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Autore: FlyGirl 92    15/06/2016    1 recensioni
Il clan Burns è una famiglia di vampiri russi. I loro occhi non sono dorati, ma azzurri come il ghiaccio. Poco abituati al contatto con i loro simili, potrebbero diventare molto pericolosi per la quiete di chi non sospetta nemmeno lontanamente dell'esistenza dei vampiri.
I fratelli Ray e Charlie Burns sono in fuga dai Volturi, che vogliono usare i loro incredibili poteri per i loro fini. Soli e lontani dalle sorelle, cercano di passare inosservati nella piovosa cittadina di Forks, ma ancora non sanno cosa li attende...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
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Come and take a walk on the wild side
Let me kiss you hard in the pouring rain
You like your girls insane
Choose your last words
This is the last time
Cause you and I, we were born to die

Born to Die” - Lana Del Rey

Capitolo 1 – Un nuovo inizio

 

Era una piovosa mattinata di inizio autunno a Forks, quando aprii gli occhi.

Infastidita, li richiusi; non era una novità che in questa cittadina dimenticata da Dio piovesse: era così per circa il novanta percento del tempo. Durante l’altro dieci percento, invece, un timido sole si affacciava tra le nubi comunque onnipresenti.

Certo, come mi ricordava quotidianamente mio fratello Charlie, era il posto perfetto per due vampiri in fuga come, del resto, eravamo noi. Sebbene io e lui appartenessimo ad un clan che non aveva le stesse caratteristiche fisiche di tutti gli altri vampiri dispersi nel mondo, anche la nostra pelle scintillava come se fosse stata ricoperta di diamanti, se illuminata dalla luce del sole.

Io e Charlie appartenevamo ad una “famiglia” di vampiri russi e, fino a una settimana prima, eravamo nascosti in una cittadina sulle coste della California, dove ci confondevamo facilmente coi turisti. Eravamo rimasti lì per un bel po’ di anni perché ci eravamo accorti che, stranamente, nessuno faceva assolutamente caso alla nostra pelle scintillante.

Il clan era composto da cinque membri, quattro femmine e un maschio: mia sorella Juno, la capostipite (che era l’unica di noi ad essere realmente di origine russa ed era colei che ci aveva trasformate tutte per salvarci la vita; parlo al femminile perché fui io a trasformare Charlie, il nostro fratello più giovane) era bellissima, silenziosa, saggia e pacata, ed era nata intorno al 1500. Cosi tanto tempo fa che nemmeno lei ricordava l’anno esatto. Violet, nata alla fine del 1700 era la “secondogenita” in ordine di trasformazione, ed era un’artista; Lina, nata nel 1752 era, invece, la terza in ordine di trasformazione, ed era la più socievole e mondana di tutte (l’unica che si sentisse ancora piena di vita e vicina agli esseri umani). Charlie, invece, era l’ultimo.

Come si può facilmente intuire, non eravamo realmente fratelli, piuttosto un gruppo di sbandati che la vita aveva messo insieme per sostenerci a vicenda, ma eravamo talmente legati gli uni agli altri che ci comportavamo come una vera famiglia.

In California, purtroppo, io e Charlie scoprimmo di essere in pericolo per motivi che vi dirò più avanti, quindi fummo costretti a scappare dall’altra parte del continente. Scegliemmo Forks perché sapevamo che vi era nascosta un’altra famiglia di vampiri, i Cullen, che erano perfettamente integrati nella società. Vista la situazione, ci sembrò appropriato concederci l’opportunità di chiedere il loro aiuto.

Io e Charlie avevamo preso in affitto una casetta bi piano: le nostre tre sorelle erano ancora in California a chiudere tutti i nostri affari e a far perdere le nostre tracce, ma ci avrebbero presto raggiunto.

Io e Charlie dovevamo tenere il profilo più basso possibile e cercare di entrare in contatto coi Cullen, di cui sapevamo soltanto l’esistenza.

