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Autore: Vago    10/06/2016    2 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 La strada sassosa continuava a salire mentre i piccoli pini che la costeggiavano si facevano sempre più radi.
Hile si voltò indietro di colpo, facendo sbattere l’arco che teneva a tracolla contro qualcosa dentro la bisaccia, forse la borraccia.
La luce del sole sembra rincorrerli. Era mattina inoltrata, ma ancora non c’era traccia dei caldi raggi su quel versante dei Muraglia. A valle le prime colline cominciarono a risplendere grazie alla rugiada che si era posata sulle larghe foglie delle viti e sugli acini scuri oramai ben vicini alla loro raccolta.
Un tornante e una trentina dei metri più in basso il Drago e il Corvo arrancavano lungo il sentiero in terra e pietre, spingendo con le mani sulle ginocchia ogni volta che un masso si presentava come gradino naturale.
Nonostante fossero mesi che viaggiavano assieme, c’era ancora un abisso di differenza tra lui e le due ragazze per quel che riguardava la forza nelle gambe.
Il Lupo si era fatto lasciare gli oggetti più pesanti, in modo da consentire al gruppo un passo più svelto di quello che avrebbero tenuto altrimenti.
L’assassino si sistemò la corda dell’arco in modo che appoggiasse sulla sua clavicola, poi tornò a guardare il panorama. Una grossa nuvola bianca gettava la sua ombra sulla terra, gettando oscurità su tutto quello che si trovava sul suo cammino.
Avevano avuto fortuna. Due giorni dopo la loro partenza da Zadrow avevano incontrato una carovana di mercanti che avevano assoldato due Aquile e un Serpente come scorta. Bastò far vedere il tatuaggio sul polso per assicurarsi un passaggio fin sotto le pendici dei Muraglia.
Maga e arciere arrivarono al piccolo spiazzo nel quale si era fermato il Lupo.
- Volete fermarvi un attimo a riprendere fiato? – chiese Hile sistemandosi la tracolla contro il fianco.
- No… non voglio farti perdere tempo… - gli rispose Keria con il fiato corto. – Vuoi che mi riprenda il mio arco? Ti da fastidio? –
- No, lo tengo io, tranquilla. Dai, tanto la giornata è ancora lunga e non abbiamo una scadenza, da quanto so. Riposatevi un poco. –
Non si sarebbero dovuti fermare, Hile lo sapeva, ma anche se avessero continuato non sarebbero andati molto lontani. Per lo meno lì dov’erano c’era ancora ombra e un dolce venticello fresco.

