Anime & Manga > Psycho-Pass
Ricorda la storia  |      
Autore: Rumyantsev    10/06/2016    1 recensioni
S’impose di calmarsi, chiamare i rinforzi e uscire da lì a prendere aria pulita per i suoi poveri polmoni. Ma qualcosa dietro la tenda si mosse. Fu un attimo.
Un uomo alto venne fuori, indossava un completo logoro, simile a quelli che indossavano gli Esecutori e… uno di quei caschi di Makishima.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Akane Tsunemori, Shinya Kogami, Shion Karanomori, Yayoi Kunizuka
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Attenzione! la storia tiene conto unicamente degli eventi della prima stagione. Leggetela dimenticando temporaneamente la s2 e il film. 

Due cose prima di leggere: ho riflettuto molto se postare nuovamente anche questa o lasciar perdere. Per come la vedo io, è una delle cose più brutte (per contenuto, soprattutto) che abbia mai prodotto e non rimpiango di averla cancellata. Tuttavia, alcuni l'avevano letta, commentata, messa tra i preferiti, e questo non lo posso ignorare (sebbene non lo comprenda). Mi sembra giusto per quelli che, avendola apprezzata, desiderebbero rileggerla, renderla nuovamente disponibile. 

 


Like the long winded blues of the never 


Con un cenno del capo fece segno a Ginoza di avanzare. Svelto, silenzioso, si mosse verso la porta. Guardò Akane in cerca del suo assenso, e prontamente lei annuì. La porta fu sfondata, Yayoi e Ginoza entrarono, i Dominator all’altezza del viso. Si separarono per entrare nelle stanze a destra e a sinistra del corridoio vuoto. Akane entrò per ultima, camminando verso il salotto, ignorando per quanto potesse il terribile puzzo di piscio, marciume e decomposizione. Ci aveva in parte fatto il callo, il suo lavoro era quello che era.
Si guardò intorno. L’appartamento era disabitato da qualche tempo, com’era giusto che fosse. Si trovava in uno di quei distretti abbandonati della città in cui non era raro trovare qualche criminale latente a zonzo. Capitava anche spesso che uno dei suddetti criminali rapisse e trascinasse, in quei luoghi che l’occhio del Sibyl non poteva raggiungere, un ignaro passante. Ovviamente, ci voleva fortuna per eludere controlli e telecamere. Quella volta era toccata a una bambina.
Si affacciò in cucina, tenendo sempre alta la guardia nonostante dubitasse che lì ci fosse qualcuno vivo oltre a lei e i suoi sottoposti. Notò con ribrezzo che il pavimento era ricoperto di cibo ammuffito e… sangue. Non si trattenne oltre, raggiunse l’unica porta chiusa accanto ad una libreria vuota dal legno spaccato e marcio. Non aspettò gli Esecutori, per quanto fosse imprudente, non era abituata a considerare la vita altrui meno importante della propria. Anche se i suoi sottoposti erano percepiti dal sistema come cani, lei non avrebbe accettato che morissero per lei. Ne aveva lasciato morire uno, e un altro era fuggito… Già. Dopo aver conosciuto lui come avrebbe potuto sottovalutare l’umanità di un Esecutore?
Scosse la testa, per allontanare quel pensiero. C’era una bambina da salvare – o, più realisticamente, un cadavere da trovare.
Girò la maniglia, silenziosamente – per assecondare una prudenza che sapeva essere inutile ma non riusciva ad abbandonare -, e, riafferrato saldamente con entrambe le mani il Dominator, la aprì del tutto con una spallata.
La stanza era in penombra, la poca luce era filtrata dalle tende viola scuro, vecchie e lise, che coprivano il balcone aperto. L’aria, malgrado ciò, era pesante, stantia. Alle narici di Akane arrivò per prima la puzza di morte cui era avvezza ormai, e gli occhi scattarono fulminei sulla figura stesa sul letto. La bambina, morta, non doveva avere più di undici anni. Nuda, il corpo pieno di lividi, coperto di sangue. Akane fece appena in tempo a vedere che le mancava l’occhio nell’orbita destra prima di dover distogliere lo sguardo. La necessità di piangere era forte, ancora di più lo era quella di vomitare. Non aveva da tempo una reazione simile alla vista di un cadavere. S’impose di calmarsi, chiamare i rinforzi e uscire da lì a prendere aria pulita per i suoi poveri polmoni. Ma qualcosa dietro la tenda si mosse. Fu un attimo.
Un uomo alto venne fuori, indossava un completo logoro, simile a quelli che indossavano gli Esecutori e… uno di quei caschi di Makishima. Akane ebbe una fitta al cuore. Senza ragionare, non collegò gli elementi che in un altro momento le sarebbero apparsi chiari, non pensò neanche per un attimo che quella persona poteva essere la stessa che aveva sognato tutte le notti da sei mesi a quella parte… pensò invece che l’assassino fosse ancora lì. Voleva urlare “sei in arresto” o “fermo” o una di quelle cose che solitamente urlano i poliziotti quando trovano il colpevole con le mani nel sacco. Però lui se ne stava lì, con le mani ben in vista, il Dominator che continuava a ripeterle in testa il suo stesso nome e coefficiente di criminalità e che la sicura era bloccata. Akane ricordò come in un flash quando Shinya Kogami aveva dedotto in neanche dieci minuti il funzionamento di un casco che era uguale in tutto e per tutto a quello che ora indossava quell’uomo…
Nella sua testa ci fu un black out. L’arma le sfuggì dalle dita, si portò una mano alla bocca. Gli occhi si riempirono di lacrime. Continuava a ripetersi che non era lui, che non poteva veramente essere lui, non lì, non così. Ma gli abiti erano i suoi, il casco era il suo, la statura era la sua – e Akane se lo ricordava bene, benissimo, com’era fatto lui. E poi perché stava fermo? Se non era lui avrebbe già dovuto attaccarla, i criminali disperati solitamente fanno così. E se fosse stato lui? Cos’avrebbe fatto, lui, in una situazione del genere?
Ma poi, davvero lui si sarebbe lasciato trovare così? Così impreparato? Non era da lui.
«Ispettore?».
Yayoi era entrata nel salotto. Da dove si trovava, poteva vedere soltanto la schiena di Akane in piedi sull’uscio. Akane tremò.
Se l’avessero trovato… se Ginoza l’avesse trovato per lui sarebbe stata la fine. Prima ancora di formulare un pensiero razionale mimò con le labbra “vattene”, e se avesse potuto guardarsi allo specchio, si sarebbe vergognata della supplica muta e straziata che esprimevano i suoi occhi. Avrebbe voluto essere sola, per strappargli via quel casco e…
Lui scostò la tenda e sparì senza voltarsi o esitare. Yayoi strinse la sua spalla con una mano. Akane restò congelata. E se se ne fosse accorta?
«Tutto bene?» mormorò, abbassando impercettibilmente il tono rispetto a prima. Aveva probabilmente notato il cadavere. Akane non si voltò, per non mostrarle quanto stravolto fosse il suo viso.
«Sì. È solo che…» accennò con la testa alla bambina. La presa di Yayoi si fece più forte sulla sua spalla.
«Togliamola da lì e poi prendiamo quel bastardo» asserì, per poi richiamare Ginoza.
 
