e che lui per una volta non aveva nessuna lezione, si era messo in testa di cucinare qualcosa di carino. Beh, in realtà Philip cucinava sempre cose carine, ma nel senso che voleva fare qualcosa di particolare, ecco, così aveva iniziato a ricattare tutti. O forse era perché teneva un manganello in mano, chi lo sa.
Robin era subito andato a favore del silenzio per dormire, mentre Tony aveva combattuto e si era lamentato – forse più per rompere la noia che discutere realmente – ma alla fine avevano trovato il compromesso di lasciare alcuni dei dolci al cioccolato per Alexandre e così, soddisfatto, aveva poggiato la chitarra sul divano e si era messo a messaggiare in silenzio, probabilmente sperando di dare fastidio al proprio ragazzo mentre quello era al lavoro.
Quello che più stranamente fu facile da convincere fu proprio Wade.
Il giorno prima, dopo l’incidente della porta con l’ascia e tutto il resto, aveva provato a rimettere la porta al suo posto perché i suoi fratelli si erano lamentati che passasse troppa aria o qualcosa del genere. O forse c’entrava qualcosa la nudità, chi ricorda. Sta di fatto che inizialmente ce l’aveva fatta, era riuscito a rimettere la porta in piedi, anche se bisognava aprirla piano per non farsela cadere addosso e c’era ancora il problema dell’enorme buco centrale… Solo che dopo un altro paio di volte che quella si era ostinata a ricadere – più Peggy che si era lamentata che chiunque poteva entrare con la serratura ancora rotta e aggiungiamo anche qualcuno ancora anonimato che aveva denunciato l’accaduto al proprietario del condominio – Wade purtroppo si era dovuto rassegnare a chiamare qualcuno che gli rimettesse una porta nuova. Era venuto quella mattina presto e chiunque fosse passato di lì non avrebbe mai dimenticato la faccia riluttante e amareggiata con cui Wade l’aveva pagato.
Ora se ne stava abbattuto al bancone della cucina, sorseggiando silenziosamente il proprio caffè, aspettando l’ora per andare al lavoro; così Peggy andò da lui cercando di non fare rumore e gli mostrò una nota sul suo cellulare in cui aveva scritto “Accarezzami i capelli mentre mi addormento”. Sarà che quel giorno Wade era triste, ma l’aveva seguita e, mentre sua sorella si metteva sotto le coperte, lui si sedette accanto a lei sul letto, prendendo a giocare con i suoi capelli con una mano mentre con l’altra scorreva le pagine internet dei giornali sul suo cellulare.
Tutto questo fino a quando un boato non esplose per tutto il palazzo.
I soufflé si afflosciarono.
 
Peggy Orwell scendeva le scale sbattendo i piedi nudi a ogni singolo passo che avanzava, incanalando tutta la rabbia che le ribolliva in corpo. Probabilmente però solo un miracolo avrebbe permesso ai coinquilini del condominio di sentirla, perché qualcuno dei piani di sotto aveva messo la musica a un volume così alto da sentirsi perfettamente persino al quarto piano.
Una volta scesa al terzo piano, prima che potesse proseguire, dall’appartamento numero otto si affacciò una testolina scura con frangetta e occhi chiari, che fissò Peggy. Non ricordava sinceramente come si chiamasse, né le interessava.
«Stai andando a picchiarlo?» urlò la ragazza per sovrastare la musica.
«Sto andando a ucciderlo!» sbraitò l’altra.
Se non avesse avuto fretta, avrebbe potuto osservare che sul viso della castana si era creato un cipiglio di confusione, che stava analizzando se la Orwell fosse seria o meno. No perché penso proprio fosse più che seria.
Entrambe sapevano chi era il problema in quella situazione: Rafael Perez, l’inquilino dell’appartamento centrale numero tre al primo piano, gigante in altezza che faceva la sua porca figura pure senza muscoli da body building, occhi scuri e penetranti, capelli folti e mossi, con un accenno di barba, codice fiscal- no, ok, non siamo a conoscenza del suo codice fiscale. Chissà se ce l’ha un codice fiscale.
Che entrambe lo conoscessero abbastanza bene di fama era dovuto al fatto che oramai era rinomato per girare praticamente nudo per tutto il palazzo e ogni volta si creavano situazioni imbarazzanti nei bagni in comune nel seminterrato.
Peggy si ritrovò di fronte alla porta dell’appartamento numero tre e prese a bussare senza smettere.
