Film > Giovani ribelli - Kill your Darlings
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Autore: chilometri    05/06/2016    0 recensioni
“Adesso so come ti sentivi, quando volevi morire” gli ha detto David prima che il coltello trapassasse il suo petto. E Lucien, per la prima volta, in quegli occhi che lo hanno violato per la sua intera vita e che si erano velati di risentimento e paura, ci ha visto della verità.
Ma ormai è troppo tardi ed il corpo di David è già freddo.
[davidxlucien]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fuliggine.





            





but how can you forget someone
who tried to kill their own ghost
by creating a brand new one



 
“Dobbiamo parlare.”
È il modo in cui lo dice: lo guarda serio negli occhi e li stringe un po’, le rughe glieli contornano con velocità, dandogli quell’aria arrabbiata e preoccupata allo stesso tempo che Lucien non riesce a sopportare.
Devono parlare, ma si sono già detti tutto.
Qualsiasi cosa è stata chiarita, le labbra si sono increspate troppe volte, i sospiri sono stati tanti, le parole sono inutili, ormai, ma David ha ancora qualcosa da aggiungere.
Quando i suoi piedi scavalcano la soglia dell’appartamento e nel suo campo visivo entrano il muro tappezzato da ritagli di carta, i libri strappati sul pavimento e tre uomini con il viso stravolto dall’effetto della droga stesi sul suo divano o contro il muro di quello che è il suo appartamento, ha già la lingua che brucia per le mille cose che ha sente il bisogno di dire.
Lucien ha gli occhi socchiusi, il petto che si muove a malapena ed il palmo premuto contro quello dell’uomo dai capelli ricci al suo fianco, una mascherina contro le sue labbra ad inebriarlo di un gas. David sente di non poter respirare.
“Dobbiamo parlare” proferisce e realizza un secondo dopo la sua eterna condanna: le cose che ha da dire, non finiranno mai.


