Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Vago    17/06/2016    2 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 Hile guardò la torre in mattoni che gli cresceva davanti. Non voleva perdere tempo, un dio minore lo aveva scelto e quantomeno non voleva farlo attendere.
Attraverso l’arco si poteva intravedere una scala a chiocciola immersa nella penombra. Il Lupo si guardò attorno. L’ombra non pareva intenzionata a comparire.
Il lanciatore di coltelli oltrepassò l’arco sperando di non aver preso un abbaglio e non aver sbagliato posto.
La scala saliva inesorabile ed a ogni passo i gradini in legno sostenuti da uno scheletro di ferro scricchiolavano rumorosamente
La salita durò più del previsto, ma il Sole, alla fine, si decise a comparire dalla botola che portava al terrazzo posto in cima alla struttura.
Ad accoglierlo fu uno splendente sole di mezzogiorno, all’apice del suo cammino. Tutto intorno una foschia rendeva indistinto il paesaggio, quasi fosse un dipinto in cui i contorni erano stati lasciati nebulosi.
Qualcosa non era giusto.
Il Lupo guardò il cielo limpido. Aveva lasciato Mea e Keria nel primo pomeriggio e, da allora, non aveva fatto altro che arrivare al belvedere, entrare nella torre e salire quella maledetta scala. Non poteva aver impiegato quasi un giorno a salire quegli scalini, per quanti fossero. Così come il tempo non poteva essere tornato sui suoi passi.
Hile si voltò e, alle sue spalle, non riuscì a trovare la botola dalla quale era entrato.
Per sicurezza si mise addosso la casacca da assassino, la pelliccia alchemica di lupo, sistemando accuratamente i coltelli nelle otto tasche e fece un sopralluogo del balcone.
La sommità della torre era una circonferenza quasi perfetta, pavimentata con pietre lisce e racchiusa da un anello di merli in mattone che si sollevavano fino all’altezza della vita.
Niente occupava il pavimento, ora che la botola era scomparsa.
Sporgendosi dai merli il terreno non si riusciva a scorgere per via della cortina indistinta e immobile che si era impadronita della terra.
Un raggio di sole parve farsi più intenso al centro del balcone e Hile si infilò velocemente i guanti. Se quella era la sua prova, difficilmente sarebbe stata una partita a dadi.
Una figura antropomorfa di pura luce nacque da quel raggio di Sole. Sarà stata alta quasi tre metri, stimò il ragazzo.
La pelle della creatura prese a splendere con intensità crescente, mentre un largo scudo rettangolare e uno spadone enorme si plasmavano nelle sue mani. Bene presto la luce emanata da quell’essere fu così accecante da far abbassare gli occhi al Lupo.
Tre secondi passarono pesantemente, tre secondi in cui la figura non si mosse, tre secondi in cui Hile ebbe paura a respirare. Poi, senza accennare a produrre un suono, la creatura parve muoversi.
Il Lupo si mosse appena in tempo per evitare lo spadone che piovve sulle pietre del pavimento.
Il ragazzo alzò gli occhi, ma rimase accecato prima ancora di capire e elaborare dove fosse il suo avversario.
Strinse sei coltelli tra le dita, acuendo l’udito per poter percepire dove fosse la creatura.
Ci fu un fruscio lieve, appena accennato. Un secondo dopo Hile si trovò senza fiato con la lama dello spadone premuta contro il fianco sinistro.
Cadde a terra, dopo diversi metri di volo. I suoi polmoni non volevano saperne di incamerare aria e il fianco gli pulsava, lanciandogli fitte intermittenti di dolore.
Provò a ritrovare la calma. Da quel suo errore poteva scoprire qualcosa.
Tenne lo sguardo fisso sul suo addome, costringendosi a non alzarlo per nessuna ragione.
Un taglio profondo si era aperto sopra l’anca, obliquo. Questo voleva dire che il suo avversario colpiva tenendo la punta della spada rivolta verso il basso.
