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Autore: aschemia    09/06/2016    1 recensioni
Eravamo uno vicino all'altro, senza guardarci negli occhi, con lo sguardo verso l'infinito. Nessuna luce, nessuna voce, solo il rumore delle onde ci cullava. Solo noi, mano nella mano, con il freddo della notte che entra nelle ossa ed un sorriso nel viso. E in quel momento capì: eccola la felicità, eccola la vita.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è facile capire chi siamo. Non è facile imparare a descriversi, anche se è una delle prime cose che ci insegnano a fare. Quando siamo piccoli ci viene detto che siamo bambini dolci o movimentati oppure capricciosi e tutto inizia da lì. Cresciamo con certe convinzioni e ci abituiamo ad essere ciò che ci è stato detto. Io, beh, io sono sempre stata la bambina silenziosa, quella che non disturba, che non attira mai l'attenzione e che si nasconde. Così crescendo ho creduto di essere così, di non poter mai essere notata, di dover stare in silenzio. Ero diventata la ragazzina timida, introversa, quella che viene invitata alle feste solo per fare numero. Non parlavo molto, stavo sempre da sola con un grande senso di angoscia che mi tormentava. Era come se mi trovassi al confine di un limite che non potevo scavalcare, al di là del quale c'erano tutte quelle cose che avrei voluto fare. Non potevo uscire e andare alle feste, non potevo iniziare una lite con qualcuno che mi aveva fatto un torto, non potevo andare a chiedere il numero del ragazzo che mi piaceva. Semplicemente non erano cose adatte a me, alla mia personalità, mi dicevo. Mi ero convinta anche io di essere quella persona e dentro di me reprimevo desideri e istinti e coltivavo una tristezza e una rabbia insana. Era come se mi costringessi ad essere qualcun altro, a mettere una maschera e fingere che mi stesse bene. Ma non era così. Io non stavo bene. Io non ero me stessa e non riuscivo a capirlo. Passavo le giornate chiusa in casa e la maggior parte del tempo dormivo. Non riuscivo a piangere ma sapevo di essere triste, anche se non riuscivo a capire il perché. Non ero soddisfatta di chi ero, di cosa facevo e mi odiavo. Odiavo tutto di me: il mio fisico, la mia insicurezza, il mio volto, il mio modo di parlare, la mia stupida paura del mondo, la mia costante ansia. A volte guardandomi allo specchio mi dicevo che il mondo sarebbe stato un mondo migliore senza di me, che assomigliavo più a una specie di invertebrato più che a un essere umano, che stavo infettando, con la mia esistenza, la vita di chi mi era vicino. Ero però così codarda da non riuscire a dire a nessuno cosa pensavo; non volevo attirare l'attenzione su di me e non volevo sentire qualche banale parola di conforto. Ero stufa di sentirmi dire dalle mie amiche che le mie erano solo fasi, che il mio era solo un atteggiamento e che le cose sarebbero cambiate. Le cose non cambiavano mai. Non importa quanto io ci provassi, quanto mi sforzassi di essere più forte, il mio destino era ormai stato designato e io sarei stata una perdente per il resto della vita, un'adolescente che non ha nemmeno il coraggio di togliersi la vita. Ecco chi ero, chi credevo che sarei stata. Ma come ho detto non è facile capire chi siamo. A volte infatti ci sono così tanti veli da strappare prima di poter scoprire il nostro vero volto, così tante strade da percorrere prima di raggiungere la meta. A quel tempo non lo sapevo, credevo di essere immobile, credevo di essermi arresa, ma non era così. Intanto però guardavo i miei amici fare esperienze, incontrare persone nuove, andare avanti con la loro vita con un senso di spensieratezza che mai avevo provato. Sentivo che il tempo trascorreva così velocemente e io non ero riuscita ancora a fare nulla. Poi una sera, dopo continue richieste da parte di una vecchia amica che non vedevo da molto, decisi di unirmi al suo gruppo. Mentalmente ero pronta ad una delle solite serate e alle solite domande e ai soliti sorrisini di pietà. Decisero di andare in spiaggia e per buona parte del tempo rimasi seduta sulla sabbia a guardarli ridere e giocare. Perché non ero come loro? Perché non riuscivo a lasciarmi andare? Dio, quanto avrei voluto scrollarmi da dosso tutto quel peso, alleggerire la testa ed essere un'altra persona per quella sera. Mentre mi tormentavo con queste domande, un ragazzo della comitiva si avvicinò e si sedette accanto a me. Rimanemmo in silenzio per un po' e alla fine mi chiese "Hai mai fatto qualcosa senza mai pensarci troppo?". Non risposi, non mi voltai neanche, rimasi a fissare il mare di fronte a me cercando nella mia mente qualche battutina sarcastica. Ogni mia ipotetica risposta fu spazzata via quando quello strano tipo mi prese la mano e mi disse, sorridendomi "Sei una persona brillante, si vede." Eravamo uno vicino all'altro, senza guardarci negli occhi, con lo sguardo verso l'infinito. Nessuna luce, nessuna voce, solo il rumore delle onde ci cullava. Solo noi, mano nella mano, con il freddo della notte che entra nelle ossa ed un sorriso nel viso. E in quel momento capì: eccola la felicità, eccola la vita. Non dovevo essere diversa, non dovevo cambiare, non dovevo assomigliare ai miei amici. Quello che avrei dovuto fare era riuscire a imparare a guardarmi da un'altra prospettiva, dovevo liberarmi di tutto ciò che mi opprimeva lo stomaco e ricominciare di nuovo. Ciò che dovevo fare era capire chi ero e non lasciare che qualcun altro lo decidesse per me. Io non ero silenziosa, io non ero timida, io non ero introversa, io non ero solitaria. No, io ero brillante e quello sarebbe stato il mio punto di partenza per il mio viaggio alla ricerca di me stessa.

   
 
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