Lucien ha il viso freddo, la mascella contratta ed il suo sopracciglio è già pronto a sollevarsi. Segue con la coda dell’occhio Allen e William avviarsi frettolosamente verso l’uscita, gli rivolgono un’occhiata preoccupata e poi spariscono dietro la soglia, chiudendo la porta alle loro spalle.
Lucien ha lo sguardo sostenuto di chi ha ormai visto e sentito tutto, ma le mani gli tremano di già.
David gli sta dando le spalle quando, “cosa abbiamo da dirci, ancora?” gli chiede.
Vede la figura dell’uomo che ha di fronte sussultare non appena parla. Lucien è allibito, spaventato ed atterrito dal modo in cui la sua sola voce riesca a far tremare trent’anni e un metro e ottanta d’uomo.
“Cos’è tutta questa storia?” è la risposta che gli viene data; David si gira verso di lui e lo guarda dritto negli occhi, indicando con il mento il muro contro il quale Lucien è appoggiato.
“Hai rotto tutti i miei libri – continua –. Sono ridotti a brandelli, ti chiedo ancora: cos’è questa storia? Pensi sia divertente? È una specie di vendetta?” Pausa, dei passi in avanti. “Io ti ho salvato la vita, Lou” e a separare i loro visi, adesso, ci sono solo pochi centimetri. Lucien sente il suo respiro caldo e impregnato dall’odore del tabacco sulla pelle e stringe i pugni: intorpidito dalla droga riesce a sopportare ancor meno tutta quella vicinanza, non sopporta le sue parole, il suo continuo ricordargli che è grazie a lui se è ancora lì, che dovrebbe essergli grato e vorrebbe solo urlare.
Vorrebbe dirgli che avrebbe preferito morire quel giorno, con la testa infilata in un forno a gas, piuttosto che dover sentire il modo in cui David pronuncia il suo nome lo abbrevia lo storpia lo cambia come se gli appartenesse.
Lo prenderebbe dal colletto di quella camicia nascosta dal maglioncino blu e dal cappotto bordeaux e gli metterebbe le mani al collo, lo guarderebbe diventare rosso ed implorare perdono ma continuerebbe a stringere fino a non sentire più il suono della sua maledetta voce.
Lucien sbatte le palpebre un paio di volte, interrompendo il flusso di quei pensieri che si insinuano nella sua mente troppo spesso, con forza e prepotenza, lo inebriano e annullano la sua razionalità, fino a renderlo confuso, fino a fargli lacrimare gli occhi e ripetersi che è colpa della droga ed in realtà è colpa di quelle mani che lo hanno tirato fuori dal forno a gas e che successivamente gli si sono strette attorno al viso.
“Stai bene?” gli aveva chiesto, con la stessa, medesima, maledetta voce e Lucien avrebbe voluto ridere, ma non ne aveva la forza e forse non l’ha mai avuta.
Non ce l’ha neanche adesso che sente le dita di David stringergli i fianchi, “perché non mi parli? Cosa ti ho fatto?” E Lucien vorrebbe rispondergli, avrebbe molto da dire, potrebbe spiegargli le sue ragioni,
(Hai provato ad uccidere il gatto di Jack ficcandolo nel forno e chiudendocelo dentro. Hai rinchiuso un gatto in un forno. Questo non è normale.
Non avrei voluto viverlo.
Ti sei intrufolato in casa mia solo per guardarmi mentre dormivo.
Non avrei voluto svegliarmi e vederti sgattaiolare via, inseguito da una guardia.
Mi hai portato via la libertà di camminare per strada e non sentirmi pedinato, di parlare senza la paura di essere contraddetto per farti notare da me, di alzare il gomito perché se lo facessi Dio solo sa se te ne approfitteresti.
Non avrei voluto viverlo.
Hai impedito che morissi, pensando fosse la cosa migliore da fare, quando la ragione per cui ho voluto morire per tutto questo tempo sei stato tu.
Non avrei voluto vivere, lo capisci?
Sei sotto la mia pelle da quando ho sette anni e non hai nessuna intenzione di andare via – non avrei voluto viverti) ma sarebbe come sbattere la testa al muro con la consapevolezza che non si graffierà neanche; decide, quindi, di rimanere in silenzio.
Sostiene lo sguardo e si finge forte, la morsa attorno ai fianchi si stringe ed è come se i suoi polmoni cadessero dalla cassa toracica e si infilassero sotto lo strato di carne premuto da David perché, improvvisamente, non riesce più a respirare.
Posa le sue mani esili sopra quelle possenti – violente – di David.
“Fammi passare, ho del lavoro da fare.”
“Tu? Ma se sono io a tirarti fuori da ogni singola responsabilità, a fare ogni tuo singolo lavoro.”
La mascella di Lucien si serra.
Non è stato lui a chiedere questo.
David lo guarda e poi abbassa gli occhi, gli chiede scusa, sussurrando.
Lucien lo vorrebbe prendere a pugni perché nel modo in cui biascica sembra quasi sinceramente dispiaciuto, il modo in cui lo guarda sembra riservargli davvero dell’amore e la cosa che più lo spaventa, che gli fa aumentare il battito cardiaco, lo mantiene con la schiena attaccata a quel muro, impotente, mentre sente i ritagli stropicciarsi contro la sua maglia ed i chiodi sto sfiorare la sua spalla, è che, David, lo ama davvero. Malamente ed erratamente, ma lo ama. Ed è per questo non gli lascia mai dello spazio – non sa come stargli lontano e per questo lo avviluppa nella sua malattia e lo stringe fino a coprirgli la vista, fino a tappargli le narici, stringergli la gola tanto da non poterlo far parlare più. Lucien vorrebbe fargli del male, vorrebbe che Jack, William, smettessero di assecondarlo, vorrebbe troppe cose ma il suo corpo è spezzato, ormai troppo tremante per tendersi ed afferrare ciò che gli serve.
“Pulirò il muro, se è questo il problema. Lo pulisco, se mi lasci da solo. Non mi aspetto che tu capisca, non capisci mai nulla quando si tratta di me” lo dice a denti stretti, le narici che si allargano e restringono ritmicamente.
David lo guarda e lascia che la sua mano scivoli dal bacino di Lucien lungo al proprio fianco.
Lou” ed è una supplica ma Lucien di esaudire preghiere non ne più capace più già da un pezzo.


