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Autore: MaxB    22/06/2016    8 recensioni
E se Levy volesse conoscere la famiglia di Gajeel, dopo un anno e mezzo che stanno insieme?
E se Gajeel fosse terrorizzato all'idea di fargliela conoscere per paura dell'effetto che la sua famiglia potrebbe avere sulla sua ragazza?
Piccola one-shot su un ipotetico incontro familiare tra Levy e i suoi (pseudo)suoceri.
Riuscirà la nostra eroina a sopravvivere?
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~
Ringrazio C63 che mi ha fatto venire quest'idea malsana grazie alla frase: "Te la immagini la mamma di Gajeel?".
Sì... me la immagino...
Genere: Demenziale, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden, Metallikana
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le presentazioni della fam. Redfox'
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Mi presenti i tuoi?


- Mi presenti i tuoi?
La voce assonnata e pacata della ragazza stretta contro di lui riscosse Gajeel dal sonno leggero, facendolo grugnire e aprire un occhio.
Levy era sdraiata accanto a lui, con metà torace premuto contro il suo fianco. Stava facendo camminare le dita della mano sul suo petto, come se il medio e l'indice fossero stati delle gambe. L'altro braccio le sorreggeva la testa, e sul viso aveva un'espressione quasi imbronciata.
Si augurava di aver capito male, molto male.
- Mh? - mormorò, tornando a chiudere gli occhi.
Ti prego non chiederlo, ti prego non chiederlo, ti prego non...
- Mi presenti i tuoi? - ripeté la ragazza, un tono di rassegnazione nella voce.
Ecco. Ora come faceva a dirle di no? Che altra scusa avrebbe potuto inventare?
Gajeel si girò sul fianco e abbracciò la giovane, stringendola contro il petto e accarezzandole un braccio. Poi affondò il naso nei suoi capelli morbidi e profumati, il cui odore era un mix perfetto tra quello dello shampoo e quello suo, di Levy. Le ciocche selvagge gli solleticarono il viso, e Gajeel storse il naso come un coniglio.
- Io davvero non ti capisco! - sbottò Levy, inavvertitamente.
Fece forza sulle braccia per provare ad allontanarsi da Gajeel, ma i suoi arti si chiusero come una gabbia attorno a lei. Levy sbuffò e gli tirò due o tre pugni, troppo poco convinti per essere dolorosi.
- Mh... - rispose Gajeel, aprendo di nuovo un occhio per osservare la curva della sua schiena nuda, mentre il suo campo visivo diventava azzurro a causa dei capelli di Levy.
Era meglio se chiudeva di nuovo gli occhi.
Oh, sì.
- Praticamente conviviamo, Gajeel! Dormi a casa tua quante volte, ultimamente? Una? Due? Il resto della settimana sei a casa mia. Non pensi che i tuoi genitori abbiano il diritto di conoscere la ragazza che ti ha rapito? Hai almeno detto loro che sei fidanzato?
- Non siamo fidanzati - borbottò lui, afferrandola per i polsi quando provò di nuovo a liberarsi.
- Gajeel! - lo rimbeccò lei. - Non avrò un anello al dito, va bene, ma stiamo insieme! O no? Prova a dire di no e ti sbatto fuori a calci.
Gajeel emise un verso prolungato, uno di quei lamentosi "mmm" che si mormorano quando non ci si vuole alzare dal letto.
- Sei incredibile. E non in senso buono - sospirò Levy, afflosciandosi tra le sue braccia. Provare ad ottenere qualcosa da Gajeel quando lui aveva deciso che sarebbe stato un eterno no era come cercare di imbucarsi senza farsi vedere nel castello del re di Crocus.
Impossibile.
- Ieri notte però mi hai detto che ero incredibile in senso più che buono, mi pare di ricordare. O mi sbaglio, piccoletta? - sghignazzò Gajeel, preparandosi ad una sequela di insulti troppo forbiti per essere inclusi nel suo scarso vocabolario.
Levy boccheggiò, arrossì e gonfiò le guance, facendo ridere Gajeel. Metterla in imbarazzo con frasi allusive era una delle cose che lo mettevano più di buonumore. E Levy ci cascava ogni volta.
- Vado a lavarmi, tu torna a vivere con i tuoi genitori e non farti più vedere – gli intimò, sgusciando via dalle sue braccia e fiondandosi in bagno prima che lui potesse dare un'occhiata seria al suo sedere.
- Nah, non voglio costringerti ad umiliarti. Se me ne andassi mi chiameresti in lacrime implorandomi di tornare.
Levy urlò degli insulti che questa volta Gajeel capì benissimo, e la sua risata si perse quando Levy aprì l'acqua della doccia.
Magari le avrebbe teso un’imboscata in bagno...
 
La verità era che Gajeel Redfox, figlio di Metallikana Redfox e Belno Etherion, si vergognava dei suoi genitori. Be', non nel vero senso della parola.
Anche se non l'avrebbe mai ammesso, li adorava. E quando battibeccavano erano formidabili, tanto da costringerlo a prendere i pop-corn per guardarli.
Ma loro lo avrebbero fatto vergognare di fronte a Levy. Lo avrebbero messo in imbarazzo. Avrebbero rivelato di lui cose che avrebbe voluto tenere segrete.
E Levy sarebbe scappata. A gambe levate. Sarebbe fuggita via senza guardarsi indietro, terrorizzata all'idea di stare in una gabbia di matti come la loro.