Io e mio fratello eravamo speciali, non eravamo come gli altri vampiri. Avevamo dei poteri sovrannaturali.

Charlie era una specie di divinatore: poteva vedere, se si concentrava, quello che le persone stavano facendo e il luogo esatto in cui erano. Io invece ero in grado, il più delle volte, di penetrare nella testa delle persone e convincerle fare quello che volevo io. Era un potere che, però, mi aveva sempre spaventato, tanto che lo usavo solo in casi di emergenza, come quello che si presentò il secondo giorno che eravamo a Forks.

Fu l’unico episodio spiacevole dei primi tempi e fu la visita della polizia a casa nostra: un certo ispettore Swan non capiva come una sedicenne e un diciassettenne potessero vivere da soli senza un lavoro.

Fui costretta ad usare le mie abilità, per convincerlo che non c’era niente di strano in tutto ciò, ma lo convinsi ad aiutarmi a cercare un lavoro per me e mio fratello: la gente parlava e sarebbe diventato un po’ impegnativo utilizzare i miei poteri su tutti e tremila gli abitanti di Forks.

Io trovai lavoro come commessa in un piccolo supermercato in centro, mentre Charlie trovò lavoro come aiutante in un negozio di articoli sportivi piuttosto famoso, dove fece amicizia con Mike, il figlio dei proprietari.

Ricordo ancora come i genitori di Mike praticamente ci adottarono, quando scoprirono che al momento abitavamo soli (non vedevo l’ora che arrivassero le mie sorelle, che sembravano tutte più grandi di me e Charlie, per cominciare a dare meno nell’occhio): però erano persone talmente piacevoli che, spesso, nel dopo cena, stavamo da loro.

Mike si affezionò subito a me e a Charlie, anche se dopo qualche giorno mi accorsi che mi guardava con aria da pesce lesso. Mi sforzai di tenere un po’ le distanze.

Mentre continuavo a ripensare all’ultima settimana, mi alzai dal letto: noi vampiri non avevamo bisogno di dormire, ma fingere di farlo era una delle poche cose che mi aiutassero a preservare una certa integrità mentale. Avevo bisogno di sentirmi ancora umana, per certi versi.

“Ray!” Urlò una voce maschile dal piano di sotto. Un secondo dopo sentii bussare. “Sei pronta? Tra un quarto d’ora si parte.”

Mio fratello era stranamente eccitato al pensiero che oggi fosse il nostro primo giorno di scuola, fatto che a me lasciava totalmente indifferente.

“Scendo tra dieci minuti.” Risposi alla porta. Non lo sentii scendere, ma sapevo che se ne era andato: per quanta confidenza avessimo, Charlie era molto rispettoso nei confronti miei e dei dei miei spazi.

Sospirai e aprii la mia nuova cabina armadio bianca: adoravo i vestiti e le scarpe e ne avevo tantissimi, però ero anche molto ordinata.

Visto che fuori era freddo, scelsi un maglioncino grigio perla da abbinare ad una gonna di jeans nera, con collant, stivali e cintura coordinati. Presi il mio vecchio giubbotto di pelle (l’avevo comprato negli anni ’70, quando avevano cominciato ad andare di moda) e mi avvicinai alla specchiera.

Mentre mi truccavo, notai che ancora faticavo a osservarmi a lungo: per quanto fosse bellissimo, odiavo il mio aspetto da vampira. Odiavo essere una vampira, punto.

Spazzolai i miei lunghi capelli castano caramello e aggiustai la frangia; sotto le sopracciglia sottili brillavano due grandi occhi color azzurro acceso, un colore intenso e impossibile da trovare in natura. Misi un lucidalabbra rosa e sospirai.

Raggiunsi Charlie al piano di sotto. Lui capì il mio stato d’animo e mi abbracciò: era meraviglioso avere a fianco qualcuno come lui.

Salimmo sulla mia macchina, una Citroen C1 rossa sfavillante.

