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Autore: _MeAndYou_    13/06/2016    8 recensioni
Root e Shaw, un secolo dopo.
Nuova vita, stessi personaggi.
Destinate a conoscersi, destinate ad amarsi.
Una seconda occasione.
Il LIETO FINE DI CUI CI HANNO PRIVATI.
Root&Shaw AU Reincarnazione.
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Root, Sameen Shaw
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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FOUR ALARM FIRE 2.0


Percorro il lungo corridoio della base segreta e raggiungo i miei superiori. Odio questo lavoro tanto quanto odio ogni singola persona che mi circonda. Non amo prendere ordini, ma devo pur tirare avanti in qualche modo e qui, vengo ben pagata.

«Agente Shaw!»

Il capitano mi accoglie, affiancato dai suoi due burattini.
Due lecchini che prenderei volentieri a calci in culo.

«Sì capitano» rispondo, muovendo impercettibilmente la testa e assumendo una postura dritta.

Attendo i suoi ordini, impaziente di scoprire quale missione ha in serbo per me.
Desidero entrare in azione e divertirmi… detesto l’idea di dover passare troppo tempo in questo posto, al chiuso e senza niente da fare.
Gli appostamenti da cecchino sono il mio forte… Difficilmente mi capita di mancare il bersaglio. Ma non mi trovo qui per caso, mi ci sono voluti quindici anni di duro addestramento per arrivare dove sono.

«Ti affiderò un compito importante e solo perché so che di te posso fidarmi ciecamente…»

Fremo così tanto dalla voglia di sapere, che l’adrenalina è già entrata in circolo.

«Abbiamo catturato una pericolosa criminale, eravamo sulle sue tracce da tempo e finalmente siamo riusciti a prenderla. Ora è in un posto sicuro, in prigionia… Ma non mi fido, voglio che qualcuno la tenga sott’occhio. È una tipa intelligente, astuta…»

Non riesco proprio a capire dove voglia arrivare… O forse fingo di non voler capire.

«Ho bisogno che sia tu ad occuparti di lei, non devi perderla di vista un solo secondo… A giorni verrà trasferita in una struttura adatta a criminali come lei.»

Serro la mascella.

«Ma signore, io non…»

«Mi fido di te, Shaw» aggiunge, bloccando sul nascere il mio tentativo di fargli cambiare idea.

Ero carica e pronta ad entrare in azione, non vedevo l’ora di uscire da questo posto e invece…? Mi toccherà rimanere qui, a fare da balia ad una fottutissima criminale. Oggi è il mio giorno sfortunato e sono sicura che passerà molto, ma molto, lentamente.

«Signore, è sicuro di volermi tenere in gabbia? Potrei essere molto più utile fuori, sa benissimo che…»

«Sono più che sicuro. Come ti ho già detto, mi servi qui… questa donna merita le giuste attenzioni, ho bisogno del mio migliore agente.»

Lo vedo seriamente convinto. Difficilmente riuscirei a fargli cambiare idea e poi gli ordini, sono ordini e io sono costretta a eseguirli.
Ma poi, chi sarà mai questa donna? Una squilibrata tale, da arrivare a metterla sotto la mia sorveglianza…

«L’agente Thompson,  ti accompagnerà. Stai attenta e non farti ingannare, come ti ho detto è una donna molto scaltra ed esperta.»

Roteo gli occhi e seguo Thompson. Vorrei filarmela e mandare tutto al diavolo, ma non lo farò… solo perché sono curiosa di conoscere questa famosa “terribile criminale.”

Scendiamo nelle segrete… Certo che le stanno proprio riservando un trattamento speciale.

Thompson arresta la sua camminata e io faccio lo stesso.

«Devi entrare qui» mi indica la porta e sorride divertito. «Sarà divertente» scherza, ma il suo sorriso sparisce quando i suoi occhi si spostano sulla mia espressione rabbiosa.

«Levati di torno, testa grossa!» ringhio, facendolo balzare alle mie spalle.

Scappa via terrorizzato… Che principiante, cagasotto… Ecco cosa succede ad arruolare gente raccomandata e  buona solo a leccare i culi dei superiori.

Apro la porta, tenendo ben alta l’attenzione, ed entro a passo lento. La stanza è grande, illuminata da forte luce artificiale e puzza di chiuso. I miei occhi vagano un po’ ovunque e si concentrano sulla gabbia d’acciaio, al centro della camera.
La donna è lì dentro, seduta su una sedia di legno – l’unica a sua disposizione – e mi da le spalle. È silenziosa, ma sono sicura si sia accorta di non essere più sola.

Avanzo con calma verso di lei, il rumore dei tacchi dei miei stivaletti risuona con forza. Non sembra così pericolosa, anzi tutt’altro… Dal suo atteggiamento e della sua non curanza di niente, sembra una persona innocua, incapace di reagire.

Inizio a pentirmi di non essere fuggita.

Infilo due dita nei buchi della rete d’acciaio e mi avvicino con il viso ad essa. Voglio attirare la sua attenzione, ma a quanto pare non ci sto riuscendo.
Continua ad ignorarmi e la cosa mi irrita, parecchio.

«Hai intenzione di dire qualcosa, o vuoi startene la dietro a guardarmi senza aprir bocca?»