Non c’è più nient’altro che lui possa fare e questa verità lo divora.
Seduto sulla stessa sedia, dello stesso bar, con la stessa voce nera che si espande lungo tutto il perimetro della stanza intonando note jazz e lo stesso vino stretto in un bicchiere di vetro, Lucien si sente per l’ennesima volta in trappola.
Scappare è impossibile, ci ha già provato. Ha provato a mettere fine a tutto quello strazio, ad allontanare quel fantasma che lo ha perseguitato da che la sua memoria glielo permette. Persino sua madre, spaventata, gliel’aveva promesso.
Inizialmente aveva provato a tranquillizzarlo quando era ancora solo un bambino: Lucien aveva forse nove anni quando la donna gli aveva detto che “gli ricordi suo padre, è per questo che a David piaci così tanto” ma le sue labbra, a pronunciare quelle parole, si erano contratte, quasi come la ferissero.
Quattro anni dopo, l’uomo dai capelli rossi non aveva mai smesso di seguirlo ovunque andasse, fermandosi davanti alla sua scuola e chiedendogli “hai bisogno di un passaggio, Lou?” mentre scopriva la fila dei suoi piccoli denti bianchi.
Lo aveva pedinato ripetutamente, presentandosi negli stessi bar dove Lucien beveva le sue prime acque corrette con degli alcolici che gli erano proibiti. Il biondo lo ricorda perfettamente quello sguardo fremente che lo intercettava in meno di qualche secondo e “è forse puzza di alcool quella che sento?” gli chiedeva. Lui era seduto al capo del tavolo con tante persone a circondarlo, ma i piccoli occhi marroni di David erano sempre issati sul suo viso. Le punte delle orecchie di Lucien diventavano rosse e senza distogliere lo sguardo dal suo viso, impugnava il bicchiere e lo mandava giù tutto d’un sorso, i suoi amici a guardarlo con rispetto e la sua gola a bruciare perché era ancora giovane e poco consapevole, non abituato al forte sapore dell’alcool. Faceva poi scontrare vetro contro legno e “”.
Il tono della sua voce iniziava già a prendere dei toni diversi, più spigolosi, le sue parole risultavano sempre più spezzanti, perché aveva solo quattordici anni ma stupido non lo era mai stato.
Non era stupido abbastanza da non capire che, quando la madre “lo denunciamo, prima o poi lo denunciamo” borbottava, le labbra dipinte di rosso e ancora più tese, le cose sarebbero andate peggiorando.
Non era stupido quando David apriva la bocca e lasciava che le sue parole sempre a tratti contenenti un sottotono verdognolo e viscido, rotolassero fuori e Lucien lo ascoltava, inizialmente, lo ascoltava davvero perché voleva provarci, dargli una chance.
Si arrendeva subito, però: non aveva una chiara idea di che cosa si trovasse esattamente di fronte, di ciò che sarebbe cambiato e di come fosse possibile che le cose sarebbero potute andare ancora peggio di così ma nonostante tutto era capace di percepirla, quella costante, fastidiosa vena pulsante di malizia nella voce di David che chiedeva di più, cercava dei pretesti e, fastidiosa, si infilava nella sua vita e gli spruzzava del sangue bollente addosso, scottandolo e sporcandolo nei momenti meno opportuni.
La percepisce tutt’ora, Lucien, quella vena che, sottile e appena palpitante, inizia ad agitarsi e guizzare non appena sfiora per sbaglio con lo sguardo il viso di David, non appena gli respira vicino o le loro carni si sfiorano quando Lucien gli strappa dalle mani quelle tesi universitarie che non batte alla macchina da troppo tempo.
Non ne è capace e questo lo fa sentire doppiamente costretto tra le mura di un palazzo più grande di lui che gli si sta, pian piano, sgretolando addosso e lui non può far niente per fermare quella fuliggine che gli entra nelle narici e gli impedisce di parlare, urlare, chiedere aiuto, perché la gola pizzica troppo.
Lui è sempre stato il centro dell’attenzione, sale su i tavoli e recita versi profani con disinvoltura, ispira la gente e la gente scrive poesie su di lui la gente lo idealizza perché tutto quello che riesce davvero a fare è bere e fingersi più di quanto sia in realtà.
Più intelligente, più brillante, più sicuro. Più coraggioso. È tutto ciò che gli è rimasto da fare.
Si sederebbe, lui, dinnanzi ad una macchina da scrivere per provare ad essere un po’ più Rimbaud e un po’ meno tormentato, ma non può. Non senza sentire la persistente ombra dell’animo di David a premergli sulla spalla, fino a costringerlo sul pavimento con la solita bottiglia di vino stretta tra le mani ed il solito vomito giallognolo ad infilarsi tra le assi di legno del pavimento di una stanza universitaria che gli sembra, ormai anch’essa, una prigione.
Viene riportato alla realtà dall’acuto della donna che canta sul palco e stringe l’asta come se fosse l’unica cosa a reggerla in piedi, Lucien alza lo sguardo dal fondo del suo bicchiere ormai vuoto e lo issa su di lei, per un secondo la invidia quasi quando realizza che tutto ciò a cui lui ha provato ad aggrapparsi, si è spezzato.
Niente ha mai retto a quell’anima pesante e lui, ormai, non ha più modo di alleggerirsi e fuggire via con più velocità: di fiato non ce n'è più.


