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Autore: Keyrim    14/06/2016    1 recensioni
La narratrice ti leggerà con estranea tranquillità la sua e la tua storia fino al finale lanciandoti un messaggio che solo tu potrai cogliere.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ti vorrei narrare una storia, la mia. Mi sono permessa di darle un titolo come se fosse un libro, spero tu la gradisca. La mia vicenda si chiama La narratrice, presto scoprirai il perché di tale nome.

Tutto cominciò all'asilo.

«Ehi ti va di giocare a nascondino per fare pace?» mi chiese una bambina poco simpatica con la quale avevo litigato poco tempo prima.

«Va bene.» le risposi timidamente accennando un lieve sorriso e iniziammo a giocare.

La prima volta fui io a doverla cercare e la trovai con estrema facilità, amavo davvero quel gioco prima di quel giorno. Io mi nascosi dentro un portagiochi a forma di pecora sorridente e chiusi il coperchio per non farmi trovare.

La bambina che doveva contare, barando, vide dove mi nascosi e per farmi un dispetto mise sopra al coperchio una pila di giochi pesanti e se ne andò.

Sfortunatamente non mi accorsi dello scherzo e aspettai rimanendo in silenzio nascosta fino al suonare della campanella di fine intervallo. Fu allora che, non riuscendo a togliere il coperchio, compresi che mi aveva bloccata lì per vendicarsi del rimprovero che ricevette dalle nostre maestre a causa mia.

Spaventata e intristita per la pessima burla iniziai a piangere ma, nel trambusto causato dagli altri bambini, nessuno mi sentì. Rimasi imprigionata li dentro per più di sessanta minuti prima che, un'insegnante accortasi della mia assenza, mi trovasse.

Quello fu l'inizio della mia infanzia tormentata ma non del tutto infelice.

Continua a leggere, presto capirai perché ti sto raccontando tutto questo.

I primi due anni alla scuola primaria furono terribili, venni isolata dai miei compagni perché timida e mi venne assegnato il nomignolo "Marcia" a causa dell'assonanza fra quella parola e il mio cognome.

In terza elementare iniziai a avere degli amici coi quali giocavo a calcio ogni giorno. Il più piccolo aveva la mia età e il più grande era in prima media. Li avevo conosciuti per caso all'oratorio della parrocchia in una fredda giornata invernale e, per un po', riuscirono a riparare il mio fragile cuoricino ma nessuna cosa bella dura per sempre.

Un giorno come tanti stavo aspettando all'ombra della grande fontana di pietra, posta al centro della piazza, il mio migliore amico, Laurent. Aveva promesso di aiutarmi a diventare un bravo portiere ed io, in cambio, gli avrei insegnato ad arrampicarsi velocemente sugli alberi. Lo vidi comparire dal fondo della via e lo salutai allegramente. Lui felice di vedermi attraversò la strada di corsa, non si accorse della macchina che stava arrivando e venne investito davanti ai miei occhi.

Era accasciato privo di sensi sul gelido asfalto e l'uomo al volante del veicolo scappò via.

Andai a trovarlo in ospedale tutti i giorni e, seduta accanto a lui, gli raccontavo cosa avevamo fatto ogni giorno a scuola. Lo incoraggiavo sempre a guarire e gli leggevo le storie d'avventura fantasy che gli piacevano tanto.

I medici mi confessarono che era scampato alla morte per puro miracolo e che da quando si era svegliato non aveva fatto altro che chiedere di me.

Quando fu dimesso dall'ospedale mi regalò sette gigli rossi per ringraziarmi e mi disse che erano belli quasi quanto i miei capelli.

Continuammo a essere amici e mi difese sempre dai miei stupidi compagni di classe.

Un giorno mancai da scuola per malattia e, appena vi tornai, venni a sapere che lui aveva litigato con un gruppetto di bambini che parlavano male di me in mia assenza. Lo stesso dì, dopo averlo visto tornare a casa pieno di graffi, sua mamma l'obbligò a starmi lontana perché ritenne che fosse solo mia la colpa dell'accaduto. Laurent trasgredì l'ordine della madre e, sapendo che rischiava d'essere nuovamente picchiato per colpa mia, fui io ad allontanarmi da lui.

Non è stato facile sai? Mi auguro che tu non possa mai capire come mi sono sentita.

