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Autore: La_Lei    11/06/2016    2 recensioni
Nei film piove sempre. Durante i funerali, intendo. Non so perché, forse per creare un'atmosfera più triste, come se il cielo partecipasse al dolore di chi resta in vita, piangendo a sua volta e nascondendo le lacrime delle persone tra le sue.
Invece oggi c'è il sole. Splende alto nel cielo, spavaldo e impavido. Non c'è nemmeno una nuvola. Forse perché il funerale, oggi, è il mio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nei film piove sempre. Durante i funerali, intendo. Non so perché, forse per creare un'atmosfera più triste, come se il cielo partecipasse al dolore di chi resta in vita, piangendo a sua volta e nascondendo le lacrime delle persone tra le sue.
Invece oggi c'è il sole. Splende alto nel cielo, spavaldo e impavido. Non c'è nemmeno una nuvola. Forse perché il funerale, oggi, è il mio.


Sono sempre stata una pecora nera, o una mosca bianca, scegliete la dicitura che preferite. Tanto non cambia: sono sempre stata quella “diversa”. Quella che si concentra sulle persone, anche se poi le persone non si sono mai concentrate su di me. Sono sempre apparsa come quella forte, che non può essere scalfita da nulla. Una roccia, insomma. Ma la realtà è sempre stata ben diversa. Sono sempre stata molto fragile, forse una delle persone più fragili del mondo, sicuramente più fragile di molti altri. Eppure non sono mai stata come quelle persone che si mettono a piangere in pubblico. Non per orgoglio, no, quello ho imparato a metterlo da parte, perché mostrare le proprie emozioni non è mai sbagliato, non è qualcosa di cui vergognarsi. Semplicemente non sono mai stata capace di mostrare la mia fragilità. Forse perché ho sempre avuto paura che qualcuno potesse farmi del male, di nuovo. Eh sì, perché di male me ne hanno fatto tanto. Le persone, la vita. Ma più le persone. Quelle che dicevano di tenere a me, ma che poi, nei momenti difficili, mi hanno voltato le spalle. Quelle che dicevano di essere mie amiche, ma che poi, appena ottenuto ciò di cui avevano bisogno, sono sparite nel nulla. Quelle che sapevano il male che la vita mi aveva fatto, ma che hanno preferito fingere di non sapere e andare avanti con le loro vite, senza di me.

 

Prima che possiate pensare male, sappiate che la mia dipartita non è stata causata da nessuno, se non dalla vita stessa. Sono andata a dormire e non mi sono risvegliata. Non è stato così male, ad essere sinceri. Non me ne sono nemmeno accorta. Non ho sentito alcun dolore. Era così che desideravo andarmene. Anche se non pensavo sarebbe accaduto così presto. Insomma, chi mai penserebbe di non arrivare nemmeno a compiere trent'anni? Ho sempre detto che non possiamo sapere quando arriverà il nostro momento. Si spera sempre che sia il più tardi possibile, ma nessuno può saperlo. Buffo, vero? Lo dicevo agli altri, perché capissero l'importanza delle relazioni umane, perché smettessero di rimandare le cose ad una data non meglio precisata, pensando di avere a disposizione tutto il tempo del mondo. Non ho mai pensato di avere a disposizione tutto il tempo del mondo, ma sicuramente pensavo che ne avrei avuto di più. Pensavo che avrei incontrato la persona giusta, quella che avrebbe rubato il mio amore ricambiandomi con il suo, quella con cui avrei costruito una bella famiglia. Pensavo che avrei avuto un bel matrimonio, semplice e al tempo stesso sofisticato, circondata dalle persone che davvero contavano nella mia vita. Pensavo che avrei avuto dei figli, che li avrei amati fino all'ultimo mio respiro, anche nei momenti difficili, anche nei momenti di rabbia e di frustrazione. Pensavo che avrei avuto un futuro. A quanto pare il mio pensiero, il mio desiderio, era errato. Come si suol dire, “ho fatto i conti senza l'oste”.

 

Ed eccomi qui, mentre osservo le persone che, in questa giornata di sole, piangono e mi “rendono omaggio”.