La strada sembrava un fiume, ma la mia macchinina procedeva sicura. I tergicristalli erano in azione, e il loro movimento ritmico sembrava aver catturato Charlie, che guardava avanti con occhi vuoti.

“Che hai?” Gli chiesi, affettuosa.

“Nonostante tutti questi anni, ancora non so bene come comportarmi con le ragazze che ci provano con me. Lo so che è un pensiero stupido… forse non sono fatto per essere un vampiro.”

“Chi di noi lo è?” Mormorai, cupa.

Era impossibile non restare fulminati dal bellissimo aspetto di mio fratello: era un ragazzo molto alto e forte, con un fisico asciutto da nuotatore, spalle larghe e vita stretta, gambe muscolose. I capelli erano bruni e un po’ lunghi, ma ben tenuti e sempre perfettamente puliti. Gli occhi erano azzurro acquamarina come i miei: erano il segno distintivo dei vampiri russi. Diventavano rossi soltanto quando eravamo in preda a forti emozioni, come la rabbia. In confronto io, che ero bassina e sottile, sembravo minuscola.

Nel frattempo eravamo arrivati a scuola. Aveva smesso di piovere e l’umidità stava cominciando a salire.

Mi infilai nel parcheggio della scuola e mi guardai intorno in cerca di un posteggio. Charlie mi indicò un buco libero in mezzo a due macchine grigie e vecchiotte. In quel posto tutti quanti avevano macchine vecchie e anonime, quindi la mia C1 rossa fece girare parecchie teste.

 “Ehi, ma quello è l’unico parcheggio!” Esclamai. “E quel tipo sta per fregarcelo!”

Mi riferivo al guidatore di una splendida Volvo nera (una macchina talmente bella da sembrare inverosimile), che aveva già iniziato la manovra.

Charlie considerò :“Qualcosa mi dice che dovremo parcheggiarci fuori di qui…

“Qualcosa mi dice che sarà lui a parcheggiarsi fuori dalle scatole.” Ribattei, agguerrita.

Mi avvicinai e mi affiancai a lui. Non appena lo vidi rimasi senza fiato: era un vampiro come noi, ed era bellissimo. C’era una ragazza con i capelli neri seduta sul sedile del passeggero, e mi guardava perplessa. Non riuscii a capire se era umana o meno.

Battei le lunghe ciglia scure e gli dissi con voce vellutata :“Scusami, ma credo che tu abbia forato. Hai una gomma un po’ a terra.”

Il ragazzo mi guardò con aria interrogativa e si sporse per guardare, giusto per farmi contenta.

Approfittando della sua distrazione mi infilai velocissima nell’unico parcheggio vuoto in tutta la piazzetta.

Scoppiai a ridere, mentre Charlie e l’altro vampiro mi guardavano allibiti.

“Che sciocco, c’è cascato.” Commentai uscendo dalla macchina.

Mio fratello mi guardò e si passò la mano sugli occhi, prendendo il suo zaino nero e infilandoselo in spalla. Il vampiro in questione era già sparito e la cosa un po’ mi sollevava: spesso, purtroppo, ero un po’ dispettosa e avventata.

“Non ti dico cos’ha detto, quando gli hai soffiato il parcheggio sotto il naso.” Sospirò. “Delle cose volgarissime.”

“E’ solo uno stupido parcheggio, perché farla tanto lunga?” Dissi, camminando verso l’edificio scolastico.

Charlie mi affiancò subito con la sua mole imponente e mi disse, sarcastico :“L’hai soltanto fatto fesso davanti a tutti, chi se la prenderebbe mai per una cosa del genere?”

Prima del suono della campanella ci dirigemmo verso la segreteria, ed io sperai segretamente di non rivedere  presto il vampiro sconosciuto.

 

Charlie ed io entrammo in segreteria, una grossa stanza rettangolare più lunga che larga con delle grosse finestre chiuse da tapparelle grigie. La luce giallastra che dominava l’ambiente donava riflessi sgradevoli, quasi malaticci sulla pelle delle persone. Nonostante fuori ci fossero circa sei gradi, un grosso ventilatore biancastro era acceso sul bancone e girava con un ritmo ipnotico, diffondendo aria.

