Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |      
Autore: formerly_known_as_A    05/06/2016    6 recensioni
È incredibilmente semplice fare a meno di Oikawa, ora che possono non vedersi ogni giorno.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

È strano. Stare lontano da Tooru, appena entrambi sbarcano a Tokyo per cominciare l'università, è stranamente semplice.

Non rispondere ai suoi messaggi, se non quando arriva a casa e il turbine di nuovi volti, nuove materie e nuovi treni da prendere è finalmente lontano, diventa normale, non sentire in continuazione la sua voce seguirlo, il suo modo irritante di stargli dietro sempre, sempre pronto a commentare con qualcosa che gli farà meritare qualche insulto, è quasi un sollievo.

È incredibilmente semplice fare a meno di Oikawa, ora che possono non vedersi ogni giorno.

Credeva che sarebbe stato orribile staccarsi da lui, credeva che non avrebbe dormito, senza messaggi martellanti e la sua incredibile parlantina, ma Hajime dorme come un sasso alle dieci di sera e si sveglia riposato, pronto a perdersi nei corridoi della facoltà e scoprire qualche luogo fuori dal tempo in cui altri studenti si sono a loro volta persi; pronto a dimenticare e ricordare e dimenticare ancora nomi e volti, scusandosi senza veramente crederci davvero, mentre beve un caffè troppo amaro davanti ad una Yuka-chan o Mari-chan o Yuki-pon che si somigliano un po' tutte, più delle liceali in divisa che erano fino a pochi mesi prima.

È strano vivere senza Tooru, ma non gli manca. E quando i messaggi diminuiscono, Hajime non ne sente la mancanza, ne è quasi sollevato.

Anche Tooru è occupato, Tooru ha una nuova squadra, nuovi compagni di classe e forse anche un nuovo amico da tutti identificato solo come l'amico di Oikawa-san. Se lo immagina alle prese con un nuovo fanclub, perché se a Yuka-chan o Mari-pyon interessa Hajime, figurarsi quante ragazze può avere attorno uno che era davvero popolare già al liceo.

Hajime ha un piccolo appartamento a quattro fermate dall'università, uno spazio modesto in cui sono concentrati cucina e salotto, un futon su cui dormire, una piccola libreria, un kotatsu. Il kotatsu lo fa sentire come l'uomo più ricco del mondo e già si pregusta il momento in cui, nel freddo dell'inverno, potrà studiare al caldo.

È felice, anche senza Tooru. Non ha il tempo di sentire la sua mancanza.


 

L'invito di Oikawa arriva dopo un silenzio di quattro giorni. Un'amichevole con un'università nei paraggi, una partita di poco conto a cui Hajime potrebbe anche non assistere, sinceramente.

Non potrebbe mai dire di no alla pallavolo.

È così che si trova sugli spalti di una palestra quasi vuota, l'unico presente per la squadra di casa, a vagare con lo sguardo su una partita iniziata da un pezzo.

Si scopre a cercare numeri, più che volti che potrebbe riconoscere, prima il numero uno, per abitudine, poi il quattro. È stupido, questo, perché sa esattamente per quale motivo lo cerca ed è qualcosa per cui si prenderebbe volentieri a schiaffi.

Fin dal primo momento, fin da quando Oikawa gli ha annunciato di aver conquistato facilmente un posto in squadra, Hajime non ha potuto fare a meno di pensare a chi potesse averlo sostituito con quel numero addosso.

Non fa fatica ad individuarlo, perché il numero quattro è a servizio e Hajime riconoscerebbe quel salto ovunque.

Si alza e abbandona gli spalti con un suono fin troppo familiare nelle orecchie.

Il palmo di Oikawa che colpisce la palla.

Sembra risuonargli dentro come l'eco di un tamburo, anche se cerca di correre più lontano possibile, anche quando trova uno di quei luoghi nascosti che si è abituato a cercare all'università, quando le facce nuove sono troppe e le voci si accavallano e lui non ha ancora imparato un nome e non riesce più a respirare.

Si siede per terra, anche se il suono delle scarpe sul campo da pallavolo arriva fino a lì, il pallone che rimbalza continua a raggiungerlo, ma le gambe non sono abbastanza forti per correre e allora sta seduto, abbracciandosi le ginocchia per poterci nascondere la testa.