Il problema delle famiglie pazze, in senso buono, è che non sempre vengono capite. Però Gajeel non poteva più tirarsi indietro, altrimenti Levy sarebbe fuggita sul serio.
- Pronto? - rispose una voce al telefono.
- Ma', sono io - borbottò Gajeel a mezza voce, in cucina. Levy sarebbe potuta uscire dal bagno da un momento all'altro.
- Io chi? - chiese la madre del ragazzo, sicura di farlo infuriare.
- Porca miseria, mamma! Quanti figli hai? Uno! E chi potrebbe chiamarti “ma'” se non io? Diamine!
- Questo smarfo ti cambia la voce, Gajeel. Porta rispetto a tua madre! Non è rotto? Lo smarf, intendo.
- Smartphone, ma'! - la riprese lui roteando gli occhi, mentre con la mano che non reggeva il cellulare girava le frittelle sulla padella. - E non è rotto, te l'ho regalato un mese fa. Possibile che ancora tu non sappia usarlo?
- Non lamentarti! Tuo padre ha le mani così grosse che preme tre di quelle cose quadrate ogni volta!
- Le app? - indagò Gajeel, immaginandosi lo smartphone di suo papà perdersi nelle sue manone enormi.
- Eh già. Comunque perché chiami? Problemi? Ti davamo per disperso - ridacchiò sua mamma, prima di mettersi a parlare con suo papà.
- No, volevo chiederti se posso venire da te domani, a pranzo. È domenica, no?
- Oh, sentilo Met! Vuole venire a pranzo da noi! Non si fa sentire per due anni e poi si autoinvita!... Sì lo so che non sono due anni ma tre giorni, Met… Metallikana Redfox, ma da che parte stai?... Lo so che tecnicamente vive ancora con noi...
- Ma'?
-... e sono una madre coscienziosa, ovvio che voglio mio figlio a pranzo... Sì lo so che lavora con te!... Quanto sei fastidioso, ma come ho fatto a sposarti?!... Sei come tuo figlio… Sì lo so che ti risposerei!... Ma tu non fare il santo sai!... Senza di me...
- Mamma!
- ... saresti un meccanico sporco e rozzo che...
Gajeel ringhiò e riattaccò. Non era proprio in vena di ascoltare i litigi assurdi dei suoi, che dimostravano solo quanto dipendessero l'uno dall'altra. Lui e Levy bisticciavano più o meno allo stesso modo, ma erano ancora abbastanza giovani da concludere le discussioni con un sano giro sulle giostre, a letto. Un giro furioso. Gajeel la faceva arrabbiare apposta, a volte.
Dopo aver apparecchiato e servito la colazione, richiamò sua madre.
- Ti sei calmata?
- Chi parla?
- Santo cielo mamma! Chi vuoi che ti chiami se non io?!
- Potrebbe essere il mio amante… No Met, Amore, scherzavo. Lo sai che lo dico per ridere perché poi fai il geloso e mi sbatti a letto come se avessimo vent'anni.
- MAMMA BASTA! Domani volevo venire a pranzo da voi con Levy, ma ho cambiato idea. Passo pomeriggio a prendere della roba, cia...
- No no no no! Aspetta! Gajeel Redfox rallenta. Con Levy?!
- ... sì.
- Qui?
- No, in una fogna!
- A pranzo?
Gajeel sbuffò, esasperato.
- Con chi sei al telefono?
Gajeel alzò lo sguardò e notò Levy sulla porta della cucina, con i capelli e il corpo ancora parzialmente bagnati, avvolti negli asciugamani. Doveva essersi fatta la doccia, allora…
Sua mamma gli stava urlando nelle orecchie, ma il ragazzo non ci pensò due volte a chiudere la telefonata, di nuovo, e fiondarsi da Levy.
- A letto. Ora.
- Ma cos... Gajeel! - esclamò lei quando il ragazzo la prese di peso e se la caricò sulla spalla. Poi la buttò sul letto, facendole perdere il turbante nel mentre. I capelli umidi schizzarono ovunque, appiccicandosi alla faccia di Gajeel, che si era già rifugiato nel collo della ragazza. - Smettila subito! Si raffredda la colazione e poi tu non ti meriti nulla oggi. E mi sono appena lavata!
- Domani andiamo a pranzo dai miei, mi merito un incentivo per non cambiare idea - farfugliò lui baciandole la clavicola.
Levy si bloccò, sorpresa.
Davvero l'avrebbe... portata dai suoi?
- Al diavolo! – sbottò, gettando via anche l'asciugamano che le avvolgeva il corpo, facendo ridacchiare Gajeel.
Persino lui aveva perso il conto delle volte in cui aveva reso vane le docce della ragazza.
 
Il giorno dopo, Gajeel era sull'orlo di una crisi isterica. Conseguenza inevitabile dell'attacco di panico di Levy.
- Ti dico che è troppo corta! - urlò lei per la decima volta mentre Gajeel le porgeva il casco della moto.
- No! Va bene! Di solito porti gonne più strette e più corte! - ribatté Gajeel, fissandole le gambe ampiamente coperte. La gonna arrivava sopra al ginocchio, era perfetta.
E i suoi non avrebbero avuto comunque nulla da ridire sul suo aspetto.
- Non metto il casco! Ho piastrato i capelli! Per una volta che sono in ordine vorrei tenerli in ordine!
