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Autore: emmeline    20/06/2016    1 recensioni
« Torahiko »
« Mh? »
« Tu credi negli universi paralleli? »
« Uh? Gli universi paralleli? »
« Gli universi paralleli. La teoria secondo la quale esistono mondi diversi dal nostro ma simili allo stesso tempo. »
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ship: ToraLuca
Words: 13.744
Note: ci ho messo due mesi a scrivere questa cosa e non voglio vederla mai più. La quinta parte di questa one-shot è stata ispirata da headcanon di una bravissima ToraLuca artist! @RisaMadara su twitter~ inoltre l'intera storia è ispirata al poema "25 lives" 
(x)
ringrazio Dorothy per avermi sopportata e betata (;___;)/ questo è quanto - enjoy!

 

25 L I V E S:  a star light trip with you.
 
The very first time I remember you, you are blonde and don’t love me back.
 
Torahiko osservava il bassista degli IB con la coda dell’occhio. Si concentrava sul modo in cui gli occhi del ragazzo scorrevano sulla pagina del libro che aveva tra le mani e in particolar modo sui movimenti del suo viso: un fremito delle sue palpebre, il modo in cui Lucas storceva il naso quando gli capitava di incontrare una scena non proprio piacevole. Lo guardava come avrebbe guardato la più bella tra le opere d’arte.
Fece scivolare gli occhi rossicci sui lineamenti del francese, permettendosi di fissare bene nella sua memoria il modo in cui Lucas piegava le dita per tenere il libro con una sola mano.
Lucas aveva qualcosa di affascinante anche quando curvava le labbra facendo aleggiare su di loro l’ombra di un sorriso.
E se la porta dell’aula non si fosse aperta con un tonfo, facendolo risvegliare improvvisamente da quella sorta di trance, Torahiko avrebbe continuato a guardarlo ancora più a lungo. Ma quell’istante di cui Lucas era ignaro si dissolse con la voce di Leon, che ingenua e squillante annunciò: 
 « Ragazzi, vi ho portato da mangiare! »
Il ragazzo dai capelli rossi voltò velocemente il capo verso la tela incompleta di fronte a sé, tornando a dipingere con una tale disinvoltura da non dare alcun segno della sua distrazione.
 « Non c’è bisogno di essere così rumoroso » gli fece presente Lucas chiudendo il libro dopo aver accuratamente posto il segnalibro al suo interno
 « C’è gente qui che cerca di concentrarsi. Lo so che è un concetto difficile da comprendere per te, ma potresti mostrarti comprensivo. »
Al suono di quelle parole il ragazzo dai capelli rosei prese l’espressione di un cucciolo ferito. E poi sbuffò.
 « E tu non hai alcun bisogno di essere sempre così serio! »
 « Ha ragione lui, Lucas! »
Torahiko trovò il momento adatto per intromettersi. Voltò nuovamente il capo verso quello che era stato l’oggetto delle sue attenzioni fino a pochi istanti prima. Lo guardava con tutta la naturalezza del mondo, come se non si fosse mai soffermato sulle curve del suo profilo. Come se non avesse potuto dipingere il suo volto ad occhi chiusi. « Non ti farebbe male sorridere di più di tanto in tanto » si azzardò a concordare con le parole di Leon.
« Mh... » fu l’unico commento di Lucas a riguardo.
Il viso di Lucas era bellissimo. Ma quando sorrideva era meraviglioso. Torahiko guardava il suo sorriso e gli sembrava di vedere colori nuovi, di scoprire tonalità che altri esseri umani non avrebbero neanche mai potuto immaginare. Nel sorriso di Lucas vedeva tutta l’arte del mondo ed era ciò che di più bello potesse esistere.
Torahiko desiderò essere l’artefice di quell’opera.
Ma aveva ormai riconosciuto da tempo che l’unico a poter metterci la firma fosse Leon.
Lo vide anche in quel momento, quando il più giovane andò a sedersi sul bracciolo del divanetto dove Lucas era accomodato da prima, incurante dello sguardo che il francese gli aveva lanciato. Lo vide nel modo in cui il volto di Lucas da contratto si rilassò, pian piano, come un fiore che sboccia, come la pioggia che va scemando e lascia nuovamente spazio al sole, come i raggi che si riflettono sulle gocce impigliate sulle foglie insieme alla voce di Leon che riempì la stanza. Rimbalzò tra le mura. Si infranse ovunque, e ricadde su Lucas, riuscendo ad illuminarlo come lui non sarebbe mai riuscito a fare.
 
The next time you are brunette, and you do.
 
« Che cosa stai facendo qui? »
Gli occhi di Torahiko si aprirono molto lentamente. Il sole del pomeriggio era stato coperto da quella testolina scura ora china su di lui, occhi rossicci come i suoi che lo guardavano con aria curiosa.
Il leader degli ArS mostrò a Lucas il suo miglior sorriso. « Cercavo ispirazione per il prossimo libro » rispose tranquillamente, disteso sull’erba nei giardinetti della scuola.
Gli occhi di Lucas si illuminarono e Torahiko tracciò in quello sguardo le linee di un nuovo universo. « E hai trovato qualcosa? » domandò Lucas sinceramente interessato.
Torahiko gli fece cenno di sedersi accanto a lui, e dopo essersi guardato intorno distrattamente Lucas si strinse nelle spalle e accettò. Il venticello gli sfiorò le guance e tanto bastò a farlo rilassare completamente.
« Non esattamente » confessò il ragazzo dai capelli rossi, un’espressione colpevole sul volto, farcita da uno dei suoi ghigni « Ma non c’è da preoccuparsi! Al grande Re verrà senza dubbio qualche idea prima della scadenza! Nishishi~! » nel dirlo Torahiko si era mosso e aveva posato la nuca sulle gambe di Lucas. Il più piccolo non aveva avuto tempo di protestare e Torahiko sorrise divertito nell’osservare quel leggero rossore farsi strada sul volto innocente di Lucas. Quella tonalità a cui non si sarebbe mai abituato. Era una sfumatura che, per quanto ci avesse provato (tanto – tanto a lungo), non era mai riuscito a riportare in nessuno dei suoi dipinti.
Era qualcosa di unico. Qualcosa che apparteneva solo ed unicamente a Lucas e che neanche un’artista del suo calibro sarebbe riuscito a riprodurre. E Torahiko si era reso conto che non gli importava, che si sentiva incredibilmente fortunato a poter osservare quel colore così da vicino.
« Torahiko »
« Mh? »
« Tu credi negli universi paralleli? »
« Uh? » alzò un sopracciglio « Gli universi paralleli? »
« Gli universi paralleli. » ripeté Lucas, evitando lo sguardo dell’altro, probabilmente per imbarazzo « La teoria secondo la quale esistono mondi diversi dal nostro ma simili allo stesso tempo. »
« So a cosa ti riferisci, » disse Torahiko con un sorriso « sono solo sorpreso da questa domanda, ad essere sincero. Perché me lo chiedi? »
Lucas si strinse nelle spalle « Semplice curiosità. Venivano menzionati in un libro che ho letto di recente... »
« Uhm... Forse? Non ne sono sicuro. Non mi sono mai posto la domanda~ »
Lucas si lasciò andare ad un piccolo sospiro. « Capisco... »
Torahiko chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalla brezza primaverile; aprì la mano e col palmo sfiorò l’erba, lentamente.
« La verità... » mormorò la voce di Lucas, per poi bloccarsi subito dopo. Torahiko attese in silenzio. « La verità è che ho fatto uno strano sogno. »
Il maggiore riaprì gli occhi e alzò di poco il mento per poter guardare il volto del francese. Non sapendo cosa fosse più opportuno dirgli alla fine gli chiese semplicemente « Vuoi parlarne? »
Guardando Torahiko, Lucas tornò a chiudersi nel suo silenzio. Fece scivolare lo sguardo sul profilo del viso del ragazzo poggiato sulle sue gambe come se stesse guardando la cosa più preziosa al mondo.
Torahiko non l’aveva mai saputo, ma l’aveva salvato più volte di quante Lucas si sarebbe mai azzardato ad ammettere. Torahiko gli aveva dato speranza molto prima di incontrarlo: i suoi libri, le sue parole, i suoi disegni erano stati la luce di un bambino troppo solo, di un ragazzino solo, di un adolescente solo. Le sue storie erano state la compagnia di giorni vuoti e l’eco di quello che Lucas non aveva mai potuto avere.
Torahiko – Tiger Kid – gli aveva insegnato un modo diverso di vedere il mondo. Un modo diverso di vedere i suoi compagni di band. Un modo diverso di vedere se stesso.
E Lucas non avrebbe mai saputo come ringraziarlo per tutto ciò che aveva fatto per lui senza neanche esserne consapevole.
« Era tutto molto simile a questo mondo... » con due dita, delicatamente, spostò una ciocca di capelli rossi dal viso di Torahiko « Ma allo stesso tempo era tutto diverso: non ci conoscevamo, non avevamo idea di chi fosse l’altro. O ci incontravamo solo di sfuggita per poi perderci di vista per sempre. Era come saltare da una realtà diversa ad un’altra » si bloccò nuovamente, si morse il labbro inferiore con la paura di aver parlato troppo e di aver detto una marea di stupidaggini, ma Torahiko  lo stava ascoltando per davvero. Era così raro che Lucas confidasse i suoi timori a qualcuno e Torahiko voleva dimostrargli di poter essere all’altezza.
« Lucas » la mano di Torahiko si posò calda sulla guancia del ragazzo e strofinò il pollice sulla pelle candida con delicatezza « Tu credi in queste cose? »
« No » rispose immediatamente il più giovane con una tale sicurezza e velocità da far sorridere il leader degli ArS.
A quel punto Torahiko fece la domanda più ovvia « Allora perché te ne preoccupi? »
« Non lo so... » confessò l’altro, sentendosi improvvisamente fin troppo vulnerabile, una sensazione che non gli piacque. « Forse perché è stato— strano. »
« Lo sai perché non mi sono mai chiesto se esistessero o meno gli universi paralleli? »
Lucas tentennò per qualche istante. « Perché è una domanda stupida e inutile? »
Torahiko rise. « No » rispose, poggiò le mani ai lati dei suoi fianchi e si diede la spinta per alzarsi a sedere. « Perché, » riprese mentre si voltava verso Lucas – ma fece più di così: in un attimo si sedette a cavalcioni sul più giovane, le ginocchia ancorate sull’erba fresca, le mani sul viso di Lucas. Lucas si sentì avvampare e boccheggiò di fronte al sorriso di Torahiko. Erano così vicini che poteva sentire il respiro caldo dell’altro sul suo volto. « io sono in questo universo. D’accordo: mettiamo il caso che gli universi paralleli esistano » continuò « E quindi? Non ha alcun impatto sul mio universo. Voglio dire, io sono qui. Il mio universo è questo. Ho questa vita. Forse lì fuori c’è qualche universo in cui non ci conosciamo, o un universo in cui non vado in giro per il mondo o non dipingo, » a quelle parole ebbe un fremito, come se fossero le cose più impossibili, ma si parlava di probabilità, infinite possibilità, frammenti di vita che non avrebbe mai potuto esplorare. Forse in alcuni di questi frammenti non esisteva, forse non era mai nato o forse la sua vita si era fermata prima che avesse potuto decidere quali sarebbero stati i suoi sogni e le sue ambizioni « ma io sono qui: sono Torahiko Kusakabe, frequento l’Etoile Vio, sono il leader degli ArS, adoro dipingere più di qualsiasi altra cosa al mondo e sono innamorato di tutte le città che ancora non conosco. »
Lucas pensò che Torahiko era lo spirito più bello che avesse mai avuto il piacere di incontrare. Era così libero e quando parlava gli sembrava che qualsiasi cosa fosse possibile, qualsiasi sogno realizzabile; a volte aveva paura che Torahiko avrebbe spiccato il volo e non sarebbe mai più tornato, guidato dalla sua voglia di vivere liberamente senza intoppi, ma Torahiko tornava sempre. Più forte di prima. Più libero di quando era partito. Ogni giorno più splendente e con una nuova esperienza da raccontare.
Lo invidiava. Lo ammirava.
Lucas voleva quella leggerezza, quel senso di vivere spensierato, senza paure, quella dolce sensazione che prova solo chi è capace di sognare ancora. « E tu? » gli chiese Torahiko, facendo scivolare le mani dalle guance calde al collo, posò la sua fronte contro quella di Lucas e lo guardò dritto negli occhi prima di continuare « Tu, chi sei? »
Lucas dovette pensarci per qualche attimo. L’unico sottofondo era il frusciare delle foglie. E posando le mani sui fianchi di Torahiko disse: « Sono Lucas. Frequento l’Etoile Vio, sono il bassista degli IB, adoro scrivere musica, i telefilm polizieschi e voglio suonare un numero indefinito di canzoni più di qualsiasi altra cosa al mondo. »
Sorrisero entrambi, ancora l’uno negli occhi dell’altro. Torahiko lo spinse sull’erba, risero felici e si baciarono a lungo. E di tutte quelle probabilità Lucas non si preoccupò più: nel suo mondo, il suo universo, la sua realtà, ebbe l’impressione che la tanta agognata libertà non fosse poi così lontana.
Ed era tutto ciò che desiderava.
 
