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Autore: Sapphire_    05/06/2016    2 recensioni
Se una donna fissata con il rosso incontra un uomo dai capelli rossi che ha paura del sesso opposto, cosa pensate che possa succedere?
April Montgomery è quella donna, Aaron Marlowe quell'uomo, ed entrambi vivono la propria vita in quel pulsante nucleo sempre vivo di New York, che in seguito a un fortuito evento tra i due - un vero e proprio cliché - farà da sfondo anche ai loro successivi incontri.
In fondo, il modo migliore per eliminare una fobia è affrontarla, no? Forse non tutti sarebbero dello stesso avviso...
Dal testo:
«Ma sei un idiota?» furente, alzò lo sguardo verso l'idiota che le aveva appena fatto fare una figuraccia di fronte a tutti. Gli occhiali le erano scivolati sul naso e in un primo momento non vide niente, ma li tirò su e una visione la colpì.
Alto, bell'aspetto, sguardo freddo e dagli occhi scuri, piercing al labbro e un importantissimo dettaglio.
«Che bellissimi capelli rossi!»
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Buon pomeriggio a tutti!
Mi presento, sono Sapphire_ è questa è la mia prima storia nel fandom delle originali romantiche qui su EFP. Anche se a dire il vero ne ho una miriade tra le mie cartelle del pc, ho deciso di pubblicare questa (che per ora è ferma al terzo capitolo) perché, non so per quale motivo, ci sono particolarmente legata.
L'idea mi è venuta in mente da tanto, tipo due estati fa, e avevo buttato giù giusto la prima parte, ma in quest'ultimo periodo l'ho rispolverata e ho pensato “perché non pubblicarla e vedere se potrebbe piacere a qualcuno?”; e così ho fatto.
Questo primo capitolo, tutto sommato, mi piace, anche se ci sono alcune cosucce che aggiusterei, ma ho preferito lasciarlo così com'è per non so quale precisa ragione – anche se forse un po' di pigrizia c'è.
Come ho accennato prima il secondo capitolo è pronto e il terzo quasi finito, per gli altri invece non so quanto tempo avrò, dato che quest'anno sono di maturità e non potrò dedicare troppo tempo alla scrittura dato che ho anche un'altra storia in corso che non voglio abbandonare. Però prometto di trovare un equilibrio!
Detto ciò, vi auguro una buona lettura! Se qualcuno volesse lasciarmi un commento, qualunque esso sia per poter anche migliorare, mi farebbe tantissimo piacere!
Di nuovo buona lettura!
Un abbraccio,

~Sapphire_




~It's too cliché




Capitolo uno


Lo vide. Lo riconobbe in mezzo alla folla. Sapeva che era lui quello perfetto, che lo doveva assolutamente avere, e iniziò a farsi strada tra la folla di ragazze che la circondavano. Sui suoi fedeli tacchi dodici traballò ma non mollò, era vicina, ce l'aveva quasi fatta, eccolo lì...
«MIO!»
Lo strillo acuto e colmo di gioia attirò l'attenzione di alcune persone all'interno del negozio, che finirono per guardare April chi con divertimento, chi con sorpresa al vedere cosa stringeva con quella morsa ferrea.
«Ah, è bellissimo!»
Osservò con sguardo soddisfatto il completino in pizzo rosso fuoco su cui era riuscita a mettere le mani, sfiorando compiaciuta il tessuto con le mani dalle unghie ovviamente laccate di rosso scarlatto. L'aveva visto quando era ancora dall'altra parte del negozio di intimo, mentre era alla ricerca di qualcosa che l'attirasse, e subito aveva sentito il legame che li legava ormai indissolubilmente.
«Prendo questo» tubò felice, spostandosi una ciocca bionda da sopra gli occhiali rossi.
La commessa, una ragazza tutta boccoli e profumo, sorrise e prese il completo, per metterlo poi in un sacchetto di carta col logo del negozio e accettando i soldi che April le porgeva.
«Grazie mille e arrivederci»
Ma le parole giungevano lontane e vaghe alle orecchie di April, rinchiusa nella bolla dorata chiamatasi ho-fatto-un-nuovo-bellissimo-e-(forse)-inutile-acquisto.
Ed eccola lì la porta, stava per uscire, era solo un passo, ma il richiamo dello shopping compulsivo la fece voltare verso altri completi –
erano in sconto accidenti! - ma no, non poteva passare, c'era qualcuno a bloccarle il passaggio ma se ne accorse troppo tardi e, voilà, sedere all'aria.
E April proprio non riuscì a frenare la lingua.
«Ma sei un idiota?» furente, alzò lo sguardo verso l'idiota che le aveva appena fatto fare una figuraccia di fronte a tutti. Gli occhiali le erano scivolati sul naso e in un primo momento non vide niente, ma li tirò su e una visione la colpì.
Alto, bell'aspetto, sguardo freddo e dagli occhi scuri, piercing al labbro e un importantissimo dettaglio.
«Che bellissimi capelli rossi!»
Quasi si lanciò sul ragazzo che la guardò sbalordito per la strana – e
imbarazzante verrebbe da aggiungere – reazione di April.