Il ragazzo sbuffò. Uno dei tanti motivi per cui amava Levy era la sua naturalezza. Non faceva mai nulla per gestire i suoi capelli, se non mettere delle fascette. Non si faceva problemi sui vestiti, né sul casco che le schiacciava i capelli. Non si truccava perché era meravigliosa di suo. E Gajeel l'amava da morire.
Ma non poteva tollerare quella piccoletta isterica.
- Levy! - esclamò afferrandola per i polsi, rischiando di far cadere il casco che teneva in mano. La ragazza sgranò gli occhi a causa del tono duro. Gajeel non era affabile o gentile, sorrideva poco e diceva cose dolci ancora meno, ma non era mai stato severo con lei. Levy pensò che da un certo punto di vista fosse tremendamente sexy. - Un'altra parola e ti chiudo in casa, chiaro? Basta.
Lei lo osservò impassibile, mentre un leggero rossore camminava lentamente verso le sue gote.
- Ora - riprese Gajeel, lasciandola libera. - Levati queste mollette di mia nonna, che tra i capelli ti stanno malissimo, e prendi questa.
Aprendo un cassetto della moto, nascosto vicino alle manopole, le allungò una fascetta di riserva che teneva sempre a portata di mano.
- Muoviti, infilati il casco. Poi sali in moto, chiudi la bocca e respira.
Detto ciò, alzò una gamba e si mise a cavalcioni della moto, provocando un brivido in Levy. Aveva forse qualche problema di ormoni?
Temendo di essere stato troppo duro, Gajeel l'attirò di nuovo a sé e la baciò. La sentì sciogliersi tra le sue braccia, così ghignò e le infilò il casco, facendola protestare.
Poi le afferrò le natiche. - Se posso fare questo, la gonna va benissimo.
Levy riuscì a dargli uno scappellotto prima che Gajeel si infilasse il casco ridendo. Poi lo imitò e prese posto dietro di lui, schiacciandosi contro la sua schiena. Lui le diede dei colpetti affettuosi alla gamba e poi mise in moto.
Forse avrebbe dato di matto lui, dopo il pranzo.
 
- Levy cara! Finalmente una donna! Iniziavo a dubitare della mia sessualità dopo una vita passata tra uomini!
Sul vialetto stava correndo una donna slanciata e giovanile, con corti capelli a caschetto perfettamente stirati, neri con riflessi blu. Gli occhi erano gli stessi del figlio, di quella strana sfumatura rossa che aveva sempre affascinato Levy.
Belno soffocò Levy in un abbraccio appena sentì la moto di Gajeel spegnersi sul vialetto di casa. La ragazza era ancora seduta sul sellino posteriore quando le braccia della donna la stritolarono. Il casco sbatté contro la fronte della quasi suocera, che se la massaggio senza farci caso.
- Ma' così la soffochi, ti prego! - implorò Gajeel, cercando di separare le due donne.
- È colpa tua se reagisco così, idiota! Mi hai fatto aspettare più di un anno per conoscerla e nel frattempo non hai fatto altro che parlare di lei!
- Cosa stai...?!
- Ehm... scusate? - si schiarì la voce Levy, togliendosi il casco. - Posso scendere dalla moto ed essere stritolata da chiunque, va bene? Un attimo che scendo.
Gajeel sbatté la testa su una manopola della moto, brontolando. Levy era terrorizzata, aveva visto la paura sul suo volto nel momento in cui si era tolta il casco.
E ancora non aveva messo piede in casa! Entro la fine del pasto sarebbe stato di nuovo single, ci scommetteva.
- Oh, tesoro! Hai i capelli più disastrosi di quelli di Gajeel! No, non fare quella faccia, è una cosa positiva! Sono adorabili! Gajeel li aveva sempre così al mattino.
- Anche ora li ha così al mattino - rivelò Levy ridacchiando, mentre recuperava la fascetta che Gajeel le aveva dato. - Ecco! - esclamò a operazione conclusa.
- Sei così bella tesoro! Non pensavo che Gajeel avesse gusti del genere in fatto di donne. Alcune sue ex-fiamme erano semplici tettone senza cervello, invece...
- Ma', vai a cucinare! - sbraitò spingendo via la madre.
Ci mancava poco che le tirasse un calcio.
Gajeel sospirò di sollievo quando la madre entrò in casa brontolando, e si arrischiò a guardare la sua ragazza.
Pessima mossa.
Levy aveva le braccia incrociate al petto, il broncio, non quello carino ma quello furioso, sempre tenero però spaventoso, e lo sguardo arcigno.
Gajeel rabbrividì. - Be'?
- Tettone? - chiese lei alzando un sopracciglio. - Tua mamma ha conosciuto le tue ex-ragazze tettone e io ho dovuto aspettare più di un anno perché ho solo una terza, Gajeel?!
Levy sarebbe fuggita prima della fine del pranzo.
Molto prima.
- Non è che gliele abbia presentate, è che ero un ragazzetto con gli ormoni impazziti che si faceva portare alle feste dalla mamma, tutto qua - si schermì, avviandosi verso la porta di casa. Forse davanti ai suoi non l'avrebbe picchiato.
Levy lo seguì borbottando, ma dalle parole che riuscì a cogliere, Gajeel capì che l'argomento non era ancora chiuso. Per niente.
