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Autore: Drago Rosso Sangue    12/06/2016    3 recensioni
Ispirata al disegno che ho fatt.
È da poco scoccata la mezzanotte, Charles è adagiato sul letto con le lacrime. Arriva Erik che lo porta via, come l'angelo della morte.
Dal testo: [...] ed Erik avvertì una poderosa stretta al cuore che, seppur avesse cercato di ignorare in un primo momento, lo spinse a sedersi sul bordo di quel letto sfatto e allungarsi verso il relitto tremante che era Charles, per poi scostargli un paio di ciocche dal viso, lasciando subito dopo una lieve carezza lì dove le lacrime gli rigavano le guance, scorrendo dai suoi occhi serrati con risoluzione.
Spero che sia di vostro gradimento.
Drago
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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In The Middle Of The Night, Come To Me, Embrce My Soul And Take My Life
 
 
Era da poco scoccata la mezzanotte.
I rintocchi lugubri dell’antico orologio a pendolo, cimelio della famiglia che lì aveva dimorato, riempivano il silenzio di tutta la villa, propagandosi dall’ampio salone in tutte le camere, salivano le scale e serpeggiavano per i corridoi fino a infilarsi sotto gli usci delle porte.
Quel suono colmava, per quanto possibile, anche il vuoto dell’unica anima, sola nella propria stanza buia, che ancora non voleva fuggire da quella casa immensa affollata da dolorosi ricordi, indelebili fantasmi.
Charles giaceva abbandonato e scomposto sul proprio letto, tutto tremante in preda alle voci che gli affollavano la mente, quelle voci infami che avrebbe voluto tenere lontane da lui, ma l’effetto del siero era svanito troppo velocamente ed ora le sue gambe inermi gli impedivano di allungarsi verso il comodino e afferrare la siringa che l’avrebbe risanato abbastanza per permettergli di dormire.
Questa restava adagiata sul legno osservando quel relitto di uomo immobile sul materasso dalla sua postazione rialzata, e il liquido ambrato racchiuso nel sottile vetro pareva ammiccare compassionevole, come voglioso di mischiarsi al sangue del telepate nelle sue vene.
Prorio lì, accanto alla siringa, svettava la polverosa foto di Raven che sorrideva serena, immune al dolore del suo migliore amico chiuso in quella stanza da giorni, e appena più in là un foglio sbiadito e spiegazzato ritraeva il serio volto di colui che era la causa di tutto, di tutto il male, di tutta la sofferenza, la causa prima del cuore infranto di Charles che, in macerie, gli gravava sul petto.
Rannicchiato sulle gelide coperte sgualcite, avvolto dalla vestaglia bordeaux che gli fasciava il corpo magro e devastato e gli lasciava scoperte le gambe ossute tirate al petto, singhiozzava affranto con il volto pesantemente affondato nel cuscino imbottito di piume, i capelli lunghi e arruffati a coprire completamente tutto il suo viso provato, stringendo con rabbia i lembi del guanciale tra le mani nervose per impedirsi di urlare, solo in quel letto troppo grande e vuoto, sopraffatto dai ricordi di un passato che non avrebbe mai riavuto indietro.
Tutte quelle voci che gli ronzavano nella mente lo stavano facendo impazzire, lievi o appena sussurrate che fossero, strazianti o gementi chiedendo aiuto, e mai come in quella notte avrebbe voluto farle smettere, cancellarle del tutto dalla sua vita, o annullare la sua stessa vita che l’aveva deluso fin nel profondo, lasciandolo spaccato nell’anima solcata da profonde cicatrici che non sarebbero più scomparse.
Eppure, non aveva il coraggio di disturbare il quieto sonno di Hank, avvolto dai suoi semplici e caldi sogni in una stanza al piano di sotto, per chiedergli di andare da lui, ancora addormentato e mansueto, e allungargli la siringa col siero – o un pugnale per farla finita una volta per tutte – e neppure riusciva a muovere un singolo muscolo, bastava poco per raggiungere il comodino al lato del letto, ma tutte le sue ossa dolevano tremendamente e i suoi nervi non ne volevano sapere di rispondere ai già deboli comandi.
Charles sentiva la propria schiena pulsare di dolore, proprio lì in quel punto dove sapeva esserci la sporgente cicatrice lasciata da quel proiettile amico oltre dieci anni fa: su quella spiaggia di Cuba che fu l’inizio e la fine contemporaneamente, il proiettile gli aveva bloccato le gambe per sempre; per lui era come se non le avesse, le toccava e non avvertiva nulla, e tutto questo lo dilaniava internamente, gli sdrucciolava l’anima e il corpo, anche perchè ancora erano vividi nella sua mente quegli occhi tempestosi che l’avevano guardato un’ultima volta addolorati e rassegnati, ma sicuri delle idee contorte dell’uomo ai quali appartenevano, prima di abbandonarlo senza alcun ritegno, lacerato nello spirito.