Alla scuola secondaria di primo grado fui vittima di bullismo e nessuno mi aiutò nonostante fossero tutti a conoscenza della mia situazione, ma infondo a chi poteva mai importare di una come me? A chi poteva mai interessare una mela marcia? A nessuno importava.

Cercai di non reagire alle loro provocazioni ma, in terza media, precisamente ad aprile, dopo l'ennesimo spintone non riuscii più a trattenermi e li picchiai. Non avevo con me nessun oggetto con i quali li avrei potuti colpire, pertanto mi limitai a tirare pugni, calci e a mordere il braccio a uno di loro quando esso cercò di tenermi ferma. Nonostante loro fossero in quattro riuscii ad uscire dalla quella specie di scontro quasi illesa. Avevo solo dei graffi e qualche livido sullo stomaco e sulle gambe. Mi sentii benissimo e la sensazione che provai quando li vidi starmi lontana perché spaventati da me fu sublime anche se inquietante.

Dopo quello scontro qualcosa in me cambiò. Francamente non rimpiango di aver reagito in tal modo ma non mi sarei mai aspettata che la scelta di colpirli avrebbe cambiato così profondamente la mia vita.

Non volendo aver ancora a che fare con loro scelsi di andare alle superiori in pieno centro città, sapevo che avrei dovuto alzarmi tutti i giorni alle cinque di mattina ma ne sarebbe valsa la pena, o almeno così credevo.

Rimasi sconvolta nel sapere che, Chiara, la peggiore dei bulli che mi tormentavano alle scuole medie, era in classe con me.

Non volendo compiere un altro gesto di violenza passai altri tre anni tremendi però, il primo giorno del quarto anno, andai a parlarle con gli occhi pieni d'odio e rancore.

Era lo stesso sguardo di quando picchiai quei ragazzini alle medie.

«Lasciami in pace e basta. Mi hai stancata. Se non lo farai sappi che te la farò pagare per ogni singola cosa che mi hai detto e fatto. Ti ho avvisata.» Lei mi rise in faccia per un secondo ma, quando i suoi occhi marroni incrociarono i miei grigioverdi, sbiancò per un attimo.

Era una sera d'inverno, il silenzio regnava sovrano perché la candida neve ovattava il rumore dei passi e ricopriva ogni cosa, tutto era bianco. Noncurante dell'imminente nevicata rimasi immersa nella lettura di un romanzo chiamato "Parassita". La copertina del libro era in pelle pregiata, gli spigoli erano coperti da dei copri angoli di metallo color oro, le pagine emanavano ancora quell'odore tipico dei fogli appena stampati e il titolo era scritto con un elegante carattere dorato.

Il contenuto di quel libro è molto profondo ed enigmatico. Ci sono moltissimi modi diversi di interpretare il testo, non so quale sia corretto, forse lo sono tutti o forse nessuno è quello giusto.

«Fammi vedere che stai leggendo bagascia.» mi insultò Chiara cercando di strapparmi il libro dalle mani ma io lo chiusi d'istinto schiacciandole per un attimo le sue lunghe dita ossute tra le pagine.

«Tra le due, basandoci in modo oggettivo sulla superficialità e sul modo di fare, posso affermare con certezza che la bagascia sei tu o che lo sei sicuramente più di me.» le risposi freddamente osservandola dall'alto verso il basso. Lei si infuriò ed iniziò ad inveirmi contro.

Sul mio volto comparve un piccolo sorriso divertito; ti avevo avvertita Chiara.

Se solo me ne fossi andata o avessi ignorato la sua provocazione a quest'ora non sarei in questa tremenda situazione e nemmeno tu. Capirai presto ma ora torno a raccontarti ciò che è successo.

«La verità fa male vero? Peccato che non ho finito. Oltre a essere una meretrice e una totale deficiente sei anche la persona più ignorante che abbia mai visto, di conseguenza, non potresti mai capire questo libro però, visto che sono gentile, ti permetterò di vederlo più da vicino» e, mentre terminavo la frase, mi alzai dalla rigida panchina e la colpii alla testa con quel macigno composto da mille pagine fitte di parole aventi per me un enorme valore e significato.

«È stata una storia interessante, vero?» le chiesi retoricamente mentre, accasciata a terra, rantolava e perdeva sangue dalla brutta ferita che le avevo fatto sulla nuca.