***
 
Il rumore dei tacchi che cozzano sul pavimento accompagnò Shion per tutto il tragitto dal proprio laboratorio all’alloggio di Yayoi. L’altra stava sdraiata sul divano, con le sole mutande addosso e sembrava perfettamente a proprio agio quando Shion posò lo sguardo su di lei. D’altronde non poteva certo aspettarsi una reazione da ragazza pudica quando aveva visto quello stesso corpo nudo in molte altre occasioni sicuramente meno caste di quella.
«Che accoglienza» commentò, sfilandosi le scarpe e le calze e accomodandosi a sua volta sulla poltrona proprio di fronte a Yayoi.
Yayoi non sorrise né diede segno d’averla ascoltata in nessun modo. Shion percepì immediatamente che qualcosa non andava. Non che fosse particolarmente espressiva, Yayoi, ma Shion era brava a leggerle dentro.
«È successo qualcosa?». Cercò di attingere alle poche informazioni che aveva in testa: sapeva che Akane-chan, Gino e Yayoi erano stati mandati a indagare sulla scomparsa di una bambina. Di più Yayoi non le aveva detto la sera prima. Che qualcuno fosse rimasto ferito?
«L’ho visto» affermò l’altra, criptica.
Shion sapeva di chi si trattava. Aveva scoperto la posizione di Shinya Kogami due mesi prima. Imprudentemente aveva permesso che il suo Psycho Pass fosse rilevato in strada da uno scanner. Immediatamente era stata inviata una segnalazione in laboratorio. Shion non aveva rivelato nulla a nessuno – ad eccezione di Yayoi, ma si poteva dire che lei se ne accorse da sola. Anche lei aveva un particolare talento nel leggere Shion. – e da allora era in contatto con Kogami. Cancellava di volta in volta le segnalazioni che arrivavano in laboratorio, nonostante lui fosse molto cauto nel muoversi in giro per la città. Camminare per strada con il casco costantemente addosso era impensabile: dopo il caos che era scoppiato quando Makishima era ancora in vita se qualcuno l’avesse visto ci sarebbe stato un aumento esponenziale dell’area stress che neanche Shion sarebbe stata in grado di nascondere. E se qualche telecamera l’avesse ripreso si sarebbe trovato la polizia addosso in un battito di ciglia. Perlopiù si muoveva di notte in zone in cui sapeva che la sorveglianza scarseggiava e nei famigerati distretti abbandonati, dove era però vivo il pericolo di una retata della polizia.
La prima cosa che Shion chiese a Kogami fu “devo dirlo o no ad Akane?”. Kogami era stato categorico: Akane non poteva e non doveva sapere dove lui si trovasse. Lei non aveva insistito, né chiesto perché, si era fatta un’idea propria. Era evidente che Kogami temesse di essere raggiunto da Akane e, quindi, di metterla in pericolo, ma Shion sospettava ci fosse di più, sotto tanta riluttanza.
«Anche Akane l’ha visto. Era sconvolta» aggiunse Yayoi. Un moto di compassione verso l’Ispettrice colse Shion.
«Crede che io non me ne sia accorta, non le ho detto nulla» concluse.
Shion si passò una mano tra i capelli, sovrappensiero.
«Il fatto che sappiamo dove si trova e l’abbiamo aiutato ci mette in una brutta posizione» riprese Yayoi, giacché Shion restava in silenzio. «A questo punto, visto che ci siamo dentro, tanto vale farli incontrare e chiarire. Se Akane decidesse di parlare…».
«Non lo farà. Tiene all’incolumità di Shinya molto più che a quella del sistema» parlò allora Shion, con una sicurezza disarmante.
«Lo so. Dobbiamo calcolare ogni eventualità, però. Ci ucciderebbero entrambe se sapessero. Siamo criminali latenti».
Aveva sempre ammirato la concreta durezza con cui Yayoi si poneva alle situazioni. Senza cinismo e disumanità, solo con i piedi ben piantati a terra. Se non avesse avuto Yayoi si sarebbe sentita come trasportata dal vento, alla deriva.
«Non che tu abbia colpa in tutto questo. Sono stata io ad aiutarlo, no? È affar mio» sorrise quasi con ironia.
Yayoi schiocchò la lingua, mortalmente seria: «Se è affar tuo riguarda naturalmente anche me»
«Oh, perché io ti ci trascino dentro come una scema, scommetto?»
«No, perché tu sei affar mio».
 
***
 
Akane non riusciva a smettere di pensarci. No, neanche lì, neanche mentre stava dando la caccia a un potenziale assassino nascosto, chissà dove e chissà con quanti ostaggi, in quell’enorme ospedale.
Per più di un minuto Kogami era stato a meno di tre metri di distanza da lei. Tre metri, dopo che per quella che sembrava una vita intera era stato lontano chilometri. Tre metri, e lei era rimasta impalata a farsi sopraffare dalle emozioni, come una vera sciocca. Tre metri.
Era un criminale, nel vero senso della parola. Aveva ucciso un uomo e l’aveva fatto consciamente nonostante lei gli avesse imposto, l’avesse implorato di non farlo. La giustizia bramava di essere applicata, Kogami andava catturato e sottoposto al giudizio del Dominator. E Akane, ovviamente, aveva preso il proprio ideale di giustizia, la propria morale e la propria integrità e li aveva buttati nel water per tirare poi lo sciacquone. Tre metri e non aveva mosso un dito per catturarlo.
Ma per cosa, poi? Catturarlo perché?
Il Sibyl meritava davvero di decidere della vita di Shinya Kogami? No. Akane non poteva permetterlo. Non poteva permettere che lui fosse ucciso per volontà di esseri indegni come loro. E questa, alle sue orecchie, suonava tanto quanto ipocrisia.
Aveva continuato a giudicare e uccidere criminali latenti con l’ausilio del Dominator. Lui era diverso solo perché verso di lui provava dei sentimenti? Dov’era finita la sua giustizia?
L’unica cosa certa era che lei non ce l’avrebbe fatta a vederlo morire, o a condannarlo. Era inaccettabile solo pensarci. E se l’avesse detto a qualcuno lui sarebbe morto di sicuro.
Stava cercando di elaborare una soluzione accettabile, che la mettesse in pace con la propria coscienza e che salvasse Kogami, quando un urlo belluino proveniente da dietro le proprie spalle la fece voltare. Il criminale latente che stavano cercando le correva incontro. Notò il brillio della lama di un bisturi e un dolore acuto la colpì nei pressi della pancia.
Qualcuno – probabilmente Ginoza – gridò il suo nome, il corridoio bianco si riempì dello scalpitio degli Esecutori che accorrevano. Akane si trovò zuppa del sangue del criminale appena colpito da un Dominator evidentemente in modalità Lethal Eliminator.
Poi cadde a terra.
 