Gli sorrise luminosa, dimentica del fatto che era colpa sua se aveva fatto una scivolata in grande stile di fronte a tutto il negozio, concentrata unicamente sui capelli del giovane.
«Sono rossi naturali?» chiese, mettendo le mani morbide e curate tra i capelli del ragazzo. Questo, dopo un primo secondo di smarrimento, si allontanò scocciato e colpendola alla mano per fargliela spostare.
«Non credo ti possa interessare. La prossima volta guarda dove metti i piedi» rispose secco il giovane.

Senza guardarla più di un secondo – anzi, sfuggendo in tutti modo allo sguardo verde assoluto di April – si affrettò a cogliere il pacchetto che gli era scivolato da terra ed uscì di gran lena dal negozio, lasciando la povera ragazza con uno sguardo deluso e affascinato da quei fantastici – e anche morbidi, aveva potuto appurare – capelli rossi.
«Che peccato che sia scappato così in fretta. Potevamo fare amicizia» borbottò April, chinandosi per prendere il pacchetto che era caduto anche a lei.
Quando però lanciò una veloce occhiata al suo interno, diventò pallida come un morto.
«La mia lingerie!»

Calmati idiota. Calma. Era solo una semplice ragazza. Non spaventarti, è tutto a posto. Ora è lontana.
A ripetersi quelle parole in testa, Aaron Marlowe, ventisei anni e un promettente futuro da game designer, si sentiva veramente stupido.
Solo che non poteva, era più forte di lui, non riusciva a far calmare quel maledetto cuore che batteva all'impazzata, spaventato all'inverosimile da...
«Una ragazza. È solo una ragazza. Non devo aver paura di lei, non mi farà niente, è anche lontana. Avanti Aaron, comportati da uomo cazzo!»
Tra le vie di New York, anche se stava chiaramente parlando da solo, nessuno gli lanciò più di un'occhiata, rendendolo libero di continuare a tentare di convincersi che
cazzo doveva stare tranquillo, perché aveva parlato con una ragazza, non incontrato un serial killer.
Eh già, era parecchio imbarazzante. Ventisei anni suonati e Aaron aveva una
fottuta paura delle ragazze. Non riusciva a parlar loro, a guardarle per più di un minuto e otto secondi – già, era stato addirittura cronometrato. Le guardava e non vedeva delle carine e adorabili donne con un paio di tette e qualcosa a cui tutti gli uomini aspiravano, no, lui vedeva dei mostri assetati di sangue che se avesse fatto qualche scatto improvviso gli sarebbero saltate al collo – sì esatto, come con gli animali feroci: bisognava muoversi lentamente e con cautela, in questo modo non gli avrebbero fatto del male.
E lui non sarebbe morto di crepacuore a neanche trent'anni.
Entrò in automatico allo Starbucks che gli si pose di fronte agli occhi, sapendo già di essere in ritardo quando incontrò lo sguardo di Tom, suo migliore amico da vent'anni, che lo fissava seccato.
«Quindici minuti di ritardo. E tu sai quanto odio le persone ritardatarie, vero?» sibilò infastidito Tom.
Con neri capelli mossi, sguardo freddo e da cattivo ragazzo, vestito con abiti più grandi di almeno una taglia, Tom Evans sembrava più il tipo che faceva aspettare le persone per ore, piuttosto il precisino che era effettivamente. In ogni caso Aaron a malapena lo sentì, preso com'era ancora a riprendersi. E l'amico se ne accorse subito.
«Qualcuno qui sembra piuttosto scosso. Cos'è, una ragazza ti ha guardato per un secondo di troppo?» ironizzò, inarcando un sopracciglio su cui faceva mostra un piercing orizzontale. Aaron rimase per un attimo in silenzio, a disagio, poi rispose.
«Ci siamo scontrati e mi è quasi caduta addosso» borbottò, mentre poggiava distrattamente la busta del negozio sul tavolo, affianco al bicchiere di caffè dell'amico, nella quale un “Tom” accompagnato da uno smile spiccava di un lucido nero.
Tom scoppiò a ridere.
«Oh avanti Aaron! Vi siete solo scontrati, non ha cercato di mangiarti! Stai tranquillo» cercò di rassicurarlo tra le risa. Aaron sollevò di scatto gli occhi nocciola, che in quel momento apparivano terrorizzati.
«Tu non capisci! Lei... Io... Entrambi guardavamo da un'altra parte e lei mi è praticamente andata addosso. Ho sentito tutto, capisci?» quasi strillò isterico.
«Oh, immagino cosa tu possa aver sentito» ironizzò l'altro.
A quelle parole, Aaron prima arrossì come un tredicenne e poi sbiancò.
«Oddio...»
«Suvvia Aaron, è stato solo un piccolo incidente. Ora o stai tranquillo o fatti una seduta dallo psicologo perché, amico, la situazione ti sta proprio sfuggendo di mano»
Il rosso fece una smorfia al solo pensiero di ritrovarsi ad andare da uno di quei tizi.
«No grazie. Sto bene così» borbottò.
«Oh, si vede» rispose ironico Tom. Poi allungò una mano verso la busta, più incuriosito che veramente interessato.