«Ora se non ti dispiace, dovrei concludere con il gran finale...sai non sopporto lasciare le cose a metà.» affermai e la colpii ancora e ancora fino a quando non smise finalmente di sprecare ossigeno.

Rimasi cinque minuti ad ammirare il pavimento bianco dipingersi di un rosso intenso mentre la fredda neve cadeva dal cielo, per poi andarmene a casa, dove ripulii completamente il mio libro dal suo lurido sangue.

Se stai pensando che questo messaggio sia tutto uno scherzo ben studiato mi dispiace dirti che non è così, questa è la realtà in cui vivo e di cui tu purtroppo hai iniziato a fare parte.

Due giorni dopo i telegiornali locali parlarono dell'accaduto e raccontarono che non vi erano prove né indizi su chi fosse l'autore di tale orrore. Dissero che la nevicata aveva coperto ogni traccia ma che si ipotizzava che l'autore del fatto potesse essere lo stesso degli omicidi di cui avevano parlato la settimana prima.

I sensi di colpa mi attanagliarono lo stomaco per tutta la durata della notizia. Stetti quasi per andare a confessare nonostante una parte di me fosse addirittura orgogliosa del proprio operato. Ho ucciso una persona spregevole e viscida, per quale motivo dovrei sentirmi in colpa?

Tutti a scuola, per un'inutile convenzione sociale, si finsero dispiaciuti della morte di quel fastidioso parassita. Appena mi resi conto che l'avevo uccisa con il libro che la rappresentava di più, scoppiai in una malata risata e mi sentii benissimo.

Quando realizzai che avevo fatto un favore al mondo i rimorsi scomparvero e inizia a eliminare altri individui marci e degni di morire.

Il secondo fu un assassino, quando andai a trovarlo nell'abitazione dove si era nascosto dalla polizia, non sapendo le mie intenzioni, mi cacciò via in malo modo. Solo dopo che lo feci esasperare aprì la porta e tentò di allontanarmi con una spranga d'alluminio. Quell'uomo uccideva senza alcun motivo, inoltre provava piacere nel togliere la vita davanti ai parenti o amici stretti della vittima, imperdonabile. Lo stordii con la stessa spranga con la quale mi minacciò e lo uccisi con il libro intitolato "Virus".

Il terzo fu un molestatore, era una persona orribile che non sarebbe mai dovuta nascere e per tanto lo eliminai con il romanzo "Aborto". Inizialmente, in realtà, volevo solamente leggergli la sua storia e lasciargli incisa sulla pelle l'iniziale del suo libro al fine che capisse i suoi sbagli ma, quando lo vidi con quella ragazzina, cambiai idea.

Credevo nella possibilità di redimersi, per tanto permettevo sempre a tutti una piccola possibilità di salvezza.

A tutte le mie vittime narrai le loro storie mentre, a poco a poco, morivano dissanguate a causa dei tagli che gli infliggevo in punti non mortali ad ogni pagina letta. Ognuno dei miei delitti venne attribuito a quel killer e io continuai il mio operato indisturbata.

Non avevo più quel sorrisino sadico quando uccidevo quegli inutili parassiti.

Ero seria, fredda.

Non facevo passi falsi e stavo molto attenta a non lasciare le mie impronte digitali o altre prove.

Un giorno come tanti, tornata a casa da scuola, controllai la graziosa casella della posta situata appena fuori dal cancello. La maggior parte delle lettere erano da parte dei miei genitori, c'era anche un messaggio da parte della scuola ed una busta priva di francobollo sulla quale non era riportato il nome del mittente.

Entrai nel mio semplice e moderno appartamento al primo piano e, mentre l'acqua calda riempiva la vasca da bagno, aprivo le buste lasciando per ultima quella senza mittente. Quando tirai fuori il messaggio rimasi confusa e stupefatta, sul foglio vi era scritto solamente " Vieni nello studio di Saul alle cinque di pomeriggio ed enunciati alla segretaria come "la Narratrice", lei ti farà entrare.