Gli sfuggì un sonoro singulto, subito smorzato dalla morbida stoffa del cuscino e calde lacrime presero a scendergli dagli occhi già gonfi e rossi per i pianti precedenti: quanto gli faceva male il cuore ripensando a Erik e a tutto quello che per lui era stato negli anni precedenti, prima della loro separazione.
Era stato troppo breve, ma troppo intenso per poter dimenticare tanto facilmente le emozioni provate, sensazioni che come aghi o spine di rovi gli attanagliavano il petto coi loro uncini e non gli lasciavano pace, lo tormentavano con i dolci ricordi che si trasformavano in veleno, lo consumavano lentamente man mano che il ricordo invecchiava con lui, solidificandosi con maggior prepotenza nella sua mente stanca e sofferente, nonostante cercasse di eliminarlo per non provare più tutto quel dolore.
Strinse tra le mani con disperazione il martoriato cuscino che accoglieva in silenzio le sue lacrime amare, non potendo più trattenersi oltre, e spezzati singhiozzi presero a sfuggire dalle sue labbra tremanti, infrangendosi sulla stoffa e sfumando nel buio della notte, inascoltati.
Fuori da quella stanza ghiacciata, oltre le mura che separavano la congelata sofferenza di un singolo uomo dalla realtà in continua evoluzione del mondo esterno, il folle vento autunnale imperversava sferzando le chiome incolte degli alberi e l’erba alta non più curata, abbandonata a se stessa in quel giardino che un tempo verdeggiava rigoglioso, presagio di una tempesta imminente che avrebbe scosso gli animi più feriti, come rispecchiandosi nell’umore grigio e tumultuoso di Charles.
Piangeva sul proprio letto vuoto quel volto, quegli occhi, quelle sensazioni ormai diventate oscure e lontane, e più tentava di allungare una mano nel buio che lo circondava per afferrarle e riportarle alla vita, un barlume di luce, più queste si allontanavano lasciando in lui il dolore della perdita di quell’uomo che aveva amato talmente profondamente da ritrovarsi, ora che non l’aveva più al fianco, come un corpo privo di vita, un involucro vuoto e insignificante, prosciugato dalla propria essenza.
Ad un tratto, l’atmosfera funerea ed estremamente triste della stanza venne travolta da una folata di vento gelido come il respiro dei fantasmi, e i raggi cenerini della luna circondata da nubi minacciose si introdussero irriverenti dalla finestra spalancata, illuminando il piccolo corpo tremante di Charles rannicchiato sul letto; le tende si mossero come impazzite prendendo le sembianze distorte di lunghe mani spettrali che cercavano di raggiungere l’affranto telepate, quando il tumulto dell’uragano le travolse.
Charles lo sentiva, lo sentiva fin dentro l’anima sbiadita che lui era lì, bellissimo frammento di sole in tutto quel grigiore che gli faceva da sfondo e gli stipiti da cornice come in un quadro, ma non volle voltarsi, perché troppo devastante sarebbe stata la vista di quegli occhi, grigi come la tempesta che si stava per abbattere sulla villa, e il suo cuore in subbuglio sarebbe sicuramente perito sotto l’intensità delle emozioni che in lui stavano rinascendo prepotentemente, effimere fenici sorte dalle ceneri di un amore che era simile a una guerra eterna.
Erik entrò dalla finestra spalancata con la fluida eleganza di una pantera, appoggiando i piedi sul legno di quella stanza che era stata anche sua molti anni fa, e subito venne travolto anch’egli da lontani ricordi che rimandavano a quelle notti di passione in cui sentiva sopra di sé la pelle sudata e bollente di Charles e stringeva contro il proprio petto il caldo corpo di quell’uomo infranto e spezzato come un giunco sotto la pioggia che in quel momento svettava sul materasso vecchio, il volto che tanto aveva amato nascosto da una tenda di spettinati capelli, le spalle gracili.