After a while I give up trying to guess if the colour of your hair means anything. 
because even if you don’t exist, I am always in love with you.
 
Torahiko ebbe giusto il tempo di rifinire il contorno degli occhi sulla tela quando le braccia di Kyousuke si strinsero attorno al suo collo arrivando improvvisamente alle sue spalle.
« Ooooh carino! » disse il ragazzetto dai capelli rosa, la voce squillante risuonò dritta nell’orecchio del giovane pittore. Gli occhi rosei volarono velocemente sulla tela, analizzando ogni particolare di quella nuova figura a cui, ne era sicuro, Torahiko non aveva mai dato vita prima di allora. « E lui chi è? »
« Non lo so ancora » ammise Torahiko, chinando la testa da un lato, osservando la sua ultima opera « Sto ancora cercando di scoprirlo ».
«Uuuuh! E’ un nuovo personaggio? »
« Non esattamente » aggiunse un’altra pennellata di blu ai capelli « Qualcosa del genere, credo »
« Credi? » Kyousuke lasciò la presa dal collo del suo amico e si allontanò da lui, prese lo sgabello più vicino e vi si accomodò. « Da quando credi? E’ una parola insolita, per te. »
Torahiko sorrise compiaciuto a quelle parole. Fecero crescere il suo ego come un palloncino – tanto così e sarebbe esploso e avrebbe volato per tutta la stanza, capovolgendo i barattoli di vernice e trasformando tutto in un’immensa e disordinata tavolozza.
« Non è come gli altri personaggi! » Torahiko arricciò le labbra. Gli occhi rossicci si posarono sull’ultimo arrivato della sua collezione, con quello sguardo sembrava chiedergli di dirgli il suo nome. Di dirgli qualsiasi cosa. Di permettergli di conoscerlo. Ma non c’era molto da fare, perché chiunque fosse su quella tela rimase zitto e Torahiko riconobbe la sconfitta. « Sono diverse notti che appare nei miei sogni. »
« E non ti dice nulla? » chiese curioso Kyousuke.
« So che è francese, che ha sempre il naso nei libri... » Torahiko si portò una mano al mento e si corrucciò, pensieroso « Porta gli occhiali quando legge. E, oh, sta imparando a suonare il basso! »
Il ragazzo dalle fattezze di un enorme confetto alzò le braccia al cielo.
« Abbiamo un musicista misantropo! »
« Il fatto che legga non vuol dire sia misantropo » ribatté Torahiko.
« Porta gli occhiali, non fa che leggere » ripeté l’altro elencando questi fattori sulla punta delle dita « insomma, li guardi gli anime o no? »
« E’ una prerogativa che lascio a te »
« Allora fidati di quello che dico: è decisamente un misantropo. E’ anche francese. »
« Cos’hanno i francesi che non va? »
« Nulla, hanno solo rovinato la Francia. »
Torahiko lo guardò confuso. « Non ti seguo. »
« Hai mai visto Hetalia? »
Ci risiamo. « No? »
« Come pretendi di volermi capire allora! » fece Kyousuke in tono disperato, portandosi le mani al viso. Si riprese con una tale fretta che Torahiko non ebbe modo di ribattere. « In ogni caso, » parlò nuovamente, sistemandosi le lenti scivolate sul naso « il tuo amico qui ha un nome? »
Torahiko scosse la testa. Gliel’aveva chiesto la scorsa notte, ma il ragazzo aveva abbassato la testa, come se si fosse ritrovato indeciso se dirglielo o meno. E quando aveva aperto le labbra Torahiko si era svegliato – ritrovatosi sul pavimento con tanto di lenzuolo e coperta trascinata con sé.
Aveva avuto la sua occasione di conoscere il nome della sua nuova ossessione e l’aveva persa per sempre. Si era detto che dipingere il suo volto avrebbe alleviato quella sensazione di fastidio e vuoto del non sapere. Aveva funzionato, ma solo in parte. Una volta finito si era ritrovato al punto di partenza.
Dimmi chi sei.
Non aveva mai avuto di questi problemi, solitamente i personaggi nella sua testa erano rumorosi, nascevano e lo pregavano di dare loro attenzioni, si presentavano, chiedevano di avere un volto, sbocciavano come fiori permettendo a Torahiko di delineare le loro personalità, le loro vite, storie di passati e presenti e futuri. I suoi personaggi parlavano con Torahiko ogni qualvolta lui ne avesse bisogno.
Ma lui.
Torahiko impresse gli occhi sulla tela.
Lui era silenzioso. Torahiko non era neanche sicuro fosse davvero in un angolo della sua mente aspettando solo il momento giusto per venire a galla. Non lo sentiva da nessuna parte. Lo avrebbe descritto evanescente. Rinchiuso, ma non nella pareti della sua testa: rinchiuso in se stesso.
In quel momento Torahiko decise che voleva liberarlo.
« Ehi, Akio! » squittì Kyousuke disturbando il passo felpato del loro compagno di band. Il ragazzo dai capelli neri come la pece sobbalzò sul posto – « Iiiih! » –, si bloccò, si abbracciò in un impeto di autodifesa e puntò gli occhi violetti su quello che era il suo esatto opposto.
« C-c-cosa c’è? » chiese, mentre nella sua testa si prospettavano tutte le possibili motivazioni di quel richiamo. Akio stilò mentalmente una lista di tutti gli sbagli che aveva commesso dalla sua nascita fino a quel momento, poi fece una cernita di quelli avvenuti da quando aveva conosciuto Kyousuke, infine ponderò l’idea di scavare una fossa in quell’esatto punto e lasciarsi scomparire per sempre.
Ma una volta che si fu avvicinato – lentamente, prendendosi tutto il suo tempo, a cui ormai i suoi compagni di band erano più che abituati – Kyousuke puntò un dito sulla tela e con un sorriso disse « A Torahiko serve un nome! »
Akio apparve confuso, realizzò che andava tutto bene e tirò un sospiro di sollievo. « Un nome... » farfugliò, giocherellando con la cerniera della sua felpa troppo grande.
Shiki si ritrovò ad entrare in stanza in quell’esatto momento e la scena che gli si parò davanti aveva qualcosa di comico: tre ragazzi se ne stavano in silenzio, pensierosi, di fronte a quello che aveva tutta l’aria di essere un ritratto. Arrivò alle spalle di Kyousuke e Torahiko, e poggiò un gomito sulla testa di entrambi, per poi posare il mento sui palmi delle sue mani.
« Eeeeeek! » si lamentarono entrambi in contemporanea. Essere utilizzati come tavolino non si ritrovava nelle ambizioni delle loro vite.
« Cosa state facendo? » chiese Shiki incuriosito « Sembravate molto presi da questo quadro. »
Shiki non ebbe bisogno di chiedere se fosse opera di Torahiko: non poteva essere di nessun altro. Sorprendentemente fu Akio a parlare. « Torahiko ha bisogno di un nome per lui... »
« Un nome, eh? »
Torahiko apprezzò il modo in cui i suoi compagni sembravano tanto coinvolti, vederli con gli occhi puntati sulla tela, le loro espressioni pensierose, il loro starsene in silenzio a pensare davvero ad un nome da suggerirgli. Sentì che il suo lavoro era davvero apprezzato – non solo da tutte le persone che leggevano i suoi libri, da quelle persone anonime (ed estremamente importanti) ma prima di tutto da coloro che aveva sempre considerato compagni di vita e per i quali avrebbe fatto qualsiasi cosa.
« Alex! » tentò Kyousuke.
« Nah » fece Shiki.
Kyousuke grugnì in risposta.
Raku apparve in quel momento. Nessuno si domandò perché avesse Hikaru sulle spalle e perché suddetto biondo gli stesse riempiendo la schiena di pugni, scalpitando parole a cui nessuno prestò particolare attenzione.
Raku doveva limitarsi ad attraversare la stanza e portare via la cosetta urlante attaccata alla sua schiena, invece si fermò alle spalle di quell’assurda – ma non inusuale – scenetta e fece la stessa domanda posta solo poco prima da Shiki « Cosa state facendo? »
« Cerchiamo un nome, non disturbarci » si limitò a dirgli Torahiko.
Ce l’aveva sulla punta della lingua... Poteva quasi sentirlo... Cosa aveva cercato di dirgli prima che si svegliasse? Aveva mosso le labbra, stava per pronunciarlo, per...
« Secondo me ha la faccia da Lucas » disse Raku col suo solito tono piatto prima di sparire.
Fu come il cadere di un fulmine a ciel sereno.
I quattro rimasero in silenzio per qualche istante. Poi, uno alla volta, resero quel nome il più reale possibile.
« Lucas... » mormorò Akio, sentendo la melodia del suo basso risuonare per la stanza.
« Lucas » sorrise Shiki, riuscendo a vederlo camminare per le strade di una Parigi affollata.
« Lucas! » esultò Kyousuke, chiedendosi quali libri avrebbe preferito leggere, seduto in un bar qualsiasi, circondato dagli odori della Francia.
« Lucas. » decretò Torahiko, liberandolo dalle sue catene.
 