Rilessi quell'unica frase più e più volte interrogandomi su cosa fosse "Saul", non c'era nessuna città né azienda nelle vicinanze avente tale nome. Alla fine compresi che "Saul" era l'anagramma della parola "Usla" che era la sigla di una compagnia rinomata per il prestigio dei suoi ospedali, per i suoi affari col governo e per il suo interesse verso i giovani ai quali offriva ingenti borse di studio, sostegno economico e un posto di lavoro presso la sede della compagnia. Non essendo un evento comune ricevere un appuntamento con il capo della compagnia mi presentai con un largo anticipo. La segretaria era una signora sulla trentina, i suoi lunghi capelli color cenere erano raccolti in una semplice coda alta, i suoi occhi erano di un azzurro cielo ed era molto pallida, forse avrebbe dovuto prendersi una vacanza.

Appena entrai nell'ufficio rimasi incantata dalla marea di libri riposti sulle diverse mensole in legno pregiato e dalle frasi di famosi scrittori dipinte sulle pareti.

«Buon pomeriggio Amelia, ho sentito molto parlare di lei. Ha preso la lode fin dalla prima elementare in tutte le materie e si è sempre comportata in maniera responsabile. Sono desolato per le difficoltà che ha dovuto sopportare durante la scuola media e i primi anni delle superiori. La morte di quella ragazza, quella bulletta ignorante, le avrà sicuramente reso la vita più tranquilla.» affermò.

«Cosa sta cercando di dire?» chiesi infastidita.

Avevo già intuito che lui sapesse dei miei delitti quando lessi che dovevo presentarmi come "la Narratrice".

Non era un titolo a caso.

«Lo sa cosa intendo. Non ho intenzione di denunciarla alla polizia, una ragazza come lei che crede nella giustizia sta facendo un favore alla povera gente liberandosi di tali individui.» disse sorridendomi.

Sapeva anche che non mi fermai alla mia compagna di scuola. Ero stranamente calma, mi fidai istintivamente di lui, forse fu la sua voce a ispirarmi simpatia, non ne sono sicura.

«Anzi, cercherò di renderle il lavoro più facile, a patto che rispetti alcune piccole condizioni. Le darò una lista di persone corrotte che potrà uccidere e le fornirò i mezzi necessari per renderle il lavoro più facile. In cambio lei e la sua famiglia potrete usufruire gratuitamente dei servizi ospedalieri della mia compagnia e lei potrai andare a studiare dove vorrà tramite il mio sostegno economico e una borsa di studio. Ah e se, per caso, un tuo amico si dovesse ferire gravemente, potrà portarlo ai miei ospedali dove riceverà cure immediate.» continuò dopo essersi fermato per bere un sorso d'acqua dal bicchiere alla sua destra.

«Mi faccia indovinare, nella lista ci saranno persone corrette, senza scrupoli ma soprattutto individui avversi alla sua compagnia.» commentai freddamente.

«Inoltre la devo informare che io offro una possibilità di redenzione a tutte le persone indegne, tutto ciò non è previsto con gli individui presenti nella sua lista... o mi sbaglio?» domandai retoricamente.

«Acuta osservazione, ora gliene ne faccio una io se me lo concede. Di tutte le persone che ha eliminato quante si sono meritate il perdono?

Nessuna. Inoltre, in questa lista c'è un individuo particolare... pirata della strada le dice nulla?» mi disse.

«Mi sta davvero dicendo che sa l'identità di chi ha quasi ucciso Lucas?» domandai scomponendomi.

«Ovvio, accetti i patti e io le permetterò di dargli una lezione.» Mi rispose sorridente.

Presi la lista e iniziai a lavorare per lui. Mi faceva eliminare persone infime alle quali non sarei mai riuscita ad avvicinarmi senza di lui, giudici corrotti, poliziotti venduti alla malavita e molti altri.

Non avrei mai dovuto accettare ma, in fondo, non avevo scelta.

Lunedì era il dì prefissato per l'omicidio di quel pirata della strada perché, essendo il suo giorno libero dal lavoro, ero certa di trovarlo a casa.

Quando suonai il citofono lui si affacciò alla finestra e mi vide. Scese a passo svelto ad aprirmi nonostante fossi certa che mi avesse riconosciuto.

«Ciao... lui come sta?» mi chiese con un sorriso triste.

«L'ultima volta che l'ho sentito è stato poco dopo la sua dimissione dall'ospedale dove tu lo hai fatto finire» gli risposi schiettamente.

«Capisco...» Commentò con sguardo perso.