***
 
Akane-chan è stata accoltellata all’addome. Sta bene. È a casa sua. Le telecamere e gli scanner nel suo quartiere saranno disattivati fino a lunedì sera, manutenzione. Di più non posso fare. Buona fortuna.
 
Rilesse per la milionesima volta quel messaggio di Shion, l’unico che non avesse cancellato un secondo dopo averlo ricevuto, per sicurezza. Akane era ferita – anche se stava bene. Poteva rivederla. Poteva parlarle.
Quando si era introdotto sulla scena del crimine era stato perché aveva deciso da subito di continuare a investigare anche da reietto della società. Tenere allenati mente e corpo era importante. Se sentiva poliziotti in avvicinamento fuggiva, era stato bravo a non lasciar tracce di sé ma poi… Poi quel giorno gli era venuta la folle idea di restare. Quante probabilità c’erano che lei sarebbe arrivata?
E lei era arrivata. Kogami era terribilmente fortunato – o sfortunato, dipende dai punti di vista. Voleva vederla, perché nonostante fossero mesi che non metteva le mani su una sigaretta la crisi d’astinenza più grande era quella da Akane Tsunemori. Era rimasta uguale. Forse i capelli un po’ più lunghi e gli occhi un po’ più stanchi, ma lei era l’Akane di sempre e non sapeva se trovare rassicurante e scoraggiante che la sua assenza non l’avesse cambiata.
Non rimpiangeva il passato. Aveva fatto ciò che aveva fatto perché lo sentiva, e gli animali, i cani, vanno avanti ad istinto. L’aveva deciso da tempo, ma conoscere lei gli aveva impedito di pensarci a cuor leggero. Non voleva lasciarsela alle spalle come tutti gli altri ma, soprattutto, non voleva che lei si lasciasse lui alle spalle.
Lei non l’aveva dimenticato, no, lo sapeva, eppure la sua testa era piena di “E se…?”. Tanti, troppi “E se…?” per uno che ha deciso di vivere di fatti.
Del messaggio di Shion non sapeva che farsene. Lei stava bene, Shion non mentiva. Allora poteva lasciar stare. Era venerdì pomeriggio. Gli sarebbe bastato tenersi lontano dal quartiere di Akane fino a lunedì sera per non essere colto neanche dalla tentazione di bussare alla sua porta.
Nulla escludeva che lei lo avrebbe potuto arrestare. Akane non avrebbe rinunciato ad applicare la giustizia per lui, o almeno così credeva Shinya. Vederla valeva il rischio, l’aveva ampiamente dimostrato facendo la stupidaggine di mostrarsi a lei la settimana prima. Sapeva che non sarebbe stato accolto con gioia, come più volte era accaduto nelle sue fantasticherie. Lo sapeva perché lui stesso glielo aveva chiesto, di giudicarlo come qualsiasi altro criminale.
Ancora una volta si chiedeva con che faccia poteva presentarsi a lei. Certo non con la sua di assassino traditore.
 
***
 
In ospedale le avevano detto che il bisturi non aveva leso alcun organo vitale, la ferita era anzi piuttosto superficiale. Era stata mandata a casa con due settimane di permesso, due settimane che erano trascorse con terribile lentezza, solo la visita di Mika e Ginoza e quelle più frequenti di sua madre e sua nonna avevano spezzato la monotonia. Stare sola proprio in quel momento non era quello di cui aveva bisogno, decisamente. Aveva creduto d’impazzire ma, malgrado ciò, il suo Psycho Pass non aveva subito mutamenti rilevanti. Se da una parte la cosa la rincuorava, dall’altra era frustrate. Una volta aveva confidato a Shion di sentirsi un’insensibile, perché com’era possibile che dopo tutto ciò che le era successo il suo coefficiente di criminalità non fosse schizzato alle stelle? Shion le aveva risposto che sentimenti e Psycho Pass sono cose differenti, senza però darle una spiegazione più dettagliata. E Akane se lo chiedeva ancora, lo Psycho Pass cos’è? E i sentimenti? Cosa sono i sentimenti? Era mostruosa la resistenza della sua tonalità.
Aveva riflettuto molto spesso su cosa l’avrebbe potuta portare a scurirsi. Non aveva molte idee a riguardo, ma sapeva bene che la vista di cadaveri, stupri e amiche assassinate non facevano effetto. Ma… se a essere ucciso davanti ai suoi occhi fosse stato Kogami? Ricordava con quanta fermezza l’aveva salvato – sparandogli, ironicamente – quando Ginoza, sobillato dalla Direttrice, era stato ad un passo dall’ucciderlo. Allora non aveva avuto il tempo di pensare all’eventualità che morisse davvero. Ora si chiedeva come avrebbe reagito il suo Psycho Pass. Sui suoi sentimenti non aveva dubbi: solo a pensarci sentiva che il cuore si spezzava a metà e sanguinava nel petto.
Ma, a quel punto, o lo condannava a morte o uccideva la propria giustizia. Doveva solo decidere di quale delle due cose era più innamorata.
 