Non appena una segretaria passò davanti al getto, il suo delizioso profumo stuzzicò le nostre narici. Smisi all’istante di respirare, ma Charlie non mi imitò. Vidi i suoi occhi tingersi di cremisi, mentre arricciava le labbra scoprendo i denti.

Cominciai a sudare freddo, così gli sibilai senza quasi muovere le labbra :“Cazzo Charlie, no!”

Gli stritolai un braccio e lui, con un gemito, riacquistò il controllo. Con un sospiro, gli occhi riassunsero il loro naturale colore azzurrino.

Mi avvicinai alla segretaria che, intenta com’era a riordinare dei fogli, non si era accorta di nulla ed esibii un sorriso dolcissimo e innocente.

La donna pienotta di colore, all’incirca sulla cinquantina, mi sorrise a sua volta e mi chiese :“Di cos’hai bisogno, cara?”

“Per me e mio fratello questo è il primo anno in questa scuola. Ci hanno detto che avremmo avuto bisogno di moduli da far firmare ai professori.”

“Certo, certo.” Rispose la donna, e frugò tra i fogli che stava riordinando al momento del nostro ingresso. Ne estrasse due e li posò sul ripiano di legno consunto del bancone.

Feci cenno a Charlie di avvicinarsi e insieme ascoltammo quello che avremmo dovuto fare.

Con una penna, la segretaria ci mostrò quello che dovevamo compilare e gli spazi destinati alle firme dei professori.

Una volta fuori dalla segreteria decisi di non fare scenate a Charlie: la sua espressione rammaricata era più che sufficiente a farmi capire che stava già pensando da se a darsi dello stupido per l’episodio di poco prima.

“Ci vediamo a pranzo.” Gli dissi e, dopo averlo salutato con un bacino sulla guancia, mi diressi in classe.

 

* * *

 

La prima lezione della giornata era matematica. Mi lasciai sfuggire un gemito: nonostante studiassi quella materia da secoli, continuavo a odiarla.

Borbottai qualcosa di incomprensibile e corsi per non arrivare in ritardo. Ovviamente cercai di… limitare la mia velocità. Guai se gli umani avessero sospettato dell’esistenza di noi vampiri: i Volturi, i leggendari vampiri italiani, ci avrebbero rintracciati e uccisi. Non potevamo scappare.

I miei pensieri furono interrotti dal suono della seconda campana, il cui suono mi fece quasi saltare dallo spavento. Scossi la testa. Perché preoccuparsi tanto, Ray? È solo uno dei tantissimi primi giorni di scuola. La solita, secolare seccatura. Mi dissi.

Nella mia testa, maledissi Juno e Violet, che avevano l’aspetto di universitarie. Solo Lina e Charlie, oltre a me, sembravano dei ragazzi.

Non appena feci il mio ingresso nell’aula, notai che i miei compagni di classe erano ancora in piedi e ridevano come pazzi, lanciandosi battute idiote. Il mio aspetto etereo e magnifico da top model fece ammutolire la maggior parte dei miei compagni, i maschi dall’ammirazione, le femmine da quella che sembrava semplicemente invidia.

Se avessi avuto ancora il sangue a scorrermi nelle vene, sarei arrossita, ma visto che non era così, camminai a testa alta fino al secondo banco vicino alla finestra. Ignorai totalmente il mio compagno, non lo guardai nemmeno in faccia.

Il mormorio che regnava nell’aula fu bruscamente interrotto dall’entrata del professore, quindi tutti si diressero ubbidientemente al loro posto.

A quel punto mi alzai e consegnai il modulo al mio professore, un uomo dall’aria stramba ma simpatica, che firmò e mi presentò ufficialmente ai miei nuovi compagni.