Il ragazzo nel suo sogno lo guardò. Accennò l’ombra di un sorriso e Torahiko pensò che non doveva essere abituato a sorridere. « Lucas, » gli disse « mi chiamo Lucas. »
 
I remember most fondly those lifetimes where we get to grow up together,
when you share your secrets and sorrows and hiding places with me.
 
Lucas ricordava l’odore aspro dell’uva del vigneto dei suoi nonni. Ricordava le limonate preparate da sua nonna nei pomeriggi più caldi e le tortine ai frutti di bosco. Ricordava il giorno in cui aveva conosciuto Torahiko e il modo in cui quel bambino dapprima fastidioso ed invadente era pian piano diventato un conoscente, poi un amico e infine una persona estremamente importante.
Ricordava quando sua nonna lo lasciava sgattaiolare in casa senza avvisarlo; Lucas entrava in camera sua e urlava con tutto il fiato che aveva in gola ad ogni tentativo di Torahiko di spaventarlo. Erano solo bambini.
Lucas ricordava la semplicità, l’ingenuità, l’odore di noccioline tostate e zucchero filato e i carri colorati, ricordava il sole e il tramonto e la Torre Eiffel e le promesse di vedere il mondo insieme. Ricordava il luna park, e la ruota panoramica e la voce di Torahiko che gli diceva che un giorno, un giorno avrebbe – avrebbero! – visto tutto insieme.
Ricordava tutto.
Ricordava anche il giorno in cui avevano iniziato a costruire quella casa sull’albero: avevano cercato insieme i pezzi di legno più resistenti, i chiodi e il martello, e il nonno di Lucas aveva dato loro tutte le lenzuola che comunque, aveva detto, non avrebbero usato più. Crescendo Lucas aveva capito che avevano fatto tutto solo per renderlo felice, per rendere la sua vita meno miserabile, perché Torahiko era l’unico spiraglio di luce nella vita di Lucas.
Erano appena approdati sulla soglia dei tredici anni, quell’età in cui non sei più un bambino ma non sei neanche un adulto, quando si ritrovarono in quella casetta – il progetto iniziale era stato quello di costruirla su di un albero, ma entrambi si erano presto resi conto del dispendio di fatica che una cosa del genere avrebbe richiesto, così avevano rinunciato. Era la loro casa sull’albero ma non esattamente sull’albero. Solo ai piedi. Ben nascosti da tutti gli occhi indiscreti. Era un posto magico e unicamente loro.
« Torahiko. »
« Mh? »
« Posso… » Lucas indugiò qualche momento ad ascoltare il battito della pioggia sul tetto prima di continuare, fece scorrere gli occhi su qualsiasi punto della loro fortezza, ma non guardò il suo migliore amico « Ho paura ».
Torahiko, ingenuamente, credette Lucas si stesse riferendo al temporale che infuriava al di fuori di quelle quattro mura che in quel momento, ai due impavidi quanto fragili ragazzini parevano indistruttibili. « Uh! Oh! » fece in un primo momento. Poi si portò una mano al petto con fare fiero e aggiunse « Non devi avere paura, passerà presto! E poi c’è il grande me qui a proteggerti! Nishishi! »
Lucas rimase in silenzio « La tua risata è strana » commentò qualche istante dopo.
Torahiko storse il naso, leggermente offeso, ma non troppo « Io la trovo solo molto originale! » si difese e Lucas si strinse nelle spalle.
Stavolta il silenzio durò molto più a lungo. Torahiko teneva ancora le mani di Lucas tra le sue, ma lo sentiva distante. A volte si chiedeva se Lucas, crescendo, non avrebbe finito per lasciarlo indietro per poi dimenticarlo. Se Lucas si sarebbe rifatto una vita in cui non ci sarebbe stato abbastanza spazio per lui. Si chiese se lui stesso, col passare degli anni, avrebbe lasciato Lucas indietro.
Domandò a se stesso se avrebbero passato la vita ad inseguirsi dopo essersi persi di vista, come alle volte succede.
Immaginò lui e Lucas incontrarsi altrove, lontano, con altri sogni, con altri amici, un po’ vuoti, un po’ meno incerti di allora, senza più promesse da mantenere. Altrove, lontani dal mondo, senza più avere come sfondo la loro romantica Francia. Adulti, con una vita che li avrebbe portati inevitabilmente ad allontanarsi.
Quella prospettiva non gli piacque e lo spaventò terribilmente.
« Torahiko » la voce di Lucas lo riportò al presente.
« Sì? » rispose.
« Non è il temporale a farmi paura » confessò Lucas.
« E allora cos’è? »
Qualcosa dentro Lucas si ruppe. Torahiko lo sentì nel tono della sua voce.
« Non ricordo più il volto di mia madre ».
Il vento gelido portato dalla pioggia colpì in pieno viso Torahiko come uno schiaffo, poi si insinuò sulla sua pelle e al di sotto e lo gelò completamente.
Torahiko non sapeva molto dei genitori di Lucas, a dirla tutta: sapeva che la madre era morta quando lui era molto piccolo – prima che si conoscessero, e che Lucas aveva i suoi occhi. Sapeva che il padre di Lucas era sempre in giro per lavoro. A Torahiko non sembrava di averlo mai incontrato se non negli sporadici racconti dei nonni di Lucas quelle volte in cui si era trattenuto a cena a casa loro.
Torahiko ripensò a tutti i litigi avuti con sua madre negli ultimi tempi ed egoisticamente si sentì grato di poter discutere ancora con lei. Decise che una volta tornato a casa l’avrebbe abbracciata forte e avrebbe rimesso in ordine la stanza, così lei sarebbe stata contenta.
« Lucas! » esordì Torahiko, spezzando quel pesante silenzio. Pensò al desiderio di sua madre di comprare un’infinità di girasoli. Di ridipingere le pareti di casa. « Raccontami una storia! »
Lucas aggrottò le sopracciglia. Poi arrossì leggermente. « Non conosco molte storie… » ammise, sentendosi un po’ colpevole per non riuscire a soddisfare la richiesta del suo amico.
Torahiko si morse l’interno della guancia. « Allora inventiamone una insieme! »
Affrontarono così le intemperie. Lucas iniziò la storia con una principessa, Torahiko gettò un drago, Lucas decise di ambientarla in un castello maledetto.
Quando Torahiko vide sorridere Lucas poté ritenersi soddisfatto.
«Da grande » iniziò, facendosi trascinare dal loro racconto « voglio scrivere libri di favole! E voglio anche illustrarli! »
Lucas brillò a quella notizia. Sapeva che se Torahiko avesse iniziato a scrivere e disegnare nessuno lo avrebbe più fermato. Sarebbe stato capace di conquistare il mondo.
« E tu cosa vuoi fare da grande? »
Lucas fece ciondolare il capo scuro « Non lo so » grattò via uno scheggia dal pavimento « Non ho un sogno in particolare ».
Lucas vedeva il suo futuro piuttosto grigio. Nel peggiore dei casi avrebbe preso quello che allora era il posto di suo padre. Nulla di emozionante. Nulla di bello o sentito. Tutto piatto, come il resto della sua vita.
Ma quella fonte di luce nel buio seduta davanti a lui parlò e si rivelò incredibilmente radiosa ancora una volta « Secondo me farai qualcosa di bellissimo! »
Allora Lucas si concesse di sognare. Si diede il permesso. Si disse che, per un solo attimo, non avrebbe fatto male. E quindi spiegò le ali. « Mi piacerebbe entrare a far parte di una band... » diede voce a quella che fino ad allora non era stata altro che una fantasia « Scrivere canzoni, suonare, esibirmi... »
Ebbe un po’ paura di volare così, all’improvviso, ma quando vide l’espressione sognante e meravigliata di Torahiko sentì il cuore sfarfallargli nel petto. Si sentì invincibile, durò solo un attimo, e fu appagante e bellissimo.
« Che figo! »
Lucas si sentì davvero compreso e annuì vigorosamente « Sì! » e più timoroso chiese « Tu verresti ai miei concerti...? »
« Sempre in prima fila! » rispose Torahiko, come se quella risposta fosse la più ovvia al mondo. Come se Lucas non avesse neanche dovuto porgli quella domanda. « Sarei il tuo fan numero uno! » continuò. Riusciva a vedere un Lucas più adulto sul palcoscenico, circondato da luci psichedeliche, con uno schiero di fan a urlare il suo nome. Lui sorrideva un po’ impacciato mentre un componente della sua band gli dava una pacca sulla spalla congratulandosi con lui per il lavoro svolto alla perfezione. Riusciva a vederlo perfettamente. Ed era bellissimo. « Anzi, sono già il tuo fan numero uno! » si corresse, ancora schiavo di quella visione.
Lucas sentì che era possibile, che forse la sua vita non sarebbe stata così vuota. Che con Torahiko accanto pronto ad incoraggiarlo e a credere in lui (anche quando lui stesso non riusciva a farlo) tutto sarebbe stato possibile.
Un tuonò rimbombò poco lontano da loro. Lucas fu scosso da un tremito.
« Lucas » prese coraggio Torahiko « voglio dirti un segreto anche io ».
Lucas si limitò ad annuire.
« Però devi chiudere gli occhi »
« Eh? Perché? »
« Tu fallo e basta »
Lucas sbuffò e fece come gli era stato detto.
Torahiko fece un respiro profondo e nonostante Lucas avesse chiuso gli occhi gli posò comunque una mano sulle palpebre abbassate. Lucas lo lasciò fare. Torahiko si chinò in avanti. Non poteva essere così difficile.
Sentì il cuore fare le capriole quando le sue labbra si posarono su quelle di Lucas. Lucas aveva le labbra morbide e dolci come la marmellata di cui sua nonna farciva i dolci che preparava per loro. Baciare Lucas in quella costruzione dipinta da loro sotto il sole cocente fu come l’esplosione dei fuochi d’artificio del festival a cui erano andati solo qualche giorno prima.
Torahiko sentì Lucas trattenere il fiato, gli rubò un istante brevissimo ma per entrambi sembrò un’eternità.
Quando finalmente si guardarono erano entrambi paonazzi – e Torahiko pensò Lucas sarebbe svenuto proprio lì davanti a lui.
« Oh! » Torahiko portò gli occhi rossicci verso l’esterno « Non piove più! » annunciò, tentando di sciogliere la tensione.
« Uh... uh... » riuscì a balbettare Lucas, mentre il suo amico sgusciava al di fuori della casetta.
« Torniamo a casa », gli disse Torahiko, allungando una mano verso di lui. Lucas ci mise un po’ ma alla fine l’afferro, uscendo e rimettendosi in piedi. Si passò le mani sulla maglietta, cercando di ridarsi un contegno, di pensare a qualsiasi cosa che non fosse le labbra di Torahiko.
Era davvero successo? Non l’aveva immaginato, vero?
« Ho voglia di parfait » gli disse Torahiko.
Lucas ci pensò per un attimo « Anche io ».
Torahiko ghignò « Chi arriva ultimo paga per entrambi! » e detto ciò iniziò a correre, lasciando Lucas incredulo alle sue spalle.
« Aspetta! Così è sleale! »
Corsero tra le pozzanghere, tra il profumo della pioggia ancora impigliato tra le foglie del vigneto, tra i raggi del sole che facevano capolino illuminando due germogli in procinto di nascere e lasciare il loro segno nel mondo.
 