M’irrigidisco, colta alla sprovvista dal fastidioso suono della sua voce. Le mie dita si stringono attorno alla rete mentre la vedo alzarsi e voltarsi lentamente verso di me.

Quando i miei occhi si spostano sul suo viso, vengo colpita da una strana sensazione. C’è qualcosa nell’espressione urticante di questa donna che non mi è nuovo.
Ho come l’impressione di averla già vista da qualche parte… Eppure, se così fosse, sono sicura che lo ricorderei bene… Un soggetto così, difficilmente sfugge alla mia memoria.

«Oh ti prego, non agitarti» bisbiglia, venendomi incontro e gettando un rapido sguardo alla mia mano, stretta con forza alla rete. «Avrebbero dovuto mandare qualcuno di più paziente e preparato di te, non mi sembri la persona giusta» la sua è una provocazione, lo capisco dal movimento marcato delle sue sopracciglia.

«Credimi, nessuno è più preparato di me, nel tenere a bada gente come te» le rispondo, innervosita.

«Quindi sai parlare, mi fa piacere.»

Le sue sopracciglia continuano a fare movimenti molto fastidiosi e la mia voglia di raggiungerla in gabbia e pestarla a sangue, aumenta notevolmente.

«Mi aspettavo una spietata criminale, non una seccante chiacchierona» ammetto, stringendo la mascella e guardandola con insistenza.

«Una spietata criminale?» domanda sorridendo lievemente. «Così mi hanno definita i tuoi capi?» sottolinea l’ultima parola, come se volesse ricordarmi che io non ho alcun potere.

«Sì e a quanto pare, si sono sbagliati» dico con disprezzo, sottovalutandola.

«Probabile. Non mi definisco una criminale… Una psicopatica, un’assassina, una maniaca del computer, una rivoluzionaria, ma non una criminale. Alla fine, cerco solo di trovare un modo per migliorare questo mondo, questa società corrotta…»

Ed eccomi qui, a dialogare con una matta, convinta di poter migliorare il mondo. Cosa ho fatto di male per meritarmi ciò?

«Gli assassini sono criminali» affermo.

«No. Non se si uccide per una buona causa… Non dirmi che non hai mai ucciso una persona» replica, ruotando la sedia e sedendosi, proprio davanti a me.

Accavalla le gambe e mi guarda, in attesa di una mia risposta.

«Sono un agente speciale, è ovvio che ho ucciso qualcuno… Ma…»

«No, no. Nessun ma» m’interrompe. «Ognuno fa ciò che crede sia la cosa più giusta, più corretta… Tu lavori per il governo, ma probabilmente non sei a conoscenza di tutto il marcio che c’è dietro.»

Sbuffo con fare annoiato e scuotendo la testa in segno di disapprovazione, le do le spalle e passeggio per la stanza.

«Non ti sarai mica offesa?»

Rimango in silenzio. Magari ignorandola, riesco a farla star zitta.

«Vuoi giocare al gioco del silenzio? Non è il mio forte…»

«Ma non mi dire» commento a bassa voce, ma a giudicare dal suo sorrisetto, deve avermi sentita.

«Come mai non sei in divisa? Ho visto altri agenti e tutti indossano quella ridicolissima divisa…»

Niente. Il metodo ignorala e non rivolgerle nemmeno uno sguardo, con lei non funziona.

«Non mi piace la divisa» borbotto, emettendo un flebile sospiro di sdegno.

Ho convinto i miei superiori a procurarmi un abbigliamento diverso, mi ci sono voluti diversi anni, ma alla fine ci sono riuscita.
Una giacca elegante nera, una canotta dello stesso colore e un pantalone attillato, comodo per compiere qualsiasi movimento.

«Ti distingui dalla massa, mi piace… mi piaci.»

- - - -

Sono qui da solo un’ora e già non ne posso più. Non la sopporto. È peggio di una pianta urticante nelle mutande.

«Allora vuoi dirmelo il tuo nome?» mi domanda, interrompendo il silenzio. Mi sembrava strano stesse resistendo per più di dieci secondi.

«No, non sono tenuta a farlo.»

Esalo un respiro e rovisto nel cassetto dell’unica scrivania in stanza. Un pacchetto di sigarette, vecchi sigari, un accendino, una penna, un teaser e monetine d’epoca.
Niente di più interessante, insomma.

Apro il pacchetto di sigarette, ne prendo una e l’accendo. Mi capita raramente di fumare, ma in situazioni critiche e insopportabili come questa, la sigaretta potrebbe essermi d’aiuto per calmare i nervi.

Guardo il soffitto mentre soffio via il fumo inalato, fumare in un luogo chiuso come questo non è esattamente una buona cosa, ma in questo momento ne avevo bisogno.
Sento il suo sguardo su di me, insistente e fastidioso, riesco quasi ad immaginare la sua espressione divertita. Perciò evito di guardarla.

Fumo e non ci penso.

«Comincio io allora, magari così ti sblocchi.»

Non ascoltarla, non ascoltarla, non ascoltarla… mi ripeto.

«Io sono Samantha Groves, ma preferisco essere chiamata Root.»

Ridacchio e mi poggio alla scrivania.

«Root? E che diavolo di nome è mai questo?»

