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Autore: rossella0806    20/06/2016    3 recensioni
E' vero che la vita toglie sempre qualcosa per poi restituire con gli interessi?
E' quello che pensa Lara, una ragazza di ventitré anni, che studia Lingue a Milano ed è nata due volte.
Quattro anni prima, infatti, era stata rinvenuta esanime nella camera del convitto in cui si era trasferita dopo la fine delle superiori; l'incidente misterioso che l'ha vista coinvolta non è mai stato chiarito, costringendola a rimanere in coma per tre mesi.
Quando si sveglia, un giorno di fine aprile, non ricorda nulla, sa solo che deve riprendere in mano la sua vita e, per farlo, dovrà impiegare tutta la forza e la caparbietà che nemmeno lei sapeva di possedere.
La riabilitazione nel reparto di Neurochirurgia durerà un altro mese, ma alla fine ne uscirà vittoriosa e più determinata che mai, anche grazie all'aiuto del dottor Cavani, l'uomo a cui deve la sua stessa vita, e di cui si innamorerà perdutamente.
Ma la strada da percorrere è ancora lunga ed in salita.
Riuscirà Lara ad affrontarla?
P.S. Il titolo della storia è un omaggio al film (tratto dall'omonimo libro) di Boris Pasternak "Il dottor Zivago", un autentico capolavoro che vi consiglio di vedere!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Scesi dal taxi che erano le quattro.

All'appuntamento mancava ancora mezz'ora, così mi feci lasciare un paio di vie prima del ritrovo che lui aveva scelto.
Non conoscevo minimamente la zona in cui mi trovavo, ma la signora che mi aveva accompagnato fino a lì era stata così disponibile da fornirmi qualche indicazione utile, in modo da non perdermi in quella caotica metropoli.
Cominciai a camminare lungo uno dei ponti che sovrastava il Naviglio, mentre il traffico tutto attorno mi scansava con sapiente eleganza e maestria.
Indossavo un vestito blu chiaro che arrivava poco sopra le ginocchia e dei sandali beige con dei minuscoli strass sul dorso.
Più proseguivo e più sentivo le mani sudarmi: mi toccai istintivamente i capelli castano chiari, raccolti in uno chignon sgangherato, in un gesto che tradiva tutta la tensione che mi faceva assomigliare ad una corda di violino; ero emozionata, non potevo negarlo neppure a me stessa, ma anche desiderosa di incontrarlo.
Per una frazione di secondo, però, la mia mente fu attraversata dall'incertezza: era giusto quello che stavo per fare? Quanto mi avrebbe fatto soffrire l'attrazione magnetica e senza riserve che avvertivo per lui? E, soprattutto, quanto tempo sarebbe durata quella storia ai limiti della clandestinità?
Ma non ebbi alcuna remora a rispondermi immediatamente, convincendomi che lo amavo, che il mio era vero amore, e che questo sarebbe bastato per l'avvenire ed oltre.
Guardai con ansia l'orologio nero da polso, accorgendomi che erano già trascorsi venti minuti.
Mi incamminai finalmente verso la meta tanto agognata, domandando per sicurezza ad una ragazza che stava portando a passeggio un barboncino se quella fosse la strada giusta e, ricevendo risposta affermativa, proseguii ancora per qualche decina di metri.
Arrivai davanti all'insegna spenta e poco rassicurante dell'albergo che, di lì a breve, ci avrebbe accolti, il cuore talmente in fibrillazione che temevo sarebbe uscito dal petto.
Hotel Astor rappresentava la mia terra promessa, era ciò per cui avevo lottato negli ultimi anni, il posto che bramavo da tempo infinito.
Un brivido di piacere e paura percorse la mia schiena, mentre fissavo la scritta davanti a me: mi ero immaginata un ritrovo diverso, una sorta di nido d'amore a cinque stelle, in contrasto quindi con le tre che poteva vantare, ma era pur sempre meglio di una pensioncina di second'ordine, e persino di un infimo motel costruito ai lati dell’autostrada.
Non puoi e non vuoi tornare indietro ... continuavo a ripetermi, tormentandomi le dita.
In quei momenti, l'unica cosa per cui pregavo era di piacergli: speravo infatti di aver scelto l’abito giusto, di essermi spruzzata il profumo migliore, né troppo dolce e neppure troppo amaro, di aver acconciato con eleganza i capelli.

Avrei voluto avere uno specchietto in cui riflettermi, in modo da poter ritoccare il trucco appena accennato che avevo deciso di spalmarmi sul viso.
Stavo aprendo la borsetta bianca alla ricerca del telefonino, l’unico oggetto che avrebbe potuto servire al mio scopo, quando avvertii dei passi avvicinarsi alla mia persona, e di scatto mi voltai.
E fu il paradiso, perché lui era lì.
“Ciao …” mi salutò con un sorriso un po’ tirato, sfiorandomi il braccio sinistro con una mano.
“Ciao …” ero così nervosa che non mi uscì null'altro di più sensato.
“Che dici, entriamo?”
Annuii felice, gli occhi verdi trasognanti in quelli ambrati e vivaci di lui.
Salimmo i cinque gradini che ci dividevano dalla soglia, facendo il nostro ingresso in quell'albergo di fine anni Sessanta, la hall dalla forma circolare e le tonalità dell'oro ad attenderci.
Dall’esterno, avrei giurato che saremmo sembrati la più normale delle coppie, magari spossata dopo un infinito giro turistico per la città.
Certo, poteva apparire tutto perfettamente normale, eccetto per un particolare: io non ero la sua compagna ufficiale, ero solo la sua nuova amante.


