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Autore: DonnaBart    15/06/2016    2 recensioni
E se uno sfortunato incidente si rivelasse ciò che aspetti da sempre?
La spumeggiante Magda Liquore è un'artista del pasticcio e dea del danno. Mollata dal fidanzato e licenziata in tronco, vanta un bagaglio più ricco in corna che ex.
Proprio non è un caso che il padre la consideri un talento del fallimento, per non parlare della zia stralunata e sempre allegra, che le affibbia profezie sul futuro rosee in teoria ma disastrose nella realtà.
Insomma, parrebbe che fortuna e amore non fanno rima con Magda Liquore... sino alla svolta: trasferimento in Australia per un lavoro temporaneo ed un incontro tutto testosterone e antipatia; è Nathan Green, un concentrato di erotismo e diffidenza allo stato puro.
E chissà, che la lungimirante zia ci abbia azzeccato, stavolta?
Prepara le valigie e vieni a scoprirlo!
Romance contemporaneo autoconclusivo, un pot-pourRIRE di temi attuali e idee fantasiose racchiuse in un cofanetto romantico e brillante.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Se qualcuno mi avesse mai domandato come tutta quella faccenda avesse avuto inizio e come mai avessi preparato armi e bagagli per un'improvvisa gitarella in quel di Pisa, avrei potuto attingere a un vasto armamentario di scintillanti risposte:
—"Sono qui, per barattare il certo con l'incerto!";
—"Sono qui, perché ho la viva e vibrante intenzione di dare colore al mio monotono e grigio avvenire!"
Un tantino solenne, l'ultima. Roba da pronunciare impettita e imbrogliona come un politico alle elezioni, ma se mai qualcuno avesse avuto la curiosità di domandarmelo, ero paciosamente convinta di poter contare su una gamma di alternative vasta e degna di nota. Tanto, alla fine avrei tirato fuori sempre l’unica e sola ermetica risposta:
"Rosa."
Rosa e le sue folli previsioni.
Mia zia Rosa e i suoi ridicoli, profetici modi di dire...

...Quando, il pomeriggio della precedente settimana, avevo ricevuto il messaggio: “Raggiungici appena possibile, ho degli aggiornamenti per te!” dal proprietario della pizzeria presso cui svolgevo la mansione di tuttofare, la mia indole propositiva aveva già fatto una cernita fra le posizioni in cui sarei potuta avanzare, che spaziavano da “portatrice ai tavoli - livello manageriale” a “master in sparecchiamento rapido di tavole”; più tardi, quella stessa sera, avevo dovuto spiegare ai miei che la realtà era andata ben oltre la mia immaginazione...
"Hannodovutolicenziarmi!"
A furia di prendere e perdere coraggio al ritmo di un ballo caraibico, finalmente rivelai d'un fiato, all'incirca a metà cena, e il silenzio che seguì trasformò l'aria della stanza in ghiaccio antartico: la mia rivelazione generò in casa un clima talmente gelido che scommettevo avrei scorto da un momento all'altro Jack e Rose, a lottare per la vita su di un qualche segmento di ghiaccio disperso qua e là fra la mobilia, e li avrei aiutati; avrei cambiato il loro destino, quello del Titanic stesso, non altrettanto il mio.
"Dovuto, dovuto, hanno dovuto un corno!"
Ne diede prova mio padre, le cui mani si scatenarono pesanti contro il tavolo, provocando lo scricchiolio di piatti, bicchieri e posate, e di mia madre, quasi strozzata dallo spavento causato dal timbro iper carico di mio padre.
Pur seccata da quella situazione, che aveva tutte le caratteristiche della normale amministrazione familiare negli ultimi tempi, ero naturalmente ben disposta a concedere loro tutte spiegazioni del caso, consapevole che così come mio padre aveva ripugnato ogni desiderio o propensione professionale da me avanzata, che non fosse diventare l'avvocato, tutt'al più medico che aveva sempre preteso fossi, qualsiasi motivazione avessi addotto al mio licenziamento, non sarebbe stata abbastanza.
Era ufficiale: il gazzettino di casa Liquore riportava che stava per abbattersi una discussione categoria quattro della scala di pericolosità degli uragani, quando l'unica e sola che aveva il potere di stroncare ogni tempesta fece il suo ingresso trionfale, sfornando una delle sue imprecazioni improponibili in una ramanzina tutta dedicata a mio padre, che, battibeccato blandamente con sua sorella, fiondò iracondo il tovagliolo sul tavolo, strisciò indietro la sedia e turbinò fuori dalla stanza.
Per fortuna mia madre non soleva inveirmi contro come lui, nemmeno mettersi dalla mia considerato che la pensava esattamente come mio padre, non a caso tamponò le labbra con fare regale, rivolgendosi a mia zia col tono di superiorità che la caratterizzava.
"Tuo fratello è esagerato nei modi, lo riconosco e mi dispiace, ma devi convenire che ha ragione: Magda negli ultimi tempi è una mina vagante; una laurea in giurisprudenza cestinata, velleità mediocri che non rendono giustizia a lei, men che meno alle aspettative che nutrivamo nei suoi riguardi! Siamo i suoi genitori, ci spetta indirizzarla sulla giusta strada."
Mia zia puntò su di lei uno sguardo micidiale, non guizzava un muscolo né batteva mai le palpebre, confinandola a un silenzio assoluto, suo personalissimo modo di snobbarla senza ritegno, stimolando i sintomi d'irritazione sorti sul volto di mia madre e con i quali anche lei abbandonò infuriata la scena...
A quel punto toccava a me, che con la forchetta tra le mani e la bocca ancora piena di un impavido boccone intercettai con la coda dell'occhio Rosa torreggiare sulla mia figura con terrificante candore, mani issate sui fianchi e un'aria che definire bellicosa era un eufemismo.
"Dove stanno le valigie?"
Non avevo l'elmo.
Non avevo uno scudo.
E quando gli occhi le si stringevano fino a rimpicciolirsi, riuscivo a sentire il sottofondo di Profondo Rosso.
Non le risposi subito, perché non avevo preparato alcuna valigia, cosa che aveva ovviamente subodorato dall'atteggiamento di negazione con cui avevo bocciato il suo suggerimento poco prima...

