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Autore: eliasx    09/06/2016    0 recensioni
Adriano era suo amico dai tempi delle medie, e probabilmente l'unico che non l'avesse mai abbandonato nei momenti difficili. Daniele non ne conosceva il motivo ma sapeva che Adriano aveva sempre voluto restare, e per questo lo riteneva un ragazzo coraggioso. Ci voleva molto coraggio per sostenere i pezzi di una persona distrutta.
Genere: Angst, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il vento soffiava gentilmente, sollevando granelli di sabbia e muovendo l'acqua cristallina, che si infrangeva sulla riva producendo un suono rilassante. Sulla spiaggia, illuminata dal sole tiepido del tardo pomeriggio, erano presenti solo alcune persone. Una famiglia di quattro persone era ben riconoscibile dalla mole di borse e vestiti disposte attorno all'ombrellone; la madre stava urlando qualcosa al figlio minore, mentre lo riempiva di crema solare biancastra; dall'altra parte, come isolato dal mondo, il figlio probabilmente adolescente era impegnato ad ascoltare della musica dall'iPhone ultimo modello.
Una coppia di anziani stava passeggiando sul bagnasciuga, tenendosi dolcemente per mano e chiacchierando tranquillamente probabilmente dei programmi della serata.
Infine, sdraiata quasi vicino all'acqua, era presente una ragazza — forse ventenne — intenta a prendere il sole. Il colorito latteo della sua pelle non favoriva l'abbronzatura, e sicuramente si sarebbe scottata, se non si fosse messa più spesso la crema solare di quanto in effetti stava facendo.
 
Daniele si alzò dalla duna di sabbia sulla quale fino a quel momento era stato seduto, e si spazzolò il costume per eliminare qualsiasi traccia di sporcizia. Il vento si intensificò, facendogli cadere le ciocche corvine sul volto, e alzò una grossa nube di sabbia che lo costrinse a coprirsi gli occhi celesti con il palmo di una mano. Guardò per l'ultima volta il paesaggio che gli riempiva lo sguardo, l'acqua pulita e azzurra come i suoi occhi, le montagne dell'isola che si stagliava davanti a lui e il verde intenso della vegetazione attorno a sé, e poi si voltò, lasciandosi alle spalle ogni cosa.
Percorse il sentiero di roccia creato tra la sabbia, e si preoccupò di pulire alla perfezione la suola delle proprie infradito prima di sfilarsele e indossare, al loro posto, un paio di comunissime scarpe da ginnastica bianche. D'altronde non era mai stato una persona particolarmente originale.
Arrivò alla macchina e si sedette al posto del passeggero, chiudendo gli occhi e appoggiando il viso al finestrino.
 
«Dani?» una voce familiare lo riscosse e quando sollevò le palpebre trovò gli occhi verdissimi del proprio migliore amico che lo fissavano.
 
Adriano. Ventitré anni e una famiglia di ricchi imprenditori. Fuggito da casa per girare il mondo. Era il suo migliore amico dai tempi delle medie, e praticamente l'unica persona che non si fosse fatta fermare dalle apparenze. Era estremamente intelligente e colto, con una passione per le culture straniere che l'aveva già portato — benché fosse così giovane — in innumerevoli e splendidi luoghi del mondo.
 
«Lisa vuole restare ancora un po' in spiaggia.»
 
Lisa era la sua ragazza. La classica bellezza senza imperfezioni, con i capelli biondi che le ricadevano sulla schiena come una cascata e gli occhi castani da cerbiatto, perfetti anche senza una linea di trucco. Daniele l'aveva spesso osservata, tanto che tutti, prima o poi, avevano pensato che fosse interessato a lei. In realtà, non aveva mai provato interesse romantico o attrazione fisica per nessuna ragazza, prima di quel momento. Per questo motivo, lo consideravano un tipo un po' anormale, ma Daniele si sentiva un ragazzo assolutamente comune, con interessi comuni e forse comportamenti un po' meno comuni per la sua età: amava la solitudine, ma non rifiutava mai un'uscita in gruppo, e spesso osservava le persone e le seguiva con lo sguardo, cercando di immaginare quale fosse la loro storia o i loro pensieri; la maggior parte delle volte erano persone banali o superficiali, come quelle ragazze piene di trucco e le gonne ridicolmente corte che piacevano tanto ai propri coetanei. Lui le riteneva semplicemente disgustose, e non capiva come avrebbe mai potuto provare qualcosa per una di loro.
«Resta pure con lei, io vado a piedi.» gli sorrise, afferrando il proprio zaino e scendendo dalla macchina.
 