Erik avrebbe tanto voluto abbracciare quella schiena che lui stesso aveva distrutto e scostare le ciocche brune e ramate per mostrare ai propri occhi il suo viso splendido, magari affogando nel blu intenso degli occhi dell’altro, e così si accinse a fare, avanzando verso il letto a passi lenti e leggeri, come se non volesse svegliare il suo Charles dormiente, ma quando fu abbastanza vicino scorse la siringa col siero, sentendo crescere la rabbia in ogni terminazione nervosa: lui non doveva, non poteva continuamente iniettarsi quella medicina, perché l’avrebbe consumato, lo stava consumando; e allora, con tutto il disappunto racchiuso in un semplice gesto, raccolse la siringa tra il pollice e l’indice e la lasciò cadere al suolo, osservando con disprezzo il vetro infrangersi in mille schegge e il liquido ambrato spargersi sul pavimento come olio nocivo, tanto che compì un passo all’indietro per non entrarci in contatto.
Sentì Charles sussultare e singhiozzare con forza, affondando nel cuscino che accoglieva la sua testa, come se si sentisse perduto del tutto, come se quel dannato liquido uscito da un laboratorio fosse stata l’unica sua ragione di vita, ed Erik avvertì una poderosa stretta al cuore che, seppur avesse cercato di ignorare in un primo momento, lo spinse a sedersi sul bordo di quel letto sfatto e allungarsi  verso il relitto tremante che era Charles, per poi scostargli un paio di ciocche dal viso, lasciando subito dopo una lieve carezza lì dove le lacrime gli rigavano le guance,  scorrendo dai suoi occhi serrati con risoluzione.
Senza aspettare oltre, travolto dagli antichi sentimenti che per l’altro aveva provato tanto intensamente quanto teneramente, puntellandosi appena sul morbido materasso, Erik afferrò saldamente il corpo magrissimo e sciupato del telepate, passandogli un braccio muscoloso attorno alle spalle, le quali fremettero sotto il suo tocco, e strinse saldamente la mano libera sotto le sue ginocchia inermi, attirandolo a sé e sollevandolo senza il minimo sforzo, tanto si era logorato nella carne e nello spirito.
Docile, Charles si lasciò cingere nell’abbraccio di Erik, affondando il volto nell’incavo del suo collo e stringendo tra le dita i lembi della sua camicia azzurra sbottonata sul petto, come un invito, sentendo le labbra dell’altro posarsi sul proprio capo e lasciare un dolcissimo bacio tra i capelli, lievissimo ma devastante per il suo povero cuore, il quale perse qualche battito, prima di abbandonare le difese e rilassarsi completamente contro il corpo dell’altro, il respiro regolare come quello di un bambino cullato da Morfeo, caldo sul collo teso del Signore dei Metalli.
La testa sulla sua spalla si fece più pesante in pochi istanti di immobilità, ed Erik capì che Charles si era addormentato.
Gli fece una tenerezza infinita, tanto che non poté fare a meno di baciargli il capo un’altra volta; poi si diresse verso la finestra ancora spalancata, le raffiche gelide lo catturarono nei loro giochi tumultuosi sullo sfondo grigio del cielo minaccioso appena prima dello scoppio della tempesta, qualche lampo in lontananza seguito dai tuoni burberi, e si lasciò sollevare oltre il davanzale, aiutato dal proprio, straordinario potere, i capelli biondi scompigliati e sferzati dal folle vento.
Non appena l’aria pungente si insinuò sotto la sua vestaglia, Charles, nel tepore onirico del dormiveglia, si costrinse ad aprire gli occhi di scatto per osservare la stoffa della camicia di Erik e subito dopo scorgere la sua villa dall’alto, quasi si trovasse in un sogno sacro, tra le braccia di quell’unico uomo che aveva amato in tutta la sua vita: in quel momento gli pareva un terribile e bellissimo angelo della morte pronto a portarlo via dal mondo dei viventi.
Per anni aveva sperato che tutto ciò accadesse, e da anni aveva atteso quel momento nei suoi sogni più nascosti, nei recessi più inesplorati della sua anima in frantumi.
Come se i deboli spiriti fossero scivolati via dal suo corpo, Charles si lasciò andare nel calore di quella stretta conosciuta, mentre il vento soffiava ruggendo nelle sue orecchie, a volte portandogli brevi frammenti di frasi sussurrate che rievocavano un amore di un tempo passato.
 
Fine
 
 
Angolino Cherik del Drago
 
Oddio, la mia prima Cherik scritta! *mi copro gli occhi con le mani e scuoto la testa*
Dico scritta, perché di Cherik ne ho disegnate tante (si veda la copertina XD), ma scritte… È la prima volta!! *saltello sui piedi come una bambina*
Chiedo umilmente a voi tutte Cherikdipendenti più esperte di me di lasciare qualche commentino e/o recensione… Danke!
Così che poi potrò pubblicare anche l’altra Cherik che ho già scritto… *sorriso da squalo*
Grazie mille per la vostra lettura!!!! Davvero tanto!
Bacioni (anche da parte di Charles-Xavier-che-è-l’amore-della-mia-vita-occhi-a-cuore)
 
Drago :3
  
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