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Autore: Terre_del_Nord    13/06/2016    6 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Chains - IV.032 - Nel nome della Madre (1)

IV.032



Evan Rosier
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 23 gennaio 1972

“Evan caro, come stai? […] Avrei voluto incontrarti a Hogsmeade, per assicurarmi di persona che tu stia bene, purtroppo quel vecchio babbione di Dumbledore è deciso a portare avanti la ridicola punizione che ha dato a te e agli altri ragazzi, impedendovi di uscire, […] devo perciò accontentarmi di spedirti questa lettera e questo pacco di abiti nuovi: sono stati realizzati sulle misure prese durante le vacanze, in caso tu ti sia alzato ancora, affidati agli Elfi per i ritocchi. All'interno troverai anche una lettera di tuo padre e una boccetta: non so che cosa abbia intrugliato, negli ultimi giorni, ma desidera che tu la riceva prima possibile. Vuole anche che tu faccia attenzione nel maneggiarla perché contiene, dice lui, una pozione “preziosa e rara”. Sai com’è fatto. […] Mi raccomando, non rovinare il mantello nuovo che ti abbiamo regalato a Natale, impegnati nello studio e stai lontano dai guai, cerca almeno tu di non farmi sfigurare di fronte a quei palloni gonfiati dei Black e di Malfoy [...] A presto. […] Mamma.”

    Stronza…

Le stelle brillavano nell'oscurità gelida della notte ed io feci un altro tiro, nel vano tentativo di calmarmi, cenere rovente cadde dalla sigaretta e andò a bruciacchiare proprio una porzione del collo di pelliccia del mantello nuovo. Scoppiai a ridere, una risata nervosa, isterica. Mi sentivo soffocare. Per questo ero sgattaiolato fuori dal dormitorio nel cuore della notte e, facendo attenzione a Pix, ero arrivato al cortile della Torre dell'Orologio, mi ero sistemato sul muretto del porticato e avevo affrontato il freddo, creando con la Magia delle Fiamme Trasportabili per scaldarmi con la loro luce fredda. C'erano molti controlli di notte nella scuola, per evitare episodi incresciosi, ma usando bene i passaggi segreti dei ritratti, conoscendo i vezzi di alcuni professori poco abili nel fare la ronda, come Pascal, comprando la complicità di qualche Prefetto e, soprattutto, con una buona dose di culo, era possibile strappare rari momenti di intimità e solitudine anche in quella dannata scuola.
Un altro tiro. Guardai ancora una volta le lettere dei miei, dovevo distruggerle entrambe, per quell'accenno alla fialetta: quando le vidi raggrinzirsi e sparire nelle fiamme, per alcuni istanti riuscii a dimenticare quanto rischioso fosse quello che mi era stato chiesto di fare, e il pensiero scivolò di nuovo, improvviso, a mia madre, ai suoi dannati roseti, al suo maledetto giardiniere Magonò e a tutte le schifose chiacchiere che avevo sentito su di lei durante le ultime vacanze di Natale. Con un gesto secco mi tolsi il mantello, e stavolta non mi limitai a bruciarlo, ma staccai di netto il collo di pelliccia, creando uno strappo lungo tutta la linea mediana delle spalle. Poi affondai il taglierino, che avevo sempre con me, più e più volte, immaginando che dentro al mantello ci fosse lei. Avevo cercato di fingere che non ci credessi o che non m’importasse, ma prendevo fuoco ogni volta che qualcosa mi ricordava quella stronza demente e Malfoy, col ghigno di chi sa tutto, non mancava certo occasione per fare le sue battutine del cazzo. Non mi ero mai vergognato tanto della mia famiglia, neanche quando avevo scoperto che quell’idiota di mio padre era riuscito a farsi beccare l’unica volta che aveva dato a un Babbano ciò che meritava ed era quasi impazzito dopo appena una manciata di mesi nella prigione di Azkaban. Sospirai, avevo giurato a me stesso, da un pezzo, che non sarei diventato come i miei e da allora entrare nella cerchia di Lord Voldemort era diventata la mia sola aspirazione.

    A costo di morirci, tutti vedranno che non sono solo il figlio di un coglione e di una puttana!

Tirai l'ultima boccata, gettai la sigaretta su quello che restava del mantello e la spensi sopra, poi feci Evanescere tutto. Dovevo concentrarmi: la tensione era sempre lì, insieme al cuore che pulsava furioso e a quella strizza che provavo solo di fronte alla McGonaghall. Ero furioso con me stesso perché avevo paura, io che non la provavo quasi mai, e la percepivo ora, quando avevo più bisogno di essere lucido; avevo perso troppe occasioni, aspettando le istruzioni di mio padre, e adesso mi restavano poche ore per agire, non avevo tempo per dubitare, per chiedermi se ciò che volevo fare coincidesse con quello che andava fatto, dovevo solo trovare il modo di riuscirci, preferibilmente salvando le chiappe.

    E invece…

No, non era stata una buona idea uscire con quel dannato mantello e sommare alla paura l’odio per i miei, lo capivo solo adesso: stavo perdendo tutta la mia determinazione. Prima, mentre mi rigiravo nel mio letto con quella fialetta in mano, mi chiedevo solo se sarei riuscito a trovare in tempo il modo di farla sotto il naso di Rabastan senza che se ne accorgesse. Ora che mi ero incazzato a morte con quella troia, invece, avevo iniziato a chiedermi se volessi davvero fare ciò che mi aveva chiesto mio padre, se i suoi piani coincidessero con i miei, se andassero o meno nella direzione che mi avrebbe portato al cospetto del Signore Oscuro e ben lontano dal destino infame che i miei volevano per me. Ero lì, al freddo, pieno di dubbi, e con la mente rivedevo le parole minute che si rincorrevano nervose nella calligrafia infantile del mio vecchio, su un rettangolo sdrucito di pergamena, e pensavo che assomigliassero a tanti schifosi, putridi scarafaggi. Proprio come lui.

“Figliolo, ti ho sempre detto di tenere gli occhi aperti e le orecchie tese. E tu non mi hai mai deluso. Il giorno della riscossa per la nostra famiglia stavolta è a portata di mano, se mi aiuterai di nuovo. So per certo che il fratello del tuo amico vuole attentare alla vita del giovane Mago del Nord, metteranno qualcosa nel suo bicchiere. Voglio che tu mi riferisca ogni eventuale confidenza su questo progetto e, al mio ordine, che tu faccia di tutto per boicottare il loro piano, sostituendo il veleno con la pozione che ti ho fornito io. Aspetta le mie istruzioni e non farti scoprire, mi raccomando, non si possono commettere errori con quella famiglia. In bocca al lupo. Brucia subito questa lettera…


Ero abituato alle imprese folli di mio padre e a essere coinvolto mio malgrado, ma questa le superava tutte. C’era di che essere spaventati e ansiosi: la lettera e la fiala, infatti, erano state allegate al pacco della mamma, arrivato con la posta del venerdì mattina, mentre il fratello di Rabastan si era presentato a scuola ventiquattro ore più tardi, preciso come la morte, e con la scusa di accordarsi per il funerale del loro padre, aveva preso il mio amico da parte e gli aveva chiesto di avvelenare Rigel Sherton, l’indomani, poco prima di partire per la Francia, così che, quando la tragica fatalità fosse avvenuta, i due Lestrange si sarebbero trovati ben lontano. Mi aveva raccontato tutto, Rabastan, esaltato, questa era la sua prima vera occasione di fare qualcosa per conto del Signore Oscuro, ed era così “generoso” da confidarsi con me e invitarmi a partecipare, per farmi notare a mia volta da Milord. Mi aveva mostrato compiaciuto anche gli anelli che il fratello aveva strappato dalle mani del loro vecchio, come gli aveva promesso anni prima, facendomi giurare che non ne avrei mai parlato con nessuno.