I love how you play along with my bad ideas,
before you grow up and realize they are bad ideas.
(And in our times together I have many bad ideas.)
 
Lucas era consapevole di star combattendo una guerra persa fin dall’inizio. Estenuato si passò una mano tra i capelli, dando vita ad un rumoroso sospiro.
Torahiko, seduto di fronte a sé, se ne stava in silenzio. Troppo in silenzio. Lucas sperò dicesse qualcosa – qualsiasi cosa – gli mancava il suono della sua voce allegra e squillante, la sua voce che gli parlava di arte e colori e esplosioni, la sua voce che gli raccontava di animali mai visti prima.
Alla fine fu lui a parlare « Non puoi partire ».
« Invece posso ». Non era quello che Lucas voleva sentire.
« Forse non ti rendi conto della gravità della situazione! »
Era difficile per lui restare calmo quando tutto sembrava sfuggirgli via dalle mani. Sua madre. Suo padre. Torahiko in quel momento.
La verità è che aveva paura di perderlo. E aveva paura di come avrebbe reagito se fosse successo. Non voleva avere controllo sulla sua vita, semplicemente farlo ragionare.
Ma per quanto cercasse di ignorarla Lucas la sentiva, annidata dentro di sé: la paura di restare solo ancora una volta.
« Me ne rendo conto, invece » Torahiko evitava il suo sguardo, parlava in modo lento, gli venne in mente la prima volta che aveva visto Lucas per i corridoi dell’accademia e non era riuscito a fermare il sorriso salito alle sue labbra in quel frangente « Non sono così inaffidabile »
« Davvero? Perché da come ti stai comportando non si direbbe affatto »
« Lucas— »
Lucas si sentì fremere, si alzò, recuperò la sua giacca abbandonata in precedenza su una sedia e se la gettò frettolosamente sulle spalle. Torahiko percepì qualcosa spezzarsi nell’aria. Sentì che se Lucas avesse oltrepassato quella porta qualcosa si sarebbe inevitabilmente rotto e nessuno dei due sarebbe stato capace di aggiustarlo. Di fare un passo indietro e tornare a qualche giorno prima, a quel pomeriggio sul divano troppo piccolo per entrambi, alla vernice rossa sulle guance di Lucas, al suo sorriso, alla sua schiena coperta di vernice e alla cascata di colori sotto la doccia.
« Mi sembra abbastanza chiaro che tu non voglia ascoltarmi » iniziò Lucas, il tono pungente per cui Torahiko l’aveva preso tanto in giro in ogni sua discussione con Leon «Io vado a casa ».
Si dice che l’intero mondo possa capovolgersi nel battito d’ali di una farfalla. Che si possa scatenare un uragano dall’altra parte del mondo.
Che tutto possa diventare niente in un battito di ciglia.
« Lucas... »
« Ci vediamo. Fai buon viaggio. »
Il silenzio fu tutto ciò che avvolse Torahiko quando Lucas si chiuse la porta alle spalle. Prese in considerazione l’idea di seguirlo, poi si convinse che non sarebbe servito a nulla; avrebbero continuato a litigare ancora più a lungo e il giorno dopo Torahiko sarebbe partito lo stesso.
Partire.
Gli occhi rossi del leader degli ArS guizzarono al biglietto adagiato accanto alla tavolozza, Torahiko desiderò si riducesse in cenere sotto il suo sguardo. Era stato quel pezzo di carta il motivo del loro litigio.
Lucas si era lasciato prendere dal panico nel leggere la destinazione: negli ultimi tempi i giornali erano stati pieni zeppi di avvertimenti a riguardo, c’erano stati programmi speciali, una lista di vittime e di dispersi. La guerra non ha mai fatto preferenze tra turisti o residenti ed era stato questo a terrorizzare Lucas: l’idea che Torahiko partisse e non tornasse mai più.
Lucas camminava a passo svelto nell’aria fredda della sera, si strinse maggiormente la sciarpa attorno al collo, ricacciò indietro il nodo stretto in gola. Si sentiva soffocare. Gli tremarono le gambe.
Crudele e spietata la sua mente gli offriva una serie di immagini di tutte le peggiori possibilità. Non voleva privare Torahiko della sua libertà – era stata la cosa che maggiormente lo aveva affascinato di lui – ma voleva proteggerlo. A suo modo. Nel suo piccolo. Doveva essere la ragione lì dove la libertà di Torahiko prendeva troppo il sopravvento.
Il ricordo delle labbra di Torahiko sulle sue lo colpì in pieno volto come l’odore di dolci della panetteria che superò di tutta fretta.
Attraversò la strada mischiandosi alla calca serale e ripensò a quando Torahiko lo aveva scorto nel bar a leggere uno dei suoi libri. A quando avevano dipinto insieme per la prima volta. A quando, il giorno dopo, aveva avuto abbastanza coraggio da prendere il posto migliore sul palco e aveva suonato con tutta la forza presente nel suo corpo.
Ad esibizione terminata, in quel secondo di silenzio tra la fine della canzone e la reazione del pubblico, quell’attimo che segna l’inizio di una gioia immensa, si era sentito esausto e sfinito ed era stato meraviglioso. Il pubblico si era infranto come un’onda violenta in una miriade di applausi e fischi e Lucas aveva sentito di possedere il mondo tra le mani.
Si era sentito libero come mai in vita sua. E lo doveva a Torahiko.
Passò di fronte all’insegna colorata del konbini e vide la casa di Noah svettare imponente. Si rese conto di aver camminato troppo velocemente solo quando si fermò a riprendere fiato, i polmoni in fiamme, gli occhi velati di lacrime.
Aveva paura— no, era terrorizzato.
Non voleva perderlo. Non voleva perdere l’unica persona che gli era stata accanto quando la sua vita era stata una discesa nel baratro. Quello scrittore a suo tempo anonimo, ora un ragazzo dal sorriso contagioso, circondato dai suoi meravigliosi colori, ora rannicchiato sullo stesso divano dove si erano scambiati sospiri e gemiti sulla pelle calda solo pochi giorni prima.
Torahiko si alzò, spense le luci e si diresse in camera sua senza fermarsi quando Kyousuke lo chiamò dalla cucina. Sbatté la porta e il ragazzo dai capelli rosa si sentì invadere da così tanta tristezza che non riuscì a disegnare per il resto della serata.
Accartocciò il foglio e lo gettò nella pattumiera prima di imitare il suo leader e chiudersi in camera sua, tutto ciò che poteva fare, come gli altri, era aspettare il giorno seguente.
 
Quella notte Torahiko dormì poco e fece sogni agitati.
Sogni in cui Lucas attendeva con ansia sue notizie, in cui non riusciva a concentrarsi sulle prove, in cui sbagliava il testo della canzone durante un’esibizione. Sogni in cui Lucas rispondeva al telefono e il suo cuore smetteva di battere. Sogni in cui Lucas pregava fosse solo uno scherzo.
Sogni in cui Lucas gli chiedeva di non lasciarlo solo.
Non lasciarmi solo anche tu”.
Si svegliò un’ora prima della sua sveglia e il suo primo desiderio fu quello di abbracciare Lucas. Ma Lucas non era lì con lui. Lucas non si era fermato a dormire e la sera prima non si erano salutati nel migliore dei modi.
Non c’erano stati baci morbidi e il suo sorriso e Torahiko che lo convinceva a passare la notte con lui – “solo per stanotte” gli avrebbe sussurrato se fosse stato un giorno come un altro e Lucas avrebbe sorriso rispondendo “lo dici ogni volta” e alla fine sarebbe rimasto.
Gli sembrava strano svegliarsi senza il suo calore al suo fianco o senza un messaggio ad illuminare il display del cellulare.
Disattivò la sveglia e nascose il viso sotto il cuscino.
 
Torahiko se ne stava con una mano nella dispensa alla ricerca dei biscotti al cioccolato quando la voce di Shiki lo distrasse « Tora » disse, semplicemente, solo il suo nome. Eppure in quelle quattro lettere Torahiko lo sentì implorare. A quante persone aveva fatto male in quegli ultimi giorni annunciando il suo viaggio? Preferiva non pensarci.
« Non dire nulla » lo ammonì Torahiko posando la confezione di biscotti sul ripiano e chiudendo la credenza.
Shiki sospirò. « Ti prego, cerca di essere ragionevole, non— »
« Shiki » Torahiko era stanco. Aveva dormito per poco più di due ore, male, continuando a svegliarsi e a rigirarsi nel letto e il volto sofferente di Lucas non l’aveva lasciato neanche per un attimo. Non poteva dire di non essersela cercata « Non ho intenzione di partire ».
« Oh grazie al cielo » tremò la voce di Akio.
« Finalmente ha detto qualcosa di intelligente » commentò Raku.
« Era anche ora! » si accodò Kyousuke.
« Non si azzardi più a farmi preoccupare così, non fa bene alla mia pelle! » concluse inorridito Hikaru.
Torahiko guardò Shiki. Lui si limitò ad alzare le spalle in risposta.
« Non si origlia! » li riprese il loro leader.
Kyousuke aprì la porta quel che bastava per far capolino, gli fece una linguaccia e la richiuse velocemente. Torahiko era sicuro di averlo visto sorridere.
 