«No» lo bloccò Adriano, «prima ti riporto a casa. Non mi va che tu vada da solo.»
 
«Non sono un bambino!» si infiammò, stringendo con forza la maniglia della portiera, rimanendo in stallo tra l'interno e l'esterno della vettura, con un piede ancora sul tappetino, mentre l'altro già posato sull'asfalto.
 
«Non penso che tu lo sia, Dani. Ma le strade non sono sicure e ci sono già stati alcuni incidenti nelle ultime settimane. Sali in macchina.» gli chiese, con tono calmo e quasi dolce, senza alzare mai la voce, nonostante il suo tono non ammettesse repliche.
Daniele chiuse gli occhi, fece un sospiro e si accomodò di nuovo al posto del passeggero mentre Adriano si sedette al posto del guidatore e mise in moto. Aspettò qualche secondo prima di partire e, mentre la strada sfrecciava accanto a loro tutta identica — alberi e cespugli, cespugli e alberi — nessuno parlò. Solamente verso la fine del tragitto alla casa che condividevano con il loro gruppo di amici, Adriano ruppe il silenzio.
 
«Trovato qualcuno di interessante, oggi?»
 
Daniele scosse la testa, scrollando anche le spalle, e disse di no. Non era la giornata giusta, replicò. Non è mai la giornata giusta.
 


 

 

Infilò le chiavi nella toppa e le girò con lentezza, entrando nel salotto disseminato di vestiti. Era incredibile la quantità di sporcizia che un gruppo di ventenni senza il minimo giudizio riuscisse a produrre. Scrollò le spalle e li ignorò, consapevole che i propri erano ben riposti nell'armadio, puliti e pronti per essere indossati.
Vide la porta di una camera socchiusa e la curiosità che tanto lo contraddistingueva fece in modo che si fermasse a osservare la scena chiaramente visibile al suo interno: due ragazzi erano impegnati in attività ricreative e — quando riconobbe i loro volti — trattenne a stento una risata; Giacomo e Laura, sua sorella, ancora convinti che la loro tresca fosse segreta, quando in realtà tutti sapevano che la loro storia andava avanti dall'inizio dell'estate, a giudicare anche dai rumori che sempre più spesso disturbavano la quiete dell'appartamento. Ovviamente non erano così silenziosi come credevano.
 
«Buon pomeriggio» li salutò dallo spiraglio della porta, ridendo di gusto quando vide i due staccarsi di scatto, come separati da forze maggiori. «Tranquilli, potete anche smetterla con questa farsa; lo sanno tutti che scopate. I muri non sono così spessi.» li informò, con un sorriso, guadagnandosi un'occhiataccia dalla ragazza che, non appena si fu resa conto di chi li aveva interrotti, gli lanciò un’occhiata minacciosa.
 
«Piantala di fare lo stronzo, Daniele!» gli urlò dietro con tono arrabbiato.
 
Il ragazzo fece una risata, ammiccandole, per poi chiudere la porta e dirigersi in camera.
 
Prima di sedersi sul letto mise un CD nel piccolo stereo rosso che possedeva da una vita, e la stanza si riempì di una musica che ormai conosceva a memoria. Era un mix di canzoni che, circa un anno prima, suo fratello Andrea aveva creato per lui, contenente i pezzi di tutti gli artisti che adorava. La musica gli entrò nelle orecchie e di conseguenza le sue labbra cominciarono a muoversi ma, ad un certo punto, la voce gli si spense e Daniele chiuse gli occhi. La voce del fratello gli esplose nella mente sovrastando ogni parola, e non poté faro altro che stringersi nelle proprie braccia, portare le ginocchia al petto e aspettare che tutto passasse.
 
«Tieni, ascolta un po' di buona musica.» gli porse il CD con un sorriso che si estendeva fino agli occhi allegri e di un castano chiaro che a volte diventava verde, così diversi dai propri.
«Non mi piace molto la musica, lo sai.» ribatté, ma lo aveva afferrato comunque e infilato nella borsa che portava a tracolla, dopo averlo fissato per un momento.
«Tu provaci, vedrai che ti piacerà.»
 