    «Te l’ho detto che quel bastardo mantiene le promesse, ci aiuterà anche con Milord, vedrai!»

L'aveva detto battendosi il petto all’altezza della tasca interna della giacca, facendomi intendere che la fiala fosse lì. Io, intanto, mi chiedevo come mai per una volta i folli progetti di mio padre si basassero su una fonte attendibile, chi fosse tanto pazzo o disperato da coinvolgerlo o, peggio, chi l'avesse incastrato in un’operazione così rischiosa e insulsa, in cui non aveva nulla da guadagnare.
Nonostante le perplessità, per una sorta di bovina consuetudine, avevo scritto subito quello che avevo scoperto, sperando in una risposta celere, che giunse invece solo a pomeriggio inoltrato, all'ora dell'ultima consegna della posta, con una copia de “La Rivista del Quidditch” consegnata da un gufo anonimo: nel gagliardetto dei Tornados che vi era allegato, c’era nascosto solo l’ordine di procedere, “a ogni costo”, senza alcuna altra istruzione, suggerimento o spiegazione.

    Nulla di nulla, mentre il tempo a mia disposizione è ormai ridotto a uno sputo di cane. E tutto questo perché? Perché sono un coglione, un bravo figlio che non disubbidisce mai… ecco cosa si guadagna a dire sì… a rispettare gli ordini… a fare sempre quello che gli altri… ma per Merlino…

Avevo ricominciato a sudare freddo, rendendomi conto del fallimento incombente, le ultime ore erano trascorse veloci e io non avevo ideato uno straccio di tattica da portare avanti: durante la giornata, avrei potuto intrufolarmi nella camera di Rabastan mille volte, oramai invece era impossibile, non sapevo dove tenesse nascosto il veleno né che forma e colore avesse la fialetta di Rodolphus.

    Maledizione!

Dovevo mettere le mani addosso a Lestrange prima di colazione, arrivati a quel punto, infatti, l’avrebbe avuta per forza con sé, dovevo sottrargli la fiala, sostituirla con la mia e…

    E affatturarlo per renderlo cieco… solo se fosse cieco non vedrebbe che la fiala è diversa…

Avevo già provato ad aggredirlo in un paio di occasioni, quel giorno, l’avevo provocato, coinvolto in zuffe, gli avevo messo le mani addosso con la scusa della lotta, azzuffarci non era inusuale tra noi, non poteva insospettirsi per un mio attacco fisico, solo che… non solo non gli avevo trovato la fiala addosso ma i tentativi fatti non avevano portato a nulla di buono: Rabastan aveva reagito in maniera… strana… troppo, persino per lui… fin dalla visita alla Guferia era stato strano, con la coda dell'occhio avevo visto che mi fissava e che aveva portato la mano quasi all'altezza della mia nuca, poi... qualsiasi cosa avesse in mente, ci aveva ripensato. Arrivati a quel punto, a poche ore dalla sua partenza, l’ultima soluzione praticabile pertanto era tentare di renderlo mio complice, corrompendolo o dissuadendolo.

    Impossibile, per quanto faccia il gradasso, ha troppa paura di Rodolphus per tentare di fotterlo… e anche ammesso riuscissi a dissuaderlo… Rodolphus Lestrange mi attaccherebbe a un palo da Quiddich per le palle, se solo sospettasse di me… così potrei scordarmi di arrivare al Signore Oscuro col suo aiuto… anzi mi darebbe proprio in pasto al Lord e, oltre a morire, diventerei lo zimbello di tutti i Serpeverde, proprio come mio padre… E per chi dovrei rischiare tutto questo? Per mio padre? Cosa ha da offrirmi quel fallito? Diventare come lui? Perché dovrei aiutare lui invece di Rodolphus Lestrange? Perché sto ancora qui, al freddo, a pensare come aiutare quel coglione?

Mi alzai dal muretto, presi la boccetta di mio padre, la guardai contro luce, ondeggiai piano la mano così che il liquido perlaceo si mescolasse lentamente… Fu un attimo: stappai la bottiglietta, caricai il braccio in un ampio arco, lanciai: il liquido fuoriuscì dalla boccetta e si disperse in mille gocce che cristallizzarono e caddero giù miste alla neve, tanti piccoli spiriti opalescenti e azzurrini.

    Non so perché non abbia fatto effetto, padre … ho fatto tutto quello che tu mi hai chiesto...

Ridevo, pensando al colpo che gli sarebbe preso quando avesse scoperto che il suo grande piano per ristabilire il nostro buon nome era andato a farsi fottere, minimo chi l’aveva tirato in ballo avrebbe pensato che avesse sbagliato a distillare la pozione, coglione com’era. Se ero fortunato, l’avrebbero pure Cruciato a dovere. Sotto la neve, ridevo, ondeggiando e saltellando su un piede e poi sull’altro per riscaldarmi, libero finalmente da tutti i miei crucci. Quando leccai via la neve che mi si attaccava alle labbra, però, sentii aspro il sapore del sale e un peso terribile andò a sfondarmi lo stomaco.

    Rigel… che cazzo… si tratta di Rigel…

La sua salvezza era da qualche parte, a terra, metri e metri più in basso, mischiata alla neve. Era di lui che si trattava, non di Malfoy o di un altro stronzo qualsiasi… si trattava di Rigel… non c’erano mai stati screzi tra noi, era leale, si faceva in quattro per difenderti e pararti il culo nelle emergenze... non meritava tutto quello che gli stava accadendo ed io… Rigel era mio amico… ed io…

    No… non sono stato io… è stata l’arroganza di tuo padre e la stupidità di tuo fratello a metterti contro il Signore Oscuro… io non ho colpa… solo perché non voglio finire come te… non è colpa mia… solo perché non sono uno sciocco… solo perché non intendo subire le scelte sbagliate della mia famiglia… mi dispiace Sherton, l’ho giurato… non sarò mai un idiota, come siete tutti voi.


***

Meissa Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 23 gennaio 1972

“... A far luce c'erano solo tre candele, su un candelabro all'angolo sinistro della stanza. Così oscura, piccola e umida, doveva essere una cripta, le pareti popolate da sinuosi serpenti di pietra, le cui spire prendevano vita nel bagliore tremolante delle fiamme. Ruotai appena il capo, con la coda dell’occhio vidi alcune persone, dietro di me, poche ombre strette nei mantelli: vestiti di nero, a capo chino, bisbigliavano una nenia ininterrotta. Rabbrividii: sembrava quella che avevo sentito tra le rose, sotto la torre di Herrengton, la sera in cui vidi per l'ultima volta mio fratello... Tornai al presente con un sussulto, il cuore in gola, il luccichio di una lama d’acciaio, a poca distanza da me.

“Ti senti bene?”

Annuii appena, smarrita, ma quando la mano forte mi serrò l'avambraccio sinistro, mi voltai verso l’ombra al mio fianco, celata sotto un cappuccio simile al mio, e un timido sorriso si stampò sulle mie labbra, le guance mi presero fuoco. Strinsi la mano grande e forte che mi era offerta, emozionata, mi aggrappai ad essa, alla mia ancora di salvezza. Non c’era nient’altro oltre quella mano, stretta alla mia, ormai. Rimasi incantata dal luccichio dell’anello d’argento con simboli runici, un anello identico al mio, un anello che non mi apparteneva ma che avevo imparato a riconoscere. E ad amare.