***
 
«Non ci è andato!» sbottò Shion, improvvisamente, togliendosi la sigaretta fumata a metà di bocca, quasi con violenza, per spegnerla nel posacenere. Yayoi alzò un sopracciglio, contrariata.
«Come puoi saperlo?» si premurò di chiederle, nonostante sapesse benissimo che quella donna aveva mezzi infiniti per ottenere le informazioni che le servivano. E, infatti, lei rispose che aveva lasciato una telecamera sola accesa, proprio davanti alla porta dell’appartamento di Akane. Non per voyeurismo, figurarsi, l’avrebbe messa in camera da letto se così fosse stato. Voleva semplicemente assicurarsi che Shinya fosse uscito prima di riattivare tutti i sistemi di sicurezza.
Ma lui non ci era andato. Probabilmente non aveva neanche considerato l’idea, cancellando il suo messaggio senza degnarlo di una seconda letta.
Si passò una mano sul viso, frustrata.
«La faccenda ti assorbe più del necessario» commentò Yayoi, la quale credeva d’avere tutto il diritto di essere acida, giacché non facevano sesso da settimane per colpa dei problemi di cuore di Kogami. Lei, in verità, era più in pensiero per Akane: trovarselo di fronte dopo tanto tempo doveva essere stato traumatico. Aveva un coefficiente di criminalità solido come una roccia, ma questo non escludeva che potesse essere preoccupata e combattuta.
«Ho scommesso con Masaoka che quei due avrebbero fatto sesso entro l’anno, voglio onorare la sua memoria vincendo» scherzò Shion. Un fondo di verità c’era, la scommessa l’avevano fatta per davvero, e Masaoka aveva dei dubbi sul fatto che Akane potesse ricambiare quel genere d’attenzioni da parte di Kogami. Shion gli aveva detto che non capiva niente in fatto di donne.
Yayoi trattenne un sorriso nostalgico e sospirò. Le chiese cosa intendesse fare. Lei si strinse nelle spalle. «Me lo dica lui, cosa vuole che faccia. Ma ho come l’impressione che non voglia nulla oltre a quello che già gli do» disse con un vago dispiacere nella voce. Comprendeva quanto quell’uomo dovesse sentirsi male per aver tradito la fiducia di Akane, che era sempre stata per lui molto più di una collega o un’amica. Non erano supposizioni, le sue, conosceva Kogami da anni e mai l’aveva visto comportasi in quel modo con e per qualcuno. Era rimasta persino stupita quando aveva saputo che le aveva disobbedito e l’aveva lasciata. Si era abituata a credere che quei due fossero stati creati per completarsi. Erano cambiati tanto grazie all’influenza dell’altro che ormai non avrebbe più saputo immaginare un Kogami senza Akane, e viceversa. Anche se separati restavano qualcosa di unico. Era inaccettabile che lui non fosse andato a parlarle. Se Yayoi fosse fuggita Shion sarebbe diventata pazza senza di lei, e se avesse saputo che aveva avuto l’occasione di tornare e non l’aveva fatto, beh, sicuramente l’avrebbe picchiata a sangue.
«Non capisco» intervenne Yayoi, stracciando la fitta rete di pensieri che aveva catturato Shion.
«Ha rischiato di essere catturato solo per guardarla qualche secondo e adesso che ha avuto la possibilità di stare con lei per tre giorni interi se l’è lasciata sfuggire».
«Shinya ha una forza di volontà ed una testardaggine senza pari, ma, come si suol dire, la carne è debole». Difatti Shion aveva capito sin da subito che quell’azione non poteva essere programmata. Un’imprudenza simile non era da Kogami, ma da essere umano sì. Shion conosceva quella voglia profonda, destabilizzante, che mangia le viscere, quel desiderio istintivo di vedere qualcuno. Solo che lei la persona che voleva vedere l’aveva sempre accanto…
«Pensa poi a come Akane potrebbe reagire se lui si presentasse a casa sua…»
«Ovviamente non gli getterebbe le braccia al collo né scodinzolerebbe. Ma se lui ci tiene davvero tanto dovrebbe almeno provare a scusarsi, visto che non credo che Akane abbia bisogno di spiegazioni».
Shion stava per aprire bocca e ribattere, quando la porta automatica si aprì e fece il suo ingresso Akane Tsunemori in carne ed ossa. Quasi trasalì nel vedere quello che era stato l’oggetto delle discussioni tra lei e Yayoi per settimane concretizzarsi davanti ai suoi occhi. Gettò un’occhiata veloce a Yayoi, la quale stava impassibile, come al solito, rigida sul divano. Se si fosse sforzata di più avrebbe sicuramente scorto la sua reazione solo dai suoi occhi, ma in quel momento non era certamente il caso di mettersi ad analizzare la propria compagna.
«Akane-chan!» esclamò «Ti sei finalmente rimessa! Eravamo tutti in ansia per te». Ed erano davvero tutti in ansia, anche se per altre motivazioni oltre il suo infortunio.
Akane sembrò ridestarsi tutto d’un tratto, come se fosse stata sovrappensiero fino ad un attimo prima. Shion poteva benissimo immaginare cosa catturasse tanto la sua mente.
«Ciao» disse impacciata. Rispose sbrigativamente ma con molta educazione alle varie domande sulla sua salute – tutte di Shion, siccome Yayoi sembrava essersi ritirata nel proprio mondo onirico dal quale osservava tutti i comuni mortali. Non parlava molto quando erano sole, ma se a loro si aggiungevano altre persone allora aprir bocca per lei era una vera rarità. Shion lo chiamava mutismo selettivo, e segretamente la riempiva d’orgoglio pensare che lei fosse l’unica con cui Yayoi si apriva un poco – in tutti i sensi.
Dopo i vari convenevoli, pose davanti a Shion un fascicolo giallo e le chiese di fare alcune ricerche. Poi uscì salutandole e dedicando un sorriso ad entrambe. Un sorriso estremamente tirato.
«Che tristezza vederla così» sospirò Shion, dopo che la porta si chiuse alle spalle di Akane.
«Immagina come starà Kogami» frecciò, criptica, Yayoi, per poi virare il discorso su argomenti più felici.
 
***
 
Solo un suggerimento: potresti mandarle un messaggio usando me come tramite.
Sempre pronta a prendermi colpi al posto tuo.
Tanto so che non me lo chiederai.
 
Shion era probabilmente la migliore amica che Kogami potesse chiedere. E anche Yayoi, visto che Yayoi sapeva qualsiasi cosa sapesse Shion, e viceversa.
Ma no. Non avrebbe usato un metodo tanto infimo e vigliacco per comunicare con lei. Non avrebbe permesso a nessuno di prendersi “colpi” al posto suo, giacché sapeva di meritarli e, beh, li voleva tutti, se quello significava avere il perdono di Akane. Incontrandola, però, lei rischiava troppo, e semplicemente la metteva in un’orribile posizione: quella di doverlo condannare a morte. Non poteva lamentarsi, era stato lui a chiederglielo. Perciò non l’avrebbe incontrata, e non avrebbe mai avuto il suo perdono né sarebbe morto – non per mano sua, almeno. Perché per lui essere perdonato ed essere condannato a morte erano concetti separati. Era più o meno convinto – secondo  quanto si sentiva triste al momento – che Akane allora pensasse a lui con astio, che la sua reazione di lasciarlo andare era stata dettata dalla sorpresa del momento e non da un ragionato pensiero. Se ci avesse pensato su, avrebbe lasciato che gli altri lo vedessero e, nel caso fosse fuggito, l’avrebbe inseguito. Era un criminale, un criminale per il quale lei una volta aveva provato ammirazione e forse affetto ma che l’aveva tradita nel peggiore dei modi. Chi non l’avrebbe odiato, se fosse stato in Akane?
Ma se si fosse scusato? Se avesse implorato il suo perdono, come l’idiota che era in confronto a lei, lei l’avrebbe forse perdonato. E lui sarebbe morto di certo, ma con il pensiero che almeno lei non lo odiava più.
Non riusciva a togliersi dalla testa la sensazione di starci pensando troppo. Non era abituato a considerare le varie possibilità prima di prendere una decisione. Lui semplicemente faceva ciò che sentiva di dover fare. Esattamente come un cane.
Akane lo riempiva di dubbi, lo rendeva umano. E non era sicuro che fosse un bene, ma era per quello che sapeva di non poter più fare a meno di lei.
 
