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Autore: Alaide    16/04/2009    1 recensioni
Seconda classificata al contest "Home sweet home", indetto da Writers Arena
La notizia che i nipoti dell’Egilda si sarebbero stabiliti al Podere delle due Noci è sulla bocca di tutti da una settimana e da una settimana si attende il loro arrivo. Le donne ne parlano al ritorno dai campi o davanti alla chiesa, gli uomini ne discutono davanti ad un bicchiere di vino, proprio qui sotto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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Alcune note preliminari:
Il contest prevedeva la creazione di una storia che fosse ambientata nel proprio paese.
Rating: 14 anni
Tipologia: Long Fiction
Lunghezza: 11.546 parole, 23 pagine (Times new roman, 12), 4 capitoli e un epilogo
Avvertimenti: nessuno
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale, Storico.
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits: la leggenda della fata Bena è stata letta in: Tiziano Marcheselli, Fantasmi e leggende dei castelli del parmense, Parma, Umberto Nicoli, editore, 1982 (oltre che a racconti sentiti dai miei nonni e durante una visita guidata al castello di Montechiarugolo)
Le notizie su Basilicanova, oltre che dalle memorie dei miei nonni che si riferiscono a memorie a loro riferite durante la loro infanzia, sono tratte dal sito del comune di Montechiarugolo
L'idea di una malattia legata al canto è stata ispirata dalla lettura di Il consigliere Crespel di E.T.A. Hoffmann
Il titolo, che significa la sua anima mi chiama, è tratto da J. Barbier, Les Contes d'Hoffmann, opéra fantastique en 5 actes (atto III)
La datazione dell'anno 1887 è dedotta dal calendario perpetuo.
Note dell'Autore: Nessuno dei personaggi citati è realmente vissuto a Basilicanova nel 1887, per quanto l'immagine offerta del paese a fine XIX secolo sia il più fedele possibile alla realtà. I diversi toponimi che indicano diverse zone del paese sono in uso ancora oggi. La macelleria, citata nel racconto, ha chiuso negli anni ottanta del XX secolo, dopo aver festeggiato il centenario. L'osteria esisteva ancora quando mia madre era piccola.
Non è mai esistito nessun Podere delle due Noci (e se così fosse il riferimento sarebbe assolutamente casuale)
Il testo è scritto in forma "epistolare" presentando le lettere di uno dei personaggi e i diari di altri due che ricostruiscono la vicenda narrata. È sempre indicato di chi sia il diario, salvo che siano riportati più giorni in maniera continuativa.
Non sono usate frasi in dialetto perché, purtroppo, non ho la minima idea di come si scriva. L'unica forma dialettale utilizzata in maniera persistente è l'uso dell'articolo determinativo davanti ai nomi propri femminili, incluso il nome del torrente Parma che è declinato al femminile (non ho idea se per uso dialettale a cui sono avvezza da tempo o se per qualche ragione mitologica che ignoro). È in dialetto un nome proprio, Pepén che equivale a Giuseppe. Sono usate alcune forme dialettali, quando parlando personaggi di Montechiarugolo e Basilicanova (in questo caso con l'esclusione di Adalgisa), tradotte in italiano e di facile comprensione.




Capitolo I

L’Arrivo



[Dal diario di Adalgisa]

18 marzo 1887


La notizia che i nipoti dell’Egilda si sarebbero stabiliti al Podere delle due Noci è sulla bocca di tutti da una settimana e da una settimana si attende il loro arrivo. Le donne ne parlano al ritorno dai campi o davanti alla chiesa, gli uomini ne discutono davanti ad un bicchiere di vino, proprio qui sotto.
Ed oggi, finalmente, i nipoti dell’Egilda sono arrivati in paese. Per essere metà marzo è stato un giorno freddo e ventoso, al contrario delle giornate scorse così piene di sole... si pensava, noi tutti, di essere giunti alla fine di questo lungo inverno, mentre non ne siamo affatto fuori. Tutti credevano di poter aspettare l’arrivo della carrozza fuori, vicino al Crocile, invece si sono rintanati nell’osteria.
Sono certa che sarebbe stato ben più facile contare gli assenti. Oggi erano presenti proprio tutti, anche molte donne (cosa quanto mai insolita e lo so bene io che dell’oste sono la figlia) e ragazzini. Persino Don Piero era presente all’appello. Per tutte le ore, mentre sedevo alla finestra che guarda la strada che dal Crocile porta alla Forca, anch’io in attesa dell’arrivo di questi due giovani cittadini, ho sentito canti e cori provenire da sotto.
Poi un improvviso silenzio e un gran spostarsi di sedie. Qualcuno è uscito anche in strada. E finalmente ho visto la carrozza nera. Ho tentato anche di scorgere le sagome all’interno, ma, ovviamente, non vi sono riuscita.
Pochi istanti e la carrozza è scomparsa.
Giuro che mi sono immaginata tutto il percorso... il breve tratto di strada... le due noci al lato del cancello, lì sulla sinistra... il viale alberato... la casa padronale con le suo pareti dipinte di bianco e la terra tutt’intorno.
Mi chiedo che impressione possa aver fatto la casa dell’Egilda ai due giovani della città.
Forse l’hanno trovata piccola e misera, mentre a noi sembra così grande e importante. Di certo grande e importante per un paese come Basilicanova. Soltanto la villa dei marchesi è più grande della casa padronale dove vive l’Egilda.
Però devono aver amato fin da subito l’Egilda. È una così brava donna. E sa fare delle splendide torte, oltre ad aver studiato, in città, in qualche convento... e studiato bene... non fosse per lei non starei qui a tenere un giornale personale. Ha dei libri in casa, tanti libri, molti più libri di quanti non se ne conti in qualsiasi altra casa di Basilicanova (ammesso che oltre a Don Piero e ai marchesi vi sia qualcuno che possiede dei libri) e sa suonare il piano e leggere la musica. Alle volte ci si chiede per quale motivo abbia sposato il povero Pepén.
Starei per ore a casa dell’Egilda a leggere uno dei suoi libri o a sentirla suonare al piano qualche romanza di Verdi.
Ma adesso quello che vorrei più di ogni altra cosa è conoscere i suoi nipoti. Magari l’Egilda non avrà nulla in contrario se proprio uno di questi giorni le riporterò il libro che mi ha prestato la settimana scorsa.