“Sei sicura, Meissa? Sicura di volere… lui?”

Una voce dietro di me... dentro di me... una voce del mio passato... voleva trattenermi, una voce simile a quella del mio padrino... Orion Black...

Black... Black... Black...

Quel nome voleva riportarmi indietro ma era troppo tardi... mi feci più forte di ogni pensiero, di ogni ricordo, di ogni speranza. Non c'era niente, solo dolore se avessi seguito quella voce. Sorrisi.

“Sì… certo che sì...”

L’uomo anziano dinanzi a noi, nelle ricche vesti verde e argento, estrasse il prezioso nastro di seta da una scatola di antico legno istoriato, mi fissò a lungo e mentre la nenia diventava un canto, annodò stretta la seta intorno ai nostri polsi, borbottando le formule del rito… Quando tutto si concluse, umide labbra si stamparono sulle mie…
E anche la voce di Black, infine, mi lasciò andare.”

*

    «Vuoi che ti riaccompagni in infermeria?»

Mi voltai verso Rigel, stanca e provata, negai con la testa. La notte era stata piena di incubi, ancora una volta avevo sognato di cadere in mare e annegare tra i flutti e di trovarmi in una grotta da cui non riuscivo a uscire, le dita massacrate nel vano tentativo di scavare una via di fuga. Il giorno prima ero scivolata in una sorta di torpore addirittura a lezione di volo, mentre la Hooch spiegava i vari tipi di legno magico usati per costruire Scope, in infermeria era arrivato anche il Preside che mi aveva parlato, soffermandosi, con parecchie domande, sui sogni che mi perseguitavano. Il risveglio, quella mattina, era stato peggiore del solito, col lenzuolo incollato alla schiena caldo e appiccicoso di sangue: mi ero spaventata, all'inizio non riuscivo a distinguere il sogno dalla realtà, poi le fitte alla pancia e la sensazione di essere un pallone mi ricordarono che ero solo una stupida ragazzina imbranata, smemorata e sprovveduta. Se avessi potuto, sarei sparita dalla faccia della terra e non sarei più tornata indietro, l’unica cosa positiva era che fosse domenica: senza lezioni, avrei passato tutto il giorno da sola in qualche anfratto della biblioteca, bastava non insultare qualcuno a colazione e non mettermi a piangere per ogni sciocchezza e forse sarei stata in salvo.

    «La guaritrice mi ha già dato delle pozioni per dormire, Rigel, ma sappiamo entrambi quale sia l’unica cosa che potrebbe calmarmi... »
    «Devi avere solo pazienza… sono sicuro che nostra madre… »
    «Basta, Rigel! Tu e quel tuo stupido anello mi avete stancato!»

Stizzita e esasperata lo distanziai, Rigel mi lasciò fare ma già dopo pochi passi fu di nuovo al mio fianco, tirai su col naso, piano, non volevo vedesse che stavo per rimettermi a piangere.

    «Non c’è solo l’anello di nostra madre, ci sono anche i tuoi sogni: potrebbero non essere solo incubi e tu lo sai, a Herrengton spesso i sogni sono premonizioni... Qui siamo a Hogwarts, qui incantesimi potenti ci difendono dalla magia esterna, lo so, Herrengton, però, è poco lontana, appena di là delle montagne, la sua influenza è forte e... scommetto che è per questo che il Preside è interessato ai tuoi sogni e ti ha fatto tutte quelle domande ieri, magari riuscirà a trovarli grazie a te!»
    «E cosa troverebbe, Rigel? Se fosse come dici, starei sognando mamma e papà in estremo pericolo... ed io… io non riesco a vedere uno straccio di indizio per capire dove si trovino!»
    «Tu potresti non capire gli indizi ma Dumbledore sì... »

Lo fissai esasperata e incredula, anch’io volevo aggrapparmi a quella speranza, ma ormai…

    «Da quanti giorni faccio questi incubi? Se mamma e papà fossero in quella grotta o in mare, come potrebbero essere ancora vivi? Tu non hai idea di quanto sia orribile quello che sogno... »

Era impallidito, preda degli stessi dubbi e delle stesse paure che avevo io, lo sapevo, vidi la sua mano guizzare nella tasca, cercava di non farsi più vedere con quell'anello in pubblico, dopo che il Preside gli aveva detto di fare attenzione, ma lo teneva sempre in tasca e, forse inconsapevolmente, le sue dita si stringevano di continuo attorno a quella piccola verghetta appartenuta a nostra madre, alla ricerca di una qualche inutile forma di rassicurazione che io neanche cercavo più.

    «Orion non riesce più neanche a guardarci in faccia... »
    «Preferisce tacere perché… è una persona concreta, Meissa: all'inizio si è sbilanciato troppo, ora non vuole che lo crediamo un bugiardo… e se sei ancora arrabbiata con Dumbledore perché ha fatto sospendere le consegne del Daily a chi non è Insegnante, Prefetto o Caposcuola, pensaci… dopo quello che ha cercato di farti MacNair, con quel dannato giornale, puoi forse biasimarlo? E a cosa servirebbe leggerlo, poi? Il Daily racconta solo stupidaggini, l'ha sempre detto anche papà... »
    «Dirà anche stupidaggini, Rigel... ma sono in molti a crederci qui dentro... »
    «Ragione in più per non farlo circolare dentro la scuola, almeno smetteremo di essere distratti dalle cavolate che sparano quei ciarlatani! Di danni ne ha fatti a sufficienza, per quanto mi riguarda… Meissa, ascoltami... fai pace con Sirius, ci stai male e non hai bisogno di altri stupidi motivi per… »
    «IO NON SONO TRISTE PER QUELLO STUPIDO IDIOTA, CHIARO?»
    «Certo… come no... ascoltami... »
    «NO ASCOLTAMI TU… è stato lui a ferirmi quando ero più debole. E sai come? ripetendo tutte le bugie di quel suo dannato Potter su nostro fratello! Cosa dovrei farmene di un “amico” così?»
    «MEISSA!»

La voce mi si incrinò, accelerai per le scale, diretta in Sala Grande, dovevo sbrigarmi a recuperare un minimo di contegno, ci eravamo attardati nei sotterranei per parlare lontano dalle orecchie dei soliti impiccioni ma avevamo quasi raggiunto i nostri compagni e dovevo tornare impassibile in fretta: a parte Lestrange, che quella mattina sarebbe partito per la Francia col fratello, nessuno aveva impegni urgenti tali da lasciare presto la sala, se mi fossi mostrata debole mi sarebbero piombati addosso con la scusa di consolarmi, in realtà per sbranarmi come iene, incapace com'ero di liberarmi di loro.

    «Io non posso fare nulla per riportarti mamma e papà, mi dispiace... questa storia invece posso risolvertela, in qualche modo... Zelda ha detto che ti sei lamentata anche più del solito stanotte... »
    «Quella lì se la deve finire di fare l'impicciona, se non vuol finire male!»
    «Si può sapere cosa ti prende? Zelda non ti ha mai fatto nulla… dovresti provare a dare un po' di fiducia agli altri, Meissa, non serve a nulla chiudersi a riccio come fai tu, devi farti degli amici e distrarti con loro, in certi momenti, anche le stupidaggini aiut... Meissa... »
    «Impicciati dei cavoli tuoi, Rigel… e pensa ai tuoi di amici... ti aspettano!»