« Si può sapere cosa avete combinato?! »
La Producer si sforzò di rivolgersi ai due ragazzi con tono severo, ma quello che si ritrovò davanti ai suoi occhi era troppo perché non si meravigliasse.
Seiya e Leon se ne stavano accomodati su uno dei banchi, soddisfatti del loro duro lavoro. Uno dei banchi. Perché tutti i banchi erano stati portati all’esterno dell’edificio e utilizzati per barricare l’entrata. Nessuno quella mattina avrebbe preso parte alle lezioni apparentemente.
« Cosa sta succedendo? » domandò Shiki alle spalle della Producer. La giovane si voltò immediatamente, senza sapere se essere lieta o meno dell’arrivo degli altri.
« Perché non lo chiedete a loro? »
« Oh, eccolo, eccolo! » Leon balzò in piedi sul banco appena Torahiko entrò nel suo campo visivo, scattando come una sentinella, e la Producer si portò una mano tra i capelli, avvilita « Vogliamo solo impedire a lui » proruppe indicando la figura in rosso « di partire! Sta per fare una stupidaggine, Producer! » Seiya annuì per dargli manforte « Non può punire noi, è lui quello che va punito! »
« Leon ha ragione! »
« Mettete subito i piedi giù da quel banco! Tutti e due!”
« Eeeeek! Scusa scusa! »
Torahiko scoppiò a ridere. Una risata vera, liberatoria, genuina. Non poteva credere ai suoi occhi. « E il bloccare l’entrata alla scuola cos’ha a che fare con la mia partenza? »
« Non puoi partire senza la tua valigia! » disse Leon con tutta la naturalezza del mondo e un sorriso smagliante.
Torahiko smise di ridere di colpo, realizzando che la sua valigia si trovava al di là di quella barricata di banchi e sedie « State scherzando »
« No » disse Kyousuke.
« Per niente » gli fece eco Akio.
« Non stanno proprio mentendo! » brillò Hikaru.
« Per questa volta stanno dicendo la verità » rincarò la dose Raku.
Torahiko guardò Shiki. Shiki si strinse nella spalle. La seconda volta in giornata che desiderava saltargli sulle spalle e morderlo con tutta la cattiveria di cui sarebbe stato capace.
« Quindi siete tutti loro complici » concluse la Producer che a quel punto poteva fare ben poco se non rassegnarsi. Quando Noah e Akira si lasciarono sfuggire un “fufufu~” divertito, lei li fulminò con lo sguardo.
« Ragazzi, » decise di annunciare in quel momento Torahiko « non ho intenzione di partire, avevo già cambiato idea. Ma devo riconoscere che siete stati ingegnosi. »
Leon batté il palmo aperto sul banco « Finalmente qualcuno che apprezz— aspetta, cosa? »
Calò il silenzio mentre tutti metabolizzavano la notizia. E quei pochi che ancora non ne erano al corrente si lasciarono andare ad uno stuolo di “grazie al cielo” e “meno male” e sospiri di sollievo. Anche la Producer aveva l’aria di qualcuno a cui avevano appena dato la notizia migliore degli ultimi tempi.
Seiya e Leon saltarono in piedi sul banco ululando un “yauuuu!” e si abbracciarono.
Mentre la Producer sgridava nuovamente i due giovani Torahiko si accorse della mancanza di una persona. Tutti gli IB erano presenti. Ma non lui.
« Dov’è Lucas? »
Noah lo guardò confuso « Pensavamo fosse venuto da te » disse « per— sai, convincerti a non partire ».
Chaoyang fece un passo avanti timidamente « Mi sono svegliato prima degli altri... » lo informò « ma Lucas era già uscito. Il maggiordomo ci ha detto che è andato via molto presto stamattina... »
Rabi rafforzò la versione dei fatti aggiungendo « Pensavamo tutti fosse da te ».
« Beh, » si intromise a quel punto Akira, rimasto in silenzio fino a quel momento, col bicchiere di caffè nero e fumante tra le mani « se la mettiamo così allora c’è solo un posto in cui potrebbe essere. »
Seiya e Leon si guardarono terrorizzati. Entrambi avevano pensato la stessa cosa: “holy shit l’abbiamo rinchiuso nella scuola”.
Noah sorrise, prendendo il cellulare dalla tasca « Ci servirà un passaggio per l’aeroporto ».
 
L’aeroporto distava circa un’ora dall’accademia. Torahiko si faceva largo tra la gente senza voltarsi e senza chiedere scusa, fermandosi solo quando si ritrovò di fronte ai tabelloni illuminati ad annunciare a caratteri cubitali gli orari di partenze ed arrivi. Famiglie che si riunivano, amici che si separavano, vite che si incrociavano. Il suo volo sarebbe partito in una quindicina di minuti. Riprese a correre tra la gente.
« Torahiko » la voce di Noah. Si bloccò immediatamente. Poi si rese conto che quella voce non veniva da una presenza accanto a lui, no— veniva direttamente dagli altoparlanti all’interno dell’aeroporto « e Lucas » continuava il leader degli IB. Torahiko sorrise. « Siete pregati entrambi di presentarvi ora all’entrata. Vi ringrazio. »
« Nishishi~! » fu l’unico commento di Torahiko prima di spostare la sua meta verso l’entrata. Superò una coppia di studenti intenti ad abbracciarsi forte, fortissimo, come a non volersi lasciare andare mai più.
E quando raggiunse Lucas lui fece lo stesso: gli passò le braccia attorno al collo e lo abbracciò prima di fare qualsiasi altra cosa, prima di parlare, prima di chiedergli scusa. Lo strinse così forte da sentire le braccia indolenzite. Si sentì rassicurato solo quando Lucas fece lo stesso.
« Mi dispiace » farfugliò senza lasciarlo « mi dispiace averti fatto preoccupare in questo modo, mi dispiace tanto ».
« Va tutto bene » rispose Lucas mentre scioglievano quella presa di ferro « ma il tuo volo— »
« Non parto » gli riferì Torahiko con un gran sorriso. Fu Lucas a gettargli le braccia al collo stavolta.
La mente di Torahiko andò al sogno di poche ore prima, alla voce di Lucas che, spaventata e rotta dal pianto, gli chiedeva di non abbandonarlo. In quell’abbraccio chiuse gli occhi.
Fu Noah a rovinare la magica scenetta, tossicchiando rumorosamente « Eri per caso pronto a partire, Lucas? » domandò lanciando uno sguardo eloquente al borsone ai piedi dei ragazzi. Torahiko si accorse della sua presenza solo in quel momento e rivolse a Lucas un’espressione interrogativa.
Lucas arrossì. « Beh... Se proprio volevi partire avevo pensato di… di venire con te » confessò, con non poca fatica.
Di fronte a gente in ritardo per le loro partenze e ad un Noah che roteò gli occhi verso il terso cielo del mattino Torahiko baciò Lucas. Per giorni non aveva potuto farlo e gli era mancato incredibilmente, il desiderio sembrava starlo logorando. Quando le labbra di Lucas si schiusero con le sue ritrovò la pace e tutti i colori andarono al posto giusto.
Noah tossicchiò di nuovo. « In ogni caso, » disse quando i due si staccarono « visto che siete qui perché non vi prendete un giorno di pausa? Farvi un breve viaggetto non nuocerà a nessuno dei due. »
Torahiko si mostrò entusiasta all’idea. Lucas, avuta l’approvazione del suo leader, non ebbe motivo di rifiutare.
« Non credo qualcuno sentirà la vostra mancanza oggi... » continuò Noah, lanciando uno sguardo allo schermo del cellulare. Fece una smorfia al selfie che Leon e Seiya gli avevano appena inviato. Salvò la foto e ripose il dispositivo nella tasca dei pantaloni della divisa scolastica « Visto che saremo tutti occupati a sistemare il danno fatto da Seiya e Leon. »
Lucas aggrottò le sopracciglia « Cos’hanno fatto Seiya e Leon? »
« Uhm, » mugugnò Torahiko, caricandosi il borsone di Lucas in spalla con una mano e passandogli il braccio libero attorno al collo, inidirizzandolo verso l’interno dell’aeroporto « diciamo che— oh, abbiamo un po’ di tempo da passare insieme io e te, te lo racconterò mentre siamo in viaggio ».
 
When we meet as adults you’re always much more discerning. I don’t blame you.
Yet, always, you forgive me.
 
« Torahiko, non puoi continuare a comportarti così. »
« Lo so. »
« No, tu non lo sai! » la voce di Lucie era la voce di chi è stanco di dover combattere per le stesse cose giorno dopo giorno. La voce stanca di chi ha paura di non essere ascoltato. « Se tu lo sapessi non saremo qui ad avere questa discussione ancora una volta! »
Lui non poté fare altro che restare in silenzio di fronte a quelle accuse. Lucie odiava quando lo faceva. Quando stava zitto. Avrebbe preferito che si arrabbiasse e le rispondesse a tono, che le dimostrasse di aver torto. Ma non era mai così. E lei iniziava a sentirsi esausta.
« Io... » iniziò, si fermò nuovamente, alla fine prese posto sul letto accanto a lui « Io non voglio privarti della tua libertà, Torahiko » mormorò.
« Non l’hai mai fatto » ribatté immediatamente lui.
Lucie ripensò a quel ragazzo conosciuto durante un viaggio all’estero, a quel ragazzo che l’aveva riempita di complimenti facendola sentire la più bella – e imbarazzata – dei dintorni, a quell’appuntamento a cui aveva detto di sì e a cui si era presentata in ritardo perché aveva passato troppo tempo a decidere come vestirsi. Si era azzardata a lasciare i capelli sciolti e Torahiko l’aveva guardata come la più bella tra le opere d’arte.
Avevano parlato di quadri, di musica, di libri. Avevano camminato sulla spiaggia, avevano ammirato i colori dei fuochi d’artificio e lei l’aveva spinto in acqua. Si era divertita, si era sentita viva, si era sentita libera.
Torahiko le passò un braccio attorno alle spalle e si accorse di quanto Lucie fosse fragile tra le sue braccia. In un primo momento lei desiderò allontanarlo, ma alla fine non lo fece. La voglia di sentirlo vicino prevalse su quella che desiderava invece tirargli un pugno dritto sul naso.
« Ho paura » gli confidò lei, stringendosi contro il suo petto. Torahiko pensò alla prima volta che avevano fatto l’amore e a come Lucie gli si era rannicchiata contro una volta finito e lui si era innamorato di lei una seconda volta.
« Non devi »
« Ma io ho paura » ripeté in un sussurro « ho paura che un giorno uscirai da quella porta e non tornerai mai più »
« Ehi, » Torahiko le prese il volto tra le mani e si perse nei suoi occhi. Lucie era bellissima. Torahiko si era innamorato della sua aria arrabbiata, della sua aria sognante, della sua aria rapita dal mondo. Si era innamorato della luce nei suoi occhi, delle sue labbra contratte, dei suoi sorrisi che sbocciavano sempre quando meno se l0 aspettava. Si era innamorato di quella sconosciuta che guardava fiori ad una bancarella di un mercato di strada. Si era innamorato della sua pelle nivea, del modo in cui i capelli raccolti in una coda le scivolavano sul collo, e dello sguardo confuso che gli aveva lanciato quando le aveva rivolto la parola.
Era stato amore a prima vista. Innamorarsi di Lucie non era stato difficile, non era stato rumoroso, non era stato uno scoppio di fuochi d’artificio ma più un calmo e rassicurante infrangersi delle onde sulla riva al tramonto. Era stato un dolce sfiorarsi di mani. Era stato un “oh, finalmente ti ho trovata. Dove sei stata tutto questo tempo?” « Tornerò sempre da te ».
Lucie chiuse gli occhi e spinse la guancia contro il palmo della sua mano destra. Aveva sentito la sua mancanza durante l’ultima settimana.
« Mi è sempre piaciuto il tuo essere libero » ripensò alle lettere, alle email, alle chiamate, ai messaggi, agli ultimi baci rubati all’aeroporto prima dell’imbarco. Ripensò al giorno in cui avevano deciso di crearsi una vita insieme, in un piccolo appartamento. « Ma io ho— » si fermò. Fece un respiro profondo e in quell’impeto di coraggio prese una mano di Torahiko e se la posò sulla pancia. « noi, » si corresse, le tremava la voce « abbiamo bisogno di te qui. Ora. »
Lucie riaprì gli occhi solo in quel momento. Torahiko la stava fissando in silenzio ad occhi sbarrati.
« Aspetta... aspetta... hai detto... noi? »
Lucie annuì lentamente.
« ... noi? »
Lei annuì nuovamente, stavolta senza riuscire a trattenere un enorme sorriso. Comparì sulle sue labbra, dolce come l’arrivo della primavera.
«Noi… »
« Torahik— »
Lui la baciò di slancio e lei si ritrovò premuta contro il morbido materasso del letto. Lei rise tra le sue labbra, felice. Torahiko le baciò le guance, la fronte, la punta del naso, il collo. « Hai detto noi. Noi. » Lucie non ricordava l’ultima volta che l’aveva visto sorridere in quel modo « Saremo una famiglia? Davvero? »
Tutta la stanchezza e la tristezza sparirono dal suo volto « Sì. Davvero. »
« Hai paura? »
« Un po’ » ammise lei « e tu? »
« Un po’ » ammise lui « Possiamo avere paura insieme »
« Possiamo »
Torahiko posò la testa sul suo grembo e Lucie gli carezzò i capelli. Per qualche minuti si fecero cullare solo dal rumore dei loro respiri.
« Ho paura sarò una pessima madre » gli confidò Lucie in un sussurro « non so come si faccia ad essere una madre. Non ho mai avuto qualcuno che mi insegnasse come si comporta una madre. »
Lui cercò la mano minuta di lei e intrecciò le loro dita « Sono sicura che il bambino ti adorerà »
Lucie storse il naso e Torahiko salì a lasciarle un bacio leggero sulle labbra. « Ce l’hai con me? »
« Ora no »
Torahiko sorrise « Ti sei sentita sola? »
Lucie si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio « Non particolarmente » rispose facendo vagare gli occhi rossicci sul soffitto « Lo sai che mi piace avere i miei spazi » era uno dei motivi per cui Torahiko l’aveva definita “la sua lupetta solitaria di cui prendersi cura” « Ma c’erano volte in cui volevo abbracciarti e non potevo » sussurrò, facendo dondolare le gambe come una bambina.
« Prometto che sarò più presente » soffiò sulle sue labbra « Per te— per voi. »
Lucie sentì il cuore sciogliersi quando Torahiko le posò una scia di baci sul collo « Per noi » miagolò.
Una mano calda scivolò sotto la sua maglia « Lucie »
« Uhm? »
« Je t’aime » Torahiko sorrise contro la sua pelle calda solleticandole un fianco.
Lucie rise e fu come l’esplodere di un campanellino « Je t’aime ».
 