«Piuttosto, fai vedere che hai comprato»
Aprì il sacchetto tranquillo, per poi bloccarsi osservando ciò che c'era al suo interno.
«Ehi, per caso quando ti sei scontrato con quella tizia ti è caduta la busta?» chiese senza alcun tono particolare. Aaron aggrottò le sopracciglia.
«Mi pare di sì. Perché?»
Tom sorrise, improvvisamente divertito; infilò poi la mano dentro la busta.
«Perché o ti piace indossare intimo femminile – cosa che avrei già saputo, credimi – o dubito fortemente che questa lingerie sia tua»
E così dicendo, tirò fuori dal sacchetto delle mutandine di pizzo rosso fuoco.
Aaron sbiancò.
«Oh merda»

«Oh merda!» strillò per l'ennesima volta April, battendo i pugni sul bancone di legno laccato e piagnucolando come ormai faceva da più di mezzora. Di fronte a lei May, sua amica da una vita, alzò gli occhi azzurri al cielo mentre sistemava dei documenti dietro il banco.
«È la millesima volta che lo ripeti, tesoro, e credo che continuare non faccia ricomparire per magia il tuo adorato completo» disse.
April sollevò la testa che stava continuando a sbattere sul legno, mostrando gli occhi verdi arrossati e il trucco leggermente sbavato dietro agli occhiali.
«Tu non capisci! Noi due eravamo legati da un filo indissolubile, i nostri destini erano incrociati dalle stelle!» strillò. May, nonostante conoscesse April da quando erano ancora sul passeggino, la fissò un poco sbalordita.
«Era solo un completo April, non farla tragica. Perché non l'hai ricomprato se proprio lo volevi?» chiese, iniziando a pinzare dei fogli tra loro.
«Credi che non ci abbia provato?» borbottò la bionda, sollevandosi del tutto e tirando fuori dalla borsetta rosso ciliegia uno specchietto rosso fragola «Sono andata dalla commessa ma a quanto pare hanno terminato la mia taglia. L'unica rimasta disponibile era quella che avevo appena comprato, e quell'idiota se l'è presa!» continuò irata.
«Avanti, non l'ha fatto apposta. In fondo lui potrebbe dire la stessa cosa di te che gli hai preso i boxer. A proposito, ho notato la taglia: sembra ben piazzato il tipino» scherzò May. L'amica le lanciò uno sguardo truce.
«Non mi interessa la taglia dei suoi boxer, voglio solo riavere la mia lingerie» continuò a lamentarsi, facendo nuovamente sollevare al cielo gli occhi dell'altra ragazza, che si sistemò un ciuffo di capelli castani che le era sfuggito dalla coda di cavallo.
«Beh, a patto che tu lo rintracci – e dubito che tu ci riesca, perché siamo a New York – non credo lo rivedrai, mettiti il cuore in pace»
«Mai!» sibilò April, finendo di sistemarsi il trucco.
«Allora buona fortuna tesoro» tagliò corto May, anche lei terminando di pinzare i vari documenti e ponendoli ordinatamente in fila.
«May! Vieni qui!»
La voce stridula del suo capo attirò la castana, che con un sorriso di scuse abbandonò l'amica.
April si guardò intorno alla hall, ancora sconsolata, lasciando scivolare gli occhi su quel luogo che ormai conosceva a memoria – beh, ogni qualvolta avesse un problema, o un gossip da raccontare, o una semplice voglia di parlare, si fiondava lì.
Le piaceva quel posto – le agenzie matrimoniali in genere le piacevano; trovava adorabile come delle persone si adoperassero in tutti i modi per trovare l'anima gemella di qualcuno. Ciò che più amava del lavoro dell'amica non era quello però, ma la parte relativa all'organizzazione dei matrimoni veri e propri. April amava i matrimoni. Con tutto quel bianco, i fiori, la felicità che si poteva quasi toccare – ah! Fantastico!
Ma lei era ancora ben lontana da un grande passo del genere.
Il campanello alla sommità della porta di vetro tintinnò, avvisando che qualcuno stava entrando. April voltò appena lo sguardo, e subito venne attirata da una folta capigliatura rossa che le ricordò qualcuno.
«Buongiorno» la donna salutò educata e con un sorriso pacato, spostando con un gesto elegante i lunghi capelli rossi dietro la schiena.
April la fissò attentamente, attirata dalla chioma infuocata, senza porsi tanti problemi: era alta e sottile come un giunco, vestita con un grazioso vestito color crema che le arrivava circa al ginocchio, con una morbida scollatura e maniche a tre quarti; scarpe con un poco di tacco, foulard bianco al collo e degli occhiali da sole sollevati sul capo che le mantenevano i capelli.
Guardandola, April morì un po' dentro alla vista di tutta quella eleganza e bellezza.
«Buongiorno» borbottò, sentendosi all'improvviso a disagio nei suoi altissimi tacchi neri abbinati ai jeans a vita bassa e un top scuro; si strinse più addosso la giacca, cercando di coprirsi e sentendosi nuda.