Un nome ridicolo, ma adatto ad una tipa strana come lei. Eppure continuo a credere che questa non sia la prima volta che la vedo. Anche il suo comico nome, non mi suona nuovo.

«Non ti piace? Ed io che ti credevo un’amante degli pseudonimi» si alza e si avvicina alla rete. «Ora vuoi dirmi come ti chiami, o devo provare ad indovinare? Potrei iniziare una lunga lista di nomi e sono sicura che tu non voglia farmi arrivare a questo.»

«Oh merda, sei una fottutissima seccatura!» sbotto, lanciando via la cicca e schiacciandola violentemente con la punta dello stivale. «Shaw» dico, roteando gli occhi ed avvicinandomi a lei. «Contenta ora?»

«Agente Shaw» si morde le labbra. «E il tuo nome?»

«La tua invadenza non ha limite, vero?» scuoto la testa, ma alla fine rispondo. «Sameen.»

«Sameen, mi piace» sorride. «Penso proprio ti chiamerò Sam» prende l’iniziativa. «Da piccola mi chiamavano così.»

«Non mi pare di averti dato alcuna confidenza» la redarguisco acidamente.

«Non mi pare di avertela chiesta» fa spallucce e sorride.

«Ringrazia ci sia questa rete a separarci» ringhio, digrignando i denti.

«Sarebbe stato carino averti qui dentro, ci saremmo potute divertire, Sam» incastra le dita nella rete e cerca di sfiorarmi il viso, ma con reattività riesco a tirarmi indietro.

«Io mi sarei sicuramente divertita, tu non penso.»

«Possiamo sempre provare, non mi dispiacerebbe avere un po’ di compagnia, mi sento sola qui dentro» il tono della sua voce si fa più debole e le sue labbra s’incurvano in una falsa smorfia dispiaciuta.

«Ti prego, dimmi che esiste un tasto per spegnerti» la supplico, usando un finto tono ironico.

«Purtroppo c’è solo un modo per tapparmi le labbra e…» avvicina la sua testa alla gabbia. «Non è possibile metterlo in atto in queste condizioni.»

Non capisco se i suoi sono flirt intenzionali e veri, oppure solo dei modi per innervosirmi volutamente. In ogni caso, è la seconda opzione a fare effetto.

- - - -

3 ore dopo…

Mi hanno portato il pranzo, da bere e le chiavi della cella della psicopatica. Anche lei ha mangiato, una ben poco invitante zuppa di brodo… Anche se in realtà, non l’ha nemmeno assaggiata.

«Buono il panino?» mi chiede, allungando la testa.

«Squisito» rispondo, masticando e aggiungendo dei “mmh” di apprezzamento.

Muore di fame e ha capito che il mio atteggiamento è mirato a stuzzicarla… Ma a differenza mia, lei reagisce in modo totalmente diverso. Le provocazioni non sembrano toccarla particolarmente. Mi guarda con i suoi grossi occhioni e sorride a bocca chiusa.

È  senza dubbio una persona insopportabile, irritante e logorroica, ma proprio non riesco a vederci del male in lei. Oddio, sicuramente sarà una psicopatica, una rivoluzionaria e tutto ciò che lei stessa ha affermato di essere, ma non mi sembra una criminale.
Ne ho conosciuti di malfattori, malviventi, delinquenti, killer senza scrupoli, ma lei non mi sembra rientrare in questa categoria.

Continuo a ripensare alle sue parole sul governo, sulla corruzione, sul marcio che c’è dietro tutto questo… E non riesco a non crederle. Questo lavoro non mi ha mai convinta pienamente, ho sempre dubitato su tutto e tutti, ed ora i dubbi sono aumentati.

Sono davvero dalla parte dei buoni?

Cosa avrà mai fatto di così grave da arrivare ad essere considerata una pericolosa criminale? Purtroppo queste sono notizie segrete, alla quale noi agenti non abbiamo accesso… Non sono autorizzata a domandare certe cose, ma devo ammettere che vorrei farlo.

Torno in me dopo un lungo momento di riflessione; la pazza è seduta e giocherella con il cucchiaio con fare disgustato.

Sorrido e scuoto la testa. Quasi mi fa pena…

Cammino verso la gabbia d’acciaio e attiro la sua attenzione con un fischio.

Gira leggermente la testa e mi guarda di traverso, sollevando il mento. Sembra aver capito le mie intenzioni, infatti si alza e mi si avvicina.

«Hai qualcosa per me?» mi chiede, come se non l’avesse capito.

«Tieni e sta zitta» le dico, passandole l’ultimo pezzo di panino.

Lo prende e lo mangia lentamente, continuando a guardarmi sorridente. Deve ritenersi fortunata, non sono solita a questi atti di carità, specialmente con il cibo.

«Grazie Sam, lo apprezzo molto.»

«Bocca chiusa e mangia, Root!» la sgrido, non ho intenzione di ricevere dei ringraziamenti. Potrei pentirmi della mia scelta.

- - - -

6 ore dopo…

Sbadiglio e poggio goffamente le gambe sulla scrivania, incrociando le caviglie. Cerco una posizione comoda, ma su questa sedia non è certamente una cosa facile.

Cazzo. Dovrei proprio richiedere un aumento.

«Stanca?»

