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Autore: potterhead_slytherin    12/06/2016    1 recensioni
Secondo una leggenda molto antica, una strega, curiosa di scoprire i segreti della natura di questo mondo, si era imbattuta in tre esseri viventi: lupi, pesci e aquile. La donna rimase affascinata dalle loro doti, perciò convinse gli animali a lavorare per lei, permettendogli di esaudire il loro più grande desiderio. Alla fine chiesero tutti la stessa cosa: volevano un corpo umano. Il lupo divenne licantropo ma con dei denti aguzzi e affilati. L'Aquila divenne fata, mantenendo le sue possenti ali. Anche il pesce assunse sembianze umane pur avendo delle branchie sul collo. I servi della strega cercarono di adattarsi al mondo degli umani, ma questi non li accettarono. Il licantropo per vendicarsi delle ingiustizie dell'uomo iniziò uccidere chiunque avesse intralciato il suo cammino. La fata, al contrario, si impegnò per proteggerli. Il pesce rimase indifferente. La strega decise quindi di creare una nuova creatura, per riportare l'ordine: i cacciatori. Sono trascorsi diversi secoli dalla Rinascita, ma qualcosa è cambiato. Cosa succederebbe se un cacciatore decidesse di cancellare tutto ciò che gli era stato insegnato pur di stare con la donna che gli ha fatto riscoprire cosa significa amare e apprezzare ogni istante come se fosse l'ultimo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 2


 

Tutto iniziò circa un anno fa e da allora la mia vita subì un cambiamento radicale. Non posso dire che questa trasformazione fu immediata, perchè sarebbe come cercare di spiegare ad un cieco i colori o insegnare ad uno zoppo a correre. Nient'altro che un'illusione. Eppure, ogni attimo, ogni istante trascorso da quell'incontro mi segnò irrimediabilmente, rendendomi quella che sono oggi.

Ad ogni modo, quando accadde si era da poco concluso il mio primo giorno di scuola dell'ultimo anno di liceo. Una volta uscita dall'istituto e aver salutato tutti i miei compagni di classe che non vedevo da diversi mesi, mi ritrovai a girovagare per le strade di Londra, in quella giornata di fine estate, a cavallo della mia mountain-bike mezza scassata, nel disperato tentativo di posticipare il più possibile l'incombenza compiti o, come dicevano i miei insegnati, "il momento più importante dell'apprendimento". Che razza di professore sano di mente assegna venticinque pagine da studiare la prima settimana di scuola?

Borbottando tra me mille insulti rivolti a quella crapa pelata del mio prof di economia, svoltai in Piccadilly. Una volta entrata a Green Park, legai la bici ad un albero e proseguii il mio giretto turistico a piedi. Ben presto riuscii a scovare una panchina libera, e stremata da quella giornata infernale vissuta tra i banchi di scuola, mi ci accasciai sopra con un sospiro stanco.

Estrassi il mio nuovo libro dallo zaino ed iniziai a leggere, curiosa di scoprirne di più su quel misterioso personaggio. Ero immersissima nel racconto e stavo per venire a conoscenza del segreto soprannaturale del protagonista quando una goccia d'acqua cadde sulla pagina, impedendomi la lettura di una parola.

Rivolsi gli occhi al cielo e notai che si stava annuvolando, perciò mi affrettai a chiudere il libro e ad alzarmi di scatto, prima che iniziasse il temporale. Corsi verso dove avevo lasciato la bicicletta, ma non la trovai. Nel dubbio, mi guardai intorno. Daltronde, il parco era davvero grande e avrei potuto benissimo sbagliare l'albero.

Nel frattempo, quella che era iniziata come una lieve pioggerella, ora si era tramutata in un vero e proprio acquazzone. Milioni di pozzanghere si formarono, rendendo il terreno erboso un unico pantano di terra, acqua piovana ed escrementi di scoiattolo.

Accidentaccio a me e alle scarpe nuove che avevo deciso di indossare quella mattina.

Del mio mezzo di trasporto non c'era nessuna traccia, e a malincuore stabilii che dovevo essere stata derubata.
-Grandioso!- borbottai senza un minimo di entusiasmo. Iniziai a marciare verso l'uscita del parco, tentando inutilmente di coprirmi i capelli alla meno peggio (ovviamente quel giorno mi ero dimenticata di prendere l'ombrello) e bighellonai, imprecando come uno scaricatore di porto, sotto tutti i portici che incontravo nel mio cammino.

