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Autore: LivMontana    22/06/2016    1 recensioni
[Braveheart-Cuore impavido]
Londra, 23 agosto 1305.
L'ultimo, profondo respiro di un grande eroe.
"Fisso in silenzio il pavimento della cella, macchiato da anni di torture e sofferenze. È così buio qui dentro. E freddo.
Ma dentro di me, il mio cuore batte ancora, palpiti ardenti che mi scaldano l'anima. Un'anima imprigionata nell'oscurità che brama la luce, uno spirito prostrato a cui manca il respiro. A cui manca la vita. A cui manca la libertà."
Genere: Drammatico, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Braveheart- Libertà: un sogno, un grido

Questa è la prima fanfiction che pubblico qui su efp. Spero che l’apprezzerete, nonostante il tema non proprio allegro che ho però cercato di trattare in modo adeguato. A voi di giudicare se io ci sia riuscita o meno!

***

Fisso in silenzio il pavimento della cella, macchiato da anni di torture e sofferenze. È così buio qui dentro. E freddo.
Ma dentro di me, il mio cuore batte ancora, palpiti ardenti che mi scaldano l'anima. Un'anima imprigionata nell'oscurità che brama la luce, uno spirito prostrato a cui manca il respiro. A cui manca la vita. A cui manca la libertà.
La libertà...

La libertà è un vento impetuoso
Che sopisce nel gelido inverno e torna forte a primavera...

Nel mio animo, la libertà non ha mai dormito, mai. È un fuoco che mi brucia dentro da quando ho memoria, ma senza consumarmi. Un fuoco che mi ha reso forte, sicuro. Coraggioso. Anche folle, a tratti. E sì che ho tanto sperato di acquistare saggezza con l'età, la saggezza intrinseca di chi ha lottato e finalmente può riposare. La saggezza di chi ha visto molti inverni e altrettante primavere.
La primavera... È stata lei a portarla nel mio cuore, lei che quel giorno, quel triste giorno, mi ha donato un fiore. Un cardo. Il simbolo della nostra patria. Lei che, quel giorno lontano, mi ha spinto a lottare, a riversare il fuoco che avevo dentro per un grande scopo, per un sogno. È per lei che ho cominciato a lottare, perché fosse soltanto mia, per non doverla dividere con nessun altro, perché potesse essere libera. È per lei che lotterò, fino a quando non saremo di nuovo insieme. Per l'eternità.

La libertà è un suono soave,
Così dolce da pronunciare ma così amaro da conquistare...

Quando sangue versato, quante vite spezzate, quante cicatrici, quanto dolore. Quante volte la terra si è tinta di rosso, impregnata del sangue dei caduti?

Tante.

Troppe.

E quante maschere di morte, tutte uguali. Quanti pianti, chini sui feriti e sui moribondi, sulle spoglie dei caduti, quanto sangue lavato dalle lacrime. Lacrime di angeli caduti in terra a cui il dolore ha strappato le ali. Mogli e figli, fratelli e sorelle, madri e padri.
Rivedo i volti dei miei amici, riesco a sentire le loro voci. Quanto di loro ora non ci sono più?

Tanti.

Troppi.

E per cosa? Per un sogno.

 Per un desiderio a lungo cullato, per un sogno sfiorato, destinato a rimanere tale o forse a realizzarsi, un giorno. Forse. Forse non avremo lottato invano per dare un domani ai nostri figli e ai nostri nipoti. Ai figli che non ho mai avuto. O forse la conquisteranno loro stessi, con la spada in pugno, come abbiamo fatto noi, o con le armi della pace. Chi può dire che cosa il Signore ci riserverà in futuro.
Io so soltanto che non vedrò un'altra alba sorgere sulle terre di Scozia. So che presto, molto presto, dovrò lasciare questo mondo. Ma, almeno, non sarò più dietro queste sbarre.

 

La porta della cella si apre scricchiolando. È giunto il momento.

