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Autore: tartaruga_dt    05/06/2016    0 recensioni
«Questo significa che ho ragione io» fa Danny allacciandosi la cintura «Del tuo amico Joe White non sai un bel niente.»
Questa fanfiction parlerà solo marginalmente di Steve e compagni – il loro ruolo andrà espandendosi nel corso dei capitoli ma in effetti questa è una storia su un personaggio secondario. Datele comunque una possibilità, per favore ^^
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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H50-Sonny3

Tre


«Volevo solo invitarti a bere qualcosa, è tanto che non facciamo due chiacchiere io e te. Senza parlare di Wo Fat o di Shelburn o… insomma, lo sai. Solo due chiacchiere e una birra.» Quando vuoi, gli ha detto lui, e Steve: «Ti direi di farlo stasera ma ho un brutto caso: tre tizi armati si sono barricati dentro un locale sulla spiaggia. Non so come finirà, potrei dover compilare un sacco di scartoffie.» Joe ha sentito un campanello d’allarme tintinnare da qualche parte nella sua testa.
«Quale locale?» ha chiesto sforzandosi di non farsi prendere dal panico. Siamo alle Hawaii, si è detto, ci sono decine – centinaia – di locali sulla spiaggia. Ma poi Steve ha pronunciato il nome del locale dove lavora Alyssa e gli è mancato il respiro. «Sto arrivando.»
«Che cosa?» gli fa eco la voce di Steve dal cellulare «Perché? Non serve Joe, ho la situazione sotto control—»

*

«Alyssa» la chiama Ahulani sottovoce «Alyssa, tesoro, stai bene?» Alyssa apre la bocca per dirle che sì, sta bene, ma la voce non le esce. «Andrà tutto bene» mormora Ahulani dolcemente «Non aver paura, andrà tutto bene, presto arriverà la polizia.»
Come quella volta, pensa Alyssa, come quando sua madre le aveva accarezzato i capelli e l’aveva spinta giù, nell’acqua tiepida della vasca da bagno.
“Lo faccio per te stella marina.”
Mamma.
“La mamma lo fa perché ti vuole bene.”
Perché?
“Non voglio che tu soffra stella marina, non voglio!”
Quella volta la polizia era arrivata quando non ce l’aveva fatta più: aveva smesso di lottare, aveva lasciato andare il bordo della vasca, si era arresa. Poi due mani grandi si erano immerse nell’acqua, l’avevano afferrata e l’avevano tirata fuori. “Lo faccio per te stella marina” continuava a gridare sua madre, mentre la spingevano fuori dalla porta, lontano da lei. “Davvero, la mamma lo fa per il tuo bene!”
Alyssa le aveva creduto ma non aveva capito. Aveva otto anni, non sapeva che la sua vita senza sua madre sarebbe stato un continuo vagabondare tra case famiglie e famiglie affidatarie, un rimpallo frustrante tra assistenti sociali e genitori che le sorridevano ma che la rimandavano sempre indietro, perché nessuno se la sentiva di prendere con sé una bambina che avrebbe potuto avere la Còrea: sarebbe troppo doloroso – dicevano – e se poi fa la fine di sua madre e diventa violenta? Aveva otto anni Alyssa e non poteva sapere che avrebbe avuto paura tutta la vita – paura che la malattia la paralizzasse, paura di non ricordarsi più il viso di sua madre, paura di impazzire, paura di far del male ai pochi amici che si era fatta, paura di fare del male a George! Se l’avesse saputo allora forse non avrebbe lottato tanto, sarebbe stata docile, avrebbe lasciato che…
Si stringe la testa tra le braccia, cercando di allontanare quel pensiero terribile.
«Alyssa» la chiama ancora Ahulani «Vedrai bambina, andrà tutto bene.» Non è vero, pensa Alyssa mordendosi le labbra, non può andar bene, non è mai andato bene niente: mia madre è morta sola e io, ho vissuto e morirò sola anch’io, come lei. Ma questo non lo dice a Ahulani, non le dice niente, non osa neanche guardarla: ha il terrore che le legga in faccia che non ha paura e che non vuole la polizia – non stavolta! Stavolta vuole solo che finisca tutto.