«È lei la signorina May Sharper?» si informò cortese la donna. Ancora più a disagio, April si sistemò gli occhiali con un gesto nervoso.
«Emh, no, io non lavoro qui. Aspetti un attimo, May si è dovuta allontanare» rispose con tono basso.
La donna le sorrise e la ringraziò con un cenno, rimanendo a pochi passi da lei.
April continuava a sentirsi a disagio.
Oh avanti idiota. Datti una calmata.
La voce dentro di sé continuava a ripeterglielo, ma la sensazione spiacevole non voleva sparire. E lei sapeva perfettamente perché, mentre osservava la donna con la coda dell'occhio.
Ecco quello che io non potrò mai essere: eleganza, finezza, e in procinto di sposarmi.
Già, perché dubitava che la donna fosse lì per cercare marito piuttosto che organizzare il proprio matrimonio.
«Tutto bene? Sembra una che è stata appena lasciata dal proprio fidanzato»
La voce della donna la colse impreparata, facendola sobbalzare. Guardò la nuova arrivata che la fissava con un pizzico di preoccupazione nel volto sottile, anche un poco incuriosita.
April scrollò le spalle.
«No no, nulla di tutto questo. Ho solo perso una cosa» si ritrovò a rispondere. La donna le sorrise di nuovo.
«Meglio così»
«Non ho neanche un ragazzo» continuò April, ridendo in maniera forzata.
Ma perché gliel'hai detto? Mica le interessa, stupida!
«Davvero?» e invece no, pareva proprio che le interessasse. La donna si avvicinò e le porse la mano.
«Comunque molto piacere, io sono Rosalie Marlowe»
La bionda si ritrovò a stringerle la mano quasi senza accorgersene, sorridendole di rimando e sentendo la sensazione di disagio abbandonarla, forse tranquillizzata dalla gentilezza dell'altra.
«April Montgomery, piacere mio» rispose.
Rosalie continuò a sorriderle.
«Se non hai un ragazzo, allora immagino tu sia qui per l'agenzia matrimoniale»
April, dentro di sé, si sorprese della curiosità della donna; non le dava l'impressione di una tipa indiscreta, ma quel modo di fare tranquillo le fece piacere e la spinse a rispondere laddove in un altro caso avrebbe sorvolato la domanda con fastidio.
«Oh no, neanche per quello. May, la ragazza che si è appena spostata, è la mia amica e passo spesso a trovarla» spiegò. Rosalie fece un sorriso malizioso.
«Se lavora qui e tu non hai un ragazzo, perché non ti ha mai presentato qualcuno?»
April rise scuotendo il caschetto biondo.
«Ha tentato più volte ma io non voglio – cioè, mi piace un sacco l'idea dell'agenzia matrimoniale, ma nonostante tutto ho un'idea dell'amore fin troppo romantica e fiabesca e sono convinta che troverò la mia anima gemella anche senza ricorrere a un'agenzia, semplicemente guidata dal mio destino» disse convinta.
A quelle parole, Rosalie scoppiò a ridere, causando l'imbarazzo improvviso di April.
«Oh, non arrossire, non rido di te! Trovo adorabile l'idea che tu ti sei fatta dell'anima gemella, ma da quasi trentenne mi viene da avvisarti che è molto difficile trovarla senza qualche aiutino esterno o senza particolare fortuna»
April la guardò incuriosita.
«E tu? Come hai fatto a trovare la tua?» domandò. Rosalie la guardò ironica.
«Chi ti dice che non sia qui per l'agenzia matrimoniale?»
Dentro di sé, April si rispose.
Perché sei bellissima, elegante, e si vede lontano un miglio che stai per sposarti.
Continuò però a tacere, sistemandosi gli occhiali nervosa.
«Ok, lo ammetto, effettivamente mi sto per sposare» si interruppe, sorridendo ad April «Beh, se devo essere sincera non so esattamente come ho fatto a trovarla. A dir la verità poi, quando uscivo con Mathias, succedeva sempre qualche imprevisto che puntualmente rovinava l'appuntamento – ne stavamo uscendo pazzi! Ci siamo pure lasciati un paio di volte. Ma nonostante questo, quando è capitato e io provavo a interessarmi a un altro uomo, mi veniva sempre da confrontarlo a lui, a pensare a quanto mi sentissi a mio agio sotto il sguardo e tra le sue braccia, e quando altri provavano a baciarmi ogni volta scappavo terrorizzata!» raccontò, fermandosi un attimo per ridacchiare. Ascoltando quelle parole interessata, April rise insieme alla donna.
«Finché un giorno Mathias, in seguito alla seconda volta che ci eravamo lasciati, mi ha invitata a cena e mi ha parlato chiaro: mi disse che aveva provato a uscire con altre donne ma che non era la stessa cosa, che tutte gli sembravano scialbe e noiose e orribili, che non riusciva a levarsi la mia immagine dalla testa»
«E poi che è successo?» la incitò April, notando come si fosse fermata. Rosalie la guardò maliziosa.
«Beh, dopo quelle parole ci siamo baciati, e credo tu possa intuire cosa sia successo dopo»
April rise.
«Oh, quello mi sembra ovvio! Ma dico, dopo tutto questo?»