Un altro fruscio appena percettibile.
Hile tentò di evitare quello che sapeva essere un altro fendente indietreggiando rapidamente.
La punta della spada lo colpì alla gamba destra, non provocandogli però una ferita eccessiva.
Aveva quasi capito come evitare i colpi. Ma se non avesse scoperto velocemente come contrattaccare sarebbe sicuramente morto, se non per mano di quell’essere, dissanguato dalla ferita al fianco.
Un terzo fruscio.
Il Lupo si gettò in avanti, rotolando sul terreno.
La spada provocò uno spostamento d’aria sopra di lui, mancando però il bersaglio.
L’assassino si fermò contro qualcosa di morbido. L’immagine dell’essere si fece strada tra i suoi pensieri e la mano destra si mosse scattante, pugnalando quella che doveva essere una caviglia con i tre coltelli che teneva stretti.
Un liquido colò sul guanto, ma la creatura non emise neppure un gemito.
Hile si rialzò velocemente. Poteva ferirlo. Poteva vincere quella sfida.
Il taglio al fianco mandò una fitta particolarmente dolorosa, ma il ragazzo cercò di rimanere concentrato.
Abbassò lo sguardo. La sua ombra lo precedeva, ingrandendosi poco alla volta.
Era dietro di lui.
Corse fino a raggiungere i merli, sospirando nel vedere l’ombra ridursi notevolmente.
Non era veloce, quella cosa. Poteva prenderla alla sprovvista.
Lasciò cadere un coltello per terra, cominciando a seguire il limitare del balcone a passo svelto.
Contò quindi passi, poi fece cadere un altro pugnale. Continuò così, finché non gli rimase solo uno dei due foderi alla cintura pieno.
Aveva nove coltelli lungo tutto il perimetro del belvedere.
Controllò l’ombra sotto di sé. L’essere di luce lo stava inseguendo.
Hile attraversò la piazza di corsa, con il capo basso per evitare eventuali colpi di quella spada distruttrice.
Raggiunto il capo opposto della circonferenza guardò per una frazione di secondo il cielo terso. Ce l’avrebbe fatta a sconfiggere quella cosa. Un leggero capogiro gli offuscò la vista.
Doveva resistere ancora un poco.
Con la mano destra strinse il pugnale rimasto, con la sinistra cominciò a tenere premuta la camicia e la casacca contro la ferita che non pareva essere intenzionata a smettere di sanguinare copiosamente.
L’ombra cominciò ad allungarsi. Finita la pietra del pavimento cominciò a risalire i mattoni dei merli.
Quello scudo che aveva intravisto prima lo avrebbe protetto da qualsiasi attacco frontale, si disse il Lupo, ma la schiena non era protetta.
- Rènez. – disse concentrandosi sul pugnale che aveva lasciato al capo opposto, dopo aver calcolato che la creatura fosse all’incirca al centro del balcone.
Il pugnale non arrivò alla mano del ragazzo, qualcosa si era messo sul suo cammino. Hile lasciò la magia di Mea scemare, smettendo di richiamare a sé quel pugnale.
Percorse in fretta, quindi, un quarto del bordo. Lascando giusto il tempo al colosso per voltarsi verso di lui.
La sua debolezza era la poca intelligenza, si disse Hile richiamando due coltelli dalla parte opposta.
Di nuovo nessuno dei due riuscì a raggiungere la mano.
La luce emanata dalla creatura parve farsi più flebile.
Hile continuò a seguire la sua strategia. Richiamò a sé coltello per coltello, esultando dentro di sé ogni volta che le sue dita si chiudevano nell’aria perché la lama non l’aveva raggiunto.
Quando il nono coltello non arrivò la luce si era fatta così debole da poter essere sopportata dagli occhi.
Il Lupo alzò lo sguardo verso il suo rivale.
