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Autore: Esarcan    07/06/2016    1 recensioni
Un viaggiatore capita in una Milano del '600 in preda ad un'epidemia di peste.
Genere: Drammatico, Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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Il tempo si confaceva alle sue emozioni: pioggia, lampi e nessun segno che avrebbe smesso anzi probabilmente sarebbe perdurato per l’intera settimana, come quella precedente e quella prima ancora . Non era sicuro di ricordarsi il colore del sole ammantato com’era da nubi grigie, tristi e sorde ad ogni richiesta dei contadini di migrare in altre zone, per dare respiro alle piante affogate. Dal canto loro le nubi rispondevano tuonando e riversando cascate d’acqua sui campi, ormai pantani, burlandosi dei poveri agricoltori.

Il fango delle strade gli insozzava i pantaloni e le scarpe di tessuto, imbevute com’erano d’acqua e sporche di terriccio sembrava pesassero una libbra più del dovuto. L’umidità e il freddo avevano fatto breccia nella sottile camicia di cotone, non bastava neanche il vecchio mantello rattoppato a rinfrancarlo e non poteva permettersene certo uno nuovo perché quelle poche monete che aveva gli servivano per comprarsi casa e non sarebbero aumentate finché non si fosse trovato un lavoro. La città prospettava molte occasioni di ottenere un impiego poiché in tanti avevano lasciato il loro a causa della peste, la qual presenza era tradita dai corpi ammassati ai cigli delle strade e dai tanti indumenti che bruciavano nei giardini alzando volute di fumo che inneggiavano ad un’altra morte causata dal morbo implacabile.

Arrivato al casolare di cui gli era stato detto, lo osservò sconcertato: le rifiniture vergate da mani esperte richiamavano i palazzi dei signorotti spagnoli, il tetto spiovente con i canaletti in rame lucidato risplendevano alla fioca luce delle torce appena accese che riversavano  nel naso l’acre odore dell’olio che brucia; l’entrata della casa rifinita con marmo bianco ed ebano appena verniciato in modo tale che all’occhio risaltasse subito quel luogo. Si rese conto che le monete non bastavano ma mentre fece per andarsene, attirata dal connubio dei colori contrastanti dell’uscio, la vista gli cadde su un foglio che penzolava dai battenti del portone, si avvicinò e lesse:

 “Per ordine di Sua Eccellentissima Maestà ecc. ecc. … tutti gli stranieri che cerchino vitto e alloggio in codesto loco siano informati che si verificò un caso di Peste conclusosi con la morte di un residente del suddetto casolare.”

Appresa codesta informazione alzo il battente e lo sbatté contro la porta producendo così un suono abbastanza forte da richiamare l’usciere, questo lo fece entrare e lesto gli chiese il motivo della sua visita al casolare  ”Il signore deve fare visita ad alcuno dei residenti? Se è così di grazia riferitemi il nome suo e vostro di modo che lo si possa far chiamare.” Dacché egli rispose ”Mi trovo per codesto luogo infetto a cercare alloggio qualche tempo, allorché mi chiamate colui che può farmi avere una stanza ve ne sarò riconoscente”. Quindi l’usciere, uomo tozzo e robusto dalla testa canuta ed i pochi capelli rimastigli brizzolati, con una incolta barbetta alla punta del mento, dopo che sgorgò un’espressione sorpresa sul suo volto rotondo e dalle gote rubiconde, s’avvio su per uno stretto corridoio ai cui lati si ergeva un colonnato,gli ingiunse di aspettar lì sull’entrata. Allora subito egli si avvicinò al piccolo focolare sulla sinistra in cui ardevano ancora tizzoni di un più grosso ceppo distrutto dalla furia del fuoco. Trascorse poco tempo prima che un uomo visibilmente stizzito varcasse la soglia entrando nell’atrio marcato dall’usciere con espressione dispiaciuta.

“Quindi sarebbe questa la persona che avrebbe chiesto di me di modo tale che gli venga dato alloggio in questi casolare?”chiese l’uomo stizzito.

“Si sarei io, spero di non causarvi alcun fastidio con la mia richiesta.”gli rispose.

“Se è convinto di voler prendere dimora in codesto luogo la sua abitazione prima apponga la sua firma a questo documento che certifica la presa visione della grida al portone.”disse quello che doveva essere il curatore del palazzo.

Egli scrisse Giovanni Antonio Campolino.

Dopo aver dato occhiata al nome l’amministratore chiese:”Ha qualche documento che attesti la sua identità?”

Giovanni gli mostrò quindi la fede di sanità utilizzata precedentemente per entrare in città.

“Molto bene, il costo di un alloggio normale sarebbe di 2 ducati d’oro ma a causa dell’infezione è dimezzato.”

“Dispongo di tale somma”

“In tal caso mi segua, le mostrerò la casa.”

Quando vide la sua nuova abitazione Giovanni se ne compiacque alquanto: un soggiorno ampio soleggiato, riscaldato da un camino e corredato da 2 poltroncine damascate ed un divano rivestito di sete, il soffitto a volta  affrescato da poco tempo, due camere da letto con le scheletriche impalcature di due letti a baldacchino, nella camera padronale filtrava la poca luce che trapelava dalle nubi, da una bifora in mattoni a vista.

Per qualche motivo a Giovanni sconosciuto le tele di seta che ricoprivano il divano erano state lasciate come pure i rivestimenti delle poltroncine, quasi che i monatti non si fossero scomodati a disinfettarli con il fuoco ed i suffumigi catartici. Incuriosito quindi da questa svista dei monatti diede un’occhiata più approfondita al resto della casa scoprendo una serie di errori dei purificatori.

Notò in un angolo un coltellaccio sozzo di sangue, Giovanni lo prese e subito lo gettò nella fogna della strada sottostante per poi non curarsene più. Purtroppo questa compiendo questa semplice operazione si tagliò un dito tanto da far sgorgare qualche goccia di sangue e niente più. 

Mentre tremava di febbre la suora che tentava di nutrirlo gli chiese: “Perché scegliesti di stabilirti in un luogo infetto?”

“Il luogo non era infetto ,ma la persona che prima vi dimorava possedeva un’arma infetta, non mi interessa il come o il perché. Mi ferii liberandomene e fidandomi del lavoro dei monatti.”

Così morì per motivo futile una delle persone che tentavano di lucrare su quella disgrazia che era la peste.

   
 
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