«Dopo tutto questo siamo usciti ancora qualche altra volta, finché ben presto lui non mi ha chiesto di sposarci. E ovviamente io ho accettato, sarei stata una pazza a rifiutare e il mio cuore non se lo sarebbe mai perdonato. Per la precisione, mi ha fatto la proposta proprio undici giorni fa» concluse.
«Ecco perché sei qui, allora»
«Già. Pensiamo di sposarci fra circa cinque mesi, a settembre. Voglio poter preparare le cose con calma e che sia tutto perfetto»
«Mi sembra il minimo!» intervenne la bionda.
Rosalie aprì la bocca per dire qualcos'altro, ma venne interrotta da un'altra voce.
«Scusi il ritardo signorina Marlowe, il mio superiore aveva bisogno di me»
May arrivò con aria trafelata, mostrando un sorriso di scuse verso la donna; quest'ultima sorrise e fece un vago gesto con la mano, come a scacciar via una mosca.
«Oh, non si preoccupi. Ho trovato una piacevole compagnia a dire il vero. Inizialmente l'avevo scambiata per lei se devo essere sincera, come abbiamo parlato al telefono non sono riuscita a distinguere bene la voce» disse Rosalie.
«Non ho comunque intenzione di farle perdere altro tempo però, quindi se vuole seguirmi possiamo iniziare subito» May sorrise cortese pronunciando queste parole.
«
Certo»
«Beh May, allora io vado» intervenne la bionda, spostandosi dal bancone e avvicinandosi alla porta. L'amica le sorrise.
«Ok tesoro, ci sentiamo. E non continuare a disperarti per quel completo!» l'avviso con tono scherzoso May. April fece una smorfia.
«Non farmici pensare ancora, sto cercando di superare il trauma. Beh, buon lavoro a tutte due, è stato un piacere conoscerti Rosalie» fece April, iniziando ad aprire la porta. Rosalie le sorrise luminosa.
«Oh, è stato un piacere anche per me! Spero di rivederti qualche volta, magari continuiamo la nostra chiacchierata!»
April rispose al sorriso e le fece un cenno, poi senza aggiungere altro uscì dall'agenzia, salutando con la mano un'ultima volta le due donne che le lanciarono un'ultima occhiata dall'interno per poi sparire in un corridoio.
La bionda sorrise, ritrovandosi immersa nell'aria newyorkese.
Aveva proprio dei fantastici capelli rossi.

Immerso in un vago alone di disperazione, Aaron cercava con tutte le sue forze di non volgere lo sguardo verso quel – ormai odiato – pacchetto.
Ogni tanto la sua forza di volontà crollava miseramente e gli lanciava delle velocissime occhiate, come a confermare se fosse sempre lì – ma era abbastanza normale che non si fosse mosso di una virgola, non potevano di certo spuntargli i piedi.
«Basta. Ora smetto di pensarci» disse ad alta voce. Perché, ovviamente, ignorare il problema equivaleva a farlo sparire no?
«Smetti di pensare a cosa?»
La voce di Suzanne lo fece per un attimo sobbalzare, e la osservò di sottecchi mentre la donna sistemava i bicchieri sul tavolo, preparandolo in vista della cena.
«Ehi, oggi il nostro fratellino è proprio strano, non trovi?» continuò Suzanne, questa volta non rivolta a lui ma alla ragazzina che, indisturbata fino a quel momento, leggeva un libro appollaiata su una poltrona. Isabel, la sorella più piccola, alzò lo sguardo annoiata, sistemandosi una ciocca di capelli rosso fuoco dietro l'orecchio.
«Perché, solitamente non lo è?» chiese a sua volta.
Suzanne ridacchiò, finendo di posizionare l'ultimo bicchiere, terminando così di preparare la tavolata per otto persone.
«Beh, questo è vero»
«Vorrei farvi presente che ci sono anche io in questa stanza» esclamò sarcastico Aaron, lanciando una veloce occhiata a tutte e due.
Suzanne rise ancora, facendo ondeggiare la coda di cavallo che, illuminata dal lampadario, mostrò varie tonalità di rosso.
«Perché non ci dici che hai e la fai finita? È da quando sei arrivato che non fai altro che borbottare e impallidire all'improvviso. Si può sapere che è successo?» intervenne un'altra delle sorelle, questa volta Sophie.
«Secondo me è successo qualcosa con una ragazza»
Victoria intervenne a sua volta, aggiustandosi una qualche inesistente imperfezione all'unghia dell'anulare sinistro e scrollando vaga le spalle.
Aaron sbuffò, osservando le sue quattro sorelle che – come al solito, precisò nella sua testa – si impicciavano nella sua vita.