La voce di Root disturba il mio tentativo di rilassarmi. Credo di essere sull’orlo di una crisi nervosa. Non avrei mai dovuto accettare questo compito. Non sono adatta a queste cose.

«Di te? Sì molto» asserisco, incrociando le braccia sotto il seno.

«Dolce.»

Mi trattengo dal risponderle, non voglio cedere alle sue incessanti e pungenti, provocazioni. Altrimenti non la finirà più.

«Sei una persona solitaria, vero Sameen?»

E niente, non riesce proprio a star zitta e lasciarmi per un momento, in compagnia del silenzio.

Mi sollevo di scatto e cammino spedita verso la gabbia.

«Sì?» anche lei si solleva e mi fronteggia, avvicinandosi senza paura.

Le scocco un’occhiata cagnesca, una di quelle che solitamente fa scappare tutti a gambe levate. Ma lei non sembra essere particolarmente turbata, anzi dal suo viso traspare la solita tranquillità e incuria di tutto.

Non l’avrei mai detto, ma è una tipetta davvero tosta. Riesce a tenermi testa e non è una cosa facile.

«Sto per perdere la pazienza» sibilo, stringendo i pugni.

«Credevo l’avessi persa già da un po’» controbatte con un’ironia a me per nulla gradita. «Dai, Sameen, non essere così chiusa. Un po’ di compagnia non fa male.»

«La tua compagnia mi fa male, capisci?»

Sono sicura che ora i miei occhi stiano divampando fiammate di rabbia.

«Capisco. Ma dimmi te, come posso fare per rimediare?»

Inarco un sopracciglio, stupita dalla stupidità di quella domanda. Insomma, credo che la risposta sia ben chiara.

Arriccia il naso e scuote lievemente la testa, mantenendo sul viso il solito ghigno divertito. Cos’ha da sorridere, proprio non lo capisco. Io al suo posto cercherei una via di fuga, non di tormentare e stuzzicare la mia guardia.

«La mia voce potrebbe mancarti» ipotizza.

Prima che io possa risponderle, la porta della stanza si spalanca facendo un baccano assurdo.

«Shaw, ti sono state conoscesse due ore di riposo» m’informa, l’agente Reyes. Uno delle nuove matricole, un vero e proprio pivello.

«Addirittura, non l’avrei mai detto» bisbiglio, usando un tono sarcastico.

Lui rimane sull’attenti davanti alla porta, mi chiedo se sarà proprio Reyes a darmi il cambio… Se così dovesse essere, credo che al mio ritorno, Root non sarà più qui.

«Ti aspetto Sam, mi mancherai.»

Le rivolgo una finta smorfia sorridente e dico: «Non posso dire lo stesso.»

Le volto le spalle e mi allontano con la netta sensazione dei suoi occhi puntati su di me. Sorpasso il pivello senza degnarlo di uno sguardo e mi affretto ad uscire da qui.

- - - -

8 ore dopo…

La pausa è finita, non ho avuto il tempo di fare nulla, se non di andare al bagno, farmi una doccia e rilassarmi su un divanetto per circa mezz’ora. Ho anche sgranocchiato qualcosa.

Non ho proprio voglia di tornare in quella topaia, con quella squilibrata. Ma mi tocca e forse è anche il caso che mi sbrighi, prima che qualcuno combini qualche danno in mia assenza.

Entro in camera, pronta a dare il cambio a chiunque avesse preso il mio posto. Seduto alla scrivania c’è l’agente Craig, il più sbruffone e altezzoso tra i miei colleghi. Una di quelle persone che con me non avrà mai nulla a che fare.

Lo snobbo con lo sguardo, lui fa lo stesso, alzandosi e tirandosi su la cinta dei pantaloni. Lo seguo mentre cammina verso l’uscita e prima di andar via, si volta e commenta: «Occhio alla puttanella.»

Non fiato, lo schifo in silenzio e aspetto che esca.

Solo a quel punto rivolgo la mia attenzione a Root. Mi giro verso di lei con un sorrisetto divertito e dico: «Ti credevo già chissà dove.»

«Non potevo andar via senza salutarti.»

Rimane seduta sulla sedia con le mani alle sue spalle. La cosa mi sorprende. Mi avvicino alla gabbia e stringo gli occhi, concentrandomi su di lei. È legata e ha un evidente taglio sul sopracciglio.

«Cosa è successo?»

«Il tuo collega… non è stato molto aggraziato» mi spiega, trovando comunque la forza di sorridermi.

«Che figlio di puttana. Ti ha aggredita dopo averti legata?» chiedo, infuriata.

Non dovrei esserlo probabilmente, ma odio la gente codarda e vigliacca come lui. L’abuso di potere non mi è mai piaciuto.

«Ti preoccupi per me.»

Sospiro seccata e mi avvicino all’armadietto del kit medico. Prendo un disinfettante, un antidolorifico e un cerotto. Torno da lei con tutto l’occorrente e lo infilo nella gabbia, passando tutto, attraverso i buchi.

«La chiave?» le domando, tirandomi su.

«Credo l’abbia messa nel cassetto della scrivania.»

Mi affretto e, una volta presa, gliela tiro in un punto che le permetta di prenderla. Riesce a liberarsi velocemente, lascia le manette sul tavolo e si massaggia i polsi.