***
 
«Ho deciso di prendere l’iniziativa. Mi stanno venendo le rughe a furia di aspettare».
Yayoi, nell’altra piazza del letto matrimoniale, le rivolse un’occhiata perplessa da sopra la spalla coperta solo dal lenzuolo bianco.
«Dirò tutto ad Akane» precisò Shion, allungandosi sul comodino per raccattare una sigaretta e accenderla.
«Il fatto che tu ti metta a parlare di Akane Tsunemori dopo aver fatto sesso con me mi dà da pensare» sbuffò Yayoi, per nulla in vena di discorsi seri.
Shion la ignorò – trattenendo però un sogghigno.
«Ad ogni modo, mi sembra un’idea molto stupida».
«Perché mai?». Shion sapeva quali sarebbero state le obiezioni di Yayoi, ma preferiva ascoltarla per poi giustificare la propria decisione. Normalmente avrebbe dato molto più peso all’opinione della sua compagna, ma in quel momento sentiva di dover decidere da sola cos’era giusto fare o no. Lo diceva il suo istinto.
«Perché Akane potrà anche amare lui e voler bene a noi, ma non metterà in pericolo la legge solo per questo. Se le dicessi che abbiamo sempre saputo dov’è e non l’abbiamo detto ammetteresti che siamo sue complici tutto questo tempo. Sai che per noi questo significa condanna a morte. Lei non si opporrà al sistema per salvarci».
Shion espirò una boccata di fumo, lo osservò roteare e svanire davanti ai suoi occhi. Yayoi aveva detto esattamente quello che lei si aspettava.
«Io invece confido nel suo affetto» replicò. Yayoi le chiese cosa intendesse.
«L’ideale di giustizia del Sibyl non coincide con quello della nostra Akane. Nonostante lei sappia quanto sia importante mantenere l’ordine nella nostra società, conosce bene Kogami e conosce bene noi».
«Stai dicendo che non ci giustizierà perché sa che non siamo individui pericolosi? Non ti sembra un po’ debole come scusa?».
«Mai sottovalutare le capacità di una donna innamorata, Yayoi-chan. E mi riferisco sia a lei che a me» ammiccò in direzione di Yayoi, la quale ricambiò con un’occhiata intensa.
«Per sicurezza, comunque, non le dirò che anche tu sapevi» aggiunse «Non ti metterei mai in pericolo per una cosa così».
Yayoi raramente manifestava vistosamente le proprie emozioni, e in quel momento Shion si stupì di vedere il suo viso deformato in una delle peggiori espressioni di rabbia che le avesse mai visto fare. Si avvicinò minacciosa, le strappò la sigaretta di mano e la spense nel posacenere sul comodino.
«Mi pareva d’aver detto, scema, che qualsiasi cosa ti riguardi è affar mio».
Prima che Shion potesse ribattere o anche solo sorridere, Yayoi le tappò le labbra con un bacio.
 
