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Autore: Shadow writer    15/06/2016    1 recensioni
Ci sono persone che non vivono solo per se stesse, crogiolandosi nell'inutile egoismo dell'esistenza. Persone che ridono se qualcosa li diverte, persone che piangono se qualcosa li rattrista, persone volte al solo sviluppo di se stesse al di là degli altri. No, Cam non era una di queste persone. Cam era al mondo per il mondo e per i suoi abitanti, con lo scopo spirituale dell'essere uomini, per il suo concepimento e sviluppo. Ci sono astri che nascondo una volta ogni mille anni, creature fulgenti di luce incatturarabile, meteore sfuggenti alla vista se non per quel millesimo di secolo in cui si rivelano a noi per sconvolgerci e per legarci irrimediabilmente alla loro esistenza, con le catene, catene di parole.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Apro il cancello con un cigolio gracchiante che ulula nel silenzio freddo.
M'infilo velocemente all'interno, come se temessi di aver inutilmente disturbato i morti con questo lamento fastidioso senza riuscire poi a realizzare ciò per cui sono venuto.
Scaccio dalla mente questi pensieri così contorti e riflessivi e con le mani nelle tasche della giacca percorro a grandi passi il sentiero di ciottoli scricchiolanti.
Guarda fin dove mi hai fatto venire.
Lancio occhiate sfuggevoli ai ciuffi di erba secca, alle lapidi scolpite dalla pioggia, al sorriso morto delle fotografie, ai fiori finti più appassiti di quelli veri.
«Quando morirò non voglio essere seppellita.»
«Perché?» 
«Perché non mi piace. Voglio bruciare, voglio sapere che il mio corpo rimarrà visivamente ciò che è stato quando era vivo, e le fiamme preserveranno la sua forma, nascondendo con la cenere l'orrore della morte»
Sbuffai, pronto a contraddire le sue parole come facevo sempre.
«È inutile pensare alla morte. Quando succederà, succederà. Se ti prepari al suo arrivo, è come se lo vivessi mille volte»
Lei mi guardò, con i suoi occhi un po' qui con me un po' su nel cielo, un po' in giro per il mondo, un po' ovunque.
«A me piace pensare a un sacco di cose. Non è che posso impedirmelo, penso e basta. Tu non pensi, dio della guerra?»
Guardo i volti sorridenti nelle immagini e mi chiedo a quanto corrisponda la felicità che ha provato ognuno di loro mentre viveva. In ogni caso, ora si trovano tutti nella stessa condizione.
Tolgo le mani dalle tasche e le sfrego l'una con l'altra nel tentativo di produrre il calore necessario a scacciare il gelo che mi ha improvvisamente afferrato.
Ci sono migliaia di volti, di occhi, di sorrisi fissi in quelle fotografie e ognuno di loro è così diverso, così unico, ma ora così uguale a tutti gli altri. Bambini, anziani, adulti, ragazzi.
Guardai la bambina davanti a me. La conoscevo, tutti si conoscevano in un paese così piccolo che quando muovevi un gomito colpivi le costole di metà cittadinanza.
Le chiesi lo stesso come si chiamava, perché volevo sembrare gentile. Il suo sorriso lo era.
«Camelia» rispose «E tu?»
Stava giocando al mio stesso gioco, lo sapevo. Il gioco della sincerità. Ti faccio domanda di cui so la risposta per metterti alla prova, ma se sei intelligente tu sai del mio sapere al quadrato e vinci, prima di me.
«Ares» dissi con uno sguardo fiero.
«Ares è il dio della guerra, giusto?»
Feci un sorriso trionfante: «Esatto»
«E non hai paura?»
«Di cosa?»
«Di essere il dio della guerra»
Cammino ancora e gli steli di erba ghiacciata scricchiolano sotto le suole delle mie scarpe. Di tanto in tanto guardo le lapidi, alla ricerca della causa che mi ha spinto a venire fin qui.
Sono sempre stato dell'idea che se vuoi qualcosa, devi prendertela. A forza, con l'inganno, con chiarezza, non importa. Devi fare qualcosa. Non puoi credere che delle forze invisibili chiamate a raccolta dalla tua volontà siano sufficienti ad agire quando tu non hai il coraggio di farlo.
«Hai paura?» domandai preoccupato. 
Mi guardò con i suoi occhi volanti. La fiammella che li animava di solito ballava e tremava, sotto i soffi del terribile vento invisibile.
«Puoi andartene»
«Mi fido di te, dio della guerra» impugnò finalmente la torcia e si mise in cammino, davanti a tutti. Mi dava la sua fiducia, ma si prendeva carico di quella di tutti.
Tipico di Cam, pensare di poter fare tutto senza fare niente.