Senza smettere.
Senza smettere.
Non smise neanche quando la porta si aprì, facendo rimbombar ancor di più la musica, e Peggy gli bussò praticamente sul petto. Perché diciamo che era praticamente impossibile per la sua altezza arrivare al viso di Rafael. Solo che quel petto era nudo perché come sempre il caro signor Perez stava girando con solo un asciugamano in vita e delle pantofole lilla a forma di coniglietto; così per un attimo Peggy gli tastò un pettorale, Rafael alzò un sopracciglio chiedendo spiegazioni – non che ce ne volessero poi molte – e poi Peggy gli diede un calcio a una gamba, che lo fece accasciare, facendo cadere l’asciugamano che lo copriva, e gli iniziò a tirare pugni a caso ovunque riuscisse a colpire.
«Che diavolo fai?» sbraitò l’uomo, che in realtà poteva avere qualcosa come l’età di Robin su per giù. Rafael cercava di bloccarle i colpi, mentre la squadrava confuso. «Aspetta, sei in pigiama?» domandò, un po’ stupito.
«E tu sei nudo!» ribatté la minore, per niente imbarazzata, ma semmai più furiosa di prima, dandogli nuovamente un calcio, che il moro parò con una mano, così lei gli tirò uno schiaffo per farsi lasciare andare la gamba a mezz’aria.
Il vero motivo dello sbalordimento di Rafael era perché in realtà mai nessuno aveva visto Peggy Orwell senza trucco – ma di questo non vi era problema, aveva dormito truccata, per essere pronta alle evenienze – ma soprattutto nessuno l’aveva mai vista senza essere vestita a puntino o come una dipendente da night club. Entrambi i casi andavano bene per lei.
Ancor più imbarazzante era che lei dormisse con un babydoll rosa confetto con tanto di piumaggio. Cioè, l’imbarazzo non era per Rafael, era proprio imbarazzante il concetto in generale.
«Hai fatto afflosciare i soufflé di mio fratello!» gridò quella mentre continuava a prenderlo a schiaffi e Rafael tentava di respingerla dall’invadere il suo appartamento. «E ora lui ha una crisi! E se lui ha una crisi, io ho un crollo isterico!»
«Questo lo vedo!» rispose, sollevandola di forza e portandosela in spalla come un sacco.
Peggy urlò ancor di più e prese a dimenarsi con calci e pugni. «Abbassa la musica e ripagami i soufflé!»
«Giammai! Non li hai neanche pagati i soufflé!» ribatté e con ciò la fece cadere di peso a terra e chiuse velocemente la porta dell’appartamento per assicurarsi che restasse fuori.
La mora si rialzò furiosa e batté i pugni alla porta, gridando per la frustrazione.
 
Sentendo dei passi risalire per le scale, Tony aprì la porta e vide Peggy tornare ancora più in collera di prima.
«Dalla musica ancora a tutto volume direi che non ha funzionato» commentò.
Dietro di lui apparse Robin. «Wade sta cercando in una strana maniera di confortare Phil. E la cosa non sta funzionando.»
«È ancora arrotolato nella coperta» precisò l’altro fratello.
Peggy gli ignorò, andando invece di fronte la porta dell’appartamento a destra, il numero undici, e sfilandosi una forcina dai capelli raccolti, che oramai erano già belli che sfatti.
«I vicini lo tengono ancora il lanciafiamme?» domandò, iniziando a forzare la serratura con la forcina.
«Ok, perché i vicini hanno un lanciafiamme?» chiese Tony allarmato.
Robin avanzò un poco, incrociando le braccia. «Margaret che diavolo vuoi fare?» Al sentire il suo vero nome, la ragazza si voltò di scatto, digrignando i denti, e gli tirò un calcio, che lo fece indietreggiare dolorante. «No, sul serio, vuoi irrompere nel loro appartamento?» tentò di abbassare la voce, sebbene fosse impossibile con la musica ancora alta proveniente dal primo piano. «Non sai neanche se sono a casa!» cercò di farla ragionare.
«No, stanno sempre al piano di sopra di solito. E poi perché diavolo devono avere due appartamenti? Dovremmo protestare alla prossima riunione di condominio!» si lamentò, smanettando ancora con la forcina. «Se ci sono, diremo loro che abbiamo bussato, figurati se sentono, con ‘sta musica.»