Terminato l'incontro col proprietario di Miracoli di Pizza, appena rincasata avevo incontrato mia zia Rosa, madre di Roxy nonché abitante del mio stabile—stesso pianerottolo, appartamento di fronte a quello della mia famiglia—in attesa di risposte.
"E parla! È andata bene, sì o no?
La mia risposta aveva trasformato il suo sguardo color oceano nelle profondità inesplorate di abissi oscuri e, sul baccano di lampi, tuoni e fulmini, aveva lugubremente proclamato:
"Sai che ti dico? Va' a preparare le valigie! Andrai a trovare Roxy per qualche giorno!" Spaventosa, più del Dottor Frankenstein nella sua più celebre citazione: “Si-può-fare!”, aveva continuato: "Ne uscirà qualcosa, qualcosa di buono! Me lo sento!"
E mentre lei sigillava la decisione col frastuono categorico di un battito di mani, io trascinavo le mie guance verso il basso, sentendo la mia calma interiore farsi sempre più vicina a quella de L'urlo di Munch...

"Roxy è sempre chiusa in laboratorio." Tornai di nuovo a rifiutare. "Che dovrei fare lì, raggiungerla per interagire con le sue cavie? Non ci andrò."
La mia obiezione ebbe quel tanto di irremovibile da farle dismettere i panni da osso duro, per irrompere in atteggiamenti dispettosi pari ad una bambina da nido, ma ben più efficaci.
"Ah sì?"
Una delle sue dita vorticò nell'aria, un piglio di sfida si annidò sul suo volto. "Quella di oggi sarà solo una delle conseguenze che dovrai affrontare dopo la buona nuova di stasera, tutto il giorno, tutti i giorni. E, malgrado il suo linguaggio forbito del cavolo, tua madre non ha tutti i torti: è un periodo in cui qui, per te, non c'è niente. Ma se a te sta bene, chi sono io per fermarti? Accomodati pure, funghetto!"