Almeno i miei genitori si sono ricordati di una disposizione che avevo dato loro nel caso questo giorno si fosse presentato: nessuna funzione cattolica. L'altra invece l'hanno ignorata: niente vipere.
Parenti serpenti, ne so qualcosa. Per tutta la mia breve vita mi hanno trattata come quella che non era mai abbastanza: mai abbastanza bella, mai abbastanza simpatica, mai abbastanza intelligente, mai abbastanza... Aggiungete qualsiasi qualità riteniate importante, tanto ai loro occhi io non ne avevo alcuna.
In compenso mi vedevano piena di difetti. Loro si sono sempre visti perfetti, mentre il resto del mondo non era mai all'altezza (e probabilmente, ai loro occhi, nessuno lo sarà mai). In realtà sono sempre state delle persone particolarmente ignoranti, prive di una reale moralità, persone che cambiavano opinione e schieramento a seconda di come tirava il vento. Tranne su di me, su di me non hanno mai cambiato opinione. E ora sono qui, di fronte alla mia bara (roba semplice, tanto che se ne fa un morto della versione super lusso?), a fingere cordoglio. L'unica cosa che riescono a dire è: “Era così giovane”. Tra mezz'ora torneranno alle proprie case e le loro vite continueranno come sempre, come se io non fossi mai esistita. D'altronde era così che vivevano anche quando ero ancora in vita.

Poi ci sono le amiche. Quelle vere. Poche, ma buone. Sono solo un paio: l'amica #1, quella che quando avevo bisogno correva sempre da me, e l'amica #2, quella che avrebbe voluto poter correre da me, ma era troppo distante per poterlo fare. Però mi telefonava. Capitava che stesse al telefono con me anche fino alle 2 di notte, combattendo il sonno e le palpebre pesanti che di tanto in tanto si chiudevano, per poi riaprirsi bruscamente in un tentativo forzato di restare sveglia. E magari poche ore dopo la sveglia sarebbe suonata implacabile, ricordandole che doveva prepararsi per andare a lavoro. Ma non riagganciava fino a quando non era certa che fossi tranquilla e che il peggio fosse passato. Entrambe, nel limite delle proprie possibilità, sono sempre state al mio fianco, anche quando al mio fianco non volevo nessuno.
Loro sono davvero tristi. Pensate, oggi si sono incontrate per la prima volta. Buffo, vero?
Vedo le lacrime che solcano i loro visi. Provano a nascondere gli occhi gonfi e rossi dietro enormi occhiali da sole con le lenti scurissime, ma io le vedo, le lacrime, che scendono lente lungo le guance, nonostante i loro tentativi di trattenerle.
Scusatemi, non avrei mai voluto farvi soffrire così. Se avessi potuto scegliere... Se solo avessi potuto saperlo...

I conoscenti, ci sono anche loro. Un po' come i parenti serpenti, avrebbero potuto anche non esserci. La loro presenza non mi infastidisce, ma non mi fa nemmeno piacere. Mi lascia indifferente. Come del resto loro sono stati indifferenti nei miei confronti. Volevo raggiungere un compromesso con me stessa: concentrarmi sulle persone che mi volevano davvero bene, senza perdere tempo con gli altri.
No, non ce l'ho mai fatta, non realmente. Magari per un breve periodo, ma alla fine tornavo sempre alle “vecchie abitudini”, a ciò che ero realmente... Già, perché sono sempre stata piuttosto sciocca su questo: ci sono sempre stata per tutti, anche se poi questi tutti non ci sono stati per me.
Ho amato le persone, con i loro pregi e i loro difetti, con le loro forze e le loro debolezze. Quasi mai mi sono tirata indietro di fronte a qualcuno in difficoltà. Ho perdonato cose che avevo giurato che non avrei mai perdonato. Ho sorvolato su cose per cui molti altri avrebbero giurato vendetta.
Già, ho amato le persone. Spesso le ho amate più di quanto amassi me stessa. Terribile errore, lasciatemelo dire.