Non è stato male, senza Oikawa. È stato anche felice, da solo, più che nella confusione delle nuove amicizie. Nei momenti rilassanti in cui è riuscito a leggere un libro senza interruzioni, in cui ha ponderato se prendere o meno un gatto, in cui ha semplicemente guardato fuori dalla finestra la pioggia che cadeva fitta fino a cancellare i contorni delle cose, con una tazza calda tra le mani.

Hajime non ha nessun problema a restare solo.

È dopo che Tooru gli manca. È quando finisce il libro e vorrebbe parlargliene, ma l'ultimo messaggio che gli ha mandato risale a tre giorni prima e Hajime è stato così stronzo da rispondergli per monosillabi. È quando vorrebbe chiedergli se nel suo appartamento sia permesso o meno tenere animali domestici e già pregusta il momento in cui gli ricorderà come Tooru sia riuscito a far morire dei cactus, alle medie e come non sia una grande idea pensare di tenere degli animali, ma Tooru è taggato in un evento di classe o di squadra con circa un milione di foto di persone che si divertono -davvero o per finta, ma insieme- e non può nemmeno telefonargli. È quando vorrebbe ricevere una telefonata alle quattro del mattino con la voce spaventata dell'altro che lo sveglia perché ci sono troppi fulmini fuori ed è spaventato e Hajime lo prende in giro, ma quanto lo rende stupidamente fiero che Tooru gli si mostri vulnerabile?

Hajime sta bene da solo, ma ha anche bisogno di Tooru.

Forse è pigrizia. È pensare alla fatica di dover costruire da capo la stessa amicizia con qualcun altro, ricordo dopo ricordo, segreto dopo segreto, confidenza dopo confidenza. Può fidarsi di Kenta-kun? E di Rei-kun? Di cosa possono parlare, oltre all'università? Dopo quanto hanno diritto di sapere di cos'ha paura, Hajime?

Fa male. Fa male scorrere ogni maledetto social network di Tooru e vedere fino a che punto sembri stare meglio senza di lui, libero di farsi selfie con bevande colorate o in pose stupide o circondato da ragazze adoranti. Fa male vedere foto di prodotti di bellezza e libri e gatti randagi lanciati su una rete di un migliaio di amici che non conoscono Tooru davvero, eppure gli parlano di libri e gatti e creme viso, lo prendono un po' in giro, lo adorano, ridono delle sue espressioni buffe.

Con che diritto Tooru può essere felice, se nemmeno si sentono per telefono? Con che diritto ha pianto sulla sua spalla il giorno del diploma, con che diritto l'ha abbracciato come se dovesse andare in guerra, quando si sono separati in stazione per dirigersi ai rispettivi appartamenti la prima volta?

Vorrebbe respirare, Hajime, ma anche senza di quello riesce ad alzarsi quando i suoni della partita cessano, dicendosi che probabilmente riuscirà ad uscire di lì prima che le squadre abbandonino gli spogliatoi.

“Iwa-chan?”

Basta girare l'angolo sbagliato per mandare all'aria un piano che sembrava perfetto. Chiude gli occhi, prende un respiro profondo e si volta, le mani infilate a forza in tasca.

“Schifokawa.”

“Sei venuto davvero!” esclama Tooru e, per un momento, Hajime si pente di averlo chiamato così, perché il suo viso è stanco e segnato, senza i filtri dei suoi selfie.

“Sono arrivato solo ora.” mente, perché non potrebbe dirgli di aver appena avuto un crollo nervoso per un fottuto numero di maglietta.

“Aaaah! Crudele! Ma abbiamo vinto! E sono stato bravissimo! Quindi pranziamo insieme!” propone, o, meglio, ordina, prima di voltarsi verso la squadra e salutare. “Ci vediamo lunedì!”

Tooru lo supera di corsa, il borsone su una spalla, ma si volta per lamentarsi della sua lentezza e Hajime scoppierebbe a ridere, se non fosse così patetico.

Lo segue in silenzio, nonostante tutto, gli occhi fissi sulla sua schiena anche se non c'è più nessun numero, lì.

Non ha guardato chi, tra i giocatori nel corridoio insieme a Tooru, fosse quello con il numero uno, ma sospetta che Tooru se ne lamenterà di lì a breve, perché l'uno dovrebbe essere suo e non esiste che qualcuno glielo rubi o cose del genere. Hajime cercherà di ignorarlo, lo prenderà un po' in giro e tutto tornerà come al solito.