«Erano belle strette» afferma, camminando verso i medicinali che ho intrufolato nella gabbia. «Grazie» dice, prendendo e spostando tutto sul tavolo.

«Metti prima il disinfettante, lascialo aderire dieci secondi, mettici il cerotto e prendi l’antidolorifico» le ordino, non ho intenzione che si curi male e poi pensi sia colpa mia.

«Quante doti nascoste che hai» commenta versandosi il disinfettante sulla zona ferita. «Ho un debole per le dottoresse.»

«Fortuna che io non lo sono» dichiaro, esaminando ogni suo movimento per accertarmi che segua le mie dritte.

«Ho un debole anche per gli agenti speciali» aggiunge divertita.

Sbuffo una risata dal naso. Questa donna ha dei modi di flirtare tutti suoi. Fastidiosi, ma sorprendenti.

«Ma va? Qualcos’altro?»

«Mhh…» mugugna, sistemandosi il cerotto sulla fronte. «Anche per le more, con la coda, solitarie e senza emozioni.»

«Riferimenti puramente causali» scuoto la testa e mi allontano, tornando alla scrivania.

- - - -

Giorno dopo…

Domani Root verrà trasferita in una struttura più sicura – non che qui con me non lo sia – ma, così sarà. Dicono che lì sono più attrezzati per gente come lei.

Continuo a ripetermi cosa intendano. Non è altro che una svitata, tremendamente fastidiosa. Forse l’hanno scambiata con qualcun’altra.

 Ho passato un’intera giornata a subirmi le sue stronzate e i suoi tentativi vani di flirtare. Credevo mi sarei sentita più sollevata all’idea di non rivederla mai più dopo questa giornata e invece…

«Sai, credo proprio che io e te saremmo perfette l’una per l’altra.»

Come non detto. Ne sarò felice.

«Io e te insieme?» rido divertita dalla sua dichiarazione. «Io e te insieme probabilmente saremmo come un incendio colossale in una raffineria di petrolio.»

«Un incendio colossale? Non sembra male…»

Anche oggi continuo a sentire questa strana sensazione, un senso di familiarità… Come se non fossi nuova a questo tipo di conversazioni con lei. Ma che diavolo mi prende?
Sarà la mancanza di aria fresca a mandarmi in tilt il cervello.

«Non sono alla ricerca di una relazione, non sono adatta a queste cose. E poi, ti ricordo, che con molta probabilità, passerai il resto della tua vita rinchiusa in chissà quale prigione del paese» le rammento la memoria.

Fa una smorfia pensierosa con le labbra.

«Mhh… la tua è assolutamente un’osservazione più che logica. Anche se l’idea di dover passare il resto dei miei giorni in cella, non è molto allettante.»

«Non mi sembri essere a disagio in gabbia» sogghigno.

«La buona compagnia mi è d’aiuto. Ma sai, magari non è detto sia così, magari potrei fuggire… potresti lasciarmi andare» sorride provocatoria.

«Ti piacerebbe Root, ti piacerebbe.»

«Sono sicura piacerebbe anche a te, potremmo rivederci, che ne pensi? La mia casa è troppo grande per una sola persona e sai, mi servirebbe proprio una compagna di lavoro, faremmo un gran team insieme.»

«Siamo perfette l’una per l’altra, saremmo un gran team… perché stai progettando una vita con me?»

«Perché no? Probabilmente mi troverai insopportabile, ma sono sicura che almeno un po’, io ti piaccia.»

Scoppio a ridere istericamente, come a volerla prenderla in giro per la cosa appena detta. Perché mai dovrebbe piacermi una stramba come lei?

«Sei fuori strada sulla seconda, mentre sulla prima ci hai preso. Sei insopportabile» sottolineo. «Ti ringrazio per la proposta, ma ho già un lavoro.»

Passeggia per la cella, mettendomi ansia.

«Ognuno è padrone delle proprie scelte, della propria vita. Ma mi chiedo, Sameen, se sia questa la vita a cui aspiri.»

«Che intendi?» aggrotto la fronte.

«Io potrei passare il resto della mia vita in gattabuia, ma tu? Vuoi passarlo a prendere ordini da gente piena di se, che ti costringe a stare ore a sorvegliare una donna innocua e tranquilla come me?»

Non c’è ombra di dubbio. È una che sa farci con le parole. Una tipa scaltra, furba, ma non riuscirà ad abbindolarmi con le sue frasi elaborate.

«Quindi ora sei diventata una persona innocua e tranquilla?»

«Sì, perché? Mi credi pericolosa? Non avrai mica paura di me, Sam?»

«Io non ho paura di nessuno» dichiaro con fermezza. «Tanto meno di te.»

«Dimostramelo» spalanca le braccia, invitandomi a fare qualcosa.

So bene dove vuole arrivare. Mi sta sfidando e io non mi tiro mai indietro dinnanzi ad una sfida.

«Okay Root, come vuoi.»

Cammino all’indietro e quando urto contro la scrivania, afferro le chiavi della gabbia. Sto per compiere una mossa azzardata e ne sono consapevole,ma male che vada, l’atterrerò. A giudicare dal suo fisico, dubito possa ostacolarmi.

«Fai sul serio allora» sorride compiaciuta. «Ti ricordo che non sono ammanettata, agente Shaw.»