Non era un percorso così complicato. Una qualunque famiglia cittadina avrebbe potuto arrivare al passo in una giornata di cammino, ovviamente scarica dai bagagli. Hile calcolò che, da solo e con solo il peso dei propri oggetti, ci avrebbe potuto impiegare poco più di quattro ore a percorrere i millecinquecento metri di dislivello che separavano la sua meta dalle colline sottostanti.
Le sei ore che impiegarono, pensò il Lupo, erano tutto sommato un buon tempo, probabilmente frutto anche dei mesi di marce giornaliere.
Le sacche caddero accanto a una roccia mentre il sole batteva sulla terra sterile e sulle pietre rossicce del passo. Poco più di una decina di metri in piano divideva il versante occidentale da quello orientale delle Terre.
Sulla parete che limitava a nord il passo, una ripida scala scavata nella roccia saliva verso una torre in mattoni, un belvedere che permetteva allo sguardo di spaziare sul paesaggio per decine di chilometri.
Al centro del pianoro una statua alta più di un metro e mezzo dominava il luogo sulla sua pedana.
La scultura era in marmo bianco, bellissima nonostante lo sporco che si era depositato negli anfratti e negli incavi della pietra. La figura era quella di una fata dalle membra esili, le punte dei piedi toccavano appena la base mentre il braccio destro si allungava verso il cielo. Le ali erano state fermate completamene distese e lo sguardo puntava verso le alte nubi. A completare la statua, era stata scolpita una borsa da viaggio a tracolla della fata ingigantita.
Hile girò intorno a quell’opera d’arte, fermandosi accanto a una targa incastonata nel marmo.
“ Con questa statua voglio ricordare la fata che passò per questo passo per portare ai ribelli orientali gli ordini del Cavaliere Ardof, rischiando perfino la sua vita nell’impresa. Voglio sperare che chi passi da questo luogo in futuro possa esserne ispirato. Vago Tocsin, governatore della Terra degli Eroi.”
- Hile, a terra! – urlò una voce alle sue spalle.
Il cervello non ebbe il tempo di elaborare il messaggio, ma anni di addestramento avevano reso i suoi muscoli scattanti. Le gambe si piegarono in una frazione di secondo mentre le mani correvano ai due pugnali conservati nei foderi alla cintura. Gli altri dieci erano accuratamente riposti assieme all’abito da cerimonia nella sacca.
Il Lupo fece correre lo sguardo tutto intorno.
Il tempo pareva essere stato rallentato mentre il cuore dell’assassino batteva ritmico e rumoroso nel suo petto.
Un’ascia da boscaiolo passò là dove poco prima si trovavano le spalle del ragazzo.
Dietro di lui la grassa pancia di un nano copriva una porzione di cielo.
Era do solo? Si. No, c’erano altre due ombre dalle spalle larghe.
Sulla parete di fronte al lanciatore di coltelli si condensò per poco più di un secondo la figura, alzando tre dita, per poi tornare a confondersi tra le ombre delle rocce.
Erano solo tre, ne aveva la conferma.
Mea e Keria si mossero veloci verso le sacche, almeno loro non erano ancora state attaccate.
Le lame vennero estratte completamente dai foderi.
Hile ruotò il busto verso destra, facendo compiere una larga mezzaluna al primo coltello sotto la prominente pancia che lo sovrastava. Le gambe lo spinsero lontano dal fiotto di sangue che uscì dalla ferita mentre l’aria si riempiva di urla incomprensibili.
Come avevano potuto prenderlo alla sprovvista? Si era distratto, non era rimasto in guardia. Non sarebbe più successa una cosa del genere.
I sensi tornarono ad acuirsi.
Un rumore di passi riverberò nella terra a destra.
Doveva fidarsi dei suoi compagni di avventura e rimanere concentrato.
Si abbassò di nuovo e una spada corta e larga gli fischiò sul capo.
Tornò a muoversi contro il suo obbiettivo, ignorando la freccia che frusciò a pochi centimetri dal suo viso per andare a colpire la gola del secondo aggressore.
Hile saltò in alto, lanciando un coltello verso la fronte della sua preda.
Una palla di fuoco illuminò il campo di battaglia, incenerendo una freccia in volo e colui che l’aveva scagliata.
La testa del nano armato di ascia risentì del contraccolpo della lama piantata nel cranio, lasciando il mento alto e la gola in vista.
Il coltello ancora stretto tra le dita si fece largo tra le vene e i muscoli, andando da disegnare un profondo solco che ben presto prese a ospitare copiosi zampilli di sangue che usciva a ritmo con i battiti sempre più lenti di quel cuore morente.
Il tempo riprese a scorrere normalmente agli occhi del Lupo.
- Da dove diavolo sono comparsi, quelli? – chiese Hile voltandosi verso le compagne di viaggio.
Mea si portò fin sul limitare del piano, là dove il sentiero riprendeva in discesa verso il versante orientale. – Credo di potertelo dire io. Qui sotto c’è un campo montato. Credo fossero reietti del regno nanico. –
Il lanciatore di coltelli si sedette di fianco al cadavere della sua vittima, pulì la lama dei coltelli dal sangue e li mise nei rispettivi foderi. Poi intinse l’indice e il medio nel liquido vermiglio che ristagnava nella ferita al collo, offrendo quella preda a Oscurità come segno del proprio impegno. La sua prima vittima. La prima preda che colpiva. Si sentiva leggermente disorientato, ma non provava null’altro nell’animo a quel pensiero.
Poco distante Keria pianto con forze la punta di una freccia sotto lo sterno della sua vittima, mentre la mezzelfa poggiava un foglio con un glifo tracciato sopra sulla fronte del cadavere carbonizzato.
Quando tutti ebbero finito i loro rituali, tornarono a guardarsi in silenzio.
- Credo che qui ci dovremmo salutare.- disse Hile gettando uno sguardo alla scalinata che portava al belvedere. Quella, probabilmente, era la sua strada.
Il ragazzo venne preso alla sprovvista quando ricevette i due abbracci successivi. Erano compagni di viaggio da tempo, avevano condiviso esperienze di tutti i tipi, ma non si erano mai lasciati al contatto fisico, forse anche per via dell’impronta che la setta aveva dato loro.
Il Lupo, dopo gli ultimi saluti, non poté far altro che guardare la schiena della maga e dell’arciere allontanarsi con il sole alle spalle.