“Non è stata granché, come partita. Li abbiamo stracciati e non ho giocato nemmeno per troppo tempo, il capitano mi odia. Credo.”

Alza lo sguardo e Tooru è lì, le dita strette intorno alla borsa da palestra, gli occhi che sembrano aspettare i suoi per socchiudersi mentre lascia scappare un lungo sospiro.

“Però appena giocherò una partita importante verrai, eh, Iwa-chan?”

È una domanda, quella, non un ordine, non un dato di fatto. Per un attimo Hajime non si prende nemmeno la briga di provare a rispondere, facendo un paio di passi verso l'altro e superandolo, poi la realizzazione lo colpisce come un macigno.

Non è un ordine, non è un dato di fatto, perché forse anche Tooru comincia ad avere dei dubbi.

Non è più un dato di fatto, essere insieme. Non si tratta più di percorrere i cento metri che separano le loro case, ogni mattina e recuperare un Tooru assonnato ancora tutto preso nell'acconciare i propri capelli. Non sono in classi adiacenti nello stesso corridoio. Non possono incontrarsi sul tetto per mangiare con calma, senza che il fanclub di Tooru li assalti con regali e bentou fatti in casa.

“Non lo so.” risponde alla fine, con un filo di voce. Non è nemmeno sicuro che Tooru possa sentirlo, ma è tutto quello che riesce a dire, prima di infilarsi nel ristorante e sedersi pesantemente su una delle panche libere. Sono in un angolo un po' nascosto, lontano dalle finestre e Hajime maledice gli automatismi che l'hanno portato a scegliere proprio quei posti, perché sono a Tokyo e non devono scappare da nessuno per potersi godere una ciotola di ramen senza interruzioni.

“Anche se è importante? Sei crudele.” borbotta Tooru, in un tono che non è la sua solita buffa cantilena. È strano, come se si sforzasse di sembrare il solito Oikawa e tutto ciò che Hajime sentisse fosse una cacofonia di voci e gesti sbagliati.

È pericoloso, un Oikawa così palesemente ferito.

“Non so se posso guardarti giocare dagli spalti senza dirti quanto sei cretino mentre giochi.” ammette Hajime, sforzando un sorriso che non sente, un'orribile smorfia che spaventa la cameriera appena arrivata a prendere i loro ordini.

Borbotta qualcosa che non è nemmeno sicuro sia nel menu e subito distoglie lo sguardo verso Tooru, le sopracciglia aggrottate come se stesse trattenendo troppo qualcosa, il tono ben diverso da quello affascinante a cui è abituato.

Non flirta con la cameriera, anche se è carina, ordina e basta, cortese come sempre, ma non lasciando spazio a niente di più. Impiega troppo poco a voltarsi ancora e sostiene lo sguardo sospeso di Hajime con una forza che gli fa abbassare gli occhi.

“Che numero?” chiede Hajime, anche se lo sa benissimo, ma vuole disperatamente sentire i lamenti di Oikawa, sentirlo parlare per un'ora di cosa non va nella nuova squadra, del capitano che lo odia, dell'allenatore e delle sue sopracciglia buffe. Di tutte le cose di cui il ragazzo gli parlava all'inizio, prima che Hajime smettesse di rispondergli.

Tooru china la testa di lato, stringendo gli occhi come per ricordare o concentrarsi più del dovuto, poi sembra capire e sobbalza.

“Quattro.”

Non gli mente. Hajime si aspettava una bugia, forte del fatto che non l'aveva visto e che non gli aveva nemmeno promesso di andare a vederlo ancora. Non la verità. La verità è al contempo troppo Oikawa e troppo poco. Suona come un gong, una campana incrinata che emette suoni agonizzanti.

“Quattro?” chiede, posando disperatamente lo sguardo sul menu. “Chi ti ha rubato il numero? Quel tizio alto con la faccia di chi ha appena mangiato un limone?” azzarda, puntando al più alto della squadra, che ha intravisto solo un momento.

Tooru scuote la testa, poi appoggia i gomiti sul tavolo e il mento ai palmi.

“L'ho scelto io.”