Tra un insulto e l'altro, mi ritrovai davanti ad un bar. Era poco frequentato e proprio per la tranquillità che garantiva, spesso mi ci rifugiavo per evadere dal chaos della capitale. Dopo essermi pulita i piedi sul piccolo zerbino, per evitare di lasciare impronte fangose ovunque, entrai al Christal. Un susseguirsi di din annunciò il mio ingresso nel locale, seguito dal dolce profumo di biscotti appena sfornati. Aspirai a pieni polmoni quel delizioso odore che mi stuzzicava il palato, permettendogli di invadermi le narici.

-Hei, Amy! Qual buon vento, come sono andate le vacanze?- mi salutò la barista, con un sorriso stampato in volto, non appena mi vide.
-Ciao Nadine. Tutto bene, grazie. E tu?- ricambiai, tentando di ridare un pò di forma ai capelli appiattiti dalla pioggia.

Nadine tutto sommato era una bella donna, nonostante avesse superato ormai la sessantina. Il viso era incorniciato da capelli chiari tendenti al grigio che le arrivavano poco sopra le spalle. Era un metro e sessantacinque portato da un corpo leggermente formoso di pura simpatia, gentilezza e pazienza. Un piccolo paio di occhiali alla Harry Potter posava sul suo nasino. Aveva guance paffute rigate dai primi segni dell'età. Sembrava la versione inglese della moglie di Babbo Natale.

Iniziò a pulire il bancone con uno straccio consumato- Diciamo che si tira avanti, dai. - poi, osservandomi, consatò -Oh povera cara, ma sei bagnata fradicia. Hai dimenticato di nuovo l'ombrello? Tua madre dovrebbe metterti un bel post-it sulla fronte per ricordartelo. È sempre la stessa storia - rise -dai, vatti a sedere, non stare lì impalata sulla porta. Io nel frattempo ti preparo una bella cioccolata. Non vorrai mica ammalarti la prima settimana di scuola, no?- La ringraziai, pensando che pur di saltare un giorno di scuola mi sarei presa anche la peste bubbonica, accomodandomi al mio solito tavolo.

Frequentavo il Christal da più o meno tutta la vita. Mia madre ci veniva da ragazza, insieme alla sua compagnia di amici, e poi aveva iniziato a portare me. Da quello che mi aveva raccontato, ai suoi tempi era il punto di ritrovo di tutti i giovani che spesso ci passavano intere serate. Ora aveva perso l'attrattiva, soprattutto a causa dell'avanzamento di età della proprietaria, ma Nadine persisteva nel volerlo tenere aperto, troppo legata ai milioni di ricordi che aveva creato e ai sacrifici fatti nel corso degli anni. Io l'appoggiavo su tutta la linea.

Adoravo quel bar che, per quanto fosse rimasto legato ai principi originari, aveva saputo anche adattarsi ai tempi. A fianco del vecchio Juke Box, ora si trovava uno stereo di ultima generazione, capace di leggere anche le chiavette usb. Inoltre, infondo alla sala, proprio di fianco al mio tavolo abituale (dove mi ero appena accomodata), era stato montato un piccolo palco. Di tanto in tanto venivano delle band di periferia a suonare e in quelle serate gli incassi aumentavano in maniera considerevole.

-Ecco a te - mi ero così distratta a guardare gli strumenti, che non mi ero accorta dell'arrivo del mio ordine.
Tant'è che a sentire la voce della cameriera, per poco non sobbalzai.
-Grazie, Liz - le dissi. Elizabeth, o Liz per gli amici, aveva tre anni più di me.
Quel giorno, portava i capelli biondi legati in una coda alta ed indossava la solita divisa nera del locale.
Mi sorrise -Questo weekend pensi di suonare?- mi chiese.
-Non so, sinceramente. Non ho preparato nessun nuovo pezzo durante l'estate. Ho una specie di blocco dello scrittore, credo.- rivelai mortificata.
-Oh non preoccuparti, capita a tutti! Comunque tu pensaci, poi fammi sapere. Per quel che ne so, potrebbe andar bene anche una cover o un vecchio brano -
- Okay, vedrò che posso fare. Sai, tra la scuola e tutto il resto...-
-Tranquilla. Non devi certo giustificarti.- rise -Ora è il caso che mi rimetta al lavoro! Ci si vede!-

Feci un cenno di saluto a Liz e inizai a sorseggiare la mia pannosa cioccolata pucciandoci di tanto in tanto dei biscotti al burro. Ad un certo punto, una piccola testolina spuntò nel posto di fronte al mio. Era talmente bassa che non arrivava all'altezza del tavolo. -Ameeeliaaaaa- squittì la bambina, correndomi incontro e strapazzandomi in un tenero abbraccio.