Mentre tornavo a sedermi, vidi il ragazzo seduto al mio fianco e ci volle tutto il mio autocontrollo da vampira per rimanere impassibile: era il giovane a cui avevo fregato il parcheggio, il vampiro!

Era lì, seduto, anzi stravaccato sulla sedia e mi fissava con due immensi occhi dorati. Stava studiando la mia reazione. Sapeva che l’avevo smascherato, proprio come lui aveva smascherato me. Mi sedetti in silenzio, cauta.

La lezione iniziò, ma il vampiro al mio fianco continuava a fissarmi. Feci un respiro profondo, e il delizioso aroma umano mi solleticò le narici.

“Ti ci abituerai.” Considerò lui. Aveva una voce adorabile, amichevole.

Lo guardai e mi sorrise, rivelando i lucidi canini appuntiti. “Mi chiamo Alessio Cullen, ma chiamami Alex.” Fece.

“Ah, sei un Cullen.” Osservai affascinata e sollevata al tempo stesso. Bella famiglia, i Cullen. Erano tra i pochi vampiri esistenti – oltre a me, Charlie e le nostre tre sorelle in California - ad aver adottato una dieta “vegetariana”, rinunciando al sangue umano per quello animale. Però, non ricordavo membri di nome Alex… Forse era un neonato. Eppure non sembrava giovane e incontrollabile, e nei suoi occhi non c’era traccia di rosso…

Ero sollevata per il semplice fatto che trovare i Cullen era stato più facile del previsto: in un certo senso loro avevano trovato noi.

“Tu invece sei…?” Mi chiese Alex. Solo in quel momento mi accorsi che lo stavo ignorando da un po’, immersa com’ero nei miei pensieri.

Ops, scusa. Mi chiamo Ray Burns.”

“Ray?” Chiese lui, scettico. “E’ il tuo vero nome?”

“Ovviamente no.” Sospirai io. “Il mio vero nome è Ember Rose, ma è stato molto tempo fa. Secoli fa. Ormai sono Ray e basta.”

Alex aprì bocca, probabilmente per proseguire il dialogo, ma lo incenerii con gli occhi lampeggianti di rosso. Ci mancò poco che mi mettessi a ringhiare.

“Una Burns…” Rifletté allora, cambiando prudentemente discorso. “Uno dei clan del nord.”

“Clan.” Ridacchiai, mentre la tensione dentro di me si allentava. “Siamo solo in cinque. Io e mio fratello Charlie siamo qui. Le altre sono rimaste in California.”

“E’ pur sempre un clan.” Sorrise gentilmente lui.

Stava per dirmi dell’altro quando il professore gli intimò di stare zitto e di seguire la lezione.

“Come mai non prendete appunti? La matematica non ha più misteri per voi giovani geni?” Sbottò il professore, lanciandoci un’occhiata obliqua.

In effetti no, pensai, ma mi scusai e presi il mio quaderno rosso dalla borsa: non valeva la pena di farsi inquadrare male dai professori fin dal primo giorno.

“Parliamo dopo.” Fece Alex in un soffio, tanto che lo sentii appena. Annuii e mi limitai a seguire la lezione.

 

Al suono della campanella tutti schizzammo in piedi quasi contemporaneamente: ci aspettava letteratura inglese.

Io presi la mia borsa e feci per avviarmi verso l’uscita, quando Alex, un ragazzo e una ragazza mi affiancarono.

Sospettosa, li osservai. Erano vampiri, proprio come me e Alex: sentivo il loro profumo inebriante e familiare. Le loro intenzioni sembravano benevole. Il ragazzo posizionato alla mia destra era alto, biondo e bellissimo, con grandi occhi d’ambra. Sotto la maglietta grigio antracite guizzavano dei pettorali talmente scolpiti e perfetti da fare invidia a Charlie. Lo splendido volto era contratto in una smorfia, come se fosse in agonia: evidentemente si tratteneva a stento da non attaccare i giovani umani che lo circondavano. La femmina invece era alta quanto me e molto magra. La prima parola che mi venne in mente per descriverla fu: folletto. Aveva la pelle delicata e le iridi d’oro che sfavillavano allegramente, mentre i corti capelli corvini erano pettinati alla bell’e meglio. Niente a che vedere con la mia chioma sempre perfettamente liscia. La riconobbi all’istante: era lei la vampira seduta nella macchina di Alex, stamattina.