Hajime sente il bisogno di alzarsi e andarsene. Cambiare numero, staccarsi completamente dal peso di quegli occhi così banalmente castani su di sé, fingere di dimenticare. È una necessità pressante, perché restare lì significa smettere di respirare, pensare troppo, pensare male. Alle cose sbagliate, come il significato di quel numero e le rughe che l'espressione addolorata di Tooru sembra aver scavato tra i suoi occhi.

Tooru non sembra felice. Tooru sembra stanco e anche se potrebbe essere l'allenamento e quella sua nuova abitudine ad uscire di sera, c'è qualcosa nei suoi occhi che lo spaventa, l'assenza di luce così simile a quella che gli ha visto addosso dopo l'arrivo del genio, del talento, di colui che avrebbe potuto distruggere il suo sogno, se solo avesse smesso di trotterellargli dietro come un cucciolo abbandonato.

Sente il suono della ceramica sul legno e si sente terribilmente maleducato quando la cameriera smette di augurare loro un pranzo magico e delizioso o qualunque altra cosa stesse dicendo, perché nessuno dei due parla e gli occhi di Tooru sono ancora fissi su di lui.

“Quando l'ho scelto pensavo che te l'avrei detto subito. L'avrei fatto con una battuta e tu mi avresti preso in giro per sempre, probabilmente, ma forse avresti capito. Ma non sapevo come rendere la battuta. Non c'era niente di divertente, in fondo. Non volevo che nessuno avesse il tuo numero, Iwa-chan. Non avrei potuto passare la palla ad un altro numero quattro. E ora che te lo sto dicendo sembro stupido il doppio, perché a te non importa.” mormora Tooru, la voce che va progressivamente ad affievolirsi, ad incastrarsi in fondo alla gola, come se fosse troppo pesante per lasciare le labbra.

Hajime scuote la testa, perché non è vero che non gli importa, perché sente il cuore così stretto che ha l'impressione che qualcuno si stia divertendo con una pressa o una pinza.

Non è facile, vorrebbe dirgli, guardarti mentre giochi con qualcuno che non sono io.

Non è facile, è come se qualcuno avesse deciso di calpestarmi, di sbattermi davanti un fallimento.

Non funziono bene senza di te.

Prende un respiro, ma immediatamente sembra che i polmoni non tengano che una punta di spillo di ossigeno, pronti a buttarlo subito fuori e cercarne disperatamente altro.

“Non mi sei sembrato così disperato negli ultimi mesi, Oikawa.” riesce a dire, con quel poco ossigeno. È il modo peggiore per usarlo, il sarcasmo, soprattutto quando sente che presto finirà e non avrà modo di dire ciò che pensa davvero.

“Quand'è stata l'ultima volta che hai risposto ad una mia telefonata?”

L'accusa lo costringe ad abbassare la testa verso la ciotola di ramen fumante e l'avvicina per mangiare, anche se sente che non potrebbe mandare giù nemmeno un bicchiere d'acqua.

Si impone di mangiare, però, anche con lo sguardo di Oikawa che sembra volergli bruciare la testa, che sente, fisso su di sé, finché anche l'altro non comincia a mangiare. Sono lì per quello, no?

“Mi importa. Ovviamente mi importa.” sussurra, punzecchiando una verdura che galleggia nel brodo. Non sente il sapore di nulla, ma quella dovrebbe essere una zucchina. O una rapa.

Oikawa ha scelto il numero quattro perché quello è il numero di Hajime.

“No. Non è vero. E sai cosa penso? Fin dall'inizio, era questo il piano. Andare a vivere lontano, anche se le nostre università sono a cinque fermate l'una dall'altra e avremmo potuto vivere nell'esatto centro, perché non vedevi l'ora che mi togliessi di mezzo.” sibila Tooru, la voce che si alza di un'ottava e mette in allarme Hajime, perché è il salto che precede un pianto a dirotto a cui non vuole assistere.

Non sa con che forza allontani la ciotola di ramen e posi due banconote sul tavolo, non sa nemmeno come possano le gambe reggerlo, ma quando appoggia i palmi sul tavolo e fa l'errore di guardare in basso, ricade sulla panca come se qualcuno avesse tagliato l'ultimo filo che ancora lo sosteneva.

Tooru ha ragione. Avrebbero potuto prendere un appartamento insieme, come avevano previsto fin dall'inizio. Anche i loro genitori l'avevano suggerito, perché Tokyo non è esattamente il posto più conveniente in cui vivere, perché non avrebbe avuto senso separarsi.