Il colosso continuava ad avanzare inesorabile, continuando a calpestare un liquido simile ad acqua, quello che doveva essere il sangue che gli stillava dalla schiena.
Hile accarezzo il manico del coltello che teneva in pugno. Dagli intarsi riconobbe che era quello che gli aveva regalato Renèz.
Strinse quella lama con tutta la sua forza e si gettò contro l’essere luminoso.
Lo spadone si mosse per colpirlo, ma il ragazzo si gettò a terra prima che questo potesse colpirlo.
Il pugnale colpì tre volte. Per prima cosa affondò nel ginocchio sinistro del colosso, poi lasciò un profondo solco dal basso verso l’alto nell’addome. Infine Hile saltò più in alto che poté, affondando a due mani quella lama nel cranio dell’essere.
Caddero entrambi, uno sull’altro.
La testa del ragazzo si fece sempre più pesante mentre il corpo della sua preda si dileguava in un fitto polviscolo di luce. Alla fine, sul belvedere, rimase solo il ragazzo attorniato dai suoi coltelli.
Tutto intorno l’ambiente si fece nero.

Quando Hile riaprì gli occhi la prima cosa che vide fu un soffitto. Un soffitto in pietra lucida, splendente.
Il ragazzo si mise a sedere.
Era in una stanza. Sparsi sul tappeto su cui era appoggiato c’erano tutti i suoi coltelli, mentre in un angolo era appoggiata la sua borsa da viaggio.
La stanza era maledettamente chiara. Le pareti e il soffitto erano bianchi, illuminate da un fuoco freddo che scoppiettava in un camino incassato nella parete di destra e da una lampada, appoggiata su una scrivania in legno rosso. Il tappeto, per terra, riportava ricamato con incredibile maestria una notte in cui l’enorme luna piena e le stelle parevano essere quelle vere.
Il Lupo si alzò in piedi, tastandosi il fianco. L’unico segno rimasto della ferita era il sangue incrostato nella trama del tessuto della camicia.
Un’altra cosa singolare che attirò l’attenzione dell’assassino fu il fatto che non ci fossero né porte, né finestra in quell’ambiente.
Un’idea colpì Hile come un fulmine a ciel sereno. Non poteva essere morto, quella non era la Volta… ma, allora, dov’era? E perché le sue ferite erano guarite? Quanto tempo era passato da quello scontro?
Il ragazzo cominciò a camminare istericamente avanti e indietro sul tappeto, cercando di calmare i battiti accelerati del proprio cuore e le pulsazioni delle sue tempie. Il cuore gli batteva, no? Quindi non poteva essere morto.
L’ombra si materializzò a fianco del camino, in piedi, come se avesse la spalla destra appoggiata sulla cornice in pietra del focolare.
- Hai visto che bel posto in cui sono finito? Ora vorrei solo sapere cosa dovrei fare, porco Reis. Almeno mi avessero lasciato un biglietto con su scritto “ Hai fallito la tua prova, ora dovrai rimanere rinchiuso qui dentro per le eternità”, sarei stato più felice. Almeno non sono qui da solo…–
- Cosa pensi di fare, ora? –
- Cosa vuoi che faccia! Niente! Non ci sono né porte né finestre. Sono chiuso qui dentro senza via di fuga! –
Il Lupo fermò la sua camminata isterica di colpo. Un campanello di allarme suonò nella sua testa. Qualcosa non quadrava e lui non se ne era reso subito conto.
In quella stanza c’erano solo lui e la sua ombra. Non riusciva a spiegarsi da dove arrivasse quella voce.
- Chi sei? Perché non ti vedo? – riuscì a chiedere.
- Scusami, parlare in questo modo deve essere fastidioso. Ora vengo da te. –
La figura al fianco del camino parve prendere consistenza e cominciare man mano a staccarsi dalla parete. Poco a poco i lineamenti si fecero più distinti mentre l’ombra si tramutava in una figura tridimensionale.