 
La casa non era molto grande, ma decisamente ben arredata e curata nei dettagli. Alla sinistra dell'entrata c'era una porta che conduceva al guardaroba, chiuso alla vista. Poco più avanti, di fronte all'entrata, delle scale senza corrimano, attaccate al muro sinistro, conducevano al piano superiore. Il resto dell'ambiente era occupato da un ampio e arieggiato soggiorno con divano, poltrone, tappeti e TV, e la cucina a vista, alle spalle del divano, anch’essa grande e luminosa. Le pareti erano verniciate con colori caldi e ovunque svettavano quadri di eleganti paesaggi astratti. Una porta vicino alla scala conduceva al bagno.
Il saluto che Metallikana rivolse alla giovane fu più impacciato di quello di Belno, ma decisamente più sobrio.
Quando Levy mise piede in casa, subito dietro Gajeel, sentì una voce ruvida come quella del suo ragazzo, anche se più matura, chiedere: - E allora dov'è la piccoletta?
Levy si sporse dalla schiena di Gajeel per farsi vedere, e il sorriso le morì sulle labbra: Metallikana sembrava il gemello anziano di Gajeel.
Be', anziano... Belno e Metallikana avevano entrambi cinquant'anni, e avevano avuto Gajeel a venticinque, per cui il ragazzo non aveva mai avuto problemi a parlare con loro di questioni "da adolescenti". Non che lui parlasse granché, di solito. I suoi erano due persone che si notavano, di quelle che con l'età diventano più belle invece di riempirsi di rughe e afflosciarsi. Belno poteva passare per una quarantenne, con il fisico asciutto, un bel seno sodo e i muscoli ancora guizzanti grazie all'attività fisica. Metallikana, poi... Stessa stazza del figlio, stessi muscoli e portamento, stessa fierezza e durezza nello sguardo, che però era grigio come il cielo in tempesta. E stessi capelli neri e lunghi.
Davvero due gemelli.
- Gajeel, ma è tuo fratello? - bisbigliò Levy prima di avvicinarsi e porgere la mano a Metallikana, che la strinse con vigore.
- Diamine, no! - esclamò il padre, facendo trasalire la ragazza.
Stesso udito del figlio, a quanto pareva. Metallikana ridacchiò e Levy si confuse ancora di più: aveva davanti il futuro Gajeel, la sua versione cinquantenne. E non le dispiaceva affatto la visione del suo ragazzo con il doppio dell'età che aveva. Ora aveva la certezza che sarebbe rimasto il suo fighissimo e fisicato uomo.
Metallikana le lasciò la mano e si adombrò, fissando il figlio. Doveva abbracciarla? Baciarla?
- Ehm... - mormorò, grattandosi i capelli.
Sul serio, non era il padre di Gajeel: era Gajeel del futuro.
Levy si voltò per assicurarsi che il suo compagno fosse lì, e si strinse a lui, incredula.
Belno scoppiò a ridere: - Reagiscono tutti così quando li vedono. Dopo un po' ci farai l'abitudine. Basta che baci mio figlio e non mio marito.
Metallikana ghignò mentre Gajeel sbuffava, passando un braccio attorno alle spalle di Levy e premendola di più contro di sé, per proteggerla.
- Be', bella è bella - commentò il vecchio Redfox incrociando le braccia al petto. - Intelligente... insomma, per stare con uno come te... buona di sicuro, ecco. Santa anche. E sappiamo tutti che sei più tipo da sedere che da tette, anche se con la gonna non posso confermarlo.
Gajeel impallidì e spinse Levy verso le scale che portavano al piano di sopra, mentre lei balbettava parole senza senso in preda all'imbarazzo.
- Brutto vecchio pervertito. Guarda tua moglie! - sibilò Gajeel, sperando che Levy non lo sentisse.
Metallikana ridacchiò proprio come lui, quella risatina inquietante che era il marchio dei Redfox. - Tua madre ha tutto, quindi non preoccuparti.
Gajeel ringhiò il suo disappunto e, rosso in volto, si affrettò a raggiungere Levy.
- Tra poco si mangia, quindi chiacchierate e basta, okay? So che magari è eccitante farlo con i genitori in casa, ma tuo papà ha fame e sai come diventa se non mangia! Metallikana Redfox smettila di farmi il solletico! No... no...!
Gajeel chiuse la porta di camera sua, sperando che potesse insonorizzare i gridolini di sua mamma. Possibile che si comportassero ancora come due ventenni, i suoi?
Il ragazzo sospirò e si voltò per assicurarsi che Levy fosse lì, e la trovò ferma in mezzo alla sua camera, con le mani premute sul seno e la faccia adombrata. - Hai detto che ti piacciono anche se sono piccole - lo accusò, ferita.
Lui si spalmò le mani sulla faccia e gemette. Era stato un errore farla conoscere ai suoi genitori. Madornale.
- Ovvio che mi piacciono! Anche perché comunque... insomma... così sono e così rimangono, non è che se non mi piacciono cambiano magicamente.
Levy boccheggiò, stizzita, e gli tirò in faccia un cuscino. - Brutto maniaco, mi fai schifo. Devo venire a scoprirlo da tua mamma che tutte le tue ex erano più dotate di me?! Ammettilo che non ti piace il mio fisico!
Gajeel sbuffò, le si avvicinò e, dopo averla presa per i fianchi, la buttò a letto. Iniziò a farle il solletico e ben presto la giovane perse il broncio per cominciare a ridere e contorcersi.
- Smettila dai! Gajeel... ah! Smettila! - gridò tra le risate, prima di essere zittita dalle labbra del ragazzo.