Scossi la testa: all’improvviso era riemerso il ricordo di quella mano legata alla mia, del rituale e di quel dannato anello, lo stesso che avevo visto nel sogno in cui qualcuno mi aiutava a fuggire dalla scuola. Dovevo interrompere quella conversazione e trovare una scusa per non entrare neanche a colazione, non potevo né volevo parlare con nessuno. Mi sentivo soffocare, quello non era un caso, temevo che quell’anello esistesse realmente. Ormai vivevo nel terrore che qualcuno mi passasse un piatto o un libro e gli vedessi l’anello sulle sue mani... A volte temevo di aver capito a chi appartenesse, ma non sapevo come verificarlo, solo a Herrengton, esaminando i vecchi tomi del nonno sulle antiche famiglie purosangue di mezza Europa, forse avrei potuto scoprire la verità.

    «Non mi importa un cavolo dei miei amici, dobbiamo prima finire questo discorso…»
    «Dovrei fare pace con Black e tu non saluti Lestrange, oggi che per lui è un brutto giorno?»
    «Brutto giorno per chi? Non farmi ridere, se non dovesse trovarsi qui già domani, si sbronzerebbe per la gioia fino allo svenimento, appena fuori di qui... quanto ai saluti, ti ho già spiegato che a quello lì non importa un fico secco delle stronzate sentimentali tra amici. E a parte tutto questo, non intendo perdere tempo con quell’idiota, quando non ho idea di cosa stia succedendo a te!»
    «Mi sta succedendo quello che sta capitando anche a te, puoi fingere quanto vuoi di essere forte e sicuro, ragionevole e saggio, ma non lo sei... non sei né papà, né Mirzam... e non sei in te… come non lo sono io… altrimenti ora staresti con quei nullafacenti dei tuoi amici, non con me!»
    «Hai ragione, se fossi in me ti manderei al diavolo come ho sempre fatto… e sai perché? perché sei sempre la solita mocciosa irritante che si ostina a non voler capire niente, Meissa!»

Non lo disse con il tono con cui litigavamo di solito, ma con un’esasperazione che non gli conoscevo. Mi strinse con più forza la mano per trattenermi ma io mi divincola: no, non era nostro padre, non volevo che mi abbracciasse o mi consolasse, soprattutto non ora che, con la coda dell’occhio, avevo visto Black e i suoi amici scendere l’ultimo ramo di scale, non avrei permesso che quell'idiota mi vedesse debole o che mio fratello trovasse il modo di costringermi a parlargli. Rigel seguì il mio sguardo e vide Sirius, io riuscii a sfuggirgli ma lui, invece di seguirmi in Sala Grande, si diresse proprio verso i Grifondoro; forse dovevo raggiungerlo per impedirgli di parlare con Black ma ne sarebbe nata una scena imbarazzante durante la quale Black o Potter avrebbero detto qualcosa che mi avrebbe fatto piangere o arrabbiare, e avremmo finito col litigare ancora di più.

    E tu non vuoi più litigare, non ne hai neanche più le forze... vorresti solo che ricordasse... che capisse quanto male ti ha fatto. Non esiste più il vecchio Sirius, però... quello che ricorderebbe le promesse fatte, quello che sentirebbe la tua mancanza, quello che farebbe la prima mossa, dimostrando che ci tiene a te... il vecchio Sirius non tornerà più... non finché quello stupido Potter continuerà a infestargli il cervello…


***

Rigel Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 23 gennaio 1972

    «… la nuvola si lasciò convincere a farsi trasportare lontano, nelle Highlands, con la promessa di trovare un luogo e una compagnia degne della sua nobiltà. Una volta arrivata però, non solo non trovò alcuna nuvola, ma il vento smise di soffiare, così rimase da sola, intrappolata nelle Terre del Nord, dove passò la sua vita a meditare sull’importanza dell’umiltà… »

I miei compagni di Casa erano intenti a raccontarsi stupide facezie quando entrai in Sala Grande, persino Rabastan era ancora lì, benché il giorno prima il fratello, arrabbiato perché non si era fatto trovare al luogo e all'ora convenuti, gli avesse intimato di non farlo più aspettare. Mi passai la mano sul viso, assonnato, mi sedetti al mio posto, alla destra di Meissa, accanto a Rosier, e subito si materializzò davanti a me la lauta colazione. Non riuscii a trattenere un gemito di affamata soddisfazione, benché quella mattina mia sorella ce l'avesse messa tutta per farmi incazzare come un cinghiale: quando santificava il suo adorato Mirzam, sottolineando come io al contrario fossi inutile e cretino, riuscivo ancora a detestarla come quando eravamo più piccoli, benché razionalmente sapessi di non dovermi arrabbiare con lei, perché era solo una bambina confusa e spaventata. Non sapeva cosa provassi realmente per nostro fratello, quanto fossero simili i nostri sentimenti verso Mirzam, non sapeva che io ero a conoscenza di quanto realmente accaduto tra lui e papà. E dovevo comportarmi da stupido riguardo a Mirzam, proprio per evitare che sospettasse qualcosa.

    «Esatto… Pure io l’ho sentita raccontare così.»
    «Non ho mai capito il senso della storia, dalla prima volta che l'ho udita a casa Warrington...»
    «Te lo ripeto... un senso non ce l’ha… »

Ero impegnato a gustarmi tutti i sapori quella mattina ma, le orecchie tese, non riuscii a non ascoltare la conversazione. Chissà chi aveva tirato fuori quella storia, era uno dei cavalli di battaglia di mio padre, lo usava spesso, soprattutto quando voleva far colpo sui figli di amici che non appartenevano alle Terre. Ero certo che l'avesse raccontata ai Black già la sera del loro arrivo a Herrengton. Non ci prendevamo molto, mio padre ed io, ma era innegabile la sua abilità nel raccontare storie.

    E ora chissà dove sei finito…

Mi concentrai sull’odore penetrante del bacon ancora sfrigolante e mi chiusi a quei pensieri. Gli avevo fatto una promessa, occuparmi di Meissa, qualsiasi cosa fosse avvenuta, potevo lasciarmi andare alla disperazione e alla rabbia solo quando lei non era nei paraggi... e anche riguardo alla rabbia, dovevo darmi una calmata, lo sapevo, non tutti i professori sarebbero stati disposti ancora per molto a tollerare le mie alzate d’ingegno… dubitavo persino che Black, nostro padrino e tutore, per quanto ci tenesse a noi, avesse la stessa capacità di mio padre di tirarmi fuori dai casini se avessi esagerato ancora. Tagliai una striscia sottile, feci un respiro fondo, dovevo riuscire a mettere in pratica i buoni propositi che mi accoglievano al risveglio… e che di solito per metà giornata erano già tutti morti e sepolti. Quella mattina avevo tempo per me, non c’erano neanche gli allenamenti, mi sarei goduto in pace la colazione. Volevo e dovevo farlo. Soprattutto ora che mi sentivo soddisfatto di me, per aver fatto la cosa giusta, parlando con quel moccioso di Black. Dovevo riuscire a sistemare quello che era alla mia portata, per sentirmi un poco in pace con me stesso, e non pensare a nient’altro.

    Voglio parlarti, Black... possiamo vederci al cortile dell'Orologio tra un paio di ore?