*

Lou comincia a lamentarsi non appena scende dalla macchina: «Che cosa accidenti ci fanno tre rapinatori in una caffetteria? E alle prime luci dell’alba per giunta!»
«Veramente sono le otto e zero sette, l’alba è passata da un pezzo» fa notare Steve dando un’occhiata veloce all’orologio.
«Saranno venuti a prendere un caffè prima di fare il vero colpo» prova a buttare lì Danny «Altrimenti che senso ha rapinare un locale come questo all’alba? Ha appena aperto, non avrà incassato che pochi dollari…»
«Non è l’alba» ripete Steve esasperato «Ma per il resto hai ragione: perché rapinare una caffetteria?»
«Forse io lo so.» Kono si fa largo tra di loro con un portatile tra le mani. «Il negozio di musica accanto alla caffetteria è di un certo Dylan Reed» dice posando il computer sul cofano della Camaro.
«Dylan Reed» le fa eco Danny «Perché questo nome non mi è nuovo?»
«Perché è saltato fuori in relazione alle indagini su Gabriel Waincroft» spiega Kono battendo sui tasti del computer: sul monitor compare la faccia quadrata di Dylan Reed e il lungo elenco delle attività in cui è risultato coinvolto. «È uno spacciatore, recentemente è stato arrestato ed è attualmente gradito ospite di Halawa. La polizia però non è stata in grado di trovare il denaro guadagnato con la droga.»
«Quindi secondo te i rapinatori sono qui per i soldi di Reed» riassume Steve sistemandosi il giubbotto antiproiettile sulle spalle «Ok ma cosa c’entra la caffetteria?»
«Il negozio di Reed è ancora sotto sequestro, la polizia controlla chi entra e chi esce.» Danny alza diligentemente la mano: «Continuo a non capire che cosa c’entra la caffetteria.» Kono batte sui tasti del computer e sullo schermo appare una planimetria.
«Il negozio di Reed e la caffetteria condividevano uno scantinato» spiega indicando un punto preciso sullo schermo del computer «Probabilmente i rapinatori credono di poter accedere al negozio da lì.»
«Sento che sta per arrivare un ma» sospira Danny.
«Ma» continua infatti Kono «Tra il nostro amico Reed e la proprietaria della caffetteria non correva buon sangue: due anni fa la signora ha rinunciato allo scantinato pur di non avere più niente a che fare con Reed e ha fatto murare l’ingresso che dal suo locale porta allo scantinato.» Steve incrocia le braccia sul petto.
«Quindi i rapinatori stanno per scoprire che il loro piano è inutile» dice guardando verso la caffetteria. In altre circostanze, pensa osservando il patio ricoperto di rampicanti, deve essere un bel posticino dove venire a sorseggiare una bibita e a guardare l’oceano.
«Steve, i rapinatori non hanno vie di fuga» aggiunge Lou sottovoce «Sono completamente circondati dalla polizia, è solo questone di tempo prima che vadano fuori di testa. Gli ostaggi saranno in pericolo.» Ha ragione naturalmente, e Steve lo sa.
«Dobbiamo entrare.»

*

«Avevi detto che da qui si poteva passare!» grida uno «Avevi detto che sarebbe stata una passeggiata!» Ora che lo guarda meglio – ora che non ha un arma puntata addosso – Alyssa si accorge che è giovane, giovanissimo: lunghi capelli neri pettinati all’indietro e un pizzetto talmente curato che sembra disegnato con il pennarello. Vent’anni, pensa Alyssa guardando le guance lisce, forse uno o due in più.
«Come facevo a sapere che avevano murato la porta, eh?» gli urla addosso un altro. Nonostante la muscolatura massiccia deve essere piuttosto giovane anche lui, giovane e sconvolto, pericolosamente sull’orlo delle lacrime. «Possiamo sempre provare a sfondare il muro… ci saranno degli attrezzi qui intorno, no? Possiamo provare a…»
«Ah sì, vuoi sfondare il muro? E poi? Qui fuori è pieno di polizia!»
«Ora basta, finitela!» Il terzo uomo grida più forte di tutti. «Voglio quei soldi» dice «Hai capito, David? Me li devi!» Alyssa vede il ragazzo muscoloso – David, che quasi si accartoccia su se stesso. Ha paura, e forse non sa decidere se ne ha più per la polizia o per il suo amico.
«Io ho… ho dei soldi nella cassa» prova a dire Ahulani «Non sono molti ma…»
«Sta’ zitta!» grida il ragazzo con il pizzetto disegnato. Alyssa lo vede scattare come un pupazzetto a molla e scagliarsi su Ahulani, con la mano che regge la pistola sollevata. «Perché hai murato la porta?» lo sente urlare «Perché cazzo hai murato la porta?» Ahulani grida e Alyssa, d’istinto, si butta sopra di lei, chiudendola tra le sue braccia. L’istante dopo parte lo sparo.

*

Steve se lo ritrova davanti con il giubbotto antiproiettile già allacciato e la SIG in mano.
«Joe» lo saluta con un cenno del capo.
«Steve» gli fa lui di rimando.  Steve continua a guardarlo. C'è qualcosa che non va ovviamente, qualcosa di cui come al solito non gli parlerà.
«Non puoi venire dentro con me.»
«L’abbiamo fatto altre volte.»
«Stavolta è diverso. È a tutti gli effetti un’operazione di polizia, e tu non sei un poliziotto.» Joe non si prende neanche il disturbo di provare a convincerlo, controlla il caricatore della pistola e si sistema l’auricolare nell’orecchio. «Che sta succedendo?» prova a chiedere Steve «Perché ti sei precipitato qui?»
«Ho i miei motivi.»
«Tu hai sempre i tuoi motivi. Come con la faccenda di mia madre…»
«Questo non c’entra con tua madre!»
«Voglio solo sapere che accidenti…» Il rumore di uno sparo copre le sue parole. I rapinatori hanno perso la calma, realizza Steve. L’attimo dopo Joe gli afferra il braccio con tanta forza che quasi glielo stritola.
«C’è qualcuno a cui tengo lì dentro» gli dice «Vengo dentro con te.»