Mi fece entrare nella sua abitazione, sulla parete erano appese delle foto incorniciate di un lui più giovane con dei bambini, probabilmente i suoi figli.

Nelle più recenti non vi era più la probabile moglie.

«Sai cosa accadrà ora?» gli domandai.

«Si, sappi che mi dispiace per ciò che ti ho fatto.» Mi rispose con tono sincero.

Iniziai a leggere il suo libro ma mi bloccai dopo le prime pagine.

«Non ha senso...Ora non ha più senso!» urlai lanciando il libro per terra, lui mi guardò con un'espressione a metà tra il confuso e il terrorizzato.

«Per tutti questi anni ho pensato a come vendicarmi di te ma, in realtà, ti ho incolpato di avermi fatta allontanare da Lucas quando la colpa era solo mia. Sono stata io a non essere capace di tenermi stretto ciò di a me più caro. Non so che problemi tu abbia con il capo della compagnia Usla ma vattene via da qui. Lui mi ha dato le informazioni su dove avrei potuto trovarti ma tutto ciò non ha senso. È un uomo subdolo e io l'ho capito troppo tardi. Non mi stava aiutando a vendicarmi, vuole solo che ti uccida. Vattene lontano, non mi interessa dove.» Affermai prima di uscire da casa sua per dirigermi alla sede del mio ormai ex datore di lavoro.

«Mi tiro fuori.

Ho smesso, chiaro?

Minacciami pure di denunciarmi alla polizia ma io non ucciderò più nessuno, chi mi ha mai dato il diritto di giudicare quelle povere persone? Avrei dovuto aiutare quella gente, non ucciderla senza ritegno.» Gli dissi e lui rimase in silenzio annuendo con la testa.

Seccata me ne andai a casa mia e bruciai quella stupida lista. Riposi i miei amati libri sulle mensole e il giorno seguente mi iscrissi come volontaria in un gruppo di sostegno e di reintegrazione delle persone con problemi nella società.

Conobbi gente di ogni tipo, persone rovinate dalla sete di soldi, giovani distrutti dalla droga, ex carcerati, adulti e ragazzi che avevano perso tutto perché dipendenti dal gioco, erano tutti individui che cercavano una seconda vita, una seconda possibilità.

Una sera, dopo essere tornata casa dalla festa di compleanno fatta per Noah, un giovane poco più grande di me che si stava disintossicando, rimasi paralizzata alla vista di quell'orrore. Le pareti del mio soggiorno erano imbrattate di sangue e per terra c'era Lucas agonizzante.

«Ciao Amelia io sono la persona alla quale attribuiscono i tuoi omicidi. Non è stato difficile trovarti sai?» mi disse un uomo sulla trentina dal volto semi coperto dal cappuccio della felpa scura che indossava. Subito dopo aver finito le sue stupide presentazioni d'obbligo si avventò su di me puntando ad affondarmi un coltello nel collo. Lo fermai a fatica poco prima che potesse conficcarlo nella mia carne.

Avevo ucciso molte persone ma rimanevo una ragazza, non hulk perciò faticai molto a difendermi.

«Mi dispiace per te ma ho ancora delle questioni in sospeso prima di permettermi di morire. Cerca di goderti questo breve spannung più che puoi perché la tua fine non sarà altrettanto emozionante.» gli risposi e con gli occhi iniettati d'odio, gli diedi una ginocchiata in pieno stomaco per poi colpirlo ripetutamente con "Dolore", il libro a me più vicino fino a quando non svenne.

Preoccupata andai subito da Lucas il quale aveva un'evidente e profonda ferita sul torace dalla quale stava perdendo molto sangue.

Lo portai il più velocemente possibile all'ospedale Usla per poi tornare a casa per vendicarmi.

Quando arrivai dal killer era semi cosciente e quasi morto ma per precauzione gli allontanai il coltello dalle mani. Lo legai a una sedia che presi dalla cucina e, dopo avergli fasciato alcune ferite in modo che la morte lo raggiungesse più lentamente, iniziai a raccontargli la sua patetica storia.

Non potevo perdonarlo esattamente come non potevo perdonare me stessa per aver involontariamente ferito l'unica persona che fosse mai stata vicina.

Il giorno seguente, di nascosto, andai a visitare il mio amico, il quale non appena mi vide mi sorrise felice.

«Come ti senti?» gli chiesi.