Era stato tanto semplice che mi insultavo da solo per non averci pensato prima, bastava essere pazienti e persuasivi… e la persuasione era da sempre uno dei miei punti di forza. Avrei parlato anche a quel Potter: fanatico di Quidditch com'era, avremmo trovato un punto in comune e da lì tutto sarebbe stato semplice. Ci sarei riuscito, non potevo permettere che mia sorella passasse giorni d'inferno per le cazzate scritte da uno stupido giornale e per l'esaltazione di un piccolo pallone gonfiato.

    Ti dai tanto da fare perché pensi che se farai le cose giuste il destino sarà in debito con te, e dovrà darti ciò che vuoi... ma sai bene che le cose non vanno mai come dovrebbero andare...

    «È solo una delle stronzate che raccontano questi prestigiatori del Nord, non ricordo una sola volta che non soffiasse un vento maledetto in quelle lande desolate, quando ci sono stato… »
    «Quello è perché neanche la natura ti vuole tra i piedi, Malfoy… »
    «Ahahahaha… Buona questa, Sherton!»

Avevo continuato a fissare le uova strapazzate, senza dar prova di seguire la conversazione, così nessuno si era accorto che li stessi ascoltando e tutti, sorpresi, esplosero in risate alla mia risposta ghignante: non Lucius, naturalmente, che mi fissava risentito da capotavola, ben lontano da me.

    Accanto a Narcissa…

Sospirai, quello era un altro argomento su cui mettere una pietra tombale, una buona volta e alla svelta. Sollevai lo sguardo, senza degnare d'attenzione i miei compagni, lo lasciai spaziare lontano dal nostro tavolo, per tutta la sala, allungandomi verso i Ravenclaw, e infine feci un sorriso storto e fascinoso dei miei a una tizia del quarto che, me ne ero accorto solo negli ultimi giorni, mi fissava insistente ogni volta che girovagavo smarrito nel settore di Erbologia, in biblioteca.

    «Secondo me Malfoy non vuole uscire vivo da questa scuola, viste le stronzate che spara!»
    «Ahahahahah… »
    «E tu sei uno che se ne intende di stronzate, vero Lestrange?»
    «Ahahahahah… »
    «Ahahahahah… »

Rabastan, seduto quasi in braccio a Evan, mi diede un paio di pacche alle spalle che quasi mi fecero mollare il boccone, io sghignazzai, benché, dopo i fatti delle ultime settimane, cominciassi a stufarmi degli stupidi rituali che mettevano in piedi i miei amici. Tra l’altro, non capivo che cosa avessero, tutti e due, tanto Evan che Rabastan sembravano ancora più strani del solito: Rosier sembrava triste o incazzato, mi aveva detto sì e no mezza parola, ma per quanto ci pensassi, non capivo cosa avessi detto o fatto per farlo risentire, mentre Lestrange era fin troppo espansivo per i miei gusti, se non rompeva le scatole a Malfoy, infatti, faceva casino spintonandosi con Evan e gettandomelo quasi contro, o lasciando libero un maledetto boccino davanti a me e a mia sorella.

    «Dai, stai buono, Rabastan… e stai al posto tuo… »
    «A parte le stronzate, Malfoy non ha tutti i torti, se ci pensate tutte le tempeste che si scatenano sulla scuola salgono da quelle montagne... e di là delle montagne, si sa, ci sono le Terre del Nord!»

Finalmente Rosier era uscito dal suo mutismo rancoroso e mi lanciava uno di quei suoi sguardi liquidi che cercavano approvazione. Io decisi di fargliela scontare per un po’, in quei giorni Evan mi era sembrato l’unico capace di comprendere i miei casini senza risultare invadente e ora quel suo atteggiamento incomprensibile e distaccato mi aveva dato fastidio, non avevo mai sopportato le persone che erano o sembravano incoerenti.

    «Si sa, Rosier? E chi lo dice?»
    «Me l’ha detto Rigel… ha detto “è vero… sono di là delle montagne…” vero Rigel?»

Mollai la pancetta per fissarlo beffardo, a pochi centimetri da me: Evan pensava di aver detto una cosa intelligente o di aver mostrato buona memoria ricordando discorsi di un anno e mezzo prima, per questo rimase incerto, non trovandomi rapido a fargli da spalla. Ghignai, poi scoppiai a ridere.

    «Ci hai creduto, Rosier? Come dice Malfoy, da bravo Mago del Nord dico solo stronzate, no?»
    «Ma come... ohhh.... ma vai a farti un giro da Godric pure tu, Sherton!! Ahahahahah»
    «Ahahahahah…»

Lucius tossicchiò di disapprovazione, poi decise di dimenticare la presenza molesta di tutti noi, ottusa plebaglia, per concentrarsi sulla sua principessina dai boccoli dorati, io mi voltai a fissare il mio piatto per non guardare, la bocca improvvisamene piena di fiele, chiesi a Rabastan di passarmi del succo di arancia, dalla mia parte non c’era rimasto nulla, era finito tutto davanti a lui, il solito idiota che non smetteva mai di fare scherzi cretini, neanche il giorno del funerala di suo padre.

    «Cercavi di scolartele tutte per diluire gli alcolici che hai nel sangue, Lestrange? Zio, nonno e fratello si son tutti coalizzai per costringerti a condurre una via sana e morigerata? Ahahahaha… »
    «Quegli stronzi possono provarci a costringermi a fare qualcosa, così li ritrovano domattina a zampe in su, dentro una di quelle tinozze di brodaglia che producono, da bravi mangialumache!»
    «I Maghi francesi coltivano viti e producono vino? Salazar! È… SCHIFOSAMENTe... babbano!»
    «Che ne so, Alecto... la cosa peggiore è che mio fratello intende portare avanti la follia che da qualche mese aveva colto mio padre, ma sia chiaro io non avrò mai nulla a che fare con quelli lì... »
    «Sicuro, Lestrange? Se non sbaglio sei già in riardo per l'appuntamento con tuo fratello... destinazione: raggiungere quelli lì!»
    «Devi sempre farti i cazzi degli altri Malfoy? Ti senti punto sul vivo? Hai parenti mangialumache che si comportano da volgari babbani da difendere?»
    «Noi Malfoy siamo inglesi molto più di voi, Lestrange… siamo qui addirittura dai tempi di Guglielmo il Conquistatore, noi...»
    «E da allora, fino al Trattato di Segretezza Magica, tutti sanno che non vi ha mai fatto schifo sposare dei Babbani per appropriarvi dei loro patrimoni e dei loro terreni... ahahahahah… »
    «Buon giorno, ragazzi… Non ti avevo detto che ti attendevo alla scala del Preside, alle nove in punto, fratello?»

Ammutolimmo tutti, persino Malfoy, quando la voce di Roddy “faccia di cane” Lestrange mi raggiunse alle spalle: non avevo bisogno neanche di voltarmi per riconoscerlo, avevo sentito la sua dannata voce fin troppo per i miei gusti, a casa, a ridere e confabulare con mio fratello. Tutto il peggio che stava accadendo alla mia famiglia, ne ero certo, nasceva da quella stupida e inopportuna amicizia.

    Sai che occorre fare buon viso, Rigel…

I miei compagni si alzarono e lo salutarono, mi alzai a mia volta, in attesa di salutarlo anch’io, tra pavoni ci si intendeva e Rodolphus era già tutto preso da Malfoy, sembrava trattarlo da suo pari, facendo stupidi convenevoli e complimentandosi per l’ennesima volta per la bella coppia che costituivano lui e Narcissa: in quel momento compresi perché Rabastan diceva che suo fratello lo faceva vomitare. Stavo cercando di trattenere il disgusto per quelle smancerie, quando Meissa dietro di me mi diede una piccola spinta, mi voltai e la vidi mentre rimetteva a posto il mio bicchiere.