Bastarono pochi secondi per far sì che la figura indistinta sul muro si tramutasse in una donna abbronzata. I lunghi capelli neri scendevano sciolti dietro la schiena mentre due occhi policromi osservavano il ragazzo divertiti. Il destro era azzurro come un ghiacciaio, il sinistro, color pece.
Le labbra della donna si incresparono in un sorriso mentre lei fece qualche passo avanti facendo ondeggiare alle sue spalle l’abito bianco come la luna.
- Perché non parli più con me? – chiese lei storcendo la testa di lato.
Hile non riusciva a respirare. Le immagini dell’ombra che lo aveva accompagnato da quando la setta lo aveva inglobato e quelle della statua nella sala di preghiera dei Lupi continuavano a sovrapporsi sull’immagine di quella donna che gli stava di fronte.
- Avanti, prova a dire qualcosa. – Lo incitò la donna con voce beffarda.
- Tu non puoi… non puoi essere… l’ombra, la mia… - balbettò con gli occhi sgranati il Lupo senza riuscire a muovere nemmeno un passo.
- È una storia un po’ lunga. Hai voglia di ascoltarla? – continuò la donna andandosi a sedere sull’unica sedia dietro la scrivania. – Devi scusarmi se non ti offro un posto per accomodarti, ma normalmente non ricevo visite. Facciamo così: io comincio a spiegarti qualcosa, poi, quando ti sarà tornata la parola, potrai farmi tutte le domande che vuoi. Penso di dover cominciare le presentazioni, Hile. Come penso avrai capito il mio nome è Oscurità e sì, penso di essere quella dea che hai cominciato a pregare… quanti? Otto, nove anni fa. Passiamo allora al motivo per cui sei qui. Questa, stai tranquillo, non è una prigione, possiamo dire che sia il mio angolo di spazio privato. Ti ho fatto arrivare fin qui per spiegarti cosa è successo e per poterti parlare per una volta faccia a faccia. –
- Ma tu non puoi essere la mia… la mia ombra. – Hile non riusciva a pensare a null’altro all’infuori del fatto che la figura che l’aveva accompagnato esistesse per davvero.
- Vuoi cominciare da quello? Come preferisci. Io ti ho scelto quando ancora non eri nato, ho riposto in te la mia fiducia, e non riuscivo a sopportare che il mio campione non avesse nessuno a consolarlo. Io sono l’oscurità, dimoro in ogni ombra e in esse mi manifesto pur non potendo assumere forma fisica nel Creato. Quello che voglio che tu sappia fin da subito, è che non ti lascerò mai solo finche un solo filo d’orbe proietterà la sua ombra sul terreno. –
La donna si alzò dal suo posto, andando ad appoggiare dolcemente la mano sul capo del Lupo.
Hile avvertì una sensazione familiare, la stessa che provò nella cella, nei suoi primi giorni da assassino, quando la figura si chinò su di lui. Un senso di protezione lo avvolse come una calda coperta, liberandolo per qualche secondo dal senso di oppressione che lo aveva cominciato a divorare da quando si era svegliato in quella stanza.
- La prova… l’ho superata? – chiese Hile chiudendo gli occhi per poter godere appieno di quel tocco paradisiaco.
- Secondo te? – gli chiese di rimando Oscurità tornando al suo posto.
- Non lo so. Dipende. – Nella mente di Hile riaffiorò per qualche istante un vecchio ricordo, un’esercitazione di assassinio che non aveva superato perché non aveva colto la reale missione che gli era oggetto della prova. – Se la prova consisteva solamente nello sconfiggere quella cosa di luce, forse l’ho superata, se non sono morto. Se invece non era quello l’obbiettivo a cui dovevo puntare, allora hai riposto le tue speranze nella persona sbagliata. –
- Mi piace come risposta. Bravo. In realtà, non era tanto l’uccidere l’avversario, quanto il metodo con cui lo si è fatto. Per questo ho chiesto a mia sorella la possibilità di usare uno dei suoi Guerrieri del Sole. –
- Ma nelle Scritture c’è scritto che voi dei  minori non possedete servitori o armi. – protestò Hile.