*

Brucia. La sua spalla brucia.
«Alyssa» la chiama Ahulani «Alyssa guardami! Guardami!» Ma la sua voce è lontana, sempre più lontana e debole, e tenere gli occhi aperti è troppo faticoso. “Stella marina” la chiama sua madre, e la sua voce invece è vicina, come se le parlasse nell’orecchio. “Ascolta stella marina”
Mamma.
“Ti ricordi la canzone? Quella che ti cantavo sempre”
Sonny.
“Oh Sonny don’t go away, I’m here all alone…”
«Alyssa!» insiste Ahulani «Alyssa ti prego, ti prego!» Ma la voce di sua madre è vicina, così vicina che può quasi sperare che quando aprirà gli occhi sarà lì, accanto a lei. “And your daddy’s a sailor who never comes home…”
Nights are so long, silence goes on and…
“And i’m feeling so tired and not all that strong.”
«Alyssa!» Questa non è la voce di Ahulani e nemmeno quella di sua madre. Questa è una voce abituata a essere obbedita, una voce che Alyssa conosce. Joe?
“Stella marina” la chiama ancora una volta sua madre.
Mi dispiace mamma, mi dispiace tanto. Alyssa apre gli occhi. Lo fa con fatica perché ha le palpebre pesanti e tenere gli occhi aperti sembra quasi impossibile. C’è Joe davanti a lei, a pochi passi di distanza, ha tra le mani una pistola puntata nella sua direzione, e i suoi occhi chiari la sfiorano e passano oltre, fissandosi da qualche parte oltre la sua testa.
«Fate un altro passo e le sparo!» Ringhia una voce vicina – troppo vicina – al suo orecchio. Un braccio forte le circonda il collo spezzandole il respiro, e sente di nuovo il metallo freddo della pistola premuto contro la tempia.
«Lasciala andare» dice uno dei poliziotti, un uomo alto, dritto al fianco di Joe «Sei circondato, non hai vie di fuga, ma se ora la lasci andare e abbassi l’arma il giudice ne terrà conto, te lo prometto.»
«Sta’ zitto!»
«È ferita» insiste il poliziotto «Sta perdendo molto sangue. Lasciala andare e vedrai che…»
«Non voglio parlare con te, voglio solo una macchina qui fuori e…»
«Prima lascia andare la ragazza» ordina Joe. Ma è davvero Joe o è solo uno che gli somiglia? Alyssa non è sicura, non ha mai visto uno sguardo tanto feroce negli occhi azzurri del suo vicino di casa, e come se non bastasse il mondo intorno a lei ha i contorni sempre più sfocati e bui e…
«Lei rimane con me!» grida il ragazzo nel suo orecchio. Il braccio che la trattiene impedisce di respirare e la pressione della pistola sulla sua testa si fa sempre più dolorosa. «Se provate ad avvicinarvi le sparo! Giuro che le sparo, avete capito? Avete ca—»
Poi c’è uno sparo: la presa sul collo di Alyssa si scioglie improvvisamente e lei sente un rumore che è come quello di un sacco che si affloscia.
«Bersaglio a terra!» grida il poliziotto «Ripeto: bersaglio a terra!» Si muove verso di lei, ancora con la pistola dritta davanti a sé, e la supera.
«Sta bene signorina?» le chiede un altro poliziotto. È più basso dell’altro e ha un ciuffo di capelli biondissimi. Alyssa non sa cosa rispondergli, guarda verso Joe e lo vede che consegna l’arma a una donna: è la procedura, gli sta dicendo lei, mi dispiace. A Joe invece non sembra dispiacere per niente, la guarda e le sorride come le aveva sorriso la sera prima quando aveva suonato alla sua porta, come le ha sempre sorriso dal primo momento in cui l’ha conosciuto. “La canzone, stella marina” bisbiglia sua madre, da qualche parte della sua testa “Ricordati la canzone!”
Joe le tende la mano e Alyssa ci posa sopra la sua senza neanche pensarci. L’istante dopo ha il viso premuto sul suo petto, contro il ruvido del giubbotto antiproiettile, e Joe le accarezza la testa e le dice di stare tranquilla, che è al sicuro ora e che si occuperà lui di tutto.
“Oh Sonny don’t go away, I’m here all alone” canta sua madre mentre il mondo intorno a lei sbiadisce e diventa informe.
«Un medico! Presto, qui serve un medico!» grida la voce di Joe «Alyssa! Alyssa per favore…»
And your daddy’s a sailor who never comes home…





SIG-Sauer P226: stando a quel che si dice qui è l'arma d'ordinanza dei Navy SEAL. Ora, tecnicamente Joe è in pensione, lo so, ma ho immaginato che potesse aver conservato qualche "ricordo".

Ringrazio ancora una volta chi ha inserito la storia nelle seguite, spero che la storia possa interessarvi.
Buona settimana,

tartaruga =)
   
 
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