«Ti consiglio di tenere le tue manacce lontane da me, sempre se tu non voglia ritrovarti distesa sul pavimento senza sensi» l’avverto, portandomi davanti alla porta d’acciaio.

«Carino, saresti costretta col farmi la respirazione bocca a bocca» ammicca, avvicinandosi alla porticina.

«Piuttosto ti lascerei morire» le rispondo, girando le chiavi nel lucchetto. «Mantieni le distanze Root.»

Alza le mani verso l’alto e indietreggia, rivolgendomi una bizzarra smorfia. Cammino all’interno della gabbia e mi richiudo la porta alle spalle.

«Hai coraggio da vendere, non c’è dubbio.»

«Perché dovrei aver paura di te?» le chiedo.

«Non so, solitamente la gente è spaventata da me… Tutti tendono a mantenere le distanze, tu invece…» compie qualche passo verso di me. «Sei diversa.»

Non deve sicuramente aver avuto una vita facile. Da come ne parla, sono sicura ci sia della sofferenza dietro… Quasi mi sento vicina a lei, forse siamo più simili di quanto credessi.
A volte mi capita di mettermi a pensare alla mia vita, a ciò che ho fatto, a ciò che sto facendo e ciò che vorrei fare… e mi sembra di non essere sulla giusta strada, come se questa non fosse la vita che avrei desiderato.

«Adesso che ti ho dimostrato di non aver paura, cosa ho vinto?» le domando, facendo roteare le chiavi nel dito.

«Potrei darti un bel bacino» propone, addentandosi il labbro inferiore.

«Oppure potrei darti io un bel pugno» ribatto, mostrandomi davvero intenzionata nel farlo.

«Oh andiamo, come sei manesca Sam. Io cerco di essere gentile e dolce…»

Con il suo modo di fare riesce sempre a spiazzarmi. Qualunque cosa le dica, trova sempre la risposta per replicare, senza farsi intimorire dal mio atteggiamento freddo e antipatico. Le persone come me non sono fatte per avere delle relazioni… Sin da bambina mi sono sempre sentita diversa dal resto del mondo, da tutti… ma non da lei.

Non mi era mai capitato prima d’ora.

«Esprimiti Sameen, dimmi cosa ti turba. Oltre che una chiacchierona, so anche essere un’ottima ascoltatrice.»

«Non ho proprio nulla da raccontarti» corro sulla difensiva.

«Okay, non ami parlare di te.»

«Non amo parlare» la correggo e le do le spalle.

Sono stata qui dentro già troppo, più del necessario. Apro la porticina dalla quale sono entrata, ma nello stesso momento, l’altra mia mano viene catturata da quella di Root.
Mi volto di scatto e la sbatto contro la rete d’acciaio, portandole il gomito in gola.

E dura un istante, un lampo, un intensa luce bianca mi attraversa la mente e mi costringe ad indietreggiare.

Il respiro mi si fa pesante, chiudo gli occhi e li riapro rapidamente, piegandomi su me stessa. Vengo attraversata da un altro flash, più forte del precedente, quasi doloroso.

Sollevo lo sguardo, incrocio gli occhi della donna davanti a me. Deve esserle successa la stessa identica cosa… Questo traspare dal suo viso.

«Root» sospiro, deglutendo.

«Shaw» il suo soffio, conferma i miei sospetti.

Inizio a ricordarmi di lei, ma tutto è confuso… strano… surreale.

Compie un passo verso di me, un passo incerto, tremante… Così come lo è la sua mano mentre si appoggia lentamente sulla mia guancia. Le permetto di farlo.

Quando entriamo in contatto, una serie infinita di immagini, momenti, ricordi insieme a lei, mi attraversano la mente, costringendomi a chiudere gli occhi.

Il nostro primo incontro, le missioni insieme, il viaggio a Las Vegas, i suoi flirt, le vicende con Samaritan, il bacio prima del mio sacrificio, le simulazioni, le nottate di passione, la sera in cui la Macchina la condusse da me dopo tutti quei mesi di lontananza e infine, la sua morte… il terribile momento in cui tutto il mondo mi crollò addosso.

Come può essere? Cosa significa tutto questo?

«Io…» apro gli occhi, ho l’affanno. «Io… credevo di averti persa» dico la prima cosa che mi sento di dire.

«Sameen» un sorriso si fa spazio sul suo viso, mentre piano, la sua mano scivola via dalla mia guancia. «Il mondo è tutta una simulazione, ricordi?»

Sollevo gli occhi in alto.

«Sì, e io sarei una forma, giusto?» riprendo una delle frasi della nostra ultima conversazione.

«La più bella forma possibile.»

Mi sforzo di sorridere, ma il ricordo della sua lontananza è forte, vivo e brucia ancora dentro me.

«Tu mi hai lasciata Root» le punto un dito contro il torace. «Mi hai abbandonata senza nemmeno permettermi di… Dio, Root!» la prendo per i polsi e la trascino di peso contro il tavolo. «Avrei voluto dirti così tante cose, avere l’opportunità di salutarti prima che tu…» mi blocco di botto, i suoi occhi lucidi frenano le mie parole.

«Ho dovuto farlo Sameen… Sacrificarmi per il bene del mondo era la cosa più giusta da fare… Dovevo tenervi al sicuro, tenerti al sicuro.»