Shion pose con cura la tazza di tè fumante tra le dita rigide di Akane Tsunemori. Era tra i doveri di una buona Giapponese, offrire il tè agli ospiti. Mai dimenticare le tradizioni.
Gli occhioni di Akane non avevano fatto altro che cercare Yayoi in giro per la stanza da quando era entrata. Shion l’aveva presa come una muta lusinga, era bello sapere che la gente conoscesse il tipo di relazione che la legava all’altra senza bisogno di dirlo apertamente. Alla fine si era sentita in dovere di giustificare la sua assenza con una scusa, cosa che fece arrossire Akane poiché probabilmente credeva di aver espresso una curiosità impertinente. In realtà Shion non aveva detto a Yayoi quando aveva intenzione di parlare con Akane. La sua idea di non coinvolgerla era seria, altrimenti, se l’altra l’avesse saputo, sarebbe stata seduta accanto a lei con una mano sulla sua spalla per darle supporto morale.
L’atmosfera non era delle migliori, densa di un imbarazzo che Shion non se la sentiva di spezzare. Tanto con quello che le toccava dire di lì a poco sarebbe solo peggiorata. Ringraziò il cielo che Akane non fosse incline alla violenza o le sarebbe sicuramente toccato qualche pugno in faccia.
«Un appartamento delizioso» si sforzò di commentare Akane, con tanta di quella gentilezza nella voce che Shion non si azzardò a ribattere che in realtà era vuoto ed impolverato perché lei si era ormai trasferita in pianta stabile nell’alloggio e nel letto di Yayoi. Ringraziò cercando di sembrare sincera.
Il silenzio calò pesante tra loro.
Doveva parlare, Shion, lo sapeva. Aprì la bocca un paio di volte, richiudendola subito incerta su come impostare il discorso. Era una buona oratrice, ottima anzi, ma persino lei aveva dubbi su quale fosse il giusto modo di confessare a un’amica – o qualsiasi cosa fosse per lei Tsunemori – che l’aveva tradita.
Si decise infine per qualcosa di molto semplice, diretto. Akane teneva le labbra dischiuse contro il bordo della tazza, gli occhi semichiusi e beveva il suo tè con molta grazia.
«So che ti stai chiedendo perché ti ho invitata così all’improvviso, Akane-chan» tirò un lungo sospiro per dare il tempo all’altra di prestarle la dovuta attenzione.
«Ho bisogno che tu mi ascolti con calma e che non m’interrompa per nessun motivo. Devi promettermelo» si spaventò da sola per quanto la sua voce suonasse seria, ed Akane si esibì in un’espressione oltremodo stupita.
«Può dirmi qualsiasi cosa, Karanomori-san» anche lei sembrava molto seria. Shion sospirò un’altra volta, strizzando gli occhi.
«Si tratta di Kogami…».
Parlò per circa mezz’ora. Akane aveva preso alla lettera il suo suggerimento di non interromperla, questo facilitò le cose ma… i suoi occhi si erano fatti, man mano che proseguiva con il suo racconto sulla latitanza di Kogami – e di come lei avesse favorito la stessa -, sempre più scuri, patinati di lacrime che Shion non si soffermò a interpretare.
«Infine, quando sei stata ferita da quel pazzo all’ospedale, ho disattivato scanner e telecamere nel tuo quartiere, per la manutenzione. Ho avvisato Shinya ma lui… beh, lo sai, no?».
Akane abbassò lo sguardo, lasciando che la frangetta le coprisse parte del viso. Stringeva le ginocchia fasciate dai pantaloni scuri tra le dita con tanta forza che le nocche erano diventate perlacee, ma, a parte quello, non c’era segno di reazione alcuna in lei. Shion avrebbe dato via un braccio per ascoltare i suoi pensieri.
«Voglio spiegarti anche perché ho fatto tutto questo senza parlartene da subito, potresti pazientare ancora un-».
«Non voglio sentire altro» sibilò Akane con voce tremante. Shion tentò di prendere parola nuovamente ma gli occhi di lei la fulminarono e le cucirono immediatamente la bocca.
«Lei conosceva la sua posizione da mesi e non ha ritenuto necessario informare chi di dovere. È questo che mi sta dicendo, Karanomori?».
«Akane io…».
«Risponda!» ma Shion restò in silenzio, osservando la donna che aveva di fronte. Una donna terribilmente arrabbiata e ferita che a stento riusciva a non scoppiare in lacrime e a modulare il tono di voce. Si sentì un mostro per aver giocato a fare Cupido tutto quel tempo senza tener conto dei suoi sentimenti.
«E me lo sta dicendo ora per cosa?! Cosa crede che debba fare alla luce di ciò che mi ha detto?!» ormai non si tratteneva più dall’urlare. S’alzò in piedi, Shion fece lo stesso avvicinandosi per tentare di calmarla.
«Non si avvicini!» stillò, scostando la mano che Shion le porgeva.
«Akane…» tentò ancora di toccarla, riuscendo infine ad accarezzarle la spalla.
Gli occhi di Akane incontrarono i suoi.
«Cosa vuole che faccia?! Io- io credevo che fosse fuggito, capisce?! Ginoza diceva che se la sarebbe cavata ed io gli credevo!» una lacrima rotolò sulla sua guancia tonda e pallida, gocciolando poi dal mento al pavimento «Ma si è mostrato a me, e non posso ignorarlo! E non posso ignorare ciò che ha fatto lei!» ormai le lacrime scorrevano senza freni dai suoi occhi. Shion assistette impotente alla disfatta della maschera di impassibile felicità che Akane aveva indossato quando Kogami era sparito. La attirò a sé e strinse la sua esile figura tra le braccia.
«Mi dica cosa posso fare…» la sua voce si spezzò «Non voglio che muoia» confessò in un singhiozzo.
Improvvisamente il dilemma di Akane le parve ancora più vivido di come aveva immaginato. Un moto d’empatia verso di lei la travolse con la forza di un autotreno in corsa.
La trascinò a sedere sul divano, continuando ad abbracciarla con delicatezza. Si premurò persino di accarezzarle i capelli con le dita sentendosi un po’ come una madre. Questa ragazza è forte, si disse, supererà anche questa. Ma nel profondo si chiedeva cosa avrebbe potuto dirle. C’era una soluzione giusta per tutta quella situazione? Una soluzione che conciliasse il bisogno umano di preservare l’amore e quello di poliziotta di preservare la legge?
«Akane?» la chiamò con il tono di voce più dolce che avesse «Non posso dirti cosa è giusto fare o no. È qualcosa che solo tu puoi comprendere e decidere. Ma se vuoi un consiglio da me allora ascoltami: parla con lui».
«Vederlo non farebbe che aggiungere altri dubbi a quelli che già ho» sussurrò Akane «Lo conosco abbastanza bene da sapere ciò che dirà. Lui vorrebbe essere giudicato come farei con qualsiasi criminale latente» ma lui non è un qualsiasi criminale latente, completò col pensiero Shion.
«Tu sei la persona più giusta che conosca. Confido nel fatto che prenderai la decisione più saggia e parlare con Shinya potrebbe aiutarti a capire cosa per te è davvero importante e cosa non lo è».
Akane sciolse l’abbraccio per poterla guardare bene.
«Le cose si complicano poiché anche lei è coinvolta».
«So bene che non mi salverai la pelle se te lo chiedo per favore, ti prego di credermi se ti dico che sono sinceramente preoccupata per te e voglio aiutarti davvero. Non ti sto dicendo queste cose per avere uno sconto della pena o qualcosa di simile» precisò Shion, ora piuttosto rigida.
Akane mormorò che non era quello che intendeva mentre un’altra lacrima le solcava il viso. Si asciugò gli occhi frettolosamente con la manica della camicia che indossava.
«Se io le chiedessi di organizzare un incontro sicuro con lui, sarebbe fattibile?». Era evidente, dal repentino cambio d’atteggiamento e dal rinnovato sforzo per non piangere più, che stesse cercando di darsi un tono. Non era avvezza ai crolli psicologici, l’Ispettrice. Shion la trovò una cosa molto da lei, d’altronde non aveva fatto altro che trattenersi dallo scoppiare negli ultimi mesi.
«Sarebbe difficile, certo, ma qualcosa posso farla» rassicurò «Shinya si è lasciato sfuggire quell’occasione d’oro d’incontrarti durante la tua convalescenza» commentò con un po’ d’amaro in bocca giacché ancora le bruciava l’idea d’aver fatto tanta fatica per nulla. Sentì che Akane era scossa da un lieve tremito, accanto a lei.
«Oh, non che non desiderasse vederti. Lo desiderava tanto da fare una cosa stupida come mostrarsi sulla scena di un delitto. È che, sai, lui ha paura che tu provi ribrezzo nei suoi confronti».
«Ribrezzo?» un pensiero del genere non aveva neanche sfiorato Akane.
«Sì. Perché ha ucciso un uomo e ti ha tradita».
Akane aggrottò le sopracciglia. «Forse questo sarebbe un sentimento giusto da provare in una simile circostanza» considerò amaramente «Ma il punto è proprio che non riesco a essere disgustata da lui».
Shion sogghignò internamente, ritornando col pensiero a quando aveva detto a Yayoi di non sottovalutare una donna innamorata. Akane era la prova vivente di quanto l’amore potesse essere malvagio e immorale, tanto da portare un angelo come lei a giustificare le azioni di un assassino come Kogami.
«Lo dico da criminale latente: non c’è niente di male in ciò che provi, proprio perché è qualcosa che non puoi controllare».
Akane sembrò impensierirsi. «Questo mi riporta a un discorso che abbiamo fatto tempo fa su sentimenti e Psycho Pass, Karanomori-san. Se non possiamo assumerci la responsabilità di ciò che non è in nostro potere controllare, come i sentimenti o la nostra tonalità … allora questo conferma la colpevolezza di Kogami, il quale ha preso una decisione autonoma».
«Ho letto da qualche parte che sono le nostre azioni a determinare chi siamo» disse Shion «Sì, Kogami non ha scusanti».
Le spalle di Akane sembrarono cedere sotto qualcosa di molto pesante, probabilmente la consapevolezza che niente avrebbe potuto alleviare il fardello che si portava addosso.
«Ma l’amore è sempre stato complicato, Akane-chan. Amore significa rinunciare a tante cose per guadagnarne altre che non sempre sono belle. Amore è sacrificio ed è dolore. L’amore non ha alcuna logica o morale, così non puoi pretendere di ragionare con la testa se decidi di amare. La persona che ami ha commesso un crimine? Puoi decidere di prendere la sua pena e aiutarla a trascinarsela dietro. Non c’è niente di giusto in questo. È semplicemente amore».
Akane non seppe cosa ribattere. Stette in silenzio e bevve il suo tè ormai freddo.
Avrebbe incontrato Kogami.
 