«Diremo? Abbiamo?» ripeté Tony. «Ragazzina, cosa ti fa pensare che io sia disposto a mettere in pericolo la mia vita così e a partecipare al tuo folle piano?»
La serratura scattò e per la prima volta quella mattina il viso della giovane s’illuminò. «Yay!» esclamò, spingendo la porta, ma quella si arrestò e Peggy notò che era chiusa col chiavistello a catena; lasciò uscire un ringhio frustrato dal profondo della gola. Provò a far passare il braccio nella fessura e a trovare il gancio nella catena, ma tastando non riusciva a trovare nulla e il braccio le si stava indolenzendo per colpa della fessura troppo stretta.
Tony ridacchiò. «Che c’è, sei troppo grassa?» la punzecchiò e Robin lo seguì a ruota con le risa.
Peggy diventò paonazza e ringhiò come un cane. «Fallo tu! E muoviti!» gli ordinò, rialzandosi e spintonandolo verso la porta.
Tony si pentì delle sue stesse parole, ma infilò comunque il braccio nell’apertura e si mise a tastare la catenina per risalire a dove fosse agganciata.
Peccato però che la porta si richiuse violentemente sul braccio del giovane uomo, che lanciò un grido disumano, cercando di reprimere le lacrime che gli stavano affiorando ai margini degli occhi.
Peggy urlò e lei e Robin si abbracciarono di scatto per via dello spavento, mentre il maggiore si accasciava a terra, tenendosi il braccio dolorante e rilasciando dei lamenti.
La porta si aprì, stavolta senza catenina e ne uscì un uomo abbastanza alto e dal fisico asciutto e, sebbene avesse i capelli corti pel di carota e gli occhi azzurri, la cosa più appariscente in lui era il fatto che indossasse un grembiule sporco di sangue e la mano poggiata sulla porta era guantata, mentre l’altra era dietro la schiena.
«Hai rotto il braccio a mio fratello!» esclamò allarmata Peggy, alzando il tono di un’ottava.
Robin le si avvicinò all’orecchio. «Non hai pensato di controllare che fosse l’appartamento giusto e non quello di Ernest prima di fare la scassinatrice?»
«Perché diavolo stavate cercando di entrare?» domandò a denti stretti il rosso, pronto a mangiarsi vivo qualcuno.
Peggy avanzò per fronteggiarlo. «Che problemi hai? Gli hai quasi staccato un braccio!»
«Non lo sai?» fece Ernest, seccato. «Nei film chi irrompe nelle proprietà altrui presto si ritrova sempre morto. Proprio così» e detto ciò da dietro la schiena cacciò un intestino non ben identificato di chi e lo sbatté in faccia alla ragazza, che iniziò a gridare.
Peggy diede di matto, specialmente perché il sangue le schizzò sui capelli puliti, e afferrò qualsiasi cosa di viscido che il suo vicino teneva in mano e lo rivoltò contro di lui, iniziando a tirarglielo contro, costringendolo a indietreggiare nel suo stesso appartamento.
«Assassino! Assassino!» gridava in preda al panico.
«Giuro che è solo pollo!» esclamò il rosso mentre tentava di ripararsi da quella furia.
Peggy non si fermava e continuava a urlare senza prender fiato. Si arrestò completamente solo quando entrò nel monolocale di Ernest: era tutto pulito e preciso, sebbene qualche mobile andasse a pezzi; ma non era questo che attirò l’attenzione della mora, perché sul tavolo c’erano pezzi di carne e in un angolo della stanza c’era un altarino pieno di foto di una ragazza asiatica dai lunghi e lisci capelli castani.
«Aspetta ma io quella la conosco, l’ho vista su qualche giornale…» Peggy si fermò a riflettere, poi rivolse lo sguardo a Ernest, poi di nuovo alle foto e poi nuovamente sulla carne e a questo punto riprese a urlare. «Assassino! Hai ucciso una modella!»
«Cosa? No!» obiettò il maggiore, mentre parava i colpi che la ragazza gli tirava con l’intestino di pollo.
«Non è una giustificazione ucciderla solo perché è brutta!»
A queste parole Ernest s’incupì, una scintilla di rabbia accese i suoi occhi ed esplose: «Brutta?? Ma l’hai vi-» ma qui si dovette fermare perché qualcosa sfondò il soffitto, cadde e bucò anche il pavimento, distruggendosi al suolo dell’appartamento sottostante.
