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Autore: Stray_Ashes    05/06/2016    1 recensioni
Siamo un’idea, coronata da sbarre. Siamo la sintesi di un pensiero corrotto.
Ma abbiamo un fetish per le parole che feriscono, le ascoltiamo tutti i giorni in tutte le canzoni, e le scriviamo sopra i muri, sbagliando la grammatica e tenendoci nel cuore le dolci sbagliate sensazioni.
Io mi riempivo di parole, le iniettavo nelle vene come fossero sostanze, proibite e maliziose... ed ehy, tesoro, dovresti provarle, che così piene di passione le poesie sanno di cenere e di sangue.
Tutto questo non ti sa di lacrime? Non ti ricorda i pianti che a vicenda ci siamo assaggiati, tra baci confusi, tra le nostre labbra premute follemente, il nostro disordinato possederci, per terrore che aprendo gli occhi ci accorgessimo di star baciando il muro, o forse il fumo, o la bocca alla pistola?
Alla pazzia piace il sapore della crudeltà.
Ho paura sia ancora tutta una questione di chimica.
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"Chemical Prisoner" - Falling in Reverse
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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"Chemical Prisoner"


 

“I walk a fine line between coping and insanity
The right pills, right now would be the wrong time
I have a hard time between flying and sobriety
The wrong thrill, strong will to keep myself alive.

I've watched this rip apart my family
Fuck that, I'd rather die with honor.
But when the drug is runnin' through me I can feel no pain
It's not worth the price I pay”

 
 
 
 
Siamo un’idea, coronata da sbarre. Siamo la sintesi di un pensiero corrotto.
Non lo vedi che pensare ci fa male?
Ma abbiamo un fetish per le parole che feriscono, le ascoltiamo tutti i giorni in tutte le canzoni, e le scriviamo sopra i muri, sbagliando la grammatica e tenendoci nel cuore le dolci sbagliate sensazioni.
Ci riempivo la carta, consumavo l’inchiostro, mi macchiavo le dita, mi tingevo le guance, mi strappavo la pelle dalle labbra, e sopra ai fogli come un bambino ci piangevo, e scioglievo le utopie, smontavo tutte le mie tragiche poesie. Buttavo più le strofe come si lanciano dei dadi fortunati, per il gusto di potermi definire poeta, sempre silenzioso, senza mai dare nell’occhio, per soffrire dall’interno con una ragione che in realtà non esisteva.
O che non potevi mai sentire. E non potevi mai capirla.
 
Io mi riempivo di parole, le iniettavo nelle vene come fossero sostanze, proibite e maliziose... ed ehy, tesoro, dovresti provarle, che così piene di passione le poesie sanno di cenere, e di metallo, come il sangue, quello che ti leccavi via dalle ferite, dalle ginocchia sbucciate, dalle labbra spaccate; e magari anche un po’ di sale.
Tutto questo non ti sa di lacrime? Non ti ricorda i pianti che a vicenda ci siamo assaggiati, tra baci confusi, tra le nostre labbra premute follemente, il nostro disordinato possederci, per terrore che aprendo gli occhi ci accorgessimo di star baciando il muro, o forse il fumo, o la bocca alla pistola?
Anche quella come il sangue sapeva di metallo. 
E le tue labbra sapevano di parole rubate, sfilacciate da canzoni, nella fretta, come se il cantante fosse un ladro, e forse era per questo, che io le amavo così tanto. Le tue labbra. Le parole. Le canzoni. Le note sospese nell’aria in attesa che il vento cambiasse direzione.
Eppure anche in estate la corrente dell’inverno la sentivo.
 
Vorrei una definizione un po’ più colta per definire il freddo, sarà questo chiedere tanto? Perché con le parole ero sempre stato bravo, insomma, io le amavo, ma anche loro a certo punto si esaurivano, lasciandomi da solo, fantoccio rovinato, con solo grandi occhi fatti per guardare, e per spostarsi da questo niente a quel niente laggiù, un poco più lontano.
Mi chiedevo allora quale fosse il punto. Mi chiedevo che senso avessero gli occhi e la lingua, se tutto ciò che poteva accomodare quello che sentivo era la mia testa stessa.
Ma non lo vedi che pensare ci fa male?
Baciami più forte per zittire i miei pensieri, che ho un fetish anche per quel tuo piccolo anello di ferro: lo sai, ha il sapere del sangue e delle pistole. Ma se te lo dicessi, temo di poterti spaventare.
Quindi mettimi a tacere, che se ci provassi io da solo, mi reciderei la gola.
Non sarebbe interessante?
Ho sempre avuto un debole per le anatomie. Come Leonardo sentivo il desiderio di trafugare i morti, e farci piccole composizioni d’arte, per estrarne instabili nozioni di perversa conoscenza.
Ma temo anche che sarei finito a vomitare.
 