«Sto benone ma tu dovresti andartene. I miei genitori hanno aperto un'indagine per scoprire chi mi ha ferito e non voglio che si scopra cosa hai fatto. So che sei stata tu a uccidere Chiara, quel giorno ti ho seguita al parco con l'intenzione di ricominciare a parlarti ma ho aspettato perché temevo che tu mi respingessi. Avrei dovuto fermarti prima che tu iniziassi a commettere gli altri omicidi ma non l'ho fatto, non ti ho aiutata né quella sera né per tutti quei tremendi anni che hai passato.» mi disse e io non riuscii a trattenere le lacrime ma per vergogna le asciugai immediatamente.

Mentre lui mi sorrideva dolcemente l'elettrocardiografo alla sua destra iniziò a segnare un diminuimento della frequenza dei battiti cardiaci e spaventata chiamai immediatamente dei medici.

Rimasi fuori dalla sala operatoria fino a quando il dottore e i suoi assistenti uscirono sorridenti in volto.

Era vivo per miracolo, di nuovo.

Quando giunse la madre di Lucas mi riconobbe all'istante e mi urlò contro.

«Vattene! Vedi cosa hai fatto? Tu porti solo sfortuna stupida figlia del diavolo!»

«Mi scusi...» le risposi e me ne andai con lo sguardo perso e basso.

Quel dì non si rivolse a me in quel modo per caso. Nelle mie zone era rimasta la convinzione che le donne dai capelli rossi fossero figlie del demonio.

Non fu la prima volta che me lo sentii dire, ma quel giorno mi maledissi per essere nata. Se solo non fossi mai venuta al mondo lui non sarebbe stato quel lettino, a lottare fra la vita e la morte.

Il presidente venne a farmi visita lo stesso pomeriggio.

«I medici mi hanno detto cosa è successo al tuo amico, sono desolato.» mi disse con un finto dispiacere.

«Cosa vuoi?» gli chiesi.

«Lo sai, a Lucas servono cure speciali e io gliele darò, a patto che tu ritorni a uccidere.» mi rispose sorridente per poi porgermi una nuova lista.

«Sei un essere spregevole.» commentai prendendo il foglio pieno di nomi mentre lui mi sorrideva dolcemente.

«Lo siamo.» mi disse lui.

Inizialmente le persone presenti nei suoi elenchi erano individui corrotti e privi di una qualsiasi morale ma ogni settimana aggiungeva due nomi nuovi, di due persone innocenti.

Ogni sera, lontana da occhi indiscreti, posavo un giglio rosso sul comodino della stanza d'ospedale di Lucas e iniziavo a leggergli il mio romanzo preferito, "L'unico giusto".

Era un libro bellissimo, in cui una ragazza descriveva la perfezione e l'unicità di quello che sembra essere un bellissimo e colto ragazzo ma, nelle ultime due righe, si scopre essere un meraviglioso anello di fidanzamento regalatogli dal suo fidanzato che lei definisce ancor più perfetto di quel gioiello.

Lui dormiva sempre quando gli leggevo il libro ma una notte, a mia sorpresa, si svegliò.

«Ciao Amelia.. Per favore, qualsiasi cosa tu stia facendo per permettere alla mia famiglia di non pagare le cure, interrompila.» mi disse stringendomi la mano mentre mi rivolgeva un sorriso dolce.

«Tranquillo, non è niente di che, sono solo un po' stanca di lavorare tutto il giorno tra quelle scartoffie» risposi mentendogli ma gli bastò incrociare il mio sguardo per un secondo per capire che non era vero.

Uscii immediatamente dalla stanza e iniziai a uccidere quasi tutte le persone della lista in un giorno, non ci volle molto tempo prima che l'elenco avesse solo nomi di persone innocenti, scelte da lui casualmente.

Uomini, donne, bambini e anziani perivano a causa mia.

Non vi era alcun criterio di scelta così, per cercare di evitare di ucciderli, inviavo segretamente alle vittime due giorni prima di quando sarei andata ad eliminarle un messaggio con scritto di andarsene, di non rimanere a casa ma pochi mi ascoltavano. Per questo ti ho raccontando la mia storia.

Ti ho narrato tutto nella speranza che almeno tu te ne vada da dove sei.

Almeno tu ascoltami.

   
 
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