L’ombra si condensò al suo fianco, con il profilo rivolto a est.
- Che ne dici? Puliamo questo disastro e ci incamminiamo? – chiese Hile spostando lo sguardo verso i cadaveri che avevano trascinato contro la parete rocciosa perché non dessero fastidio.
La risposta dell’ombra fu un’alzata di spalle.
Al ragazzo parve che la figura stesse guardando qualcosa nelle Terre dell’Est e che quel gesto celasse forse una preoccupazione. Ma si tolse dalla testa quei pensieri, aveva capito da tempo che quell’ombra non era altro che una proiezione dei suoi pensieri, che altro poteva essere?
I corpi dei tre nani caddero pesantemente sul fianco del monte, rotolando per diversi metri di dislivello per poi perdersi tra gli arbusti.
Hile prese quindi un respiro profondo guardando la scalinata di fronte a lui e, in cima a questa, la torre che si alzava verso il cielo.
Mise il piede destro sul primo scalino e cominciò la salita, mentre l’ombra si dileguava alle sue spalle.


Detesto queste situazione. Non le sopporto.
Già ringrazio che non mi abbiano aggiunto anni di pena per qualche cavillo.
Quei maledetti si ricorderanno che io sto seguendo una missione non proprio facilissima? No, ovviamente.
Scusatemi, non ci starete capendo nulla.
Potrei lasciarvi così, confusi, ma poi non riuscireste a starmi dietro.
In sintesi: Sono entrato nel palazzo di giustizia di Gerala, qui mi Loro mi hanno accolto con un posto vuoto. Cosa significa? Che hanno fatto fuori un membro scomodo. Quindi gli ho fatto rapporto sull’andamento della mia missione. Mi sono girato e ho aperto la porta. E loro mi hanno bloccato.
Maledizione. Non solo mi hanno affidato un’altra missione disgustosa, ma, tra l’altro, non posso neanche portarla a termine ora che non ho troppe preoccupazioni, tipo una guerra in corso. “Devi aspettare il nostro segnale” hanno detto. Quindi, oltre che fare da mamma a quei sei mocciosi, dovrò tenere anche le orecchie dritte per sentire se nel bel mezzo della Grande Vivente viene suonato un tamburo con un diametro di quindici metri.
Si, hanno voluto fare le cose in grande.
Questa storia finirà malissimo. Me lo sento.
Comunque, vediamo di raggiungere la Piana Infinita, dovrebbero essere lì le ultime due.


La discesa dai monti fu particolarmente tranquilla per le due assassine. Non incontrarono altri campi di reietti lungo la loro strada e riuscirono a raggiungere le prime colline prima che il cielo si incupisse completamente.
La mattina seguente anche loro si dovettero salutare. Mea sarebbe salita verso Nord, dove, da qualche parte su quelle colline, si nascondeva la sua meta; Keria avrebbe invece continuato verso Est, seguendo per un breve tratto le sponde del fiume Serat dove, così diceva il suo pezzo di mappa, qualcosa l’avrebbe attesa.
L’arciere guardò per un attimo la compagna che si allontanava, scendendo velocemente la dolce discesa in mezzo all’erba alta, poi guardò di fronte a se. In meno di una giornata avrebbe raggiunto la linea azzurra che brillava in mezzo alla pianura di fronte a lei. Bastava un ultimo sforzo, nulla, in confronto di quello che aveva fatto per arrivare fin lì. 

   
 
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