Allen ha provato a convincerlo, gliel’ha detto seduto sul bordo del suo letto.
“Allora dobbiamo sbarazzarci di lui” è quello che gli ha proposto e Lucien ci ha provato, ha chiuso gli occhi per un secondo, i polpastrelli del pollice e dell’indice premuti forte sulle tempie. Ha provato a credergli. Lo ha ascoltato e guardato mentre, seduto al suo fianco, Allen gliel’ha detto con voce tranquilla ed è stato facile, quasi un sollievo, ripeterlo nella sua testa anche solo per un secondo che sì, sì ci sbarazziamo di lui una volta per tutte.
Ma lui è ormai troppo debole, ricoperto in un involucro di pelle che cade a pezzi ed una personalità costruita per apparire più forte, una corazza intatta all’esterno e decorata da macchie di sangue e incrinature dovute ai proiettili all’interno.
Allen è, a sua volta, solo un ragazzo pieno di sogni con una mente che funziona velocemente, un forte spirito di osservazione e della Benzedrina sempre in circolo nel suo sangue ad aiutarlo a comporre. Era stato piacevole, comunque, provare a sognare. Così gli aveva sorriso appena, aveva annuito, e le mura del palazzo si era strette ancora un po’ attorno a lui, avviluppandogli prepotentemente i fianchi.