-Hei piccola!-
-Non sono piccola- si lamentò -Ho sei anni. Sono già una donna. Vero mamma?- disse rivolgendosi alla donna che era comparsa alle sue spalle.
-Assolutamente si, hai ragione. - replicò lei con un sospiro stanco.
-Allora, com'è andato il primo giorno di scuola?- domandai con entusiasmo.
-Bene! La maestra ci ha spiegato le addizioni!!-
-Wow! E le hai capite?- Sulla sua faccina paffuta comparve una smorfia piuttosto buffa.
-A questo proposito Amelia...- intervenne la madre -pensavo che magari potresti aiutare la picco..ehm...Lucy con i compiti oggi. E magari farle da baby sitter questo weekend...sempre che tu non abbia altri impegni, ovvio.-
-Nessun impegno signora Stwart, mi farebbe molto piacere passare un pò di tempo con lei. Sono libera anche in questo momento se vuole -

-Oh tesoro, che brava ragazza che sei. Grazie mille! Ecco tieni - si mise a trafficare all'interno della sua borsetta, tirandone fuori una banconota da cinquanta sterline -Nel frattempo tieni questi, poi se te ne dovessero servire altri fammi sapere!-

Alla vista di tutti quei soldi, rimasi con la bocca spalancata -Signora sono troppi, davvero. Non posso accettarli. Avrei lavorato
tranquillamente gratis...-

-Oh, suvvia cara. Non essere modesta. Tieniti questi, sei sempre così gentile con la nostra famiglia... e Lucy ti adora-
-Ehm...la ringrazio- sussurrai ancora sconvolta.

Fu così che mi ritrovai ad aiutare Non-sono-piccola-Lucy con i compiti mentre, ne sono assoluatamente certa, sua madre tornava a casa pronta a stappare lo Champagne e a festeggiare con le amiche ultraquarantenni qualche ora di libertà.

Se c'è una cosa che mi fa paura, sono le donne di mezza età, convinte di essere ancora nel fiore degli anni nonostante le prime avvisaglie della menopausa. Assolutamente raccapricciante.

Mi riscossi dai miei pensieri e riportai l'attenzione sulla bambina. Mi fissava, con i suoi grandi occhioni, la testa inclinata di lato. Con quella pelle candida e quello sguardo fisso nel mio, sembrava una bambola assassina. Le trecce bionde completavano il pacchetto. Oddio. Dovevo assolutamente smetterla di guardarmi tutti quei film horror la sera tardi.

Lucy tirò fuori il quaderno ed io, munendomi di tutta la pazienza di questo mondo, iniziai a spiegarle in tutti i modi umanamente possibili che 2+2 = 4 non "un pesce" come le aveva detto suo fratello maggiore, non che mio migliore amico da una vita e per un breve, brevissimo, periodo mio ragazzo. La nostra "relazione" risaliva ai tempi della prima media e Dio solo sa quanto quelle tre ore furono imbarazzanti. Durò solo tre ore perchè, fortunatamente, entrambi capimmo quasi da subito che eravamo meglio come amici che come coppia. Fu a lui che diedi il mio primo bacio. A stampo. Viscido. Umidiccio. Nel bagno delle ragazze con me seduta sul gabinetto e lui con l'apparecchio ai denti che gli tratteneva tutta la saliva in bocca. Quando ci avvicinammo, nessuno dei due sapeva che per baciare una persona bisogna inclinare un minimo la testa. Ci tirammo una zuccata.

Un momento memorabile, davvero.
Accidenti, come ero finita a pensare a Jake?

Due ore e trentasette minuti dopo ero pronta a strapparmi tutti i capelli uno a uno. Lucy era una capra in matematica, non c'era altro da dire. Per quanto potesse essere adorabile, in quel momento le avrei volentieri sbattuto il quaderno in faccia. Poi, come per magia, mi ricordai del bigliettone da cinquanta sterline e tutto divenne più bello ai miei occhi.