***
 
Yayoi si era chiusa in un silenzio risentito – che, chi l’avrebbe mai detto, era ancora più impenetrabile del suo normale silenzio – per tutto il pomeriggio. Shion aveva più volte chiesto scusa per aver “tramato alle sue spalle” – così Yayoi aveva definito il colloquio segreto con Akane – ma tutto ciò che aveva ottenuto erano sbuffi spazientiti e grugniti. Quindi aveva lasciato correre, non aveva bisogno che lei rispondesse per confidarsi. Le aveva sbrodolato un lunghissimo resoconto minuzioso fin nei minimi dettagli di ciò che era successo, dalle cose che si erano dette alla reazione di Akane. Non aveva tenuto per sé nessun commento, nessuna battuta anche stupida, perché a Yayoi poteva dire qualsiasi cosa. L’altra faceva finta di non sentire, ma Shion sapeva che non si era persa una parola. E, alla fine, sganciò la bomba:
«Ha deciso che lo incontrerà. Devo concordare con lui il posto e l’ora e poi comunicarglielo» percepì la schiena di Yayoi irrigidirsi d’attesa e sorrise «Ce l’abbiamo fatta».
L’altra riuscì a non rispondere per un minuto intero, poi la sentì sbuffare e la vide voltarsi, gli occhi pieni di malcelata curiosità.
«Ma» cominciò per zittirsi immediatamente una volta notato il sorrisetto compiaciuto di Shion. Le rivolse un’occhiataccia, ingoiò il fastidio di doversi arrendere e abbandonare il broncio prematuramente e continuò: «Ma lui non sa che le hai parlato?».
«No, se gliel’avessi detto avrebbe fatto tante di quelle storie…» scosse la mano come a scacciare via una mosca. Yayoi era contrariata.
«E come intendi fare per convincerlo a incontrarla?».
«Una volta saputo che è una sua richiesta non si opporrà» replicò sicurissima di ciò che diceva. E, in effetti, ci credeva davvero. Non era la massima esperta della psicologia di Shinya Kogami, ma in parte aveva capito che il fulcro di tutti i suoi problemi era la disponibilità di Akane a incontrarlo. Se avesse saputo all’inizio che lei lo voleva vedere, allora avrebbe scosso il Giappone intero pur di accontentarla. Non l’avrebbe lasciata senza un saluto se non avesse sospettato di esserle inviso.
«Quindi: quando e dove?» chiese Yayoi.
«Speravo in tuo suggerimento a tal proposito» disse Shion accompagnando la frase a una risatina nervosa. Aveva fatto tanto per ottenere l’okay da parte di Akane e adesso non sapeva come procedere concretamente.
«Perché non il luogo in cui Kogami si è mostrato la prima volta? Quell’edificio abbandonato nel distretto ovest? È stato ripulito ma non è sorvegliato che io sappia».
«Non è sorvegliato, no» considerò Shion, ma sembrava poco convinta. «Non è un po’ macabro? Chi vorrebbe fare del sesso nella stanza in cui è stata uccisa una bambina?» disse, più tra sé e sé che alla propria compagna. Yayoi alzò un sopracciglio e poi roteò gli occhi.
«Dopo tutto quello che è successo credo che abbiano cose più serie da fare, altro che sesso».
Shion la guardò, confusa. «La colpa di tutta questa faccenda è imputabile alla loro tensione sessuale irrisolta, Yayoi-chan».
«Ma immagino che per loro vada bene farlo anche in mezzo alla strada, figurati».
Si godette, ridendo, la faccia sconvolta e rassegnata al contempo di Yayoi.
Ah, se quei due fossero finiti veramente a letto insieme, sarebbe stato il giusto coronamento di tutti i suoi sforzi.
 
***
 
Kogami sferrò un pugno particolarmente forte al cuscino di fortuna che aveva appeso al soffitto a mo’ di sacco da boxe. Non era per niente come picchiare un sacco da boxe vero, ma lo aiutava a scaricare lo stress ugualmente.
In quel momento non stava pensando ad Akane, stranamente. Era molto più concentrato su cos’avrebbe potuto mangiare quella sera. Procurasi il cibo era sempre un grande problema.
Il cellulare vibrò cascando sul pavimento dalla sommità della sua borsa posata malamente a terra, gli dedicò un’occhiata veloce prima di sferrare un altro colpo al sacco improvvisato. Si asciugò il sottilissimo strato di sudore che faceva brillare gli addominali scolpiti e aprì il messaggio. Già sapeva chi era il mittente, nessuno gli scriveva a parte Shion.
Lesse la prima riga. Trattenne il fiato.
 
Non arrabbiarti. Ho detto tutto ad Akane.
 
Con un enorme sforzo di volontà riuscì a non scagliare il cellulare dall’altra parte della stanza.
S’impose di calmarsi, perché tanto Akane sapeva già tutto, no? Quella novità implicava conseguenze solo per Shion e Yayoi. Certo, aveva deciso di lasciare che l’incidente – si abituato a pensare in quei termini al momento in cui lei l’aveva visto circa un mese e mezzo prima - cadesse nel dimenticatoio, ma non era un gran problema.
Continuò a leggere.
 
Era molto delusa (da me) ma adesso insiste per vederti.
Stasera alle sette, nel palazzo in cui l’hai vista l’ultima volta.
Se non ci vai sei veramente un idiota.
 
Chiuse lentamente gli occhi mentre un brivido gli percorreva la schiena.
Quella sera si sarebbero incontrati.
Si lasciò cadere sul materasso sottilissimo, senza sentire alcun dolore quando il sedere cozzò in pratica contro il pavimento duro.
Dopo tante congetture avrebbe finalmente visto con i propri occhi cosa era cambiato tra loro. Forse era un bene, forse ci voleva solo quello. Forse guardandosi negli occhi non ci sarebbe stato alcun dubbio, alcun tentennamento. Forse.
 