No, non guardarmi come se fossi pazzo.
Guardami perché lo sono.
E da un lato, ne vado orgoglioso.
C’è qualcosa di immensamente creativo e personale, nella pazzia che abita le nostre menti; tutti ne abbiamo un po’, non negarmelo, ne siamo intrisi goccia a goccia, che ci cade sulla testa, e ci scivola sulla pelle fino a consumarla, come fosse una tortura.
Sento già il foro farsi strada oltre la cute per raggiungermi il cervello.
Che c’avrà d’importante da trovarci?
Ma non mi va di alzarmi, e ridendo isterico - eppur restando muto, rimango ad ascoltare, goccia per goccia, cadere sulla superficie della nostra convinzione, e mi lascio oltrepassare, dall’acqua così come da un pugnale, in attesa disperata che qualcosa di puro mi uccida.
Sono stanco del mio essere sporco.
Trovo che tutto questo abbia smesso di avere un senso.
Trovo che tutto questo non abbia mai cominciato ad averne.
 
E quando aprii gli occhi, questa volta, mi accorsi che non ti stavo baciando le labbra. Oh no, tesoro mio, le tue labbra erano morte in qualche vicolo, in qualche posto dimenticato da Dio, o da chi di Dio ne fa le veci.
Il cemento era freddo contro le tue guance. Avrei voluto farmi avanti per spostarti i capelli che ti coprivano gli occhi, pupille spente già coperte dalle palpebre.
Ma no, tesoro.
Mi accorsi che baciavo uno specchio. Ecco perché sentivo tanto freddo.
Baciavo uno specchio per terrore di aprire gli occhi, e vedermi scomparire. Di non trovare niente lì, catturato dalla luce e da uno stato di nitrato d’argento.
Un vampiro. Un fantasma. Ero già morto da un pezzo.
Eppure c’era qualcosa in quello specchio, ma non trovavo un occhio, non riuscivo a prendere contatto. Era passato troppo tempo. Non mi appartenevo.
Il mio sguardo ripudiava la mia testa, ripudiava i suoi pensieri.
Se gli occhi sono le specchio dell’anima, io non volevo guardarmi, per trovare un tessuto sfilacciato dai secoli.
E non mi amavo, e non sarei andato da qualche parte a cercarmi di notte, a tirarmi via dai vizi e dalle droghe, pulendomi le guance dalle lacrime.
Mi sarei tirato due calci nello stomaco.
O forse avrei soltanto riso, trovando il mio nome scritto sbagliato sui necrologi e sui giornali del mattino.
Ma sai com’è, non mi cambiava niente.  
Al becchino non serviva un nome mentre buttava via tutte quante le mie ossa, canticchiando qualche canzone dall’infanzia, qualche nenia-dolce amara intonata male tra le statue del nostro cimitero.
Avrei tanto voluto scorgere una statua accigliarsi, o un quadro sorridere, prima di morire.
Ma ciò che è morto, morto resta.
Domani resterò nel mio silenzio.
 
E il mio era stato uno di quei baci disperati, quelli vuoti, lanciati al vento quando dire addio fa troppo male, o quando non significa più niente.
Mi dissi addio la prima volta che mi accorsi com’era fatta la mia testa.
 
E’ tutta una questione di chimica.
 
Perché, perché non mi hai portato via con te?
Anch’io avrei voluto morire in qualche vicolo, al tuo fianco, perché il biancore dei miei occhi si fondesse al tuo, perché la nostra pelle seccasse e marcisse insieme, quando la morte era l’ultima cosa che potevamo ancora condividere.
Il mio cervello è un gran disastro.
Avrei voluto che tu per primo lo trovassi esploso, rosso, scoppiato su un muro, eppure tu, tu sei morto per primo.
Qui da solo, io adesso cosa faccio?
Io, che percorro instabile la linea sottile tra il farcela, e la follia, lo folle follia che ogni giorno si divorava la coscienza e il senso della nostra vita.
So che tu sentivi il cigolio degli ingranaggi incastrarsi dentro la mia testa.
Io, che adesso sono qui, fantasma senza occhi e senza nome, tra una bottiglia di alcool dal sapore suicida, qualche lama e una pillola di troppo.
Ho visto quei demoni fare a pezzi una famiglia.
Quale demone ti trascinò fino in fondo al vicolo?
Ti chiedo se meritava il prezzo che è costato, o forse ero solo io ad essere un avaro.
Per quel che imparai a scuola, avrei coperto ogni girone, ogni cerchio e ogni centimetro d’Inferno.
Poco male, sarei rimasto sdraiato, così alto che se mi fossi alzato, avrei sfiorato con la fronte il Paradiso.
Però avevo Lucifero, che mi sussurrava ninnananne giusto giusto all’altezza dell’orecchio, e che mi diceva che da qualche parte nell’Inferno, tra le lacrime, c’era la tua anima, stretta ed avvinghiata alla mia carne ovunque sparsa.
Era troppo tardi per ricevere un abbraccio?
Alla fine ero esploso, ma non sul muro di camera mia.
Troppo forte, insieme, avevamo stritolato le mie membra.
 