Basilicanova, addì 18 marzo 1887


Mia amatissima Corinna,
vi scrivo per annunciarvi che siamo arrivati a Basilicanova. Erminia è stata silenziosa lungo tutto il viaggio che l’ha condotta fino alla casa della zia Egilda, ma non mi attendevo un comportamento diverso. Sapete bene, cara sorella, quanto Erminia soffra nel lasciare Parma e la nostra solita vita, ma, d’altronde, la sua salute è troppo preziosa per essere trascurata.
Mi chiedo se questo nostro soggiornare in campagna le possa giovare veramente. Spero con tutto il cuore che così accada. Siete perfettamente cosciente, Corinna, quanto mi angusti per la sua sorte. Queste ultime settimane sono state un vero inferno. Ogni giorno che passava, Erminia diveniva sempre più pallida e smorta. Una volta ha perso i sensi. Ho temuto di perderla per sempre in quel momento e credo immaginiate quanto questo mi avrebbe fatto sprofondare nel baratro della disperazione. Non saprei come agire se mai dovesse accadere l’evento infausto che tutti noi temiamo, soprattutto, se considerate, amata sorella, che la responsabilità ricadrebbe unicamente su di me.
Ma credo che voi non vogliate una mia lettera che vi parli di qualcosa che conoscete perfettamente.
Forse troverete la descrizione del tragitto ben più interessante, anche se, a voler esser sinceri, non v’è molto da raccontare. Il cocchiere ha scelto di percorrere la strada che costeggia gli argini della Parma, forse perché la credeva più pittoresca di quella che dalla città porta a Traversetolo.
Forse se la giornata fosse stata più brumosa, il tragitto sarebbe stato veramente interessante, ma v’era unicamente un vento forte e gelido, che penetrava all’interno della carrozza, facendo rabbrividire Erminia. Gli alberi sparsi nei campi si muovevano impetuosi, mentre il sole illuminava indistintamente ogni filo d’erba. Ogni tanto qualche casa padronale e qualche gruppuscolo di abitazioni apparivano alla vista.
Poco prima di entrare a Basilicanova si incontra un’immagine votiva che raffigura il Padre Eterno. Zia Egilda, nella sua ultima lettera, me ne aveva parlato, dicendomi che le casupole che sorgono lì intorno prendono lo stesso nome dell’immagine. Non ho potuto osservarla bene, come siete perfettamente in grado di immaginare da sola, ma non credo che possa essere diversa dalle altre che costellano la campagna parmense.
Non c’è voluto molto tempo prima che comparissero le prime abitazioni di Basilicanova. Si staccano sulla destra della strada, formando il gruppo di case che viene chiamato il Casale dalla gente del paese. Da quel che ho letto su un polveroso libro di storia, dimenticato da tutti, credo, custodito nella Reale Biblioteca Parmense, è questa la parte più antica dell’intero paese. Si dice che un tempo doveva esservi una piccola chiesetta, di cui non rimane alcun resto. La strada prosegue tra i campi e raggiunge un incrocio, chiamato Crocile dalla zia Egilda. Arrivati a questo punto sapevamo entrambi che il percorso era ormai terminato. La carrozza ha svoltato a sinistra e ha costeggiato l’unico edificio che si affaccia sull’incrocio. Una casa grande e bassa divisa in due. Con i mattoni a vista, più vicina all’incrocio e con un lato che costeggia la strada proveniente da Parma, è la macelleria, la cui insegna immacolata mi ha fatto pensare che fosse stata aperta da poco. A lato, attaccata, ma tinteggiata di un giallo tendente all’ocra è l’osteria, a cui si accede da una porta a tutto sesto, bassa e già sgangherata, nonostante tutto l’edificio non dimostri molti anni.
So che potrete trovarlo strano, sorella mia, ma alcuni abitanti del paese erano appostati al di fuori dell’uscio dell’osteria e, se non mi sono ingannato, ho intravisto più di una testa fissare oltre il vetro annerito dal fumo dell’unica finestra aggettante sulla strda. Forse, per un piccolo paese come Basilicanova Erminia ed io siamo le novità del momento.
Ci è voluto veramente poco tempo a quel punto prima di giungere alla casa della zia. Poche centinaia di metri lungo la strada, poi abbiamo svoltato a sinistra e abbiamo raggiunto la casa padronale.
La nostra parente ci stava aspettando sulla soglia. Per quanto non l’abbia mai vista prima, ho subito provato un moto di simpatia per lei. Assomiglia molto a nostra madre, ma ha un sorriso più bonario e dolce. Ha accolto con un abbraccio affettuoso mia sorella, ma Erminia è sembrata quasi non accorgersene o non provare nulla.
Anche stasera, mentre cenavamo, Erminia è apparsa quanto mai lontana. I suoi occhi erano assolutamente distanti. Mi chiedo se fosse persa in una di quelle sue improvvise fantasie. Il pallore era ancora intenso e così in contrasto con i suoi capelli neri. Sapete, Corinna, alle volte mi chiedo da chi abbia preso il colore dei suoi capelli. Un tempo pensavo di trovare una somiglianza proprio nella zia, ma per quanto siano ormai striati di grigio, appare evidente che i suoi capelli erano dello stesso castano chiaro di nostra madre. Sembra quasi che Erminia non sia parte della nostra famiglia, anche se sappiamo entrambi che è così. Con ogni probabilità, sorella mia, è soltanto una mia sciocca fantasia.
Spero di poter aver presto vostre notizie.
Il vostro affezionato fratello,
Normanno.
Post Scriptum: Salutatemi calorosamente vostro marito e ditegli che lo terrò informato il più possibile circa la salute di Erminia.