E gli era piaciuto, perché Andrea lo conosceva, sapeva tutto di lui e di quello che gli piaceva, più di chiunque altro.
Un urlo dal profondo della sua gola raggiunse le labbra, che lottarono fino allo stremo per non farlo uscire, ma alla fine furono costrette a schiudersi e lasciare che quello che sentiva venisse esternato.
Dopo quelli che sembrarono secondi, ma forse furono ore, un paio di mani si chiusero sulle proprie braccia, separandole dal resto del suo corpo. Solo in quel momento si accorse di avere le guance rigate di lacrime e le unghie conficcate con forza nei palmi, quasi a farli sanguinare.
 
«Daniele, guardami.» gli sussurrò una voce gentile, che però in quel momento servì solo a fargli venire la nausea.
«Non toccarmi. Non osare... toccarmi, o parlarmi, o guardarmi
«Daniele, non è colpa tua.»
«Stai zitta!» la rabbia gli esplose in corpo, e allontanò Laura con forza, senza curarsi del dolore nei suoi occhi. Sapeva di averla ferita, voleva ferirla, voleva che sapesse quanto la odiava e quanto odiasse guardare i suoi occhi così simili ai suoi.
«Basta, Daniele.» un'altra voce, più profonda, maschile, lo interruppe e lui spalancò gli occhi vedendo Adriano venire verso di lui. Ma questa volta non aveva intenzione di farsi fare la ramanzina, nemmeno dal proprio migliore amico.
 
«Vaffanculo. A te, e anche a te. Vaffanculo a tutti!» urlò, e lasciò la stanza sbattendo la porta.
 
Adriano chiuse gli occhi e si sedette sul letto, con il viso tra le mani. Odiava vedere il proprio migliore amico in quelle condizioni, soprattutto perché non poteva aiutarlo dal momento che rifiutava di aprirsi. Teneva tutto dentro, e le cose non dette si accumulavano dentro di lui a formare come una fortezza.
 
«Dovremmo portarlo da qualcuno, Adriano.»
Il ragazzo scosse la testa, passandosi una mano tra le ciocche bionde. Non era una buona idea, affatto. Daniele aveva solamente bisogno di superare la colpevolezza che portava dentro di sé, ma di sicuro non l'avrebbe costretto ad andare nello studio di uno psicologo. Avrebbe aspettato che fosse riuscito ad aprirsi, non importava quanto ci sarebbe voluto.
 
 

 
 
Daniele era seduto sul muretto davanti alla loro casa. Era una villa degli anni quaranta, ristrutturata, che apparteneva alla sua famiglia da innumerevole tempo. Suo padre l'aveva messa a disposizione per tutta l'estate, e ora era popolata dal suo gruppo di amici.
Spesso era divertente avere tutta quella gente attorno, ma altre volte desiderava solamente rimanere da solo senza nessuno che potesse entrare all'improvviso in camera sua e interrompere qualsiasi cosa stesse facendo.
Era talmente perso nei propri pensieri — ricordi, sprazzi di luce, suoni, rumori e urla — che non si accorse che una figura si era seduta accanto a lui, lasciando penzolare i piedi nel vuoto che li separava dal suolo terroso.
 
«Sai, mia sorella è morta quando avevo diciassette anni.» Daniele si riscosse e guardò le guance di Viola farsi appena più rosse, quando si accorse che finalmente la stava ascoltando. Non rispose, lasciando semplicemente che continuasse con un'espressione di finto disinteresse sul volto. In realtà, era incuriosito da quella storia cominciata con una semplice affermazione.
 
«Lei ne aveva ventidue, ed era il punto fisso della mia vita. Era brillante, intelligente e aveva avuto successo e fortuna nella vita, nonostante fosse giovane. Era quanto io non sarei mai stata e la ammiravo per questo. Non eravamo esattamente confidenti, forse perché lei era troppo più grande di me, ma sapevamo comunque quasi tutto l'una dell'altra. O forse non sapevo proprio tutto, io, perché un giorno l'abbiamo trovata nella sua stanza, morta.»

Viola si fermò, per deglutire, e a riordinare i pensieri che probabilmente gli vorticavano nella mente da quando aveva deciso di confidargli tutte quelle cose.
Daniele sapeva che non era una cosa facile; lui ancora non riusciva a parlare della morte di Andrea, nonostante fossero passati ormai due anni. Mentre il ricordo di quegli attimi gli riempivano la testa, Viola ricominciò a parlare.