As if you understand what’s going on, and you’re making up for
all the lifetimes in which one of us doesn’t exist,
and the ones where we just, barely, never meet.
 
« Ehi, bella signorina! »
Dapprima Lucie lo ignorò. Poi, lanciando uno sguardo veloce nei dintorni, si rese conto che quell’artista di strada non poteva star parlando con nessuno se non con lei. Si voltò solo per metà, lanciando a quel ragazzo uno sguardo interrogativo a cui lui rispose con un enorme sorriso – il migliore del suo repertorio. Lei non sembrò abboccare all’amo, e gli scoccò infatti uno sguardo freddo e disinteressato « Cosa c’è? »
Nishishi! Sembra proprio un piccolo lupo!” « Le hanno mai detto che lei è davvero bellissima? »
Lucie tentò di mantenere la sua espressione scostante, ma a quel complimento vacillò (solo un pochino!) « … questa è la parte dove mi tocca ringraziarti, giusto? » farfugliò, incrociando le braccia al petto.
L’artista dai capelli rossi sorrise « Così vogliono le buone maniere » rispose semplicemente « Non l’ho fatto per avere dei ringraziamenti, solo perché la trovo davvero molto bell— »
« O-ok, ok, ho capito! » Lucie desiderò poter sprofondare pur di nascondere il proprio imbarazzo a quello sconosciuto. Lui, invece, ghignava tranquillo e felice. « Vorrei dipingerti » esordì il ragazzo di fronte agli occhi luminosi di lei « Me lo permetteresti? »
Lucie strabuzzò gli occhi. Per cos’altro avrebbe potuto fermarla un’artista di strada? Eppure l’idea non le era balenata affatto in mente. Si torturò il cinturino del vestito blu con le unghie. « No, non credo sia una buona id— »
« Eeeeh? » esplose una voce alle spalle della ragazza. Lei sobbalzò, voltandosi immediatamente. Poi, riconoscendo la fonte, sospirò « Perché no? Sarebbe una cosa carina! » Leon le picchiettò la fronte con l’indice e lei scacciò via la mano del ragazzo come se stesse cercando di far volare lontano un moscerino fastidioso.
In quel momento Torahiko vide avvicinarsi altre tre ragazzi e una ragazza minuta quanto Lucie, circondata da fluenti capelli rosa. Fu il più alto di tutti a rivolgergli la parola in un francese troppo duro e trascinato « Ti stanno infastidendo per caso? »
« Oh, assolutamente no! » lo rassicurò l’artista con un gran sorriso. Li catalogò immediatamente come turisti. « A dire il vero ho fermato io la vostra amica: volevo farle un ritratto » confessò, guardandola con la coda dell’occhio: la ragazza dai capelli rosa le stava sussurrando qualcosa all’orecchio e Lucie si portò una mano alla fronte con fare sconsolato « Ma lei non sembra molto d’accordo »
« Lucie è fatta così, sta sempre molto sulle sue » commentò un altro ragazzo del gruppo. Poi spostò le sue attenzioni dall’artista ai suoi quadri, indicò una tela raffigurante un grosso panda e si allontanò per strattonare Rabi per un braccio « Ehi, guarda, questo sembri tu! » disse.
Rabi guardò il quadro interessato « Forse hai ragione, Clementi. Noto una certa somiglianza. »
« Lucie si potrebbe definire il lupo solitario del gruppo » si accodò il più elegante in quel gruppo giovane. Si sistemò gli occhiali da sole sul capo biondo e incuriosito lanciò uno sguardo ai quadri esposti attorno al ragazzo dai capelli rossi « Sei davvero molto bravo »
« Grazie!~ »
Nella sua mente ripeté il nome della ragazza: Lucie. Lucie, Lucie, Lucie. Aveva un suono dolce, morbido. Aveva il suono della primavera. Pensò ad un campo di margherite, alla marmellata di lamponi, all’odore della pittura e alla prima pennellata della sua vita. Gli piaceva da matti.
Quelle sue romantiche associazioni sul nome del suo nuovo colpo di fulmine vennero interrotte dal ragazzo dai capelli rosa, che con le mani sulle spalle della giovane la spinse a sedersi sullo sgabello in legno riservato ai soggetti di Torahiko « Lei vuole un ritratto! » annunciò contento « Vero che vuoi? »
« Io— » tentò di ribattere la ragazza.
« Dovresti davvero farti ritrarre » concordò l’altra ragazza del gruppo « Sei così graziosa, un tuo quadro sarebbe adorabile»
I ragazzi – compreso l’artista artefice di quella situazione – annuirono all’unisono e vistosamente. Di fronte a quell’onda di complimenti Lucie avvampò.
Rabi diede una pacca sulla spalla dell’artista e Torahiko seppe di aver vinto. Le parole che seguirono servirono solo a confermarlo: « La lasciamo nelle tue mani, torniamo a prenderla dopo ».
 
[...]
 
« I tuoi amici hanno un accento strano. Nel senso positivo del termine— è carino. »
« Perché non sono francesi » rispose Lucie tranquillamente.
« Mentre tu…? »
« Io sono francese. Ma studio in Giappone, è così che ci siamo conosciuti. »
Torahiko tracciò la linea del candido collo di Lucie e lei continuò a parlare « Sono tutti di nazionalità diverse: Rabi e Clementi, i ragazzi più alti, sono russi; Noah, quello con i capelli biondi, è americano; Leon, l’idiota che mi ha praticamente costretta a stare qui, è inglese; mentre Chaoyang, la ragazzina più capelli che ossa e carne, è cinese. »
L’artista soffiò una risata alle sue ultime parole. Vide una luce guizzare negli occhi di Lucie e le sembrò ancora più bella. « Nishishi! Però, siete un gruppo assortito! E’ una cosa figa~ »
Fu il turno di Lucie di ridacchiare. Torahiko avrebbe potuto giurare che in quel momento un angelo avesse finalmente ottenuto le sue ali e il miglior posto in Paradiso. « Lo siamo » ammise « A volte è difficile, per via della distanza » piegò la testa da un lato, poi ricordò di dover restare immobile e tornò velocemente in posa « Quando siamo in Giappone durante i corsi è semplice tenersi in contatto, ma non possiamo mai passare le vacanze insieme. Così abbiamo deciso di fare un viaggio per visitare l’habitat di ognuno di noi. »
Torahiko la vide scegliere cosa mettere in valigia, fare una scelta dei voli adatti a tutti, caricare i suoi bagagli, correre per non perdere l’aereo, fare telefonate ai suoi parenti.
« Oggi è il nostro ultimo giorno in Francia. Domani partiremo per l’Inghilterra. »
Desiderò viaggiare con lei. Quell’illusione durò un istante.
Le sorrise « Allora sono stato fortunato ad incontrarti oggi, Lucie »
Lucie si trattene dal rivolgergli una smorfia infantile « Stai zitto e continua a dipingere » borbottò.
A Torahiko la Francia sembrò un po’ più bella quel pomeriggio.
 
[...]
 
« Oh! Quindi ti piace leggere? Cosa leggi di solito? » le domandò mentre definiva il colore del colletto del suo vestito.
« Mmh… Prediligo i non-fiction. E in particolar modo i noire. »
« A me piacciono molto le fiabe. »
Ci fu un attimo di silenzio.
« Prometti di non dirlo a nessuno? »
Lui sorrise complice al di là della tela « E a chi dovrei dirlo?~ »
« Piacciono anche a me » confessò lei.
Torahiko esultò come se avesse appena ricevuto la miglior notizia della sua vita « Lo sapevo! »
Lucie desiderò tirargli la borsetta in pieno volto « Shhh! Se i ragazzi lo sapessero non la smetterebbero di prendermi in giro! Dimenticalo! Fai finta che non ti abbia detto nulla! »
 
[...]
 
Lucie si era cambiata. Indossava un leggero abito bianco, la gonna le sfiorava le cosce. Seduta sul divano del salone osservava il quadro che i suoi nonni, entusiasti, avevano deciso di esporre.
Fu Rabi a raggiungerla. Si accomodò accanto a lei, porgendole un bicchiere di tè alla pesca. Lei lo ringraziò con un cenno del capo.
« Ti vedo distratta »
« Stavo pensando all’artista di oggi » confessò Lucie.
Rabi sorrise « Un tipo simpatico »
Lucie si strinse nelle spalle. Pensava esattamente lo stesso.
 