“Non volevo esserti d'intralcio.” ammette Hajime e gli costa molto più di quelle quattro parole. È il coperchio che trattiene verità più grandi, più pesanti, che potrebbero rovinare ogni cosa.

Ammettere che sta già rovinando tutto non migliora niente. Non c'è una magica rivelazione dal cielo di quello che deve fare per cancellare la delusione che vede negli occhi di Tooru, nemmeno una frase che potrebbe farlo smettere di tremare, i palmi ancora sul tavolo come un bambino troppo composto.

“Stronzate.”

Scuote la testa con forza e si morde un labbro, perché il coperchio delle verità scomode è aperto, ma Hajime è ancora troppo testardo per lasciarsele sfuggire.

“Io ti trascino verso il basso. Tu sei stato scelto da quell'università, tu brilli sul campo, tu univi la nostra squadra e la rendevi forte. Ma dipendevi da me. Dipendevi troppo da me e non era sano.” spiega, con un filo di voce.

“Dove hai sentito questa stronzata?”

Vorrebbe aprire la bocca per notare la gamma povera di parolacce di Oikawa, ma è più veloce ad aggiungere: “Perché non voglio credere che tu l'abbia pensato con la tua testa. Sai cosa? Mi rifiuto di pensarlo. Tu non pensi queste cose, altrimenti mi avresti lasciato indietro nel momento esatto in cui mi sono montato la testa alle medie. E poi cosa? Cosa te ne frega se dipendo da te, eh? Che ti importa se ho bisogno di te? Saranno affari miei se ho bisogno di te per funzionare come si deve?” sbotta il ragazzo, posando il mestolo del ramen con un po' troppa forza.

Hajime lo osserva, incredulo e sembra notare solo così fino a che punto Tooru sembri nervoso. Il suo sguardo non è fisso come credeva, le mani che non stanno ferme un secondo.

Ha gli occhi lucidi e il suo mento sta tremando con tutto il resto.

“Non è sano.” ripete Hajime, chiudendo gli occhi per non guardarlo.


 

Oikawa-kun è uno stupido, lascialo perdere!”

Il primo istinto di Hajime è quello di voltare l'angolo e annuire gravemente, anche se l'idea che qualcuno insulti a caso Tooru lo irrita un po'.

Non voglio lasciarlo perdere, io lo amo!”

Ecco, il secondo istinto è voltare l'angolo e fingere un conato di vomito, perché a quella frase è abituato fin troppo bene. Sia l'odio che l'amore sono completamente ingiustificati e lo innervosiscono allo stesso modo.

Se solo... Se solo smettesse di uscire con quell'Iwaizumi! Perché deve parlare sempre e solo di lui? Non capisce che non è normale?!” sbotta la ragazza isterica, mentre le altre due o tre che sono con lei allo stesso tempo cercano di zittirla e approvano.

Cosa?

Che schifo. Non ha nessun rispetto per te!”

Ho sentito che anche Akiko-chan della classe 5 l'ha lasciato per quello, le sembrava di essere la terza incomoda!”

Yumi-chan mi ha detto che una volta avevano un appuntamento e lui ha annullato tutto perché Iwaizumi aveva un problema.”

Iwaizumi ricorda. Ricorda suo padre che usciva di casa sbattendo la porta, ricorda di aver esitato, ascoltando sua madre piangere in cucina, prima di raggiungerla e rassicurarla. Non ricorda con che parole, ma ricorda di essere apparso forte e ricorda di essere crollato solo una volta arrivato in camera.

Ricorda la provvidenziale telefonata di Tooru, per qualcosa di stupido come delle foto che gli aveva mandato e che Hajime nemmeno aveva visualizzato. Ricorda il tono di Tooru farsi più delicato, attento, dopo la cantilena lamentosa dell'inizio, perché forse un po' stupido lo è, ma non abbastanza da non vedere oltre le sue bugie.

Ricorda di essersi addormentato con le dita di Tooru tra i capelli e di avergli quasi confessato ogni cosa.

Il padre, l'indomani, era tornato, si era scusato e le cose erano andate incredibilmente meglio, dopo, ma sul momento quello non era stato un problema da niente e Hajime non si era pentito di aver cercato il suo aiuto.