- Uffa – sbuffò – è difficile! La matematica non va per me -
- "Fa" - Praticamente vidi il punto di domanda formarsi nel suo cervello. - Si dice "non FA per me" non "va" – spiegai. Ci mancavano solo le ripetizioni di grammatica.
- Okay -
- Dai, ripetimi tutto per l'ultima volta e poi... - le parole mi morirono sulle labbra non appena udii una dolce e soave melodia proveniente...oh, ma chi voglio prendere in giro? Continuavo a distrarmi per tre motivi: primo, non ero per niente adatta a fare l'insegnante. Adoravo i bambini, ma il fatto che impiegassero un'era a capire un concetto semplicissimo era snervante. Secondo, un ragazzo strafigo, che subito battezzai come Mr Tenebroso, era appena salito sul palco. Terzo, il ragazzo in questione si era avvicinato al pianoforte con passo deciso e sicuro di sè. Oh mio Dio.

Se questo è un sogno, vi prego non svegliatemi.

Dicono che il principe azzurro esiste solo nelle favole, eppure in quel momento mi sembrò di averlo trovato. Non era di stirpe reale e sicuramente non aveva un cavallo bianco. Eppure aveva il suo fascino. Un fascino proibito che una persona sana di mente avrebbe evitato, ma con scarsi risultati.

Aveva l'aria del classico ragazzo dallo sguardo penetrante e il sorriso malizioso, che fa cadere le ragazze ai suoi piedi semplicemente respirando. Il tipo di persona che pensa che tutto gli sia dovuto, abituato ad ottenere ciò che desidera. Era colui che interpreta la parte del cattivo in ogni favola che si rispetti, per il quale la classica ragazza casa scuola e chiesa si prende la più grande delle sbandate. Perfettamente a conoscenza dell'effetto che faceva al genere femminile, dalle più giovani a quelle più avanti con gli anni, era tanto bello da far male.

Eppure non avrei mai detto che un tipo all'apparenza così perfetto e maledettamente attraente, potesse avere tutto quel talento in campo musicale.

Mi guardai intorno, improvvisamente nervosa all'idea di assistere alla sua performance. Eravamo rimasti davvero in pochi al Christal. C'eravamo solo io, Lucy, Liz, Nadine, una coppietta di anziani e ovviamente, Mr Tenebroso. Il ragazzo lanciò uno sguardo fugace al suo pubblico, poi le sue mani presero a muoversi sui tasti.

Il salone iniziò a riempirsi di una composizione meravigliosa ed incredibilmente complicata, tanto che fui costretta a domandarmi come fosse possibile che un solo paio di mani potesse creare una melodia tanto perfetta.

Ed in quel momento capii di essermi sbagliata in maniera sconsiderata sull'opinione che mi ero fatta su di lui, perchè una persona così superficiale, come l'avevo etichettato, non sarebbe mai stata capace di fare una cosa del genere. Di creare un accordo di rispetto così profondo e sviscerato insieme allo strumento.

Mentre ci pensavo la musica si velocizzò, trasformandosi in qualcosa che conteneva ugualmente una grande morbidezza. La stanza si riempì di una dolcezza insostenibile.
Chiusi gli occhi.

Iniziai a sorridere. Sorrisi perchè mi ero commossa come mai prima d'ora, perchè una persona che nemmeno conoscevo era riuscita a farmi provare delle sensazioni tali da farmi rimanere senza parole. E questo era un maledettissimo, grandissimo problema.

- Amy perchè piangi? - era stata la piccola Lucy a parlare, anche lei rapita dalla bravura del musicista.
- Cosa? - farfugliai, appoggiando una mano sulla guancia e trovandola, effettivamente, rigata dalle lacrime. Mi affrettai ad asciugare quel breve momento di debolezza con la felpa. – deve essermi finito qualcosa nell'occhio, non è niente -

Poi lanciai un'occhiata verso il palco.
Il ragazzo si era alzato, per ringraziare i presenti dell'attenzione che gli avevamo riservato, gli occhi chiarissimi che puntavano verso di me.

No. Non fissarmi. Non guardarmi.
Incubi. Ombre. Antiche paure.
È sbagliato. Sei sbagliato.

Ritrassi in fretta lo sguardo da lui ed agguantai lo zainetto di Peppa Pig.
- Lucy è ora di tornare a casa, prepara le tue cose – ordinai. Non so perchè, ma sentivo che se non me ne fossi andata subito da quel posto, da quel ragazzo, ne avrei pagato le conseguenze.

Ma la bambina doveva avere altri piani, perchè saltò giù dalla panca e sgambettò fino a raggiungere l'oggetto del mio dissidio interiore.

   
 
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