    «Perché mi rubi il succo di zucca?»
    «Chiedilo a Evan, è riuscito a versare il poco che non aveva ancora bevuto quell'altro cretino!»
    «Ma porc... non ho bevuto neanche una goccia e questo cavolo di bacon già sembra fuoco!»
   
Meissa fece spallucce, conoscendola, secondo lei, quella era la giusta punizione per essermi attardato a parlare con Black, il nemico... mentre già iniziavo a boccheggiare, Rodolphus, con uno dei suoi caratteristici ghigni, salutò mia sorella e me: quando si voltò di tre quarti per guardare il tavolo dei professori, dicendo qualcosa sul fatto che Dumbledore aveva passato la notte a Londra, la sua giacca si aprì leggermente, lasciando intravvedere una copia del Daily che teneva nella tasca interna. Ebbi un sussulto quando mi parve di leggere le lettere SHERT a caratteri cubitali sul poco che si intravvedeva del titolo. Meissa mi strattonò, doveva aver visto e aver avuto lo stesso sospetto, era verde da quanto era pallida, gli occhi lucidi e febbricitanti, temetti stesse per crollare. Sentii anch’io lo stomaco e le viscere torcersi dalla paura e dall’angoscia. Cercai di farmi forza e ci provai.

    «Signor Lestrange, mi scusi… ho visto che ha una copia del Daily… potrebbe prestarcelo, per favore? Da alcuni giorni il Preside non permette a tutti gli studenti di riceverlo e mi è sembrato… »
    «Sarebbe meglio di no, ragazzi… mi spiace… »
    «Perché cos’è successo stavolta? Sono sicura di aver visto il nostro nome sul titolo del… »
    «Meissa!»
    «Mio fratello rischia di essere sbattuto fuori alla prossima che combina, signorina Sherton, e il professor Slughorn è stato molto risoluto sul discorso giornali… perciò, per favore, non chiedetemi di andare contro le regole... Il Preside è a Londra, vi parlerà al ritorno, presumo, buona giornata… »

Riuscii a malapena a prendere e scolarmi l'ultimo bicchiere di succo che Rabastan mi concesse di bere, senza versarmelo addosso, prima che Meissa mi arpionasse l'avambraccio: aveva capito come me che era accaduto qualcosa e a mano a mano che salivamo, diretti al cortile di Trasfigurazione per parlare con la McGonaghall, mia sorella, dopo i fatti di Halloween, riteneva che la professoressa fosse più malleabile di Slughorn, sentivo il cuore saltarmi fuori dal petto dalla paura. Cercavo di interpretare il volto di Lestrange e più lo ricostruivo nella mente, meno mi sembrava il volto di un uomo che porta buone notizie. Non ero sicuro di voler sapere, di voler leggere il titolo di quel dannato giornale, non ero sicuro di avere le forze sufficienti per affrontare la verità. Ma neanche io, come mia sorella, potevo restare ancora sospeso, inconsapevole, sopra il baratro che ci stava aspettando da tanto, troppo tempo.

***

Rabastan Lestrange
Plumelec, Bretagna - dom. 23 gennaio 1972

    «Alla fine sarà l'inverno più freddo degli ultimi anni, credetemi, mai vista così tanta neve qui in Bretagna! E voi, ragazzi?»

Ero affogato da settimane in quella dannata neve, a Hogwarts, figuriamoci se mi interessava che avesse nevicato anche in Francia. Non la sopportavo più da un pezzo. E, da un pezzo, non sopportavo più quella rottura di scatole che erano i miei compagni di viaggio.

    «Non saprei, signore: non vengo in Bretagna dal funerale di mia madre... »

Cygnus Black forse capì dalla mia risposta secca quanto molesti risultassero per me quel suo ciarlare petulante e l’enormità della gaffe appena fatta, lo osservai riflesso sul finestrino mordersi mortificato il labbro e arricciarsi nervoso gli assurdi baffetti rachitici che gli incorniciavano la faccia pallida, senza neanche riuscire a mitigare quel naso da coglione che si ritrovava, eredità dei Crabble, sicuramente. Il silenzio imbarazzato durò per poco, Augustus Rookwood iniziò a raccontare cosa avesse sentito negli uffici del Ministero e come la compravendita in cui si stavano impegnando tutti e tre potesse essere favorita dall'attuale politica estera del Ministro Lodge, così ripresero come nulla fosse a parlare dei loro affari del piffero ed io continuai a essere un fantasma ai loro occhi, come già per tutta la prima parte del viaggio. Non mi stupiva che mio fratello avesse fatto cadere il discorso, passando oltre con estrema non curanza: non sapevo che cosa avesse in mente, perché lo facesse, ma Rodolphus da un po' cercava di ingraziarsi il vecchio Pollux con ogni mezzo, soprattutto incensando in ogni occasione, soprattutto a sproposito, il figlio Cygnus, terzogenito tanto prediletto quanto petulante e incapace.
Sbuffai e continuai a guardarli disgustato attraverso il riflesso sul finestrino, le mani affondate nelle tasche e il mento dentro il bavero. Avevo duemila domande da fare a mio fratello, sugli esiti della notte precedente, sugli effetti della pozione che mi aveva dato da somministrare, sul “fidanzamento” che voleva impormi; chiarire era l'unico motivo per cui avevo accettato di sottopormi alla tortura di quella giornata in Francia, ma la presenza di quei due imbecilli mi privava della possibilità di parlargli di ciò che mi premeva.

    Se avessi capito in tempo cosa mi avrebbe riservato la giornata, mi sarei messo d'impegno a tentare di sbronzarmi ed evitare la partenza. E invece… vai a farti fottere, Rodolphus!

Da alcuni minuti eravamo sbucati fuori dal vortice magico, nel bel mezzo della foresta di Paimpont, la coppia di Thestral che trainava la nostra carrozza galoppava impazzita, le due orride bestiacce neanche sfioravano il terreno, mentre due ali di alberi si aprivano a stento ai nostri fianchi, schizzando addosso ai vetri ghiaccio misto a resina. Mio fratello aveva deciso di fare le cose in grande, presentandosi con quella dannata carrozza, voleva impressionare i parenti francesi, dimostrare di essere un capo famiglia diverso da mio padre, di sapersi occupare di me e, con la partecipazione del suocero, voleva far presenti le conoscenze altolocate che avevamo in Gran Bretagna: nonni e zii non dovevano pensare a noi come orfani incapaci di provvedere a sé stessi, ma come minacce ai loro interessi.

    “Meglio che lo capiscano subito… se provassero a impicciarsi delle nostre cose, Rabastan, sarebbe solo peggio per loro...”