- Infatti. Ognuno di noi ha sviluppato dei propri metodi di difesa. Chi trappole, chi guerrieri, ma sono tutte marionette senz’anima né coscienza. Nessuna delle nostre creazione può essere minimamente paragonata ai servitori o alle armi elementari. –
- Tornando sulla mia prova… -
- Certo. Lascia che mi congratuli con te, perché l’hai superata. Sei riuscito a utilizzare le ombre per poter battere il tuo avversario. Hai usato la tua intelligenza e ogni asso nella manica che avevi per uccidere un essere superiore a te come forza e potere. Ora so che posso donarti il potere di cui avrai bisogno, ma sappi che dovrai accudirlo per farlo sbocciare in tutta la sua potenza. –
Oscurità allungò una mano in orizzontale, con il palmo della mano rivolto verso il pavimento. Le ombre che danzavano nella stanza a ritmo del fuoco parvero farsi viscose, colando sul pavimento fino a raggiungere il fianco della dea. Dall’ammasso oscuro che si formò qualcosa di solido cominciò a prendere forma, dapprima indistinto, poi via via sempre più dettagliato.
Quando la dea ebbe finito, sul pavimento alla sua destra giaceva una cucciolo peloso, dal  lungo pellame grigio e il muso nero come una notte senza stelle.
- Questo è un Athur grigio, il grande lupo delle foreste che abitava la Grande Vivente fino a non molti anni fa. Questo è anche il tuo compagno che non è un compagno, nonché la fonte del potere che ti ho donato. Fanne buon uso. –
Hile prese in braccio il cucciolo, guardandolo stralunato. Un animale. Il compagno che gli dei dovevano donargli era un animale. Non riusciva a capire come quella palla pelosa potesse aiutarlo nell’impresa che lo aspettava.
- Probabilmente non potremo più parlare per molto tempo. Hai ancora qualche domanda da farmi, prima di tornare sulle Terre? –
- Solo una. Tu sei la dea dell’Oscurità, colei che danza nelle ombre, colei che opprime i malvagi e da sollievo ai bisognosi. Perché le pareti bianche? –
La donna scoppiò in una risata cristallina, sincera.
Oscurità si sistemò il vestito bianco, per poi rivolgere di nuovo lo sguardo all’assassino. – Ho scelto il bianco per questo posto, perché è dove regna la luce che le ombre si fanno più intense. –
- Grazie. Continuerò a vederti, d’ora in avanti? –
La stanza si fece indistinta intorno al ragazzo.
- Finché ci sarà un filo d’erba a gettare la sua ombra sulla terra, io sarò con te. – fu la risposta lontana.

Hile si trovò di nuovo sul belvedere.
La nebbia che avvolgeva il panorama si era dispersa, permettendo così allo sguardo di spaziare sulle terre circostanti.
Il cucciolo di lupo si mosse in braccio a Hile, emettendo un leggero borbottio dalla gola.
L’assassino raccolse velocemente i coltelli ancora sparsi per terra, per poi scendere nuovamente al Passo del Messaggero.
Potevano essere passati dei giorni, da quando aveva lasciato Mea e Keria, così come potevano essere trascorse solo poche ore.
Il sole risplendeva basso a Est, messaggero di un nuovo giorno.
La figura comparve poco lontana dalla scala.
- Non ti deluderò. – gli disse il ragazzo, ricevendo in risposta solo una scrollata di spalle.
Avrebbe preso un sentiero poco lontano, decise, che percorreva il crinale dei Monti Muraglia arrivando fino al Flentu Gar. Quella era la strada più veloce per raggiungere il punto di ritrovo. 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Vago