Si passò una mano tra i capelli rossi, tratto comune a tutta la famiglia escluso il padre. In un certo senso odiava quel colore, nonostante lo facesse sentire parte di quel fin troppo allargato nucleo familiare in cui tutti sembravano interessarsi alla sua vita. Ma fece un vago sorriso pensando alle sue sorelle – sì, saranno state anche delle impiccione, ma ormai ci era abituato. In fondo, bisogna abituarsi a non avere una propria privacy avendo ben cinque sorelle di svariate età: c'era Suzanne, la più grande, di trentun anni, la più matura che nascondeva un lato da maestrina; poi Rosalie, che non era ancora a casa, di ventinove, l'angelo di casa di una curiosità infinita; Sophie, di ventidue, la sportiva delle varie sorelle sempre andando da una parte all'altra, che faceva spesso comunella con Victoria, la diciannovenne sempre presa da ragazzi e feste. Infine Isabel, la più piccolina, di soli sedici anni, quella calma e indifferente al resto del mondo. L'unica che in qualche modo non si impicciasse troppo nella sua vita.
«Dobbiamo romperti le palle per il resto della serata o ti sbrighi a dirci che è successo?» insistette Sophie, sedendosi sulla poltrona opposta rispetto alla sua.
«Niente di che» rispose.
È inutile che insistiate, non ve lo dirò, pensò fra sé il ragazzo. Si sarebbe umiliato se lo avesse fatto.
«Qualcosa mi dice che centra questo!» esclamò divertita Victoria, alzandosi di scatto dal divano e afferrando veloce il sacchetto del negozio di intimo prima che Aaron potesse pensare di reagire. Ma appena si accorse della situazione, sbiancò.
«Vicky, stupida ragazzina, restituiscimelo immediatamente!» urlò, alzandosi di corsa anche lui e rincorrendo la sorella che girò attorno al tavolo, sfuggendogli; ma il fratello la raggiunse in fretta e lei, rapida, lanciò la busta.
«Sophie!»
L'altra sorella afferrò pronta il pacchetto al volo, mentre Aaron cambiava obiettivo e si lanciava verso di lei.
«Suzanne!» anche la maggiore prese il sacchetto, agitandolo vittoriosa verso il fratellino che si affannò verso di lei. Prima che potesse raggiungerla però, l'oggetto che stava saltando fino a quel momento da una parte all'altra venne strappato via dalle mani della maggiore.
«Quando la smetterete di fare i dispetti a vostro fratello? Suvvia, siete grandi ormai!»
Ed eccola, con tutta la classe e l'eleganza possibile, la signora Marlowe entrare nel soggiorno, accompagnata dal signor Marlowe che lanciò un'occhiata di pietà verso il suo unico figlio maschio, costretto a sopportare, come lui, il matriarcato che vigeva in quella casa da anni.
Ma Elizabeth Marlowe, nonostante avesse una certa età, aveva ancora gli stessi capelli rossi e la stessa curiosità di quand'era ragazzina, ed entrambi li aveva trasmessi a ciascuna delle sue adorabili figlie, anche se, in quanto a curiosità, in minor misura con la più piccola. Aprì perciò senza tanti preamboli il sacchetto, guardando all'interno.
«Oddio!» esclamò la donna, e Aaron in quel momento iniziò a pregare che una voragine si aprisse nel terreno facendolo sprofondare, permettendogli così di abbandonare non solo la situazione, ma anche la sua vita colma di imbarazzi.
«Tesoro, perché non mi hai detto di avere una fidanzatina?» chiese con emozione la donna.
Aaron deglutì rumorosamente, a disagio.
«Fidanzata Lizzie, ormai nostro figlio ha ventisette anni» intervenne Jason Marlowe, l'unico uomo della famiglia oltre ad Aaron, costretto come il figlio a sopportare le angherie che comportava avere sei donne nella propria vita e casa. Per fortuna, in quest'ultima, si erano ridotte a tre.
«Ventisei» corresse sconsolato Aaron, desolato dal fatto che neanche suo padre si ricordasse la sua età.
«Cosa c'è?» chiesero quasi in coro le varie sorelle, tranne forse Isabel che però alzò lo sguardo incuriosita.
Elizabeth sorrise, tirando fuori dal pacchetto una lingerie piuttosto sexy rosso fuoco.
«Uh, guardate che bei regali fa il nostro Aaron alla sua fidanzata!» esclamò Suzanne ridendo.
«Perché il mio ragazzo non mi fa dei regali del genere?» piagnucolò Victoria, mettendo il broncio. Sophie le lanciò un'occhiata inarcando un sopracciglio.
«Forse perché tu non ce l'hai un ragazzo?» interloquì.
«Non avete capito niente!» esclamò Aaron, i capelli dritti dopo averci passato varie volte la mano.
«Non è mio – cioè, non l'ho comprato io! È stato un incidente, stavo uscendo dal negozio, lei mi è venuta addosso e ci siamo scontrati, le buste sono cadute e ce le siamo scambiate! È stato solo un errore» spiegò veloce il ragazzo, mangiandosi quasi le parole.
Sophie ghignò.
«Ah, quindi ora si dice così? “Scambiarsi le buste”...»
«Vuoi smetterla di pensare sempre male?» le urlò il ragazzo.
«Chi pensa sempre male?»
Una nuova voce fece notare a tutti i presenti che qualcun altro era arrivato, e tutti si voltarono verso la donna che era appena entrata nel soggiorno.
Rosalie Marlowe, vestita con il vestito crema della mattina, guardò la sua famiglia con i grandi occhi grigi che sbattevano perplessi di fronte alla situazione.