I due si bloccarono e cautamente si affacciarono all’enorme buco nel parquet. Da sotto sbucò la testolina castana con la frangetta e gli occhi chiari che Peggy aveva incontrato prima. Li guardò in cagnesco, spostando lo sguardo da loro ai pezzi di legno e metallo rotti sparsi per il suo pavimento.
Alzò le braccia e un occhio le tremava visibilmente dal nervoso. «Siete seri?»
«Oh, scusate!» Tutti alzarono il capo per scorgere una chioma bionda e voluminosa affacciata dal quinto piano. «Stavo cercando di montare il nuovo palco ma mi sa che qualcosa è andato storto.»
Una voce rimbombò da fuori, sembrava disperata. «Ditemi che non devo pagare di nuovo qualcosa!»
Era Wade.
Robin era esasperato, ma nonostante ciò raccolse tutte le sue forze per mantenere la calma, prese la sorella per le spalle e cercò di allontanarsi di lì il più in fretta possibile. «E comunque per il lanciafiamme potevi utilizzare la lacca e un accendino» la informò.
 
«Ok, quindi Heather si è offerta di ripagare tutti i danni?» chiese Alexandre.
Lui e Tony erano seduti vicini nella sala d’attesa del pronto soccorso ad aspettare che chiamassero il povero Orwell per farsi mettere il gesso – perché, a quanto pareva, sì, Ernest gli aveva rotto il braccio – mentre ora teneva solo una veloce fasciatura appuntata attorno al collo.
«Non è che si sia offerta» precisò Tony, «è che il palco era suo, non l’ho mica sfondato io il soffitto di ben due appartamenti.»
«Sì ma avete comunque cercato di irrompere in casa altrui» ribatté il biondo.
Il moro s’imbronciò, lanciandogli un’occhiata triste e un po’ seccata. «Potresti impegnarti a cercare di tirarmi su il morale, per favore?»
«Scusa, è che mi domando quando purtroppo arriverà il giorno in cui dovrò tirarti fuori di galera.» Si torturò le mani, un po’ in ansia. «Non vi ha fatto denuncia, vero?»
«No» rispose il maggiore, riflettendoci un attimo un po’ di più. «Credo di no. Ma tranquillo, che quando finirò al fresco sarà perché ti ho stupidamente seguito in qualche rissa iniziata per chissà che ridicola cosa come l’assenza di rampa per disabili o lo spreco di cibo nei ristoranti o l’ascensore-»
«Senti, quel povero ragazzino disabile del tuo palazzo non ha modo di salire e i proprietari non gli vogliono cedere l’appartamento al piano terra. E quell’ascensore! Non può rimanere così per sempre, va riparato!» esplose Alexandre, al che Tony non poté trattenere una risata. «Ogni volta che vengo da te o me ne vado è una sudata e mi rovina il completo, non posso presentarmi a lavoro bagnato di sudore!»
«Oh, fidati che ai tuoi colleghi non dispiace affatto e sabbiamo bene che quel “bagnato di sudore” non è certo per le scale» alluse il moro con un ghigno malizioso.
Alexandre serrò la bocca e divenne paonazzo; si voltò, mettendosi dritto sulla sedia e abbassando il capo, sprofondando nell’imbarazzo. All’improvviso diede una gomitata al presunto fidanzato, ma quello lanciò un grido di dolore, facendo voltare tutti gli altri pazienti.
Tony si tenne stretto il braccio fasciato, mentre Alexandre tentava di calmarlo e mormorava velocemente: «Scusa, scusa, scusa, scusa, scusa…»




 




a n d a bitch.
Ho sprecato un giorno della mia vita a scrivere invece di studiare. Ma perché.
Continua la mia depressione, continua la depressione dei personaggi, iniziano altre depressioni di altri nuovi personaggi che pian piano verranno introdotti meglio. 
Yay.
Ripeto che sono Come una bestemmia. su facebook e pinterest e pandamito su qualsiasi social possibile e immaginabile tra cui twitter, tumblr, 8tracks, tvshowtime e sparatene uno a caso e serio che ci sono.
Comunque la canzone dello scorso capitolo cantata da Tony era Wait For It tratta da Hamilton, mentre quella di questo capitolo è No Rest di Dry The River, che è una canzone che amo e che mi fa particolarmente piangere. Sì, metterò molte canzone sparse nei vari capitoli.
Si continua col nonsense.
Bao e panda, Mito.
   
 
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