Tenermi al sicuro? Uccidendosi credeva di tenermi al sicuro?

«Al diavolo! Tutte stronzate… Eri tu il mio posto sicuro, Root» ammetto a fatica.

Per più di 7.000 simulazioni le ho detto queste precise parole, ma con la piena consapevolezza di non essere nella realtà, con la piena consapevolezza che una volta premuto il grilletto della pistola puntata contro la mia testa, tutto sarebbe ricominciato.

Non credevo avrei mai avuto la forza di dirglielo sul serio, specialmente dopo la notizia della sua morte.

«Quando sei andata via, ho perso tutto… Tu, tu eri la luce nell’oscurità della mia vita…» trattengo le lacrime, mostrarmi fragile non è esattamente una delle cose che preferisco. «La tua morte mi ha spiazzata, mi ha levato ogni sicurezza, ogni speranza, mi ha strappato via i sentimenti, che prima di conoscerti, credevo di non avere.»

Lei non può capirmi, o forse sì, ma non totalmente. Anche lei mi perse quando venni catturata da Samaritan, ma poi mi ritrovò.
Ora sta succedendo la stessa cosa, ma sono io ad averla ritrovata, cento anni dopo, ma l’ho ritrovata.

Non riesco a darmi una spiegazione a tutto questo, ma lei è qui, di fronte a me e io posso vederla, toccarla, sentirne l’odore… Lo stesso e identico profumo di una volta.

«Sono qui dolcezza, sono qui» la sua mano torna a sfiorarmi la guancia e quella sensazione di beatitudine, di sicurezza, si riaccende in me. «Qualcuno ha voluto darci una seconda chance, una seconda opportunità… Saresti disposta a ricominciare?»

Mi prende la mano, incastrando le sue dita alle mie.

La guardo negli occhi, lucidi e meravigliosi come sempre. Mi rivolge uno dei suoi sguardi più dolci, uno di quegli sguardi che fingevo di detestare, ma che in realtà, non vedevo l’ora di vedere.

«Insieme» sospiro. «Come un incendio colossale» incurvo le labbra.

Lei lo ricambia, non lascia la mia mano, ma leva l’altra dal mio viso.

«Ora usciamo da qui, dolcezza.»  

Non aspettavo altro. Tornare all’azione con lei… Quante notti sognai questo momento, dopo la sua morte.

Non so darmi una spiegazione plausibile a quello che sta succedendo, ma non ha importanza. Root è di nuovo con me, tutto il resto mi interessa poco.

Si ritorna ai vecchi tempi: io e lei insieme, come una meravigliosa sinfonia.

- - - -

Grazie alla mia conoscenza del posto, riusciamo a raggiungere un’uscita di emergenza sul retro. Siamo passate attraverso l’impianto di aerazione e siamo ad un passo dalla libertà.
Non mi sembra vero, la guardo, sento la sua voce e mi sembra impossibile… è al mio fianco, Root in carne ed ossa.

«Sai cosa accadrà non appena saremo fuori di qui, vero? I federali di tutta New York ci daranno la caccia.»

Non che l’idea mi spaventi, anzi… Ho un conto in sospeso con quel farabutto di Craig. Si è permesso di colpirla e farle del male, nessuno può… ad eccezione di me, ovviamente.

«Allora andiamo via, partiamo e ricominciamo una nuova vita, recuperiamo il tempo perso» lancia un’idea, guardandomi con intensità.

«E dove andiamo?»        

«Decidi tu, ovunque a me va bene.»            

Ci penso per un momento, cerco di sbrigarmi, non possiamo permetterci di prendercela con comodo.

«Andiamo in Texas, dove sei nata.»              

«Oh, allora ricordi proprio tutto.»

Scuoto la testa divertita e le passo in mano una pistola.

«Tieni, potrebbe servirci. Non appena usciremo da questa porta, scatterà un allarme… Abbiamo cinque minuti per superare la recinzione» le spiego, per una volta sono io a darle degli ordini. Senza la macchina tra i piedi, sarà più divertente.

«Bene, allora andiamo» mi fa un cenno con la testa e si prepara ad aprire la porta.

«Aspetta» la blocco per il polso. Si gira con un’espressione stupita. «Voglio avere la certezza di aver fatto tutto per bene questa volta» le dico e senza darle il tempo di rispondere, la trascino contro di me.

Le nostre labbra aderiscono perfettamente e il suo sapore torna ad impossessarsi di me. Non siamo in compagnia come quella volta nell’ascensore, quindi possiamo permetterci di approfondire un tantino di più.

Le mie mani si precipitano sulle sue guance, le sue fanno lo stesso, subito dopo aver incastrato la pistola nel pantalone.

Le nostre lingue si cercano e si trovano, accarezzandosi nostalgicamente, dopo tutto questo tempo. Percepisco tutte le emozioni che ormai credevo perdute, spente, morte insieme a lei. Sento il cuore accelerare e una sensazione di benessere pervadermi ovunque.

Ci separiamo prima che sia troppo tardi, il tempo scorre e dobbiamo fuggire velocemente…

Una cosa è certa: non ho alcuna intenzione di perderla di nuovo. Se solo qualcuno dovesse azzardarsi anche solo a sfiorarla, morirà malamente.