Levy si avvinghiò al suo collo e lo baciò con trasporto, gli occhi chiusi e i respiri accelerati.
- Con le... ragazze... limonavo... e basta - rivelò lui tra un bacio e l'altro. - Non ho... avuto... ragazze serie... solo te... mi credi?
- Mhm...
Levy lo ignorò e gli infilò le mani sotto la maglia, sorridendo contro le sue labbra.
- E di te mi va bene tutto, mi vai bene così come sei. Non ascoltare i...
- È PRONTOOOO - urlò Belno dal piano di sotto, facendo sobbalzare Levy.
Gajeel sospirò e, dopo averle lasciato un bacio all'angolo della bocca, si alzò. - Datti una sistemata che hai tutti i vestiti storti. E i capelli - le ordinò tirandosi giù la maglia. - Cosa... cosa ne pensi dei miei?
Levy si bloccò, a disagio. - Mi sembrano... carini. Sono affabili e non si fanno problemi. Mi piacciono, credo.
- Davvero? - le chiese lui, preoccupato. Quella cosa gli stava stranamente a cuore.
- Sì. Basta che non commentino le mie tette...
Gajeel sogghignò e aprì la porta per scendere, altrimenti sua mamma sarebbe andata a prenderlo per le orecchie.
Un gatto marrone scuro entrò in camera in quel momento, dirigendosi con sicurezza verso l'estranea.
- Ciao anche a te, Lily - scherzò Gajeel, leggermente irritato dalla mancanza di considerazione del gatto.
- È lui il famoso Lily? - indagò Levy, chinandosi per accarezzarlo. - Ciao piccolino.
- HO DETTO CHE È PRONTO!!!
Senza fiatare, Levy prese il gatto in braccio e scese le scale, spingendo scherzosamente Gajeel.
Lily non aveva mai amato gli ospiti. Proprio per niente.
Però aveva accolto Levy in maniera egregia.
Di tutti i membri della sua famiglia, il gatto era il miglior padrone di casa.
 
- Belno, come cuoca sei dieci volte meglio di Gajeel! E lui è bravissimo! - esclamò Levy, gustandosi un tacchino meraviglioso dopo una portata di lasagne al forno che si scioglievano in bocca.
- Grazie tesoro! Gli faccio fare pratica nei weekend, quando al ristorante c'è un sacco di gente e devo lavorare anche io per dare una mano ai dipendenti. Non se la cava male, ma deve migliorare ancora tanto per raggiungere me.
- Quindi durante la settimana lavora all'officina con Metallikana e nei weekend aiuta te al tuo ristorante?
- Sì. Be', il suo vero lavoro è all'officina. Per bulloni e riparazioni ha un talento naturale. Ultimamente nei weekend è libero perché i cuochi nuovi che ho assunto stanno prendendo il ritmo. Tra poco ce la faranno anche senza di me, così potrò fare la semplice proprietaria invece che la cuoca.
- Wow! Ho sempre sentito parlare bene del ristorante, comunque. Ne hanno tutti una grande considerazione, in città.
- Sì, non posso lamentarmi. Ma ora, Levy - esordì Belno dopo aver finito di portare i piatti in tavola, - raccontami come vi siete conosciuti. Gajeel non fa altro che parlarmi di te, è persino stancante, ma sai, solo le ragazze sanno raccontare bene queste storie.
Levy ridacchiò e Gajeel lanciò un'occhiataccia alla madre: non era il caso di dire che Levy era il suo pensiero fisso.
- Volentieri - disse Levy, dopo aver preso un sorso di vino.
- Piccoletta, occhio che se sbagli qualcosa ti correggo io, che c'ero la prima volta che vi siete visti - la avvisò Metallikana sorridendo, e scrutandola con i suoi occhi grigi come il metallo.
- Pa', si chiama Levy - sibilò Gajeel.
Lei lo fissò, perplessa. - Ma tu mi chiami sempre così! - protestò.
- Ma io posso. Solo io.
Belno rise e Metallikana lanciò un'occhiata maliziosa al figlio. - Tanta gelosia per nulla...
- Io non sono gelo...
- Zitti voi due! Voglio sentire Levy - sbottò Belno, schiaffeggiando entrambi gli uomini. - Prego cara.
Levy si sforzò di sorridere, sebbene avere tre paia di occhi puntati addosso non fosse un grande incoraggiamento. Persino Lily la osservava.
- Va bene. Ci siamo conosciuti un anno e mezzo fa, quando...
 
- Testa Dura, sta arrivando il carro attrezzi. Pare che una macchina sia ridotta male, me ne occupo io. Tu prendi il mio posto e lavora alla Chevrolet - ordinò Metallikana al figlio.
Un ragazzo dai lunghi capelli neri grugnì il suo assenso e si infilò un chiodo in bocca. Un chiodo pulito, ovviamente. La tuta blu da meccanico era di nuovo sporca di olio, e il giovane sapeva che sua mamma gli avrebbe dato una bella sgridata per la sua scarsa attenzione.
Gajeel si spostò dov'era sistemata la Chevrolet e diede un'occhiata al motore che doveva cambiare, rigirandosi il chiodo in bocca. Un gioco da ragazzi per uno come lui. Avrebbe potuto farlo ad occhi chiusi.
Si era messo al lavoro da dieci minuti quando arrivò il carro attrezzi, che scaricò nel salone quella che un tempo doveva essere stata una macchina: aveva i due semiassi anteriori distrutti, e dunque due ruote inservibili, il cofano schiacciato verso l'interno insieme al muso dell'auto, e una portiera sfasciata. Qualcosa suggerì a Gajeel che pure il motore e i vari filtri non dovessero essere al massimo della loro forma.