«Tu non la pensavi così, vero Cam?» 
Guardo la fotografia e i suoi occhi.
Fa schifo, la fotografia. È così fissa, così salda, così definita e incontraddicibile, che non assomiglia per niente alla mia Cam.
Cam, la cui forza di volontà supera menti e mondi.
«Tu ti saresti presa tutto, no?» chiedo ancora alla stupida lastra di marmo gelido che dovrebbe celebrare la presenza di un dannato essere umano su questa dannata terra.
«Ti saresti presa tutto, ma dannazione, Cam, perché hai pensato di poter fare sempre a modo tuo? Un essere umano, ecco cosa sei, come tutti noi! Non sei una dea, nulla di più di ciò che ci costituisce tutti.
«Devo scrivere un testo per la scuola, mi aiuti?»
Guardai la figura sdraiata sul letto vicino a me.
«Stai scherzando? Sei tu quella brava con le parole.»
«Non ti sto chiedendo parole, ma verità. Devo descrivere me stessa»
«Le parole non sono verità? Oh Cam, stai facendo un torto alla cosa che ami di più al mondo»
«Le parole sono verità pericolose, io ti sto chiedendo la verità più facile, del resto me ne occupo io.»
«Non ho voglia di farlo» replicai sbuffando. Cam si rotolò supina e mi guardò con i suoi occhioni volanti.
«Ma io ho fatto un sacco di cose per te» commentò aprendo ancora di più le palpebre.
«Non te le ho mai chieste» ribattei brusco mentre lei tornava a pancia in giù.
«Ti avevo delusa, ancora una volta avevo rifiutato, come al solito.»
Come vorrei poter rimediare, anche se le parole sono solo sussurri sparsi dal vento.
Tu sei. Sembra facile. Ma non lo è, non lo è per niente. L'essere è già un buon passo e tu sei, (non accetto alcun passato, Cam.) Spesso sei felice, ma sei anche molto triste. Quando sei triste il tuo sguardo si perde, quando sei felice, il tuo sorriso si apre sul mondo. Quando cominci a parlare, non la smetti più. A volte, di notte sogno la tua voce, che dice tutte quelle parole che mi hai detto quando eri con me. Hai paura, ma sei coraggiosa. Il tuo coraggio è la conoscenza della paura e la tua paura è la conoscenza del costo del coraggio.
Quando sei stanca, chiudi gli occhi e ascolti pacatamente, ma non tutte le parole, quelle più importanti, perché sei troppo affaticata per sentirle tutte. Quando ti svegli spalanchi gli occhi, li fai scorrere intorno a te, poi ti schiarisci la voce, per far sentire al mondo che ci sei ancora. Quando ti arrabbi, diventi seria, il tuo sguardo si fa serio, la tua bocca prende una piega seria e la tua voce suona seria. Gridi poco, perché le tue parole urlano già da sole e hanno tutta la voce di cui hanno bisogno.
Stavo cercando del ghiaccio per il livido sotto al mio occhio sinistro e Carlos leggeva il giornale, stravaccato sul suo piccolo letto di metallo cigolante.
«"Incidente stradale: l'amore contro la morte". Hai sentito?» commentò lui d'un tratto, interrompendo il silenzio.
«Sì» riposi senza prestare veramente attenzione. Quel dannato livido continuava a pulsare e non riuscivo a pensare ad altro.
Carlos mugugnò qualcosa ma riuscii a distinguere solo: «...la ragazza con cui uscivi, quella con un nome strano...»
Mi bloccai.
Qualcosa si stava dolorosamente muovendo dentro di me.
«Quale, Camelia?» chiesi brusco, ma pronunciare quel nome mi costò una fitta più dolorosa di quelle che mi procurava l'ematoma.
«Sì, lei» rispose.
«Era la mia fidanzata, comunque» ci tenni a precisare. Il ricordo di Cam mi invase aggressivamente e io non ero pronto a difendermi. Il suo sguardo volante mi balenò davanti agli occhi e provai l'impulso di allungarmi in avanti per poterla stringere. Pensai che sarei dovuto tornare, anche solo per scusarmi, perché dubitavo che avrebbe voluto riprendermi con sé dopo che l'avevo trattata così malamente. 
Dovevo rivederla, assicurarmi che stesse bene, perché, nonostante tutto, l'amore che provavo per lei era così radicato in me che per rimuoverlo avrei dovuto distruggere una parte di me stesso. 
L'amavo.
«Be', condoglianze» commentò Carlos, lanciandomi uno sguardo da sopra il giornale.
«Perché? Non era così male» replicai infastidito.
Lui mi rivolse uno sguardo stupito: «No, Ares, condoglianze sul serio. Non lo sai?»