«Ora sì, possiamo andare» dico con l’affanno, mordendomi le labbra e succhiando via tutto il suo sapore.

Riusciamo a scappare, rubando uno dei camioncini lì fuori. Gli allarmi scattano, ma ci allontaniamo prima che qualcuno possa anche solo vederci di sfuggita.

«Ora spiegami cosa hai combinato di così brutto da meritarti tutte queste attenzioni» dico, concentrata sulla guida.

«Lunga storia, Sameen.»

«Ci aspetta un lungo viaggio, quindi comincia pure.»

- - - -

Lasciamo la macchina in un posto isolato e ci immischiamo alla gente, comportandoci con indifferenza.

«Mi sei mancata Sam…»

Roteo gli occhi verso il cielo, fingendomi seccata. In realtà anche lei mi è mancata, davvero tanto. Ma difficilmente lo ammetterò mai. Anche se sono convinta che lei già lo sappia. Mi capisce al volo, senza il bisogno che io le dica qualcosa.

«Dici che siamo destinate ad incontrarci in ogni vita? Com’è possibile che ricordiamo tutto? Che siamo morte e rinate negli stessi corpi, con gli stessi nomi… Come può essere vero? Noi siamo morte un secolo fa.»

Giuro di non ricordare l’ultima volta in cui ho parlato così tanto e senza rifiatare tra una frase e l’altra, o meglio, tra una domanda e l’altra.

«E chi ti dice che non lo siamo?»

E rieccola con le sue uscite fantascientifiche, da persona fuori di testa.

«Chi ti dice che tutto questo non sia altro che un sogno, un’allucinazione? E poi che importa Sameen?» alza le spalle e gira la testa verso di me. «Non esiste morte capace di dividere due cuori che battono all’unisono.»

«Oh, non mi dire… In questi ultimi cento anni, hai potenziato il tuo bagaglio di flirt?»

«Hai visto? Miglioro.»

Sorrido sotto i baffi. Solo il fatto di poter sentire la sua voce, mi riempie di gioia.

Camminiamo per non so quanto. Manteniamo l’attenzione alta e cerchiamo il più possibile di confonderci con la folla… Dobbiamo raggiungere l’aeroporto prima che sia troppo tardi.

«Allora, dolcezza… Cosa hai fatto in tutto questo tempo senza di me?»

«Meglio che tu non sappia, Root. Ti ricordo che fino ad un giorno fa, non ricordavo nemmeno della tua esistenza» le dico la verità, ma senza sbattergliela in faccia duramente.

«Quanti più o meno?»

Capisce cosa intendevo… che sono stata a letto con tante persone… Ma solo in questa vita. Nell’altra, dopo la sua morte, la mia vita sessuale si è spenta fino a quando anche io mi sono spenta. Ricordo tutto, ma non il modo in cui sono morta, possibile?

«Root» la rimprovero. «Non ho mai dato importanza a nessuno, non mi sono mai legata a nessuno, non ho mai provato niente per nessuno. Tu sei stata e sei… Beh hai capito.»

Sbuffo. Odio dover dire queste cose. Mi suonano così esageratamente sdolcinate, fuori dal mio stile. E poi lei mi sorride con l’intero viso e mi mette in difficoltà.

«Va bene, Sameen. Ho capito.»

Non insiste, sa bene che questo è un argomento delicato per me. Sa come sono fatta e credo sia proprio questo che l’abbia fatta innamorare di me. Il mio essere diversa, fuori dagli schemi.

«Come hai intenzione di salire sull’aereo? Non possiamo comprare i biglietti e imbarcarci come se niente fosse. Ci sono i controlli, sarebbe rischioso e sicuro ci stanno già cercando.»

«Ho già pensato a questo» sogghigna. «Voleremo in un modo… speciale!»

Alzo un sopracciglio e attendo maggiori dettagli. Ma non sono preoccupata. Le avventure con Root sono da sempre le mie preferite.

«Nella stiva Sameen.»

Un grande sorriso mi riempie il viso. Ridacchio leggermente guardandola, la sua espressione è un libro aperto per me… Mi basta guardarla per capire le sue intenzioni.

«Dovremo solamente trovare un modo per ammazzare il tempo, il viaggio dura più di 3 ore» aggiunge con malizia.

«Io avrei già una mezza idea» rispondo a tono.

E la tensione sessuale tra noi, torna a farsi sentire. Solo Dio, può capire quanto tutto questo mi fosse mancato. Non sarò capace di dirglielo a parole, ma sicuramente glielo farò capire in un altro modo.

«Sono sicura mi piacerà.»



Angolo Autrice.
Eccomi tornata con una nuova storiella, nata da un'improvvisa ispirazione. Volevo regalare a tutte voi un lieto fine, volevo farvi capire che, comunque vadano le cose, loro due sono destinate l'un l'altra... Come dice Root "Non esiste morte capace di dividere due cuori che battono all'unisono"
Non esiste morte per questo amore.
Una cosa che ho odiato, è stato il dover tradurre FOUR ALARM FIRE... in italiano non rende, purtroppo.
Che dire? Spero vi piaccia, ci sentiremo presto con la storia LONG di Sarah e Amy. Sto cercando di progettarla per bene, quindi vi toccherà aspettare un po'.

Un bacio, lasciate un commento.
  
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