L'aveva sibilato attraversando il portico della scuola con passo militare brandendo la bacchetta. No, non sarebbero stati gli amici ricchi e potenti di Cygnus e Pollux Black il problema di chi avesse fatto l'errore di ostacolare il suo cammino, ma un Mago Oscuro, ormai noto anche fuori dai confini del Regno, come il Mondo Magico non ne vedeva di eguali dai tempi di Grindelwald. Fu l'unico momento di tutta la lunga giornata in cui mio fratello mi aveva strappato un singulto di ammirazione.
Anche se capivo gli intenti di mio fratello, avrei preferito una partenza meno spettacolare, una bella Passaporta, o al limite il caminetto del Preside, invece, quando Rodolphus mi aveva prelevato a forza dalla Sala Grande, ad attenderci al centro del cortile, presso le serre, in bella vista rispetto al loggiato del terzo piano, c'era proprio la carrozza vinta ai dadi a quella schiappa di Malfoy senior, a Natale. Non era frequente che qualcuno ottenesse il permesso di accedere al castello con un mezzo privato come una carrozza, così la maggior parte dei miei amici e degli altri studenti si accalcò nel loggiato a guardare: avevo visto con la coda dell'occhio anche Lucius che fissava risentito la sua vecchia carrozza ridipinta con i nostri colori, su, al terzo piano, e già questo mi aveva irritato, ormai dove c'era lui c'era anche Narcissa ed io non volevo mi vedesse salire su quel trabiccolo pacchiano, come un ladro approfittatore qualsiasi.

    Sebbene la simbologia di entrare in qualcosa che appartiene a Lucius e a cui lui tiene tanto... meglio non pensarci, già solo il nome di Narcissa mi infiamma e mi rende difficile sedere comodo dentro queste braghe strette... poi il fatto di ripensarla nuda mentre quel deficiente del padre parla a sproposito qui davanti a me... Salazar… aiutami a resistere…

Rodolphus mi aveva preso per la collottola e spinto nella carrozza, mentre mi attardavo a fissare e insultare i miei amici, impegnati a fare il coretto agli uggiolii di Alecto e di Evan che canticchiavano il ritornello di “Goodbye my princess…”. Avevo mandato alla malora anche mio fratello, mentre salivo, e Rodolphus aveva subito chiuso la portiera dietro di sé, così la carrozza era partita a scatto, ed io, prima ancora di rendermi conto che non avrei viaggiato solo con mio fratello o al limite con sua moglie, ma che nel buio c'erano altri due uomini, ero già caduto addosso a quello più anziano.

    «Datti un contegno, o il mio gentile suocero penserà che tra le altre disgrazie, da mio padre io abbia ereditato anche un fratello minorenne e minorato, incapace di badare a sé stesso.»
    «Mi scusi signor Black... non volevo… di certo… non mi sono reso conto… »

No. Se me ne fossi reso conto, in realtà, avrei cercato di fare più danni possibili, solo per mettere in imbarazzo Rodolphus, ma mi guardai bene dal dirlo o dal farlo capire.

    «Non darti pena, figliolo, la colpa è di questi dannati Elfi che non sanno stare al loro posto, ma vedrete che Bellatrix imporrà presto anche ai vostri domestici la disciplina che ha imparato nella Sacra Casa dei Black... dovete sapere che il trisavolo Phineas a tal proposito diceva... »

Quello che era seguito mi aveva portato a un passo dal coma o dalla narcolessia irreversibile, se c'era qualcosa che mi strappava smorfie di disgusto era la prosopopea di quella manica di palloni gonfiati: la mia mente era subito volata lontano per difendermi, al punto che trattenni a stento un ghigno malefico quando ripensai alla gara fatta con Evan, durante le vacanze di Natale, al ricevimento per il fidanzamento di Narcissa e Lucius, avevamo passato buona parte del tempo a sbronzarci e a scovare tutti gli stemmi dei Toujours Pur distribuiti negli eleganti giardini di Black Manor e ci eravamo divertiti a chi li innaffiava da più lontano. Rodolphus notò la mia faccia irridente e compiaciuta e temendo qualche mia uscita fuori luogo mi fulminò con un’occhiataccia carica di minacce. Finsi di essere un bravo giovane cortese e provai a interrompere il fiume di blateramenti.

    «A proposito, scusatemi... ma... dov'è Bellatrix?»
    «Non si sente ancora molto bene, ho preferito non si stancasse con questo viaggio… »

    Beata lei!

    «Sono presente io, in sua vece, per testimoniare la partecipazione e la vicinanza di tutta la nobile famiglia Black al vostro lutto, ragazzi... »
    «Salazar… Che bello… »

Questo mi sfuggì a voce alta, Rodolphus mi incenerì, io gli rimandai l'occhiataccia in tralice: che cosa voleva da me? Se non voleva correre il rischio di fare brutta figura a causa mia con i suoi adorati Black, poteva lasciarmi tranquillo a scuola, o no?

    «Scusatelo, Cygnus, purtroppo mio fratello si agita parecchio al pensiero di incontrare alcuni dei nostri cugini, in parte però ne sono compiaciuto, è bello scoprire che esiste qualcun altro che mio fratello addirittura detesta più di me, ahahahah…»
    «Oh, no… Che parole grosse, Rodolphus… detestare... potrei raccontarvi aneddoti atroci sulle battaglie tra i miei fratelli e me... anche quella è una fase della vita, un giorno avrete bisogno davvero uno dell'altro e vi renderete conto di quanto sia fortunato chi può contare sulla presenza di un fratello.»

    BASTAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

Avrei voluto ribattere, ma immaginavo che avrei solo dato a mio fratello ulteriore soddisfazione e non ne avevo alcuna voglia, avevo affondato le mani nelle tasche del pastrano e sollevato il bavero, mi ero voltato verso uno dei finestrini e avevo finto di dormire, tutto pur di non farmi coinvolgere in altre discussioni con uno di loro. Finché non avevo capito che avrebbero parlato solo degli affari comuni delle famiglie, avevo però tenuto le orecchie tese, sperando di cogliere qualche informazione su quanto era accaduto la sera prima, ma nessuno vi fece cenno. Non c'erano neanche discorsi circa la divisione o l'utilizzo del patrimonio di nostro padre, che potessero interessarmi e mettermi sull'avviso, tutto si era concentrato sull'acquisizione di terre e vigneti nel sud della Francia, ovvero l'alibi che mio fratello aveva costruito per giustificare la presenza e la morte del vecchio bastardo in terra francese. Rodolphus aveva tirato fuori un paio di pergamene e si erano talmente immersi in quella discussione che neanche si accorsero, a parte la battuta sulla nevicata, che eravamo arrivati.

*

Avevo visto la villa in cui era nata nostra madre pochissime volte, lei non amava ritornarci, nostro padre aveva di meglio da fare e io legavo l'idea di quella casa solo a ricordi lontanissimi di noiosi raduni di famiglia, di cugini odiosi che si divertivano a parlare una lingua che a quei tempi non capivo. L'unica memoria piacevole erano gli ettari di foresta sterminata che si sviluppava in ogni direzione, dove amavo inoltrarmi e perdermi, sicuro che nessuno sarebbe venuto a cercarmi, cagasotto com’erano. Avevo viso la natura fare cose meravigliose, molto istruttive, molto... ispiratrici... in certi antri oscuri. Ghignai, mi chiedevo se l'amore per il sangue mi fosse nato da quello che avevo visto, o se la foresta mi aveva lasciato guardare dentro di sé, perché sentiva già in me l'attitudine al sangue...
Quando scendemmo, lasciai che Rodolphus stesse dietro a quell'impiastro di Black, svicolai a un tentativo di attaccar bottone di Rookwood e mi avviai spedito lungo il sentiero che conduceva all'entrata, la tenuta era immersa nella neve, al punto che non si riusciva a distinguere niente, neanche le forme degli alberelli di rose cui mia madre pare avesse dedicato buona pare della sua fanciullezza.