“Ciao!” Esclamò questa. “Io mi chiamo Alice, e lui è Jasper – indicò il biondo, che mi salutò con un cenno della mano-. Immagino che tu abbia già conosciuto nostro fratello Alex.”

Questi devono essere gli altri Cullen, mi dissi. “Io mi chiamo Ray.”

“Sei una Burns?” Chiese Jasper, sorpreso.

“Sì, perché?”

Fece spallucce. “Non sei un po’ lontana da casa?”

“In effetti, sì.” Risposi, sulla difensiva. “Io e mio fratello siamo qui, ma non per nostra scelta.”

“Capisco.” Fece Jasper. “Scusa se mi sono intromesso.”

“Non preoccuparti.”

Alex mi si parò davanti e mi chiese, scrutandomi con i grandi occhi aurei :“Pranzi con noi dopo?”

“Non lo so…” Risposi, cauta. “Non sono da sola, devo chiedere prima a mio fratello. Ma non preoccuparti, sono sicura che sarà d’accordo!”

 

“Assolutamente no!”

“Andiamo, Charlie! Sono come noi!”

“Non mi importa, Ray. Potrebbero tradirci!”

“Sei sempre il solito paranoico!”

“E tu ti fidi troppo!”

Eravamo all’entrata della mensa. Charlie aveva reagito malissimo all’invito dei Cullen e non voleva che ci unissimo a loro. Ormai, per vari motivi, temeva ogni vampiro estraneo alla nostra famiglia.

“Se continui così, non ti farai mai degli amici!” Sbottai, poi abbassai la voce in un sussurro. “La gente qui potrebbe insospettirsi se ce ne stiamo sempre per i fatti nostri.”

Silenzio.

“Tu vai pure dai Cullen, Ray. Io ci penserò. Magari domani.” Borbottò infine Charlie, e si diresse verso un tavolo vuoto con aria impettita.

Alla fine mi sedetti accanto a Alice e una certa Rosalie. Ebbi modo di conoscere, così, tutti i ragazzi Cullen, oltre ad Alice, Jasper e Alex.

Rosalie era una fanciulla più simile a una statua che a un essere umano. Una statua greca, bellissima e perfetta. Il viso marmoreo era incorniciato da morbidi capelli color grano che le scendevano sulle spalle e sulla schiena, risaltando il fisico asciutto. Mi ricordava tantissimo la mia Juno…

Emmett, il ragazzo di Rosalie, era un ragazzone alto e robusto, con i capelli scuri e ricci e l’aria simpatica.

Infine Edward, il minore dei Cullen, era un ragazzo bello da star male – come i fratelli, del resto – con il viso bianco e fine incorniciato da una zazzera di capelli color del bronzo, che facevano pendant con gli occhi dorati comuni alla loro specie di vampiri.

I Cullen sembravano lieti di aver conosciuto un’altra vampira, così conversammo piacevolmente per tutto il “pranzo” (sia io sia loro non avevamo preso niente da mangiare dal bancone).

Mi girai verso Charlie per vedere cosa stesse combinando e lo vidi camminare verso la porta della mensa, dove Mike lo stava invitando a unirsi a lui per un caffè.

In quel momento entrò un gruppo di ragazze del terzo anno con il pranzo tra le mani; ridevano e scherzavano come matte, dando l’aria di divertirsi un mondo.

Charlie tentò di oltrepassarle per uscire, ma una delle ragazze, una dai vaporosi ricci biondi, si voltò improvvisamente per parlare con l’amica dai lunghi capelli scuri. Risultato, Charlie, per recuperare l’equilibrio, tirò una gomitata a quest’ultima.