Cerco di estraniarmi dalla dura realtà che mi circonda. Devo essere forte. Fingo indifferenza, mentre sfilo tra la folla urlante, impaziente di vedermi gridare e supplicare pietà. Mi hanno dipinto come un mostro, la gente ci crede. I bambini mi temono.

 

Ora sono sul rozzo palco di legno al centro della piazza, strumenti del terrore e manifesto di quella che loro chiamano giustizia. Manca poco, pochissimo. Cerco di non tremare, di mostrare tutto il mio orgoglio.

La folla è in attesa. In una delle prime file noto il viso dolce di un bambino. Non è spaventato come gli altri. Il suo sguardo è sereno. Accenna un debole sorriso.
Che volto avrebbe avuto mio figlio. Di chi avrebbe avuto gli occhi? Mio figlio avrebbe potuto essere come lui. Libero, sorridente.

Mi offrono la pietà. Una morte veloce e molto meno dolorosa. Io la rifiuto.

Dolore, dolore soffocante. Alla schiena, ai polmoni, alla gola. Anche se volessi urlare non potrei. Non ho aria a sufficienza per farlo. Poi precipito come un sacco vuoto, tra le grida sguaiate della folla.

Ancora una volta rifiuto la rapida fine alle mie sofferenze.

Dolore, dolore bruciante. Le mie membra minacciano di strapparsi, di spezzarsi. Ma devo lottare, anche se il mio corpo urla, invoca pietà.

Stringo i denti. Mostrerò a quei bastardi tutto il mio disprezzo e tutto il mio orgoglio.

Dolore, dolore lacerante. Mi salgono le lacrime agli occhi. Basterebbe così poco per fermarlo, per giungere rapidamente alla fine. Basterebbe una parola. Pietà. Eppure...se questi sono gli ultimi attimi della mia vita, voglio viverli. Che dolore sia. Finché lo sentirò, vorrà dire che il mio cuore batte ancora. E finché avrò vita, lotterò perché vedano che non mi piegherò mai al loro volere. Mi spezzerò piuttosto.

"Pietà, pietà" sussurra la folla.
Faccio finta di non sentirli. Vogliono vedermi cedere oppure soffrono per me?

Reprimo a stento un gemito.

"Sta a voi farlo cessare. Adesso, se volete. Pace! Beatitudine! Con una semplice parola. Dovete solo gridarla. Pietà!" Mi suggerisce mellifluo il "maestro di cerimonia".

Così semplice. La tentazione è fortissima. Perché non farlo? Perché non chiedere pietà adesso e mettere finalmente fine alle mie sofferenze?

"Pietà, pietà" esclama la folla, con più convincimento.

Lotto per non urlare.

"Coraggio, ditelo. È così facile!"

"Pietà! Pietà!" Grida la folla.
"Pietà! Pietà!" Mi suggeriscono i carnefici.

Il mio corpo non risponde più ai comandi, si contorce in preda agli spasmi del dolore. Le catene mi lacerano i polsi.
E io lotto, lotto per non cedere.

Cerco disperatamente di mantenere il controllo. Cerco di articolare dei suoni. Un piccola, semplice parola.

"Il prigioniero desidera dire una parola!" Grida il "maestro di cerimonia" in direzione della folla.

Rantolo, il dolore è troppo forte anche per parlare. Lotto, lotto con tutto me stesso.
Poi, finalmente, trovo la voce per innalzare al cielo il mio grido liberatorio.

"Libertàààààààààààààààà!"

Ce l'ho fatta. Ora posso morire in pace. Mi sento leggero, il mio animo ha spezzato le catene che lo imprigionavano.

Tutto si fa più ovattato, mi estraneo dal dolore e dalle grida, mentre aspetto che venga calata la scure.

Stringo forte nel pugno la fascia di stoffa che mi ha dato lei, il sigillo della nostra promessa. Per sempre insieme.
Poi la vedo. La vedo avanzare tra la folla, sorridendomi dolcemente. Mi sta aspettando.

Chiudo gli occhi, e corro da lei.

Per sempre insieme in una sola anima.

Liberi.

   
 
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