«Tesoro! Finalmente sei arrivata, com'è andata all'agenzia?»
Elizabeth cambiò rapida argomento, avvicinandosi alla seconda figlia, Rosalie, che sorrise dolce in direzione della madre, per poi abbracciarla.
«Tutto bene, io e May – la dipendente, è una tipa così gentile – abbiamo già iniziato a dare un occhiata al numero di invitati, al luogo della cerimonia e della festa, e mi ha detto che la prossima volta mi avrebbe dato il preventivo» spiegò la donna, appoggiando la borsa su divano e seguendo gli altri che si stavano sedendo a tavola; tutti tranne Suzanne, che andò in cucina e portò la cena.
La cena continuò tranquilla, tra chiacchiere sui parenti vari o informazioni sugli studi o sui lavori dei vari figli.
Aaron si lanciò un veloce sguardo attorno, mentre mangiava lentamente come suo solito; le sue sorelle, con le loro folte capigliature rosso vivo, era ormai cresciute e si erano fatte tutte assurdamente belle. Osservò anche i suoi genitori – Elizabeth spostava veloce lo sguardo e le orecchie da una parte all'altra, come se volesse vedere e sentire il più possibile, quasi spaventata dal fatto che a fine serata quattro dei suoi figli se ne sarebbero andati, per tornare ciascuno a casa propria.
Mentre per un attimo si deprimeva pensando che le altre sorelle una volta tornate avrebbero avuto qualcuno con cui poi stare, a differenza sua che invece sarebbe stato solo in quella casa vuota, la voce squillante di Rosalie lo risvegliò, facendogli prestare attenzione a quello che la sorella diceva.
«...ed era così carina! Avreste dovuto vederla, aveva dei capelli biondi adorabili, con un caschetto sfilato, e gli occhi grandi, verdi!» stava dicendo la sorella.
«Di chi parli?» si ritrovò a dire Aaron, incuriosito. Si ritrovò gli occhi di tutti addosso mentre Rosalie sorrideva.
«Ho conosciuto una ragazza quando sono andata all'agenzia, è un'amica di May, la dipendente. Ci ho parlato un po', è veramente carina!» spiegò.
Aaron scrollò le spalle, improvvisamente disinteressato.
«Magari se un giorno vieni all'agenzia con me la incontriamo e te la presento» continuò la sorella.
Victoria ridacchiò.
«Da come la descrivevi prima, non mi sembra esattamente il tipo di Aaron, lui fuggirebbe a gambe levate» continuò ridendo. Aaron le lanciò uno sguardo infastidito.
«Vicky, smettila» Elizabeth intervenne a difesa del figlio maschio, mentre quest'ultimo si alzava scocciato e informava al resto della famiglia di andare in bagno.
In poche parole fuggì a quella conversazione che – lo sapeva – si sarebbe fatto scomoda per lui.
Mentre si lavava le mani in un blando tentativo di togliersi il fastidio di dosso, guardò fisso la propria figura allo specchio.
Oggettivamente, riconosceva di essere un bel ragazzo. Capelli rossi, lisci e scompigliati dal frequente gesto di passare in mezzo le dita, occhi castani incorniciati da lunghe ciglia scure, labbra carnose con un piercing sul labbro inferiore, all'angolo sinistro, e fisico asciutto e tenuto in forma dalle corse mattutine.
Beh, di certo era cambiato da quando aveva quindici anni, brutto periodo in cui l'acne, l'apparecchio e il fisico gracile lo rendevano in tutto e per tutto un appartenente al gruppo degli sfigati.
Ma il diventare grande e più appetibile non aveva migliorato la situazione con l'altro sesso, segnata indelebilmente nella sua mente da fragile quindicenne che si era ritrovato umiliato dalla propria cotta. Inoltre le cinque sorelle in giro per casa, con la loro curiosità e il loro modo di fare invadente e spesso fin troppo imbarazzante per lui, non gli avevano mai reso facile il rapporto con le ragazze ed aveva finito per vederle come dei mostri che avrebbero finito per deluderlo, o imbarazzarlo, o ferirlo. E a quel punto era finito per averne una paura immensa.
La porta del bagno si aprì all'improvviso, causando lo spavento di Aaron che si calmò come vide la figura tranquilla e pacata di Isabel.
«Mi hanno mandata a vedere se era tutto a posto» disse solo lei, spostandosi una ciocca di capelli e rivelando un paio di occhi grigi.
Aaron sorrise forzato.
«Sì, non preoccuparti» disse e fece per uscire, ma Isabel non lo fece passare.
«Non prendertela con Vicky» parlò la sorellina «Sappiamo tutti com'è fatta, la diverte girare il coltello nella piaga» continuò.
Aaron sospirò, cancellando il finto sorriso.
«Lo so Isy, ma mi dà comunque fastidio. Vorrei soltanto che la smetteste di tirare fuori la questione» borbottò.
Isabel sorrise, avvicinandosi al fratello e abbracciandolo morbida, in uno dei rari slanci di affetto non esattamente tipici del suo carattere.