Cos'è, il suo schiavo?”

Dovrebbero fidanzarsi e fare schifo insieme, sei sprecata per Oikawa.”

Iwaizumi sceglie questa frase per voltare l'angolo e attirare l'attenzione del trio con un calcio al bidone metallico della spazzatura.

Non sei abbastanza per Oikawa.” sibila, andandosene con le mani in tasca.


 

Nel presente, sente Oikawa prendere un respiro traballante, al di là delle sue palpebre socchiuse.

“A volte fa così male che non riesco a respirare.” sussurra, prima di schiarirsi la voce e continuare, il volume più alto e comprensibile, ma ancora fragile, come se bastasse una parola a farlo smettere.

“Mi hai regalato la mascotte che è attaccata al cellulare. E la tazza in cui bevo il latte al mattino. Ho un pigiama con gli alieni che ha tutte le ginocchia sformate, ma anche quello è un tuo regalo. Ho una felpa che è finita nella mia lavatrice così tanto tempo fa che ormai è più mia che tua, ma non riesco a smettere di pensare a te, quando la metto. Sei ovunque perché non sei da nessuna parte e fa così male che non riesco a respirare.” gli spiega, come se questo potesse davvero cambiare qualcosa, come se Hajime non provasse lo stesso.

“Non è sano sforzarci di stare separati quando potremmo vivere insieme. Non è sano che io debba uscire e bere fino a vomitare per poter dimenticare quanto mi manchi. Abbiamo passato tutta la vita insieme, come pretendi di separarci ora?" chiede Tooru, afferrandogli la manica per farsi guardare.

Hajime non ha risposte immediate. Hajime vuole continuare a passare la sua vita accanto a Tooru, come avrebbe voluto continuare a giocare con lui, se solo avesse avuto davvero talento. Ma come può trascinarlo al suo livello, essere la causa di altre scene come quella a cui ha assistito, essere la causa di dicerie che affosserebbero Tooru?

“Perché anche se mi sforzo a pensare, ad andare avanti nel tempo, ad immaginare dove sarò tra dieci o vent'anni ci sei sempre tu. Sposarmi, avere dei figli, dovrebbe essere normale, non pensare di starti accanto per sempre.” risponde alla fine, perché la sincerità lo spaventa e forse spaventerà anche Tooru, abbastanza da mandarlo via.

“Iwa-chan...”

Sorride amaramente, Hajime, nel sentire quel soprannome, ma si lascia prendere le mani, le ciotole di ramen abbandonate su un lato del tavolo per fare spazio alle loro braccia.

“Non capisci che tutto questo ti frenerà? Quando troverai una ragazza, sapere che vedo solo te nella mia vita, come ti farà sentire? Se rifiuti un nuovo numero quattro, come ti comporterai con qualcuno che vuole monopolizzarti completamente?” gli chiede, anche se ancora il cuore salta un battito, pensando a quello stupido numero.

Essere insostituibile ed essenziale non dovrebbe essere qualcosa che rende tanto felici. È pericoloso e sbagliato, anche se, fin dall'inizio, anche Tooru lo è stato. Per un motivo o per l'altro, è sempre stato lui il suo confidente, la sua spalla su cui piangere, la mano da stringere.

Anche se è meno evidente, Hajime sa perfettamente di dipendere da Tooru almeno quanto Tooru dipende da lui.

Tooru gli stringe le mani e lui prova l'impulso di staccarsene con forza e scappare.

“Iwa-chan, non importa.”

“Certo che importa!” sbotta Hajime, cercando di sfuggire a quella presa. È forte e non si impegna abbastanza, non quando Tooru sorride, guardandolo. Lo fa sentire debole e vulnerabile e Hajime lo odia. “Come potresti volere solo me, tra dieci o vent'anni? Se adesso andassimo a vivere insieme, dove porteresti le ragazze che conosci? Dovrei vivere con te pensando che te ne andrai appena troverai quella giusta? E come potresti trovare quella giusta se sono sempre in mezzo?”

Riesce a divincolarsi dalla sua presa, ma Tooru si allunga sul tavolo e gli posa le mani sulle guance, il sorriso meno teso, il volto rilassato e gli occhi luminosi come se non avesse appena descritto il peggior destino a cui potrebbero andare incontro.