- Porca... - esclamò Metallikana di fronte a quella distruzione, incapace di aggiungere altro. Se non avesse avuto le mani onte, se le sarebbe infilate tra i capelli.
La Metallikanika s.a.s. era considerata la miglior officina in circolazione, di quelle che fanno miracoli a poco prezzo, e ogni caso disperato o problema irrisolvibile veniva sempre portato lì, da Metallikana e suo figlio Gajeel. La paura che i due uomini massicci e dallo sguardo severo avevano suscitato all'apertura dell'officina era stata soppiantata in fretta dalla fiducia e dalla professionalità.
Padre e figlio erano spaventosi quanto capaci.
Gajeel abbandonò la Chevrolet e si avvicinò al padre, pulendosi le mani su uno straccio. Se era sconvolto, non lo dava a vedere.
- Ehi Met! - salutò il proprietario del carro risalendo nel veicolo per andarsene. - Buona fortuna con questa. E non parlo della macchina.
Il carro si allontanò in fretta, togliendo a Metallikana ogni possibilità di chiedere spiegazioni alle parole sibilline dell'uomo. Ma non ce ne fu bisogno.
- La potete riparare? Vi prego, ditemi che la potete riparare, lo so che è ridotta male, ma vi prego...
Una ragazza dai capelli azzurri si avvicinò ai due meccanici, gli occhi gonfi di lacrime. Indossava un vestitino grazioso giallo e blu e i capelli erano tenuti in piega da una fascetta degli stessi colori. Sembrava sull'orlo di una crisi isterica.
- Calmati - le intimò Metallikana, facendola ammutolire.
I modi dell'uomo erano sempre stati spicci, quasi bruschi, ma Gajeel conosceva suo padre e sapeva che il tono che aveva usato era dolce, quasi tenero. Per i suoi canoni, ovvio.
- Come hai fatto a ridurla così? - le chiese allora, più gentilmente.
- Non sono stata io! Questa notte non l'ho messa in garage e quando sono uscita, questa mattina, era ridotta così! Mi sono venuti addosso!
- E non sai chi è stato?
- No, ma i miei vicino erano fuori quando è successo. Hanno detto che il tipo che guidava era ubriaco e sono riusciti a prendergli la targa. Per ora voglio solo sapere se è possibile ripararla.
Gajeel si avvicinò all'auto con occhio critico, lanciando la pezza con cui si era pulito le mani a suo papà.
In quel momento suonò il telefono.
- Gajeel dacci un'occhiata tu, arrivo subito - ordinò Metallikana allontanandosi per andare a rispondere.
Il ragazzo aprì il cofano e fece una smorfia alla vista di quella devastazione. Il contenuto era da cambiare e sostituire per il 70%, la portiera doveva essere rimpiazzata e i due semiassi riparati. Per non parlare delle ruote.
- A questo punto ti conviene cambiarla. È un consiglio spassionato. Spendi meno - sancì infilandosi il chiodo in una tasca della tuta.
Gli occhi color miele della giovane si spalancarono e le lacrime iniziarono a sgorgare senza ritegno.
Gajeel spalancò i suoi, preso alla sprovvista. - E-ehi, che succede? È per i soldi?
- Non è per i soldi - singhiozzò lei, asciugandosi le lacrime con i palmi delle mani, i polsi e le dita. - Non è per i soldi.
Gajeel restò a fissarla in silenzio, a disagio, mentre i singhiozzi le scuotevano il petto. Imbarazzato, si guardò intorno: era da solo.
Senza nemmeno pensarci, allora, le si avvicinò e la strinse in un abbraccio, fregandosene della puzza delle sue mani o della sua tuta macchiata. Sentì la ragazza iniziare a piangere senza più freno, liberandosi di tutto quello che aveva dentro, stringendosi a lui come ad un'ancora.
- I miei genitori sono morti tre mesi fa in un incidente d'auto - rivelò. - Mi hanno lasciato la casa in eredità e un po' di soldi, ma devo lavorare per mantenermi e ho dovuto abbandonare il corso universitario in cui avevo sempre sognato di andare. Non ho zii né nonni e questa Yaris era la macchina di mia mamma, quella di mio papà è stata distrutta nell'incidente. La rivoglio, rivoglio l'odore di pino che la mamma appendeva allo specchietto e rivoglio il graffio che le avevo fatto sul cruscotto con le scarpe col tacco. Ti prego, riparala, non importa quanto mi costerà.
Gajeel la strinse forte a sé, cullandola. Quella ragazza non doveva avere più di ventun anni, due anni in meno di lui, e si era ritrovata dal nulla a dover pensare a tutto da sola. Una vita stravolta.
Se suo padre fosse rientrato in quel momento non gli sarebbe importato, voleva solo abbracciare quella piccoletta con la forza di una tigre fino a farla calmare.
- Te la riparo io, va bene? Te la riparerò ad ogni costo.
- Gr-grazie - mormorò lei. - Hai un fazzoletto? - balbettò poi. - Ti ho bagnato tutta la tuta.
- Non importa. Magari così me la lavi e mia mamma non mi urlerà dietro.
Non sapeva se fosse giusto fare riferimento a sua madre, ma sentì la ragazza ridacchiare e afferrare il fazzoletto che lui le porgeva.