Le lasagne al sugo di carne che la ragazza reggeva in mano le si rovesciarono addosso, rovinando la maglietta bianca dall’aria costosa, mentre Charlie osservava la scena, terrorizzato.

Aggrottai le sopracciglia: se solo avesse voluto, mio fratello avrebbe potuto afferrare il piatto di lasagne per evitare l’accaduto, ma sembrava rimasto in qualche modo… stregato.

La ragazza puntò lo sguardo accusatore contro mio fratello. “Tu!” Gli urlò, puntandogli il dito contro. “Hai idea di quanto costasse questa maglietta?! Dio, ma perché la gente non sta mai attenta?!” Detto questo si voltò e se ne andò, furiosa.

Charlie rimase fermo come un baccalà: per tutto il monologo non aveva fatto altro che fissare la ragazza con sguardo da ebete.

Dopo aver salutato Mike, mio fratello parve dimenticarsi della sua ingiustificata avversione per i Cullen e si sedette con noi. “Non era bellissima?” Chiese, serio ma sognante.

Alzai un sopracciglio. Sì, era una ragazza carina, ma nemmeno troppo. Sentii una spontanea avversità verso quella ragazza. Non perché mi avesse fatto qualcosa, ma perché Charlie era palesemente attratto da lei.

Poteva essere un problema. Mi scusai con gli altri ragazzi, afferrai il mio cellulare bianco e uscii velocemente dalla mensa. Mentre camminavo verso la porta, un gruppo di ragazzi si aprì al mio passaggio; ricevetti un bel po’ di fischi e complimenti, ma li ignorai.

Una volta fuori, mi sedetti sul bordo della finestra più vicina per stare un po’ in pace e composi il numero di Juno. Lei era l’unica che poteva capire la situazione.

Come sempre, rispose immediatamente :“Pronto?”

“Ciao, Juno. Sono Ray.”

“Ray! Dimmi, tesoro, che succede?” Questa era una cosa che adoravo in Juno: seppure apparisse fredda come una statua di ghiaccio, dedicava sempre qualche parola gentile a noi fratelli.

Sospirai e mi guardai intorno, circospetta :“Ho paura che Charlie si sia appena preso una cotta.”

Juno rimase in silenzio per qualche secondo, poi chiese :“Altri vampiri? Avete incontrato i Cullen?”

“Si, li abbiamo incontrati, ma non è questo il punto: Charlie si è mezzo invaghito di un’umana.”

Immaginai Juno che trasaliva, perché il suo tono si fece tagliente :“Come? Di già? Accidenti… Come è successo?”

Le raccontai brevemente la scenetta e Juno sospirò :“Ray, capisci cosa devi fare, vero? Siete già abbastanza nei guai coi Volturi. Non dovete dare nell’occhio.”

Lo sapevo: non potevamo permetterci di farci notare, men che meno di implicare la vita di una mortale nella nostra fuga. Se l’avessero scoperto, avrebbero usato la ragazza per far costituire mio fratello e questo non poteva, non doveva accadere.

Se conoscevo bene Charlie, sapevo che prima o poi si sarebbe avvicinato di nuovo alla ragazza e che, novantanove su cento, si sarebbero innamorati. Dovevo impedirlo.

“Non preoccuparti, Juno…” Dissi. “Non si frequenteranno, te lo prometto.”

“Brava, Ray. I Volturi sono dei gran bastardi.” Convenne mia sorella, seppur a malincuore. Nemmeno io ero contenta di fare la guastafeste, ma la felicità e la sicurezza della mia famiglia stavano prima di tutto; non volevo che Charlie si rovinasse la vita per una ragazza mortale.

Juno mi comprendeva perché, da quanto avevo inteso negli ultimi decenni, anche lei in Russia aveva passato molti guai per un amore proibito. Non volevo che mio fratello soffrisse come Juno…

 

  
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