« Voglio che lo tenga tu »
Torahiko le aveva porto il lavoro finito. Il suo sorriso era esploso come tante piccole stelle nel campo visivo di Lucie. Aveva sentito le gambe tremare.
« No, no, non posso accettarlo così » aveva risposto immediatamente lei « Posso pagarlo! »
Le sue mani erano corse immediatamente ad aprire la borsa per frugare all’interno alla ricerca del portafogli e Torahiko aveva allungato una mano per fermarla. Si erano sfiorati. In quel contatto Lucie aveva sentito qualcosa. Non avrebbe saputo dire cosa esattamente, quale sensazione l’aveva avvolta; era stato strano, improvviso, era stato il riversarsi di diverse realtà in un unico, semplice, istante. Si erano allontanati di scatto, col fiato sospeso, osservandosi in silenzio.
Finché la voce di Leon, chiamandola, non aveva ridestato Lucie dal suo stato di trance.
« Non voglio soldi » le aveva sussurrato Torahiko alla fine, vicini, troppo vicini « Voglio solo che lo tenga tu »
 
« Non riesco a togliermi dalla testa l’idea di averlo già incontrato » gli confidò Lucie.
« Oh, davvero? E dove? » chiese curioso lui. Non capitava che Lucie parlasse spesso dei suoi dubbi, ma quando lo faceva Rabi e Chaoyang erano le persone con cui riusciva a sentirsi maggiormente a suo agio.
« E’ questo il problema, non lo so! Ma quando mi ha preso la mano io— » si zittì improvvisamente, desiderando scomparire. Si rese conto in quel momento di quanto quel discorso potesse risultare imbarazzante.
Si passò una mano tra i capelli sbuffando, cercando di ignorare il calore salito alle sue guance.
Ma in quel momento le tornò alla mente il sorriso splendente di quello sconosciuto artista di strada e la sua missione fallì « Forse mi sto sbagliando. Resta un tipo strano comunque. Uno che si firma Tiger Kid non può che essere strano. »
Rabi rise sotto i baffi « Secondo me sentiremo parlare di lui. Ha davvero del talento. »
Era bravissimo. Eccezionale. Lucie avrebbe comprato tutti i quadri esposti se ne avesse avuto la possibilità, era tentata di pregare Noah di farlo al posto suo, ma poi le era tornata in mente quella cosa a cui la gente comune si riferisce con l’appellativo di “dignità” e aveva cambiato subito idea. « ... Io non sono così bella » mormorò a se stessa, gli occhi scarlatti ancora fissi sulla tela raffigurante il suo volto.
« Evidentemente » commentò una voce alle loro spalle. Lucie sobbalzò e si voltò solo per incontrare il sorrisino eloquente di Clementi « per qualcuno lo sei »
Lucie non disse nulla.
Si alzò. Lentamente. E lasciò la stanza.
Al di là della porta chiusa sentì Rabi e Clementi ridere di gusto e li odiò come non aveva mai fatto in vita sua.
 
Torahiko guardò la luna prendersi il suo posto nel cielo della Francia, il vento gli scompigliò i capelli rossi.
Il sorriso di Lucie non aveva smesso di danzare neanche per un attimo nella sua memoria.
« Avrei voluto ci fosse stato concesso un po’ più di tempo in questa realtà, Lucie » mormorò alla stella più brillante della sera.
Sorrise malinconico.
Non importa, pensò, ci rifaremo la prossima volta.
 
I hate those. I prefer the ones in which you kill me.
 
E’ risaputo che il corso degli eventi non va mai come qualcuno spera o programma. Come qualcuno sogna o desidera con tutte le sue forze.
Lucas ebbe il terrore di affogare in tutto in quel rosso: nel rosso degli occhi di Torahiko, nel rosso dei suoi capelli, nel rosso delle sue labbra quando le tormentava con i denti nei momenti in cui era troppo concentrato per rendersene conto, nel rosso dei segni sulla sua pelle quando scoprivano insieme in quali punti i loro corpi si rivelavano maggiormente recettivi. Lucas ebbe il terrore di soffocare in quel rosso. Nel rosso che, in quel momento, stava abbandonando il corpo di Torahiko, formando un’enorme pozza intorno ad esso.
Lucas guardò il ragazzo sotto di sé: contrariamente a qualsiasi sua aspettativa vide un sorriso in quell’incubo. Torahiko sorrise al suo carnefice.
Lucas ricordava il giorno in cui gli era stata data la sua ennesima missione in quella che aveva rinunciato a definire vita molto, molto tempo prima. Aveva passato diversi minuti a guardare la foto del giovane ragazzo – non gli importava il perché dovesse farlo. Era diventato una macchina senza sentimenti impostata per eseguire gli ordini senza mai tirarsi indietro, un rifiuto della strada raccolto e cresciuto con il solo scopo di divenire una macchina da guerra, un vero gioiellino per i suoi padroni.
La prima regola che gli era stata impartita era stata la più facile: annulla i sentimenti. Il resto del mondo lo aveva abbandonato da così tanto tempo e per la superficie su cui posava i piedi ogni giorno non poteva far altro che provare un risentimento e un odio capace di divorare qualsiasi altra cosa.
Quell’odio aveva finito per tramutarsi in rassegnazione. Alla fine anche quella era andata scemando. Non gli era rimasto nulla. Lucas, nel suo spegnersi, aveva accuratamente costruito una corazza attorno a sé. Per difendersi da tutto. Per difendersi da niente.
“Torahiko Kusakabe” gli avevano detto quel giorno mentre i suoi occhi ancora vagavano sulla foto; dopo pochi secondi aveva annuito distrattamente, riposto la foto nella tasca dei pantaloni e aveva lasciato la sala. Era successo solo una settimana prima.
Lucas aveva smesso di definirsi umano da ormai molto tempo. Ma guardò Torahiko e sentì una vasta gamma di emozioni travolgerlo tutte insieme. Lo colpirono forte e all’improvviso ed ebbe paura di non poterne più uscire.
« Non— » un gemito di dolore uscì dalle labbra di Torahiko. Lucas sentì le budella contorcersi. « Non ci è andata molto bene stavolta, neh, Lucas? »
Lucas aveva seguito il suo obiettivo, come un segugio, l’aveva studiato, aveva imparato le sue abitudini. Dopo anni di addestramento non aveva avuto alcuna difficoltà.
Si dice spesso che il destino delle vittime sia quello di diventare a loro volta carnefice. Lucas era stato una vittima.
Della crudeltà dell’uomo? Sì.
Della crudeltà del mondo? Certo.
Della crudeltà del destino? Assolutamente.
Anche Torahiko pensò che chiunque stesse tessendo il loro filo ci stesse prendendo gusto a riservare loro angustie e tormenti. La sua sfrenata fantasia lo portò ad immaginare una strega malefica intenta a strappare il loro filo rosso e a ricomporlo e tagliarlo ancora una volta e attorcigliarlo.
Non aveva dubbi: la morte e la Vita-in-morte si stavano giocando l’esito del suo destino su di un’enorme scacchiera, accompagnando il loro malsano gioco con una fumante tazza di tè. Torahiko imprecò. Avrebbe avuto la sua rivalsa, un giorno. Oh, avrebbe ribaltato le cose, in un frammento più fortunato.
 
“Torahiko”
“Mh?”
“Tu credi negli universi paralleli?”
“Uh? Gli universi paralleli?”
“Gli universi paralleli. La teoria secondo la quale esistono diversi mondi uguali al nostro ma simili allo stesso tempo.”
 
Guardò Lucas. Un Lucas piccolo, spaesato, sconvolto, terrorizzato: era stato davvero lui a provocargli quella ferita mortale? Sarebbe davvero morto per mano sua?
Se questa non è una presa in giro bella e buona, pensò mentre uno spasmo gli scosse il corpo, non so davvero cos’altro lo sia...
« Cos’ho… fatto… » Lucas lo guardava ad occhi sbarrati « Oh mio Dio, cos’ho fatto— »
« L-Lucas, a-ascolt— » voltò il capo, sputò sangue, tornò a guardarlo « Ti ricord-i di me? »
Non glielo stava chiedendo da vittima seguita silenziosamente per sette giorni in ogni istante. Lucas lo capì. Gli sembrò assurdo. E annuì.
Anche Torahiko annuì e fece male.
« Io... e te » disse Torahiko con voce debole. Lucas avrebbe voluto dirgli di fare silenzio, di smetterla di sforzarsi, avrebbe voluto chiedergli scusa, implorare il suo perdono, ma una parte di lui sapeva di aver bisogno delle parole di Torahiko. Le ultime parole di Torahiko. In quell’universo. Aveva bisogno di aggrapparsi a loro, di graffiarle, di restarvi impigliato. « Ci— inc… » i lineamenti del volto di Lucas si fecero meno nitidi ad ogni parola. Torahiko strinse i denti, strizzò gli occhi.
Lucas singhiozzò. Fu forte, e doloroso per entrambi, Torahiko sentì calde lacrime cadergli sulle guance: non erano sue. Quando riaprì gli occhi e vide Lucas piangere si chiese come quella visione potesse distruggerlo più del dolore fisico. « Ci incontreremo ancora. Non sarà la nostra ultima v— nnh—volta. Lucas. Mi- credi? »
Lucas annuì.
« Ti prego parlami »
« Ti— » si fermò per asciugarsi le lacrime « Ti credo » un altro singulto « Oddio, mi dispiace così tanto— m-i dispiace— »
Debolmente Torahiko allungò un braccio verso il viso di Lucas e Lucas si chinò raggiungendo la sua mano a metà strada. Posò la guancia contro il suo palmo in un gesto bisognoso e disperato.
Non aveva mai visto Torahiko prima di quella settimana. Ma aveva amato Torahiko per tutta la sua vita.
Non in quel mondo.
Altrove.
Ovunque.
Da nessuna parte.
Si erano amati di più e di meno, si erano baciati, si erano odiati, si erano stretti troppo forte e troppo poco, erano stati tutto e niente.
« Me ne vado vedendo il tuo viso » il rosso vivo e caldo sulle labbra di Torahiko tentò di imitare un sorriso « Non è poi un così brutto modo di morire. »
« Sei-- un idiota » soffiò Lucas tra le lacrime per poi crollare sul petto di Torahiko. Si aggrappò disperatamente alla sua maglia e la mano di Torahiko si abbandonò tra i capelli scuri del ragazzino « Me l’hai… detto spesso… »
Odiò quel mondo. Non perché stesse morendo: la morte non gli faceva paura. Lui sarebbe vissuto per sempre nella sua arte. Sarebbe stato eterno. E avrebbe aspettato Lucas in un universo migliore.
Odiò quel mondo perché aveva strappato Lucas ad una vita serena. Lo aveva gettato nel peggior scenario possibile, gli aveva sottratto la possibilità di avere degli amici, di costruirsi un futuro, di poter suonare le sue amate canzoni, di leggere tutti i suoi libri preferiti.
Quel mondo non stava uccidendo lui: stava uccidendo Lucas. Lentamente. Dolorosamente. O forse lo aveva già fatto. E Torahiko lo odiò con tutte le sue forze.
« Ci incontreremo davvero? » gli chiese Lucas contro il suo petto. Ascoltò il debole battito del suo cuore. Ti prego, non portarmelo via, non ora. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace. « Davvero? »
« Mh-mh… »
Torahiko gli porse il mignolo. Lucas lo intrecciò col suo. Sarebbe stata la loro prima ed ultima promessa in quel frammento di vita.
« Baciami »
Lucas non poté fare a meno di mostrarsi incredulo « Stai- chiedendo al tuo assassino di baciarti...? »
Torahiko soffiò una risata. L’eco di una risata. Qualcosa che voleva, a suo modo, somigliare ad una risata. « Non— mi sono mai piaciute le regole, lo sai »
Lucas sorrise. Ci provò. Finì in una smorfia. Con delicatezza ripulì le labbra di Torahiko con la manica della sua maglia « Lo so. »
Si baciarono. Prima forte, fortissimo, in un solo istante. Più forte che poterono in quell’attimo rubato. Poi sempre più piano. Le labbra di Lucas erano esattamente come Torahiko le ricordava, le labbra di Torahiko erano esattamente come Lucas le ricordava. Senza saperlo. Non l’aveva mai dimenticato, senza saperlo. Non aveva mai smesso di cercarlo, senza saperlo. E senza saperlo l’aveva trovato e poi perso, in un attimo.
« Promettimi che mi cercherai »
« Te lo prometto »
« Che la prossima volta andrà meglio »
« Te lo prometto »
« Non lasciarmi »
Non lasciarmi solo anche tu”. Arrivò da lontano. All’improvvisò. Balenò tra i ricordi di Torahiko e com’era arrivato sparì.
Avrebbe voluto poterlo promettere.
La stretta della sua mano su quella di Lucas si allentò.
Ti amo.
« Ci rivediamo presto »
Non poteva promettergli di più.
Lucas lo capì ma non poté impedirsi di piangere più forte.
Ti amo anch’io.
« Ci rivediamo presto »
 