«Non preoccuparti, ti passerà prima o poi. Basta incontrare la ragazza giusta» sussurrò, il viso affondato nel petto del fratello. Lui le accarezzò la schiena.
«Mh» rispose solo.
Qualcosa gli diceva che non sarebbe stato così facile.

April aprì la porta di casa, entrando nell'atrio buio del suo piccolo bilocale e accendendo la luce mentre poggiava le chiavi sopra il piccolo mobile all'ingresso.
Il lampadario centrale si accese, rivelando un contenuto soggiorno con un angolo cottura, più una porta dietro la quale si nascondevano la camera da letto e il bagno. Tutto era arredato con un indiscutibile gusto femminile; il colore che predominava era ovviamente il rosso.
Guardando il disordine che regnava nella stanza, April fece una smorfia.
«Beh, metterò a posto domani» borbottò stanca, mentre in una parte remota il suo cervello le diceva che no, non rimetterai a posto l'indomani, ma lascerai che i vestiti, le scarpe e il resto invadano il posto finché la situazione non diventerà invivibile.
Ignorò comunque la voce della sua coscienza e si diresse verso camera sua, poggiando prima il take-away di cibo cinese ancora caldo.
Entrò nella sua stanza, dove il letto a una piazza e mezzo occupava una buona parte di spazio con il suo copriletto rosso spiegazzato e ricoperto di vestiti. Nell'angolo destro opposto all'entrata c'era un armadio alto e imponente, bianco, con le ante aperte che mostravano l'infinità di abiti e altrettante scarpe, queste sistemate con più cura dei primi.
Con stanchezza si tolse le scarpe dai tacchi vertiginosi, sentendosi improvvisamente molto bassa; si levò anche i vestiti per sostituirli con una maglia larga e dei pantaloncini, sentendosi immediatamente molto più comoda.
Ritornando nel soggiorno afferrò distratta la cena e si accoccolò sul divano, accendendo la tv e facendo zapping alla ricerca di una commedia romantica che le avrebbe fatto compagnia mentre mangiava.
Mentre scorreva i canali però le squillò all'improvviso il cellulare, ancora dentro la borsa che era stata mollata per terra. Facendo varie acrobazie, riuscì a raggiungere il telefono senza alzarsi.
«Pronto?» rispose subito, senza guardare il nome sul display.
«Tesoro, sono May» la voce squillante dell'amica la raggiunse, facendola sorridere.
«Ehi, tutto a posto?»
«Sì sì, sono solo un po' stanca»
April rise.
«Perché, che hai fatto questo pomeriggio?»
Sentì l'amica sbuffare.
«Non parliamone, sono andata da una parte all'altra di New York alla ricerca di quelle cavolo di bomboniere strane che vuole una cliente. Chiedere qualcosa di più introvabile non poteva, sono distrutta»
April annuì sovrappensiero, osservando lo spot di un profumo.
Potrei comprarlo, sembra bello, pensò distratta.
«
E tu che hai fatto?»
«Niente di che, sono andata un po' in giro e stavo guardando alcuni prodotti su cui dovrei concludere un articolo per mercoledì»
«Un articolo?! Quindi sta andando tutto bene con lo stage alla rivista?»
April scrollò le spalle, dimenticandosi che l'amica non l'avrebbe potuta vedere dall'altra parte del telefono.
«Tutto bene, mi stanno facendo sgobbare e devo correggere una miriade di bozze, ma finalmente mi hanno assegnato un articolo come hai capito. Niente di che, solo un trafiletto riguardo i fondotinta liquidi o in polvere, ma è pur sempre qualcosa» spiegò con una punta di soddisfazione.
«Assolutamente! E com'è che me lo dici soltanto ora?» fece May con finto tono offeso.
«Volevo dirtelo stamattina quando passavo, ma poi quel ladro ha rubato la mia lingerie...» borbottò, improvvisamente infastidita.
«Ladro? Avanti tesoro, è stato solo un incidente. Questa settimana vai e te ne prendi una ancora più bella eh?»
«Ma io volevo quella!»
«Non fare la bambina» la rimproverò scherzosa l'amica.
«Beh, io ora sono arrivata da Adam, ci sentiamo domani ok? Oppure se puoi fai un salto all'agenzia, la giornata credo si prospetti piuttosto morta» continuò.
April annuì più a se stessa che all'amica, guardando famelica il cibo che ancora non aveva toccato.
«Se ho tempo passo, promesso! E divertiti con Adam!» concluse maliziosa.
Sentì May ridere alla sua frase, e senza attendere altro chiuse la chiamata.
Si ritrovò di nuovo immersa nel silenzio tipico di casa sua, le voci della tv solo un sottofondo monotono e impersonale.
In quei momenti si ritrovava a invidiare l'amica: almeno aveva un fidanzato da cui andare, che le teneva compagnia. Quella casa invece, per quanto piccola, era sempre tristemente vuota, e April iniziava a sentire la mancanza di qualcuno con cui stare.
Cambiò un altro canale e ritrovò uno dei suoi film preferiti, Serendipity; sorrise.
Beh, è solo una questione di attesa. Arriverà qualcuno anche per me, ne sono sicura.

  
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