Poi ci sono loro, i miei genitori e i miei fratelli. Li ho visti subito, certamente. Li ho visti fin dal primo momento in cui sono entrati in camera mia, un paio di giorni fa. Da qualche settimana facevo molta fatica a riposare e quando potevo dormire un po' più a lungo ne approfittavo, nella speranza di ricaricare le batterie. Per questo nessuno ha sospettato nulla quel giorno. Non era poi così insolito non vedermi in giro per casa. Se ne sono accorti all'ora di pranzo, quando sono entrati in camera mia per svegliarmi, per pranzare insieme. Mi hanno chiamata e mi hanno scossa, ma io non mi sono svegliata. Ci hanno messo un paio di minuti a realizzare che non avrei più aperto gli occhi, che quell'espressione tranquilla dipinta sul mio volto sarebbe stata l'ultima che avrebbero mai visto. Dentro di loro lo sapevano, ma non potevano accettarlo. Quale genitore potrebbe? Hanno provato a riportarmi indietro. Sono arrivati tutti: soccorritori, medico, infermiere... Rianimazione cardiopolmonare, dosi di adrenalina... Ma ormai era tardi. Probabilmente anche un secondo dopo sarebbe stato tardi, probabilmente doveva andare così.

Ho visto lo sguardo di mio padre, ho sentito le sue urla, il suo pianto, la sua disperazione. E la mia mente è tornata a qualche anno fa, quando respiravo appena. Quella volta fu colpa mia. Quella fu la prima volta che vidi quell'espressione sul volto di mio padre. Lui, che non è mai stato bravo ad esprimere le proprie emozioni, piangeva disperato. Quella volta mi hanno riportata indietro. Questa volta è andata diversamente...

Mamma invece si è pietrificata. Si è seduta sulla sedia vicina alla mia scrivania ed è rimasta lì, a fissare il vuoto. Non credo che abbia realizzato subito che quella era la realtà. Credo che stesse aspettando che qualcuno la svegliasse da un brutto incubo. E invece no, non era affatto un incubo.

Mia sorella e mio fratello non c'erano quella mattina. Meglio così.
Mamma li ha chiamati al telefono e con una scusa li ha fatti tornare a casa. Quando sono arrivati hanno capito subito che qualcosa non andava. Lo vedevano nel suo volto assente, nei suoi occhi spenti. Lo sentivano nel suo silenzio. Non c'è stato bisogno che lei glielo dicesse, hanno sentito papà piangere disperato, mentre in camera mia mi stringeva forte a sé, come se non volesse lasciarmi andare. No, non voleva lasciarmi andare. Ma io me ne ero già andata.

Anche loro sono corsi in camera mia, urlando. Si sono fermati poco dopo l'ingresso, come se, una volta varcata la soglia, un incantesimo invisibile li avesse paralizzati. Avevano gli occhi spalancati, non urlavano più. E poi mia sorella si è accasciata a terra, piangendo. Anche mio fratello piangeva, ma lui è rimasto in piedi e ha fatto qualche passo verso di noi. Ci ha abbracciati entrambi, mentre affondava la faccia sulla spalla di papà, smorzando il rumore dei suoi stessi singhiozzi.

Anche voi, vi prego, scusatemi. Non avrei mai voluto farvi soffrire. Non avrei mai voluto andarmene così presto, così senza preavviso, così senza avervi detto per l'ultima volta quanto vi amo. Nonostante tutti i momenti difficili, nonostante tutte le litigate. Avevo finalmente iniziato ad amare la mia vita, ad amare me stessa. No, non avrei voluto andarmene.

 

Adesso sono tutti e quattro lì, vicino alla mia bara. Hanno deposto su di essa dei fiori: rose, garofani, qualche rametto di lavanda. Non sono mai riuscita a decidere se i miei preferiti fossero le rose o i garofani. Sono talmente belli, talmente diversi... E la lavanda, ho sempre amato il suo profumo! Avevo anche preparato con le mie mani dei sacchettini profumati per poi sistemarli negli armadi, così tutto al loro interno avrebbe odorato di lavanda. Sì, amavo l'odore della lavanda.

 

Gli addetti fanno cenno ai miei genitori che è il momento. Già, non si può restare in attesa per sempre. E mentre la mia bara viene ricoperta di terra, per la prima volta ho paura. Non ho mai avuto paura della morte, ma ora non so cosa aspettarmi. L'eternità è un periodo davvero molto lungo.

 

Tutti si dirigono verso l'uscita, tranne la mia famiglia e le mie amiche, quelle vere.

 

Adesso piove.

  
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