[...]
 
« Che fiori sono questi? » domandò Kyousuke con gli occhi rossi dal pianto, indicando con un cenno del capo i fiori solitari sulla tomba del suo amico.
Da quando Torahiko se n’era andato qualcosa si era spezzato in lui. In tutti loro. La vitalità degli occhi di Kyousuke e la luce emanata dalla sola presenza di Hikaru... Qualcosa si era spento. Senza Torahiko a guidarli e incoraggiarli non riuscivano più a brillare. Non sarebbero più riusciti a risplendere senza il sorriso contagioso del loro più caro amico.
« Asphodelus » rispose Shiki, stringendosi la sciarpa scura attorno al collo. Si guardò intorno sperando forse di identificare chi avesse donato quei fiori ancora freschi a Torahiko.
Raku fece la domanda che ronzava nella testa del ragazzo con gli occhiali « Secondo voi chi li porta? »
Kyousuke scosse il capo, sconsolato.
« Quei fiori… » continuò Shiki « hanno un significato particolare »
Kyousuke e Akio lo guardarono silenziosi in attesa, ma fu Hikaru a rispondere. La sua voce sempre piena di vita, squillante, allegra e di troppi toni più alti arrivò a tutti come un mormorio triste « I miei rimpianti ti seguiranno nella tomba. »
 
But when all’s said and done, I’d surrender to you in other ways.
Even though each time, I know I’ll see you again, I always wonder
is this the last time?
Is that really you?
And what if you’re perfectly happy
without me?
 
Nonostante la sua anima da sognatore Torahiko era perfettamente consapevole che la possibilità che le cose andassero come nelle più fervide delle sue immaginazioni fosse minima. Aveva cercato di dirsi che smettere di sperare era la cosa più gentile che potesse fare a se stesso, ma certe abitudini sono dure a morire.
Era sempre stato un sognatore e un’ottimista e per questo gettare la spugna era l’ultima delle sue opzioni. Eppure, quando aveva visto Lucas in compagnia della ragazza dai capelli lunghi e rosei, aveva capito immediatamente che quel mondo non era stato creato per loro. Che le loro strade erano state divise ancora prima di incrociarsi.
Solo guardandolo, di sfuggita, si era reso conto che per tutto quel tempo non aveva fatto altro che vivere in attesa. In attesa di incontrarlo.
Aveva gettato vernice fresca su tele immacolate, immerso i piedi nudi in acque cristalline, fotografato animali da qualsiasi parte del mondo — ma qualcosa mancava e poteva sentirlo. Non faceva male, era solo un leggero fastidio. Continuo. Costante. Per quanto Torahiko avesse provato ad ignorarlo durante tutti quegli anni erano stato comunque inutile.
Alle volte si faceva maggiormente presente, sembrava bussare alla sua porta per ricordargli la sua presenza, per ricordargli che prima o poi avrebbe dovuto trovare un modo per colmare quel vuoto.
Quando aveva visto il sorriso di Lucas si era chiesto cosa avrebbe mai potuto sostituire qualcosa di tanto splendente.
Torahiko cercava di mitigarne il rumore di quell’assenza occupando la mente con i paesaggi di cui i suoi occhi si facevano padroni. Si lasciava cullare dalla sicurezza dei suoi colori. Affondava il viso nel pelo morbido di animali feroci. Correva. Rideva. Libero, eppure alla ricerca.
La leggenda narra che per ogni persona vi sia una metà da cui è stata separata molto tempo addietro.
Torahiko non avrebbe saputo dire come aveva iniziato a ricordare, come quei sogni avevano smesso di essere sogni, come tutto si era fatto presente e vivido nella sua mente. Era iniziato con uno strano senso di dejà-vù a cui non aveva dato la dovuta importanza. Poi quelle sensazioni si erano trasformate in una valanga a cui non aveva potuto sottrarsi – vi si era ritrovato schiacciato senza via di fuga.
Aveva imparato a proprie spese cosa volesse dire portarsi quel peso sulle spalle. Il peso del sapere che, prima o poi, l’avrebbe incontrato. Il peso del sapere di essere l’unico a ricordare.
Ma si era fatto il torto peggiore: si era concesso di sperare. E la sua ingenuità gli si era ritorta contro.
 
Ah, but I don’t blame you; I’ll never burn as brilliantly as you. It’s only fair
that I should be the one
to chase you across ten, twenty-five, a hundred lifetimes…
 
Il cimitero era un tripudio di colori.
Fiori e significati nascosti, rimorsi, rimpianti, sentimenti mai detti ad alta voce per paura di fare troppo rumore, promesse mai mantenute, rancori mai sanati. Petali persi e calpestati, costretti a svanire troppo giovani per poterne sapere davvero del mondo.
Nella sua ingenuità Lucas pensò che quel posto avesse le fattezze perfette per essere ritratto su tela, ai suoi occhi scarlatti appariva come un'opera d'arte, un'esplosione di tonalità sullo sfondo nero e tetro degli abiti dei presenti. Si mosse silenzioso, col cuore in gola, non sentiva alcun rumore esterno: il suo stesso battito era troppo forte e sembrava inghiottire il resto del mondo.
Un tum-tum forte e fastidioso e prepotente. Un tum-tum che gli ricordava di essere ancora vivo mentre si muoveva lentamente tra la morte.
Una benedizione o una maledizione.
 
Tum-tum, tum-tum.
 
Fin da quando era solo un bambino erano sempre stati estremamente rari i giorni in cui, svegliandosi al mattino, Lucas riusciva a ricordare i suoi sogni. Per questo quando questi negli ultimi mesi erano diventati sempre più reali e sempre più ricorrenti il ragazzo aveva iniziato a pensare ci fosse qualcosa di strano. Apriva gli occhi e ricordava i dettagli: i suoni, i colori, a volte perfino gli odori. Ricordava i volti e le voci. Ricordava un ragazzo in particolare, lui, che appariva in ognuno di essi; i capelli rossi come il fuoco e il sorriso più luminoso che Lucas avesse mai visto nella sua giovane vita.
Ogni sogno era diverso ma la presenza di quello sconosciuto era la costante che li teneva legati.
Al risveglio gli sembrava di star dimenticando qualcosa. Un nome sulla punta della lingua che non voleva saperne di essere pronunciato, qualcosa in un angolo remoto della sua mente.
La sua immagine sfuggiva prima che potesse stringerla tra le dita.
 
Lucas sentì il respiro mancargli. Non sapeva cosa stesse cercando esattamente, ma era sicuro qualcosa lo stesse chiamando, sentiva una voce dentro la sua testa ripetere insistentemente il suo nome.
Una voce allegra, cristallina, l'inizio di una composizione, lo spuntare dell'arcobaleno dopo una pioggia torrida.
Una manciata di colori nel cielo. Un cliché, così banale, così reale, così vero.
Una voce mai sentita prima che si fece strada nella sua mente, come se fosse quella più familiare. Una voce che lo svegliava al mattino tra coperte candide, una voce che canticchiava sotto voce, una voce che gli diceva di prendersi del tempo e riposare quando era troppo immerso nelle sue canzoni.
Aveva il respiro pesante come se avesse corso per miglia. Di fronte a quella lapide gli sembrò di aver raggiunto la fine di un lungo viaggio.
 
Torahiko Kusakabe
 
Quegli occhi, gli stessi che aveva visto altrove, in sogni lontani, in quel momento lo fissavano dall'istantanea. Un frammento rinchiuso per sempre. Un pezzo di vita di cui non avrebbe mai più potuto far parte.
Lucas cadde in ginocchio, stanco e con la triste consapevolezza di essere arrivato troppo tardi.
Più si ostinava ad asciugare le lacrime calde e copiose sul suo viso più queste tornavano con maggiore forza.
E quei sogni smisero di essere sogni.
« Mi dispiace,» mormorò, tra i singhiozzi. Nessuno gli rispose, ma quelle parole non erano indirizzate a nessuno dei presenti. « Mi dispiace così tanto. » era sicuro di averglielo già detto. Sapeva di averglielo già detto.
« La prossima volta-» un'altra promessa. Torahiko, da un ricordo ancora non catalogato, sorrise nella sua mente; lucente come il Sole che era stato capace di portare nella sua vita ogni volta. In ogni universo in cui il miracolo della sua presenza gli era stato concesso. « ... la prossima volta ti troverò. Aspettami. »
 
… until I find the one where you’ll return to me.
 
« Ce ne hai messo di tempo! »
« Hai ragione. Mi dispiace averti fatto aspettare così a lungo. »
« Nishishi~! Non fa niente: ne è valsa la pena. »
« Lo pensi davvero? »
« Certamente! Dovresti dipingere con me ora! Per festeggiare~! »
« Mmh... Perché no? E’ passato diverso tempo dall’ultima volta che ho dipinto. Mi sembra un’eternità... »
« Forse lo è stata? Chi può dirlo! »
« Torahiko... E’ stato un lungo viaggio. »
« Assolutamente. Ma mi è sempre piaciuto viaggiare! »
« E’ stato stancante.... Ma se potessi tornare indietro, lo rifarei. »
« Anche io. Sembra la trama per una bella storia. »
« Forse dovresti usarla per uno dei tuoi racconti. »
« Solo se lo scriverai con me! »
« Lo farò. »
« E’ una promessa? »
« E’ una promessa. »
 
   
 
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