“Come facevi a sapere che fossi qui?” Lucien glielo sussurra come se la risposta non fosse già abbastanza ovvia. Glielo chiede con un basco sulla testa a coprire i capelli, con Jack che freme a qualche passo dietro di lui, in una stanza piena di marinai e tutti gli occhi puntati su di loro. Costantemente sotto i riflettori, con la pelle lucida imperlata di sudore: cosa succederà se non sarà all’altezza?
“Ho parlato con un ragazzo quando sono arrivato, ci ho procurato dei passaporti” ed è sempre e sempre sarà il modo in cui David le dice, tutte quelle parole.
Il plurale che usa, il sorriso timido ed impacciato con cui lo guarda come se lo avesse appena conosciuto e fosse alle prime armi, il modo in cui gli tende i biglietti come se quella fosse la loro avventura. Come se imbarcarsi su quella nave non fosse l’ennesimo tentativo di scappare.
Lucien abbassa piano lo sguardo sulle sue mani che stringono i pezzi di carta e la bocca si schiude, vorrebbe urlare ma a stento riesce a rimanere in piedi. 
Con i suoi occhi indagatori puntati addosso è difficile rimanere calmo, li sente scorrere, osservare il ciuffo biondo che fuoriesce dal cappello blu, fino ad arrivare alla punta delle scarpe nere e apparentemente lucide e nuove – in realtà lui e Jack le hanno rubate, le suole sono completamente consumate e la parte interna è sporca. Deve mantenere un certo contegno e lo sa, deve far sì che Jack non faccia mosse false e sa anche questo, sapere molte cose e non sentirsi in grado in grado di controllarne neanche una è frustrante, ma quella sensazione fa così tanto parte della sua vita, ormai, che non arrenderlesi è facile.
Così “andiamo a fare due passi”, dice, la voce controllata.
David lo guarda ed è imbarazzante, a tratti assurdo come i suoi occhi si accendono quando assimila la frase: lui ci spera ancora.
E nonostante il silenzio caduto nella stanza sia ancora pressante nella testa di Lucien ci sono solo urla.


Quando le mura del palazzo gli crollano definitivamente addosso, le sue mani sono sporche di sangue.
Potrebbe fingere che i graffi sul suo palmo siano dovuti alle macerie che gli si sono rovesciate contro, ma in realtà la colpa è del coltello da boy-scout che ha stretto con forza dalla parte della lama una volta che il corpo dell’uomo si è lentamente accasciato al suolo.
Fingerebbe che il grigio che gli contorna le ferite e gli fa pizzicare il naso sia la fuliggine dovuta allo scontro del cemento contro il terreno, ma in realtà è la polvere dei sassi che ha raccolto ed infilato sotto la camicia di David per assicurarsi che non torni mai più a galla.
Gli occhi scuri dell’uomo lo guardano per l’ultima volta, si sforzano di rimanere aperti e quando Lucien sospira, le clavicole macchiate di rosso ed il freddo ad avvolgere le sue ossa, se ne rende conto. Il corpo di David non è mai stato così leggero.
Con il cielo stellato a fare da cornice ironica a quello scenario buio, Lucien sente le colpe dell’uomo che stringe tra le sue braccia scivolare via da quella carne ormai marcia nel quale si è visto costretto un’intera vita. Le sente cadere una ad una.
OsessioneMolestiaSalvataggioUmiliazione.
Le percepisce mentre gli si spargono contro le mani sporche che reggono il corpo inerme, gliele sfiorano per l’ultima volta prima di cadere nell’acqua e farla muovere impercettibilmente.
Lucien vorrebbe dirgli che gli dispiace, che le cose sarebbero dovute andare diversamente, che quel destino non sarebbe piaciuto a nessuno e che è spaventato tanto quanto lui ma non c’era
via
d’uscita.
“Adesso so come ti sentivi, quando volevi morire” gli ha detto David prima che il coltello trapassasse il suo petto. E Lucien, per la prima volta, in quegli occhi che lo hanno violato per la sua intera vita e che si erano velati di risentimento e paura, ci ha visto della verità.
Ma ormai è troppo tardi ed il corpo di David è già freddo.


Le mura del palazzo gli sono crollate addosso e nel momento in cui l’ultimo inquilino di quel condominio di disperazione viene inghiottito dall’acqua ghiacciata del fiume, Lucien è, finalmente, libero. 
 






 



 
chilometri.✧
 
 
  
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