***
 
Mosse qualche passo incerto nel corridoio. Le gambe tremolavano come se i muscoli non fossero di capaci di reggerla, nonostante fosse costituita più da ossa che da carne. Si guardò intorno senza avere la forza di sorprendersi del fatto che non ci fosse più marciume da nessuna parte, anche se la puzza di piscio doveva essersi impressa nelle pareti, giacché aveva risalito di prepotenza le sue narici appena entrata. Avevano rimosso anche la libreria e il resto del fatiscente mobilio. Un flash della cucina chiazzata di sangue le attraversò la mente, ma lo scacciò prima di venire colta dalla voglia di sincerarsi delle sue attuali condizioni. Non era il caso di fare ispezioni di quel tipo.
La porta d’ingresso era aperta – sfondata nuovamente – quando era arrivata, e ora, proprio di fronte a lei, la porta della stanza da letto era socchiusa. Lui era già lì.
Camminò fino a toccare con le dita rigide la maniglia di metallo freddo. La strinse con tanta forza che le nocche sbiancarono, la strinse come se ne andasse della sua vita. Si tirò uno schiaffo mentale per quel pensiero stupido: non era una bambina. Non poteva tremare di paura alla sua età. Non per Kogami.
Spinse la porta e lui era lì. Proprio al centro della stanza grigia e vuota, con il casco di Makishima posato accanto alla sua gamba destra e un borsone gettato malamente alla sua sinistra.
Non appena la vide sorrise. Fu un sorriso sincero, grande. Non aveva mai visto Kogami sorridere così. Le venne in mente che non aveva conosciuto Kogami in un periodo felice, per lui, ma adesso era libero. Era persino più bello di come se lo ricordava, anche se più trascurato. La libertà gli donava.
La voglia di piangere era tanta, ma i suoi occhi erano secchi, così come la sua gola. Prima che potesse deciderlo aveva già sorriso di rimando.
Mosse un altro passo verso di lui.
«Ispettore» chiamò lui. Era la prima volta che udiva la sua voce dopo quelli che le parvero secoli, le scivolò addosso come una carezza.
Di cosa si era preoccupata fino ad allora?
Del Sibyl? E cos’era quell’ammasso di cervelli deviati in confronto a quel calore?
Quello… quello era amore e, a dispetto di ciò che diceva Shion, Akane non si era mai sentita così giusta.
Kogami allungò un braccio verso di lei, mostrandole il palmo della mano. Akane vi sovrappose la propria senza pensarci, sentendo le dita di lui che ne accarezzavano il dorso. La portò all’altezza delle proprie labbra e le concesse un bacio fugace, senza abbandonare gli occhi di lei. Akane non arrossì, continuò a sorridere.
Era il suo modo per ringraziarla di averlo accettato nella sua vita, nonostante tutto, senza dire nulla. Lei dall’inizio gli aveva puntato contro il Dominator ed aveva sbagliato tutte le cose che avrebbe voluto fare correttamente e fatto correttamente l’unica che sarebbe valsa la pena sbagliare. Ma ora sentiva di star rimediando, solo con quel silenzio, solo quel sorriso, a tutto ciò che era andato storto per colpa di entrambi. Fu come se il mondo fosse tornato a girare sul proprio asse.
Si trovarono abbracciati senza sapere chi si fosse avvicinato a chi.
«Mi aspettavo che mi sparassi» mormorò lui nei pressi del suo orecchio, Akane si concesse una risata liberatoria e fragorosa.
«Potrei prendere in considerazione l’idea di farlo, in memoria dei vecchi tempi».
«La prossima volta che ci abbracceremo, sarà in mezzo ad una strada alla luce del sole» disse dopo un po’ «Niente più Ispettori e criminali latenti, promesso».
Shinya la strise un po’ più forte: «Non sono un criminale latente se tu sei con me. Detective, ricordi?».
Akane gli concesse un altro sorriso commosso prima di seppellire il viso sul suo petto. Giusto o no, quello era il suo posto. Quella era la sua decisione.
 
***
 
«Pare abbia vinto Masaoka, infine».
Yayoi smise per un attimo di carezzarle i capelli con le dita, incerta su come interpretare quella frase. Le tornò in mente come in un lampo la scommessa di cui le aveva parlato molto tempo prima. Da quando Akane era tornata dall’incontro con Kogami con un sorriso enorme stampato in viso non avevano più parlato della faccenda, lei e Shion. Solo perché entrambe trovavano superfluo aggiungere altre parole a quelle che Akane aveva confidato loro – pareva che Kogami le avesse rivelato che anche Yayoi era a conoscenza di tutto, ma era troppo euforica per potersi arrabbiare con Shion.
Aveva detto che la legge del Sibyl non meritava il loro sangue, né quello di Kogami – la cosa aveva rincuorato molto Yayoi, mentre Shion aveva confidato dall’inizio in una rezione del genere. Poi aveva accennato molto cripticamente al fatto che avrebbe distrutto il sistema. Nessuna delle due aveva dato peso a quella frase, non avendo le conoscenze adatte a comprenderla.
Era stato divertente vedere con quanta perplessità Ginoza aveva accolto quella nuova, raggiante e determinata Akane. Lui era rimasto l’unico a non avere idea dei retroscena della prima divisione negli ultimi tempi. Shion si era dilettata molto nel prenderlo in giro a tal proposito, spesso anche Yayoi gli aveva dispensato qualche risatina sommessa. Un po’ le dispiaceva ma, beh, per gente che fa un lavoro come il loro divertirsi seriamente è cosa rara.
Akane girava per i corridoi letteralmente saltellando, lavorava con tanta dedizione che Yayoi non aveva idea di come riuscisse a stare in corpicino esile come il suo. Non aveva più avuto occasione di vedere Kogami né di sentirlo per telefono. Con l’aiuto di Shion avevano deciso che la cosa più sicura da fare per lui era espatriare – provvisoriamente, si premurava di aggiungere ogni volta Akane. Non c’era modo di comunicare segretamente con l’estero, ma Yayoi aveva l’impressione che la cosa non facesse soffrire Akane come si sarebbe aspettata. Sembrava avesse qualcosa in mente, quella ragazza, anche se nessuno si curava mai di chiederle cosa.
Lei e Shion erano tornate alla noiosa – per Shion - e pericolosa – per Yayoi – normalità. Shion aveva presto trovato un’altra coppia da importunare quando aveva supposto – dal nulla, sosteneva Yayoi – che l’Ispettrice Mika avesse un debole per Ginoza.
A volte si chiedeva come avrebbero reagito Masaoka e Kagari alle speculazioni di Shion. Forse Kagari l’avrebbe appoggiata, pensò senza poter trattenere un sorriso nostalgico.
«Non puoi sapere se l’hanno fatto o no» precisò Yayoi.
Shion stette in silenzio, Yayoi sentì puzza di bruciato.
«Non dirmi che avevi piazzato telecamere anche lì, Shion, ti prego».
L’altra scoppiò a ridere, agitando il capo sulle cosce di Yayoi sulle quali era poggiato.
«No, no!» rise «È che riconosco una donna vergine dall’odore, quando ne vedo una».
«Ma fammi il piacere» sbottò, divertita suo malgrado, scompigliandole i capelli.
 
 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Psycho-Pass / Vai alla pagina dell'autore: Rumyantsev