“Iwa-chan, anche io.”

“Non importa se sei in mezzo, comunque guarderebbero solo te e sinceramente non importa davvero.” sibila tra i denti, aggrottando le sopracciglia perché non è quello il punto.

“Non quello, Iwa-chan. Anche io sono innamorato di te.” mormora Tooru, ripiombando a sedere con le guance più rosse che abbia mai visto.

“Cosa?”

Cosa c'entra? Non stavano parlando di questo.

Come? Com'è possibile?

“Sono un ragazzo.” mormora, sbattendo le palpebre, incredulo. Perché non può non averlo notato, no?

“Sei un ragazzo estremamente bello.” ribatte Tooru, nascondendosi dietro le dita.

“No, Tooru, due ragazzi... è sbagliato.” riesce a dire, con un filo di voce. “Tu sei bello e hai talento e devi sposarti e farti una famiglia.”

“Posso sposare Iwa-chan. Possiamo adottare un bambino o anche sette. Mettiamo su una squadra di pallavolo, Iwa-chan!” la voce di Tooru è sottile e acuta, come se si stesse sforzando di dire quelle parole, come se fossero troppo anche per lui.

Non può dirlo sul serio.

“Non entrerai mai in nazionale.”

Tooru smette di sorridere, dietro alle dita aperte a ventaglio e abbassa le mani, accompagnandole con lo sguardo.

“Non credi più in me ora che sai che mi piacciono anche i ragazzi, Iwa-chan?” domanda, il tono deluso.

Un momento.

“Come sarebbe a dire che ti piacciono anche i ragazzi?” sussurra, avvicinandosi all'amico per non farsi sentire dal resto del ristorante.

“Ma dai, Iwa-chan, con tutte le volte che mi hai beccato a fissare le pubblicità di Beckham con la bava alla bocca!” sbotta invece Tooru, attirando l'attenzione di tutti gli avventori. Iwaizumi vorrebbe diventare tutt'uno con il tavolo, ma si accontenta di appoggiarvi la fronte ed aspettare la morte.

Pare che Tooru abbia una mentalità più aperta di quanto pensasse e che lui invece sembri un cretino campagnolo che non ha mai aperto un giornale. Geme, troppe informazioni tutte insieme che gli mandano in fumo il cervello.

Che cavolo è successo? Si aspettava di finire la giornata più triste di quando si era svegliato al mattino, dov'è finito?

“Ehy. Non è importante ora.” sussurra Tooru, prendendo posto accanto a lui e posando l'orecchio sul tavolo per guardarlo da vicino.

Hajime volta la testa e aggrotta le sopracciglia per la vicinanza. Il ragazzo gli punzecchia una guancia, con tanto di effetto sonoro irritante.

“Sei stupido, Hajime. Questo è importante. Sei uno stupido scemo che pensa di fare la cose giusta ma riesce ad incasinare la cosa più bella che potesse accaderci. Non posso lasciarti andare, a meno che tu non lo voglia veramente e per ragioni che vengono esclusivamente da te.”

Apre la bocca per dirgli che è lui il cretino, ma la chiude subito.

“Sono uno stupido scemo.” ripete, chiudendo gli occhi.

“Voglio picchiarti forte. Tipo prenderti a schiaffi e scrollarti e dirti che sei il più grande scemo dell'universo e nemmeno il Capitano Kirk arriva al tuo livello.”

Spalanca gli occhi, Hajime, poi scoppia a ridere.

“Sono terribilmente offeso dal paragone.”

“Sentiti molto offeso. Se però senti il bisogno di strapparti i vestiti mentre combatti sentiti libero di farlo. Non vorrei tarparti le ali della libera espressione della tua stupidità Kirkiana.” aggiunge Tooru, facendogli l'occhiolino.

Si sente arrossire, ma ride ancora di gusto e si mette a sedere composto. Immagina l'ipotetica scena e ride ancora, ricordando gli insulti coloriti di Tooru al Capitano in questione e ai suoi vestiti strappati.

Tooru lo imita e la sua risata è come un balsamo per i vuoti che ha lasciato in quell'assenza. La lascia calmarsi, senza dire niente, aspetta la sua fine naturale e il silenzio che ne segue, perché non sono mai esistiti silenzi imbarazzanti, tra di loro e non ce ne saranno nemmeno adesso.