«O meglio, io l'ho trovata, e non è stata una bella scena. Un'overdose di eroina. C'era ancora la siringa stretta tra le sue dita. E a quel punto mi sono chiesta: se avessi parlato di più con lei, sarebbe cambiato qualcosa? Lei mi avrebbe detto di avere un problema? La figlia perfetta era segretamente una drogata, mentre io, che ero assolutamente ordinaria, amavo i fumetti e passavo le mie giornate a guardare telefilm, ed ero costantemente rimproverata per questo. Per un momento sono stata arrabbiata con Anna, e felice che fosse morta. Ora ero io l'unica figlia che potevano e dovevano amare. Ma un secondo dopo mi sono sentita terribilmente in colpa, e in qualche modo mi sono assunta il peso del suo gesto. Non mi ero resa nemmeno conto di essere rimasta in piedi, nel mezzo della stanza, a fissare il cadavere di mia sorella. Sono scesa in cucina dai miei genitori, e probabilmente dovevo sembrare assolutamente sconvolta, perché si sono precipitati a chiedermi cosa fosse successo. E tutto quello che ricordo di aver detto è stato: “Anna è morta”, in tono assolutamente normale, come se avessi appena commesso il suo omicidio.»

Sulle sue labbra aleggiava un vago sorriso, amaro, come se nella sua testa, ricordando, fosse tornata a giudicare la sorella per quel gesto.

«Da quel momento ho smesso di fare qualsiasi cosa. I miei genitori mi portavano da uno specialista, ma io mi rifiutavo di parlarci. Mi rifiutavo di mangiare, fino a quando non sono diventata praticamente uno scheletro. Mi rifiutavo di fare qualunque cosa che non fosse cercare di capire cosa avrei potuto fare per evitare che ci fossero altre “mia sorella”.»
Prese un piccolo respiro; le labbra si schiusero appena e Daniele fissò il suo petto abbassarsi e alzarsi velocemente, i polmoni in cerca d'aria. Quando riprese a parlare, la voce era più lenta e calma.
 
«Passavo le giornate sul computer, cercando storie simili alla mia, cercando di documentarmi, fino a quando non ho trovato la mia uscita di sicurezza.»
 
Daniele alzò le sopracciglia, senza capire. Lei se ne accorse e fece un sorriso, voltandosi appena verso di lui; il resto del tempo aveva parlato guardando il panorama davanti a sé: una pineta non troppo folta che lasciava intravedere il mare in lontananza, ora colorato dall'arancione tipico del tramonto. «La mia uscita di sicurezza è stata trovare questo gruppo di sostegno per giovani con problemi di dipendenze: droga, alcool, fumo... ma anche supporto per qualsiasi altro tipo di problema. Da quel momento faccio la volontaria, e sono come rinata, nonostante i segni ci siano sempre. Solo che non li faccio vedere a nessuno.»
 
«Ti nascondi.» Daniele parlò per la prima volta da quando Viola era arrivata, e la sua voce suonò strana persino alle proprie orecchie, come fosse stato abituato per troppo tempo a non sentirla.
 
«Forse. Forse temo che se facessi vedere quello che ho passato, tutti penserebbero che sono una strana.»
 
Daniele stette in silenzio, fissando gli occhi sul sole che stava per scomparire dietro alla linea immaginaria dell'orizzonte. «Tutto questo per che cosa?»
 
Viola sorrise, ma lui non lo vide. «Perché penso che anche tu sia uno strano come me. L'unica differenza è che devi ancora trovare la tua uscita di sicurezza.» sussurrò, alzandosi e avviandosi verso l'ingresso della casa.
 
«L'hai mai detto a qualcuno? Quello che mi hai raccontato, intendo.» le chiese, prima che sparisse dietro al cancello di ferro battuto, nero e scrostato in molti punto.
 
«Oh, sì; è la mia presentazione preferita. “Ciao, sono Viola, ho ventitré anni, una sorella morta e un problema passato di depressione che potrebbe presentarsi di nuovo da un momento all'altro”. Figo, non credi?»
 
E con quelle parole lo lasciò solo.
 
Non gli aveva risposto, in ogni caso.
 
Daniele sorrise.
 
Quella ragazza non era affatto male.
   
 
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