- Tu fai un favore a me e io ne faccio uno a te - concluse lei.
- Allora piangi quanto vuoi, piccoletta.
 
Gajeel lavorò alla Yaris ogni notte, in ogni momento libero che aveva, ogni giorno. Si procurò i pezzi di ricambiò migliori, si prese del tempo per studiare come fare a riparare le parti più danneggiate con il minor numero di operazioni e, per una volta, chiese consiglio al padre mentre lavorava.
Quando la ragazza era tornata a casa con una macchina sostitutiva e due tazze di camomilla in corpo, Metallikana aveva detto chiaramente al figlio che la Yaris era da rottamare. Il suo era, stranamente, un gesto magnanimo, ma quella macchina non sarebbe mai più ripartita.
Ovviamente lui l'aveva ignorato, e Metallikana lo aveva lasciato libero di fare ciò che voleva, anche se esprimeva il suo pessimismo apertamente.
Poi, però, si era reso conto che i lavori del figlio erano fatti con una precisione assoluta, e che, forse, la macchina poteva tornare a correre. La portiera nuova era già stata cambiata, i semiassi cambiati e le ruote nuove sistemate. Mancava la parte relativa a cofano e motore.
- Perché perdi tutto questo tempo su una Yaris, Gajeel? - gli aveva chiesto il padre dopo una settimana.
- Perché la ragazza era distrutta come questa macchina. Ha perso tutto in un secondo. Voglio dimostrarle che lei può guarire come quest'auto, non importa quanto siano gravi le sue ferite.
Da quel momento, Metallikana aiutò il figlio, e nel giro di un'altra settimana la macchina fu pronta.
 
- Non mi avete presa in giro, vero?
Gajeel si fece sfuggire di mano la chiave inglese quando sentì quella voce.
- Ahi! - borbottò quando l'arnese gli colpì il petto.
Con un movimento dei piedi si spinse fuori da sotto la macchina che stava riparando, e alzò la testa per assicurarsi che la voce appartenesse davvero alla ragazza dai capelli blu per cui aveva lavorato incessantemente due settimane.
Questa volta portava dei jeans chiari e una magliettina arancione che le restava morbida sul seno e le faceva risaltare il colore ambrato degli occhi. In testa aveva una fascetta dello stesso colore.
Gajeel la scannerizzò velocemente mentre si sistemava, afferrando una pezza per pulirsi le mani. Le gambe non erano lunghe, dato che lei non era alta, ma erano snelle e ben definite. I fianchi fasciati dai jeans erano belli tondi, ma non esageratamente. Insomma, in quanto a forme era quasi perfetta. Il seno poi, non estremo, le si adattava benissimo.
Gajeel voleva guardarle il sedere. Doveva.
- Ehm... be’ forse prima dovrei dire buongiorno – disse lei arrossendo, quando sia Gajeel che Metallikana si alzarono.
Il vecchio Redfox si girò verso il figlio, fissandolo intensamente. Poi gli fece l’occhiolino.
Gajeel ghignò e nascose il suo sorriso chinando la testa, fingendo di doversi allacciare la cerniera della tuta.
- Ehi, piccoletta – chiamò Metallikana. – La macchina è di qua – le disse, indicandole il parcheggio anteriore con la mano, invitandola a seguirlo.
- Oh – esclamò lei, seguendolo fuori.
Gajeel alzò di scatto la testa e squadrò per bene il didietro della ragazza mentre si allontanava al seguito di suo papà.
Diamo un bel dieci a quel sedere, signori!
Gajeel ridacchiò e si slacciò la tuta, tirando le braccia fuori dalle maniche. Si assicurò che la parte inferiore della tuta stesse su da sola, in modo da non rimanere in mutande. Tirò i bicipiti e si assicurò che fossero bene in mostra, e si sistemò la canottiera nera che portava sotto la tuta blu. Si slegò i capelli e li spettinò un po’, facendo cadere alcuni ciuffi di capelli davanti agli occhi.
Lui e suo papà si intendevano alla perfezione, ed era da tempo che Gajeel non fissava in quel modo una ragazza.
- Pa’! – lo richiamò poi, mentre si infilava i guanti sfilacciati che secondo lui facevano tanto figo. – La macchina è qua!
- Ah già – borbottò Metallikana mentre rientrava in officina, fingendo di essersi scordato l’ubicazione della macchina.
Si bloccò in mezzo al salone quando vide come si era conciato suo figlio, e nascose una risata divertita in un colpo di tosse.
La ragazza aggrottò le sopracciglia, chiedendosi se anche prima il meccanico era vestito così. Poi arrossì e distolse lo sguardo.
- Gajeel sono indietro con la Punto, mostragliela tu la macchina – si congedò Metallikana, infilandosi nel cofano di una Fiat.
Gajeel fece un cenno alla giovane e la invitò a seguirlo.
Sul retro dell’officina c’era la Yaris, nuova. Pulita dentro e fuori, riparata e assolutamente funzionante.
La ragazza si bloccò quando la vide, e senza fiatare andò ad accarezzarne la carrozzeria. Gajeel gliela aprì e lei si infilò dentro, passò le mani sul manubrio e osservò il graffio che aveva fatto sul cruscotto con i tacchi. Poi sorrise mentre le lacrime le rigavano il volto.
Quando scese dalla macchina andò di nuovo vicino al cofano, e tracciò una linea con il dito.