[Dal diario di Erminia]

Basilicanova, 18 marzo 1887


Infine siamo giunti a Basilicanova e Parma, dopo poche ore, già mi manca. Non è la città in sé, la sua vita a mancarmi. No, è la tranquillità che a volte la mia anima riusciva a trovare mentre passeggiavo nei borghi intorno alla Cattedrale o mentre osservavo un piccolo cardellino tra le fronde degli alberi di Parco Ducale. Ma di certo quello che più mi mancherà saranno le serate a teatro. La musica. La musica soprattutto. E la possibilità di cantare.
I dottori dicono che la mia debolezza è dovuta ad un problema di respirazione, o qualcosa del genere. Non ho di certo mai capito molto di medicina, per quanto mio cognato professi questa professione. Ed è proprio lui, insieme ad altri suoi esimi colleghi, a pensare che il canto sia dannoso per una mia possibile guarigione. Mi impediscono di cantare ed io non riesco ad obbedire, perché quando canto mi sento viva, reale.
Ma loro non riescono a capire.
Credo che abbiano convinto Normanno a portarmi in questo paesuncolo perché sperano che io possa non avvicinarmi ad un pianoforte. In fondo chi potrebbe possederne uno a Basilicanova? E, d’altronde, mio fratello non mi perderà mai di vista e questo mi impedirà di lasciarmi andare al canto.
Mi sembra già di morire al solo pensiero.
Invece i medici dicono che morirò se canterò anche solo una volta. Ma anche se così fosse? Cosa cambierebbe? La morte attende tutti, presto o tardi. Uccidere la mia anima per farmi vivere una vita morta è forse qualcosa di giusto?
Non so cosa pensare di questo.
Non so nemmeno realmente chi io sia.
Alle volte mi sembra di sentire qualcuno che mi chiama, ma forse è soltanto il mio amore per il canto che esplode in maniera fisica, quando per molto tempo rimango senza nemmeno emettere un solo suono. Anche stasera durante la cena mi è sembrato di udirla.
Forse è una mia fantasia, forse è qualcuno che mi cerca dall’oltretomba, come avviene in certi racconti di fantasia, forse è soltanto il mio desiderio inappagato o la mia anima che piange.

Basilicanova, 19 marzo 1887


È presente un pianoforte! Un bel pianoforte a muro, ottimamente tenuto.
È lì, invitante.
Quando l’ho visto mi è sembrato che mi chiamasse con voce soave, come un usignolo, o pericolosa come quella di una sirena. Ma ritengo che questo secondo paragone sia più consono alla mente di mio fratello. Forse riuscirò ad avvicinarmi ai tasti bianchi e neri, a suonare e a cantare. Sono certa che l’entusiasmo che mi ha colta, alla vista di quello strumento, sia stato notato da mio fratello. Quando l’ho guardato negli occhi, qualcosa mi ha fatta raggelare. Mi è sembrato che potesse leggermi nell’anima, che potesse capire cosa stavo pensando in quel momento.
Eppure il pianoforte è là, in salotto... così bello... così invitante... e sento il canto che mi chiama... il canto e la mia anima piangente.

  
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