    Di sicuro sono state strappate via appena lei è morta…

Scossi leggero la testa, non volevo ricordare che lei non aveva vissuto neanche lì un minimo di felicità, non amavo pensare a mia madre e se non volevo essere lì, era proprio perché sapevo che nonostante tutti gli sforzi avrei finito col rimuginare troppo su di lei. Gli Elfi presero i nostri pochi bagagli e ci fecero strada, il corridoio sembrava infinito, e già avevamo attraversato un ampio ingresso, eravamo scesi di una mezza rampa, avevamo lasciato un giardino coperto alla nostra sinistra, poi eravamo entrati nel corpo fortificato dell'edificio più antico, arrampicandoci nella scala interna di uno stretto torricino, da lì si era aperta la galleria degli antenati, dove un tempo dovevano esserci i cimeli del ramo francese della nostra famiglia. I nostri passi risuonavano cupi del nostro silenzio tra quelle pareti ormai spoglie, tra i pochi arazzi tarlati rimasti si susseguivano sempre più fitte le nicchie che un tempo custodivano statue e arredi, ormai miserande e vuote. Vidi l'espressione accigliata di Rodolphus, le cose erano ben diverse dall'ultima volta che eravamo stati lì e non era cosa buona che il suocero vedesse tutta quella decadenza.

    Il nonno deve aver sperperato in fretta e furia il ricavato della vendita di mia madre...e mio padre deve aver smesso subito di elargirgli mance, una volta messa la moglie sottoterra.

Strinsi i pugni nelle tasche, la bile che mi saliva fino alla bocca. Sapevo che sarebbe finita così. Serrai tra le dita gli anelli che mio fratello mi aveva donato, gli occhi sempre fissi a terra, maledicendo ancora una volta me stesso per non aver trovato il modo di sfuggire a quella giornata maledetta. Ogni tanto posavo lo sguardo su Rodolphus, tre passi avanti a me, come quando eravamo bambini, il consueto passo marziale che sembrava diventato ancora più imperioso e prepotente dalle vacanze di Natale. Il suo volto era livido. Rookwood ogni tanto si incantava davanti a uno spazio vuoto, Cygnus sembrava farsi sempre più piccolo, doveva percepire anche lui la tensione che montava e la rabbia che si concentrava in mio fratello. All'improvviso la noia per quella giornata si trasformò in paura... Se mio fratello si fosse incazzato di brutto con i nostri parenti, e tutto lasciava intendere che sarebbe finita così a breve, e avesse scoperto che le cose, a Hogwars, non erano andate esattamente come mi aveva ordinato, c'erano ottime possibilità che non avrei visto la fine di quella.

    Forse non era poi il caso di dare un’interpretazione personale ai tuoi ordini, fratello…

Ghignavo, sotto lo sguardo sulfureo di Rodolphus, ed ero talmente preso dal pensiero di quanto stava accadendo a Hogwars, che alla fine mi ritrovai davanti al ritratto di mia madre quasi a tradimento: sentii un tuffo al cuore e per un attimo mi parve di non respirare, mentre mettevo a fuoco la spada che teneva tra le mani, il suo viso pallido e serio, i capelli acconciati in una lunga treccia che la rendevano ancora più giovane dei suoi 13 anni, il vestito leggero sistemato come una tunica, un velo che la copriva appena e, in riva allo stagno, di fronte a lei, in ginocchio, suo fratello, mio zio, un feticcio di barba bianca e un cappello pervinca. La raffigurazione di Viviane e Mago Merlino. Notai lo spesso strato di polvere che incrostava la cornice e l'odore di umidità che emanava, quel quadro era stato rimesso al suo posto in fretta e furia...

    «Ti muovi? Abbiamo molto da fare e siamo in ritardo!»
    «Il quadro di nostra madre era tenuto nei sotterranei fino a poco fa, hai visto?»
    «I nostri parenti cercano di passare per pezzenti, perché sanno che mi sono portato dietro certe carte di nostro padre, che attestano come buona parte di tutto questo sia già nostro… sicuramente vogliono farci intendere che sono alla fame, che queste proprietà non rendono nulla, che reclamare i nostri diritti non sia conveniente, ma come ti ho detto, se credono di prendere per il culo me, cadono proprio male.»

Mi prese per un braccio, mentre con l'altra mano andava a picchiarsi sul petto, sentii il rumore inconfondibile della pergamena contro il tessuto. A stento mi staccai di lì, lanciai un'ultima occhiata a nostra madre: tutti quelli che l'avevano conosciuta dicevano che mio fratello ed io da lei avevamo preso i capelli mossi e ramati e gli occhi, ma avevamo preso di più, molto di più... Di lei avevo sentito dire che aveva una naturale predisposizione per gli incantesimi di Trasfigurazione e che sarebbe diventata una Strega straordinaria, se solo non le avessero spezzato la vita dandola via, per pochi denari, mandandola nella casa di un uomo capace solo di sfogare su di lei le proprie perversioni.

    Sì, avevamo preso molto da lei, l'abilità, la fame e la rabbia

Tornai a guardare Rodolphus, lui non si era fermato, non le aveva regalato che un fugace sguardo.

    Perché lui ha già fatto di più… molto di più e l'ha fatto per te… e anche per me.
    Lui, ha ucciso l'uomo che ti ha spezzata... che ha spezzato entrambi…

Estrassi uno degli anelli che avevo in tasca, era la fede di mia madre. La fissai. Rodolphus fissò me.

    «Io... te lo giuro… verserò sulla sua tomba il sangue di chi l’ha venduta... »
    «Lo so. Sei qui per questo, Rabastan… al momento debito, fratello... tutto al momento debito.»

Mi fissò, ci fissammo. E per la prima volta mio fratello mi sorrise.


*continua*



NdA:
Ciao a tutti, della serie chi non muore si rivede... Avevo scritto che questo capitolo sarebbe stato preceduto da un riassunto, purtroppo al momento sto con un pc con ventola rotta che con il caldo di questi giorni mi si spegne ogni due minuti e l'altro a cui mancano alcune lettere, morale, avrei rischiato, dopo aver promesso a maggio di aggiornare, finalmente, di farmi rivedere solo in autunno. Perciò in attesa di riavere i pc, vi invito a farmi eventuali domande, se vi siete persi qualcosa, io sono qui.
Le tematiche del capitolo si inseriscono nei discorsi iniziati negli ultimi pubblicati l'anno scorso, e cioè il piano di Rodolphus di ufficializzare il fidanzamento di Rabastan con Meissa x far uscire Mirzam allo scoperto, gli scheletri nell'armadio della famiglia Lestrange (che salteranno fuori con il funerale del vecchio Roland), il piano di avvelenamento di Rigel. Il tutto mentre quello che abbiamo iniziato a vedere a Morvah, tra Milord, gli uomini di Crouch e la Confraternita è ormai avvenuto, il segreto è svelato a chi può leggere il Daily. Noi lo vedremo insieme a Rigel e Meissa e scopriremo anche se il piano per avvelenare Rigel è andato bene, o è accaduto qualcosa di imprevisto come suggerirebbero le paure di Rabastan. E se Abraxas Malfoy e Demian Rosier sono riusciti a usare la Giratempo vista nell'ultimo capitolo dell'anno scorso per scongiurare il peggio. Bon a presto, intanto in bocca al lupo a chi deve affrontare esami universitari / Maturità/ ecc ecc
Baci

Valeria



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Immagine Viviana e Merlino

  
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