Io, semplicemente, mi soffocavo di parole.
E so che anche morendo, non sarei rimasto zitto: i miei pensieri, le mie strofe, le mie canzoni, se le sarebbe prese il vento, le avrebbe mescolate alle pioggia, unendole ai fischi, quando passava tra le foglie e tra i rami, quando alle persone sfiorava le gote, quando si perdeva nei vicoli che conoscevi, tra i muri abbandonati e trai muri dipinti dagli artisti.
Perché d’altronde, nel vento, ci abbiamo sempre sentito delle note.
 
E’ così difficile restare insieme...
...Insieme a te, che sfuggi, che mi scivolavi tra le dita, come acqua o come sabbia.
E’ così difficile restare insieme...
...con me stesso, tenere insieme tutti i pezzi, perché li sento sbriciolarsi, rotolare su di me fino alle pozzanghere del suolo; lasciatemi così, che sono allergico alla colla, e non mi potete ricucire le parti perdute, neanche agli aghi delle droghe ho mai permesso di sfiorare la mia pelle.
E i giorni passano, passavano... e le cose non miglioreranno. Come potrebbero.
Sentili, guardali i nostri demoni interiori, assumere la forma di lupi, mostrare i canini, le zampe, gli artigli, il pelo folto, colore della pietra e della neve.
Ascoltali lottare, strapparsi la pelle e le budella. I suoni della loro lotta potresti sentirli come sentivi i miei ingranaggi cigolare, essi traspaiono dal mio cranio, consumato dai troppi pensieri che ci si fiondano incurantemente contro.
Perché lo sai, la mia testa è un gran disastro.
Io non so cosa fare di me.
Non vorresti sapere quale demone vince?
Un lupo pretende si essere buono,  e l’altro si copre di fascino malvagio.
Ma io non credo nel Bene e nel Male.
Eppure, ho il sospetto che qualcuno sappia già chi vincerà: ma non so quale dei due lupi tu abbia deciso di nutrire.
Come noi la morte si veste di nero, come noi la vita è cinica.
Siamo la sintesi di qualche scherzo.
Io non so cosa fare di me.
Cosa faresti, di me?
 
Alla pazzia piace il sapore della crudeltà.
Ho paura sia ancora tutta una questione di chimica.

 
 
 
“There's two wolves that battle in us all right now
One's good,
The other one is evil.
If you're wondering which wolf inside will succeed
It's simple, it's the one that you feed.

It's so hard to be together
And I try, and I try
But it won't get better
Forever…
Days go, days go by
I won't die, I won't die cause
I must, I must try
Forever…”







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Beh... con questa, ho deciso di dare via ad una specie di serie, insieme a Blasphemy, una mia precedente One-shot... beh, diciamo che lì raggrupperò quei testi abitati dai miei pensieri folli, quelli vaghi, confusi e senza nome. Non so se, poi, finiranno a creare qualcosa.
Si vedrà.
Comunque... anche qui non ho messo nomi. Preferisco. Lo rende aperto.. ma qui, rispetto ad altri miei scritti come anche The Ghosts of Everyone That Tried to Fly, la differenza tra chi sia Gerard e chi Frank è abbastanza ovvia...
A parte questo, ancora mi scuso per il mio casino mentale: mi è partito o schiribizzo e ho scritto. Sono andata a dormire alle 4, per dare corda a questa cosa, e con la sanità della mattina ho riletto per aggiustare un po'.
Non so bene cosa pensare d questa ""storia""... sono tante parole, che non portano a niente. Tutto questo non ha un inizio, non ha una fine. Da un lato, descrive la confusione e l'incoerenza che doveva esserci, e dall'altro, non se se una cosa così possa piacere, siccome non porta assolutamente a nessuna conclusione.
Comunque, a metà della stesura, ho deciso che era bene darci un titolo, e mi è frullato per la testa "Chemical Prisoner" dei Falling in Reverse (really good song). E' bastato aggiungere qualcosa che ricordasse il testo, e... eccoci qui.
Spero che, nonostante tutto, possa essevi piaciuta. E' la mia forma più pura di scrittura. Le narrazioni mi vengono tirate, mentre questo, che possa piacere o meno, è la mia "sacca dell'arte" che si svuota, che rompe la diga.
E questo è quanto.
Vi ringrazio se siete ancora qui, invece di essere scappati.
Lo sapete, vi bacerei per un commento.


_Stray Ashes
  
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