L'amara consapevolezza che Rosa aveva pienamente ragione mi investì con l'ineluttabilità di un treno in corsa e la settimana dopo eccomi lì, a Pisa, a barattare il certo per l'incerto; un monotono e pressoché grigio avvenire per qualcosa di migliore. Qualcosa, che in quel momento corrispondeva a starmene compressa in modalità sardina nella scatoletta che era diventata il tram, con tanto di signora talmente spalmata sul mio fianco che entro la prossima svoltata in scioltezza del tram mi avrebbe dovuto caparra e prime dieci fermate di fitto, una giornata trascorsa fra colloqui peculiari e distribuzione di curriculum sotto la pioggia ininterrotta alle spalle, e la voce di mia cugina Roxy, giovane e affermata biologa trasferitasi in quel di Pisa per un progetto di ricerca in collaborazione con l'università, a stordirmi concitata persino dall'altro capo del cellulare, facendo saettare me e la signora che mi albergava addosso, come due alici sott'olio.
"Si può sapere dove sei finita?! E perché non rispondi? È la terza volta che ti chiamo!" Per me, Roxy era più semplicemente una ricercatrice che qualche collega aveva a sua volta tramutato in cavia, iniettandole intrugli dallo sproloquio come effetto collaterale.
..."Perché oggi ho esaminato per dodici ore Crestina, la gallina che adoro. Così ribelle, femminista... una stronza, pure! Appena l'ho riportata dalle comari, non mi ha degnata di un saluto. Gallinaccia spelacchiata..." Mentre Roxy continuava a ciarlare il suo monologo, pensai che un po' la capivo, con la faccenda della gallina: la signora che era diventata una specie di mio filamento era scesa un paio di fermate prima, e non mi aveva nemmeno ringraziata.
..."E ora sto morendo di fame, ho mandato Stefano a prendere qualcosa da mangiare, ma non so se riesco ad aspettare: riesci a rincasare fra, diciamo, dieci nano secondi?" Mezz'ora più tardi averle rimbeccato il via libera per cenare anche senza di me, che avrei provveduto alla mia cena facendo un salto presso il ristorante indiano più vicino all'appartamento di Roxy, mi apprestai a depositare un paio di litri d'acqua piovana sullo zerbino, prima di entrare in casa: ed ecco mia cugina e Stefano, la sua frequentazione fresca di laboratorio, accoccolati sul divano, con i rimasugli della cena sul tavolino di fronte.
"Hola, compañeros!"
Urlai, avevo anche battuto un piede sul pavimento in perfetto stile Mahori da stadio, lo scopo di riscuoterli da quella che aveva tutta l'aria di essere una monotona, noiosa serata di coppia.
E, okay, in realtà l'avevo fatto solo perché invidiosa della loro tresca...
Nel mentre ciondolavo fino al divano, al di fianco del quale lasciai cadere la borsa, abbandonando il mio umido didietro sull'invitante piazza.
"Dovessi ammalarmi di broncopolmonite acuta, ce la prenderemo con zia Rosa e le sue stupide macumbe."
Soffocato involontariamente uno stranuto, avvertii un'effervescente pizzicore percorrermi le narici per salire fastidiosamente sulle tempie, e chi avrebbe mai immaginato che la mia innocente battuta avrebbe assalito Roxy in una tosse convulsa, creando un effetto domino per cui la sua testa picchiò contro il mento di Stefano, che la reclinò con un guaito addolorato.
"Non ti avrà rifilato il “me lo sento!”" sbiancò Roxy tra un arresto cardiaco e l'altro, il un tono e sgomento a darmi ragione di pensare che mi trovavo nell'incipit di un film horror.
"Bingo?!"
Replicai incerta, e volto e palmi della scienziata si scagliarono gli uni contro gli altri, grondanti di disperazione.
"L'ultima volta che mi ha rifilato quella sentenza, nel giro di un'ora mi hanno scippata, ho battuto contro una vetrata trasparente spuntata improvvisamente da qualche universo parallelo e poi, beh poi..." Roxy si chiuse nelle spalle, tentennando il capo in direzione di Stefano. "Ho incontrato lui."
Sollevato lo sguardo suo compagno ancora dolorante, colsi lo sguardo di mia cugina intiepidirsi, senza tuttavia ammorbidire la convinzione con cui aveva deliberato sulle massime di nostra zia.
"Sei una donna di scienza, non ti è concesso credere a certa roba." Mugugnai stanca. "E comunque, parliamo di zia Rosa, sarà solo uno dei suoi mille ambigui modi di dire."
Il mio sbadiglio chiuse l'argomento, in realtà Roxy blaterava argomenti a promuovere la sua tesi, ma avevo già reclinato il capo sul poggiatesta e socchiuso le palpebre, in corsa verso un po' di agognato relax.
"Stavo pensando, i turni di laboratorio non ci hanno permesso di fare una chiacchierata da cugina a cugina..."
I miei occhi scattarono aperti: dagli ondeggiamenti del divano, non avevo bisogno di voltarmi per scoprirla con le sembianze del peggiore degli strizza cervelli. Addio, relax.
"Bagno caldo, broncopolmonite in arrivo."
Scattai in piedi prima che fosse tardi, ma in effetti era già troppo tardi, a detta della presa assassina della sua mano intorno al mio braccio.
"E dai! Sto sempre chiusa in laboratorio, la mia vita sociale è ridotta a cavie, galline menefreghiste e topi da esaminare, qualche chiacchiera sui ragazzi che frequenti non ti farà venire l'orticaria."
"Le soap opera, Roxy: ecco, come compensare le tue carenze di inciuci."
Stavolta mi sollevai in una mossa fluida e decisiva, azzerando le chance di ulteriore placcaggio.
"Dico solo che dovresti divertirti di più, è parecchio che non esci con qualcuno. Devi superare le cattiverie di Daniel, sei giovane, e lui solo un coglione." Le sue labbra si arcuarono pensose. "Mezzo", rettificò, e serrai a fatica le mie, dandomela a gambe per il breve corridoio verso il bagno.
"E non sottovalutare Rosa!"
Mi redarguì con intonazione seria. "Sii preparata per la profezia! Con lei funziona sempre così: disastri atomici, tanti guai, e poi forse, ma dico forse, un po' di fortuna."
Profezia. L'aveva davvero chiamata profezia.
Santo cielo.
"Tranquilla, su di me non farà alcuna presa!"
Strombazzai di rimando, orbitando gli occhi al soffitto e sigillandomi dietro la porta del bagno. "Ero messa male già prima delle sue predizioni..."
Borbottai con per niente velato sarcasmo, mentre mi preparavo a una doccia veloce per poi raggiungere il ristorante indiano più vicino.

   
 
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