“Mi sei mancato.” ammette, in un silenzio in cui le dita di Tooru hanno trovato le sue, come l'ultima volta che hanno dormito insieme. “Ho visto il numero sulla tua schiena e mi sono sentito un cretino. Pensavo potessi stare meglio senza di me.”

“E invece sei un cretino, pensa.” borbotta Tooru, appoggiando la testa sulla sua spalla.

Ridacchia, la presa delle dita del ragazzo che si fa più ferma, un intreccio che è difficile sciogliere e gli parla di una solitudine del tutto simile alla propria. Gli sembra passata una vita dall'ultima volta che sono stati tanto vicini, eppure si è trattato di soli due mesi.

È ancora spaventoso, pensarci. Dipendere così tanto da qualcuno non è sano, ma con ora che può pensarci più lucidamente, non sono mai stati morbosi. Oikawa non è mai stata la fidanzata gelosa che gli impedisce di vedere altre persone, di andare a partite di baseball di cui non gliene frega niente.

Ma è davvero bastato origliare un discorso per acuire la paura di essere scoperto, al punto di tentare di tagliare di netto il rapporto che li unisce? Ecco, questo è spaventoso, non voler parlare a Tooru di quanto fa schifo il nuovo Godzilla.

“Iwa-chan, sono Scully. Sono Scully nella stagione nove, quella che non sopporto!” esclama all'improvviso Tooru, scuotendolo.

“Cosa? Quella che ha appena partorito?”

Tooru annuisce, gli occhi spalancati. “Sono quella Scully che non vive senza Mulder, sono gli episodi con Terminator e Tizia! Noo, Iwa-chan, perché?!” si lamenta, scrollandolo ancora, lamentoso. “Mi fa schifo quella stagione!”

Hajime ride ancora mentre si libera dalla sua presa per abbracciarlo e Tooru smette immediatamente di lamentarsi, aggrappandosi alla sua giacca.

“Quindi? Questo fa di me Mulder? Sai benissimo che sono Scully, smettila di offendermi.” sussurra, sfregando la punta del naso tra i suoi capelli. Il profumo del suo shampoo, qualcosa di fruttato e che ha con ogni probabilità un nome come “pesca pop” o “milk shake fruit” o “strawberry power”, gli è mancato, nonostante sia troppo dolce per i suoi gusti.

“Sei Iwa-chan. Iwa-chan e Tooru suona mille volte meglio di Mulder e Scully.”

“Hajime e Tooru suona persino meglio di Dax e Worf, se posso osare.” mormora Hajime, sentendosi arrossire.

“Woah, Iwa-chan, sei così audace, punti tutto sulle OTP.” commenta Tooru, ma la presa sulla sua maglia si fa più forte e Hajime realizza ancora la sua fragilità.

“Quanto è grande il tuo appartamento?” domanda, stringendolo di rimando. “Non ho molte cose, nel mio e non posso aspettare ancora.”

“Iwa-chan, se vieni a vivere con me stasera sono disposto a lanciare fuori dalla finestra i mobili per farti spazio.” sussurra Tooru, così serio da farlo scoppiare a ridere.

Scioglie l'abbraccio per poterlo guardare, prendendo vagamente nota del posto in cui ancora si trovano e dimenticandosene immediatamente alla vista delle guance rosse del ragazzo.

“Non ridere. Sono serio.”

Hajime annuisce soltanto, sfiorandogli la guancia con la punta delle dita, prima di alzarsi e tendergli la mano.

“Vieni, ci sono nove fermate di metro da fare, ma in due lo svuoteremo prima. Anche a costo di lanciare cose dalla finestra. Posso lanciare la tua collezione di DVD degli antichi alieni?” propone, la mano di Tooru che si stringe intorno alla sua, l'altra che lo picchia sulla spalla.

“Gli antichi alieni non si toccano!” sbotta, scoppiando a ridere e seguendolo fuori dal ristorante.

E quando comincia a correre, Hajime si assicura che Tooru sia al suo fianco.


 

Every time you vent your spleen

I seem to lose the power of speech

You're slipping slowly from my reach

You grow me like an evergreen

You've never seen the lonely me at all

I...

Fall

Without You, I'm Nothing

at all


 

(“Without you, I'm Nothing” Placebo)


 

 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: formerly_known_as_A