Lo fissai senza capire. Ormai il dolore del livido era nulla in confronto a quello che mi era esploso nel petto.
«La ragazza morta nell'incidente» proseguì Carlos «Era lei, Camelia»
Ho sperato di tornare da te, di chiederti scusa per averti lasciata, di tornare a stringerti tra le braccia, di baciarti ancora una volta, di ascoltarti parlare con le tue parole. È questo che mi ha fregato. Ho riposto tutto il mio volere nelle inutilizzabili speranze che si sono volatilizzate con la tua scomparsa. Ti ho criticata per il tuo amore per le parole, era inconcepibile per me dare tanto valore ad un concetto astratto ed ero così accecato da me stesso che non mi sono accorto di essermi comportato esattamente allo stesso modo.
«Torna indietro Cam» sussurro a quello schifo di immagine che c'è sulla lapide «Ti prego torna indietro, anche solo per un bacio, un abbraccio, una parola, uno sguardo. Mi sto dannando per non essere tornato indietro in tempo. Maledizione, Cam! Dovevi andartene proprio quel giorno? Dovevi proprio fare la coraggiosa?  
"Incidente stradale: l'amore contro la morte". 
'Fanculo. 
L'istinto mi porta ad odiare quella sorellina per cui hai dato la vita, ma la ragione mi ricorda che se tu lo hai fatto è perché l'amavi veramente. Dalia ti è stata vicina quando io non c'ero e tu l'hai ricompensata dandole tutta la tua vita.
«Perché vuoi cambiare il mondo?» domandò.
«Perché non mi piace» le risposi.
«E quando lo avrai cambiato, cosa farai?»
«Ammettendo di riuscirci, sarei felice e mi godrei il nuovo migliore mondo»
«Ma quel mondo sarà migliore per te e non per altri. Tu non avrai più nulla da fare, perché avrai realizzato il tuo ideale, ma gli altri, il cui ideale non è ancora ideale, tenteranno di realizzarlo, smantellando il tuo»
Non le risposi, perché di solito una bugia è molto più facile, ma la verità fa sempre male.
«'Fanculo! 'Fanculo!» sbotto afferrando quello schifo di fiori che qualcuno ti ha portato. I tuoi preferiti sono le dalie viola, ma questi coglioni non lo sanno. Scaglio il vaso a terra, ma il vetro mi colpisce le mani e le vedo sanguinare. 
Non sento nessun dolore. Vorrei provarne tanto però, così anestetizzerebbe quello mi sta esplodendo dentro.
«Questo è un mondo di merda, Cam» grido guardando la tua foto. «Fottetevi tutti quanti!» sbraito verso le lapidi e, a quanto pare, al guardiano non piace.
Dice che deve chiedermi di andarmene. Anche lui è parte di questo mondo di merda. Sta guardando fisso me.
Non guarda la tua foto.
Se lo avesse fatto, avrebbe capito.
Perché? Perché non riesco a smettere di amarti, Cam? 
E ti odio per questo e mi odio perché sono patetico. Siamo patetici.
Anche il custode che cerca di spingermi verso il cancello è patetico. Continuo a lasciarti, Cam, anche ora.
Cazzo.
Io ti amo.
Dicono che il dolore sia per una bella anima e allora la mia deve essere la più fottutamente bell'anima del mondo perché giuro che questa cosa che ho dentro mi ucciderà prima o poi.
«Sono il dio della guerra!» grido contro il custode «E vi distruggerò tutti!»
Lui mi guarda con compassione. Non ha paura di me. Crede che la mia condizione sia penosa e vorrebbe salvarmi.
Si sbaglia.
La mia condizione è disperata. Il mio farmaco è andato perduto.
Il dio della guerra sta morendo.
«Eccomi» 
Si affacciò dalla cima delle scale come un'apparizione meravigliosa. L'aria imbarazzata le conferiva un'aura di bellezza che pareva illuminare le scale. La guardai esterrefatto, incapace di realizzare che lei era lì solo per me è quel sorriso timido era mio.
Quando raggiunse gli ultimi gradini, l'afferrai per la vita e i suoi piedi si staccarono da terra. Rimase per un istante nell'aria contemplando i miei occhi. 
Sapevo cosa vedeva nelle iridi. Il fuoco. Il fuoco che avrebbe voluto divorare il mondo ma che era placate da ciò che lei voleva che fossero, anche solo per l'istante in cui stava sospesa tra il cielo e la terra.
Pareva che io la sostenessi, ma forse non è mai stato così. 
Forse Cam stava per volare via e le mie mani la trattenevano su questa terra di uomini.
Non riesco a smettere di tremare. Come un vetro che vibra prima di frantumarsi.
Ma io sono già a pezzi e non capisco più quale di questi sia il vero me. 
   
 
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