La camera che aveva prenotato si trovava al quarto piano, in prossimità dell'uscita di sicurezza.
Era la stanza più discreta del lungo corridoio che percorremmo per raggiungerla, adornato da riproduzioni di quadri di Van Gogh e minuscoli tavolini rotondi da cui strabordavano piante grasse.
Le cifre sulla porta immacolata recitavano il numero 433.
Mentre lui apriva l'ingresso, di nuovo avvertii quella strana sensazione e quel brivido d'incertezza infantile percorrermi la schiena, esattamente come pochi minuti prima.
Deglutii nervosa ed eccitata, non potendo far altro che ammirare la bellezza di quelle mani che mi invitavano ad entrare.
Il rumore della porta che si richiudeva dietro di noi era come musica per le mie orecchie, come una delle sinfonie di Beethoven che adoravo ascoltare nei momenti di riflessione.
“Se vuoi, faccio portare dello champagne …” propose, avvicinandosi pericolosamente a me.
“Non lo so, cioè, non credo sia necessario, però …”
“Sei nervosa?”
La sua voce flautata risuonò nella stanza, formata da un ampio letto con il copriletto rosso, un armadio che occupava un'intera parete ed uno scrittoio con due sedie, sopra cui era stata posizionata una televisione dallo schermo ultrapiatto.
Lui mi abbracciò con quella dolcezza che tanto avevo amato, fin dal primo istante, e mi ritrovai con il capo sul suo petto, avvolto da una camicia azzurrina.
Il profumo che gli avevo sempre sentito addosso mi stava inebriando i sensi, risaliva come un piacevole effluvio per le narici e si addentrava tra i miei neuroni, tanto che, per un istante, temetti di svenire.
“Non devi avere paura. Andrà tutto bene, te lo prometto”
Mi allontanò con dolcezza e, le mani ai lati del mio viso, lo avvicinò al proprio, per baciarmi subito dopo.
Fu un bacio bellissimo, un bacio lento e calibrato, che esprimeva tutto il calore che fuoriusciva dai nostri corpi vagamente sudati per il caldo.
Ero così felice, così stordita, che desideravo solamente che quel momento non avesse mai fine.
Volevo rimanere lì per sempre, non mi importava del resto: l'unica cosa che mi interessava era che lui fosse con me, che mi stringesse tra le sue braccia e mi amasse, fino alla fine dei tempi, fino allo stordimento, fino alla stanchezza più totale.
Cominciammo a retrocedere verso il nostro giaciglio, che ci premurammo di scoprire dal copriletto infuocato che lo avvolgeva.
Senza guardarlo negli occhi, presi a sbottonargli la camicia, mentre lui si slacciava i pantaloni.
Quando finimmo quel primo passo, aspettai che mi calasse le spalline del vestito, gesto che non attardò ad arrivare, rivelando la voluta assenza del reggiseno sotto di esso.
L'abito si adagiò su se stesso, attorcigliandosi sul parquet scricchiolante come un serpente in preda all'ipnosi degli incantatori indiani.
Mi tolsi i sandali e lui fece lo stesso con i mocassini Lumberjack color castagna.
Finalmente fummo pronti per adagiarci sul letto, il momento che maggiormente avevo temuto e, in tutta sincerità, ancora temevo.
Lui mi attirò a sé, continuando a baciarmi e sovrastando il mio corpo protetto solo da un paio di slip bianchi.
Cominciai a respirare affannosamente, durante un attimo di tregua in cui le nostre bocche avevano smesso di cercarsi, mentre mi sussurrava ad un orecchio di stare tranquilla, di non preoccuparmi di nulla, promettendomi ancora una volta che sarebbe andato tutto per il meglio.
Poi, spostò le sue belle labbra sui miei occhi, quindi sul naso, sul collo e sulle spalle, regalandomi continui sprazzi di sogno.
In quei momenti, pensavo solamente a quanto fossi felice, veramente felice ed appagata: non desideravo niente se non lui, lui che era diventata la mia ossessione, lui che era lì insieme a me, lui che mi avrebbe protetta da tutto e da tutti.
Mi prese le mani e le intrecciò alle sue, stringendo con forza e delicatezza le mie dita, come se non volesse più lasciarle andare.
Inarcai la schiena in un brivido di piacere, aspettando che tutto finì.
E così accadde, infatti.
Ma quella, ero convinta, non era la fine di nulla, era piuttosto l'inizio di tutto.
   
 
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