- Non c’è più – mormorò tra le lacrime.
Gajeel le si avvicinò, preoccupato. Pensava si riferisse a sua mamma, o magari a suo papà.
- Non c’è il graffio – specificò lei, osservando da vicino la macchina.
Lui si grattò la testa, confuso. – Ho dovuto sostituire il cofano… questo è nuovo.
La ragazza si portò le mani alla bocca, e Gajeel capì che questa volta non erano lacrime di gioia.
- Che c’è?
- Il graffio lo avevo fatto io in un momento di rabbia, con le chiavi della macchina. Ero nervosa per gli esami di ammissione all’università e ho avuto uno scatto d’isteria. Mia mamma non si è arrabbiata, mi ha preparato la cioccolata calda e mi ha portata a letto, addormentandosi con me come quando ero piccola.
Gajeel ascoltò in silenzio mentre lei si perdeva nei ricordi, accarezzando con le dita il punto in cui c’era lo striscio.
- Ehi, guarda lì – le indicò Gajeel all’improvviso.
La ragazza si voltò e lui, velocemente, le strisciò il cofano nuovo.
Dopo averci lavorato due settimane.
Aveva strisciato volontariamente un’auto.
Stava impazzendo.
- Guarda dove? – chiese la ragazza, voltandosi verso di lui.
- Il cofano.
Quando vide lo striscio, sgranò gli occhi. Poi li puntò sul ragazzo di fianco a lei, asciugandosi le lacrime. – Mi hai davvero strisciato l’auto appena riparata perché ti ho raccontato questa cosa?
Gajeel fece spallucce, ghignando furbescamente. – Così ora ti ricorderai di tua mamma che si è addormentata con te e del meccanico che ha smesso di vivere per due settimane per ripararti una macchina che mi è costata una volta e mezzo il suo prezzo di mercato.
La ragazza impallidì, sorpresa. – Scusami. Cioè, grazie. Davvero. Ti pago subito. Se vuoi posso farti un assegno. Dimmi quanto ti devo e aggiungici una percentuale extra, ti prego. Davvero non so come ringraziarti. Ora ti…
Gajeel le mise una mano sul braccio e si chinò per essere alla sua altezza. – Come ti chiami?
- Le-Levy. Levy McGarden.
- Levy McGarden – ripeté lui, saggiando il nome sulla lingua. – Levy, prendi la macchina e smettila di blaterare.
Levy arrossì, imbarazzata. Il meccanico era, ovviamente, irritato. Insomma, lo aveva fatto lavorare un sacco, gli aveva pianto addosso e aveva fatto una mezza scenata perché un graffio sul cofano era sparito.
- Sì, scusami. Gajeel, giusto? Dimmi solo come vuoi che ti paghi e poi me ne vado.
Gajeel le diede le chiavi e incrociò le braccia al petto. – Esci di qui sorridendo, va bene?
Levy lo fissò, confusa. – Ehm… va bene.
Poi restarono in silenzio a osservarsi, senza sapere bene cosa fare.
- Ma il pagamento? – insisté lei.
- Te l’ho detto, esci di qui sorridendo.
- Ma…
- Niente ma, fuori di qui. Consideralo un regalo.
Levy spalancò la bocca. – Sei impazzito? Ripararla ti è costato un patrimonio, hai perso tempo e… e… be’, devo pagarti! Cosa dirà tuo padre?
- Suo padre dice che il regalo lo dividiamo a metà, metà mio e metà suo – intervenne Metallikana portando una ruota fuori dal salone. Si pulì le mani dalla polvere e si diresse verso i due che sostavano di fronte alla macchina. – Però una cosa puoi farla per ripagarci.
- Cosa? – chiese Levy, ansiosa di rendersi utile.
Metallikana le scompigliò i capelli e ghignò. – Portamelo fuori a cena questa settimana, così posso stare un po’ tranquillo con sua madre. Non so se hai capito cosa intendo…
- Pa’… - lo ammonì Gajeel, arrossendo.
Levy, imbarazzata, lanciò un’occhiata di sottecchi a Gajeel, riflettendo.
Non aveva mai trovato qualcuno gentile come lui, e come suo padre, a dispetto del loro aspetto. I piercing sul viso e sulle braccia di Gajeel brillavano al sole, e sembravano piccole stelle incastonate nella sua pelle.
- Tutto qui? – chiese di getto, senza nemmeno rendersi conto di aver aperto la bocca.
Metallikana annuì, sogghignando.
- Va bene. Però posso anche pagarvi, sul serio. Non è giusto che…
- Il mio numero è su un bigliettino, l’ho lasciato nello sportellino di fianco al volante. Ti farò sapere dove venire a prendermi. È il caso di inaugurare la Yaris, no?
- Ma… - provò a ribattere Levy, sbigottita.
- A dopo piccoletta – la salutò Gajeel, allontanandosi insieme al padre.
Levy uscì dall’officina alcuni minuti dopo, e regalò a Gajeel un sorriso autentico che gli fece cadere la chiave inglese. Di nuovo. Solo che cadde addosso a suo padre, chino sotto la macchina.
- Il padre deve trovarti pure la ragazza, ora? – lo derise Metallikana quando Levy sparì dietro l’angolo.
- Ma che dici, vecchio? Sono andato alla grande, da solo.
- Ma per favore! La tua presentazione con la tuta infilata a metà è stata pietosa. E la prossima volta sii meno esplicito nello squadrare il fisico di una ragazza.
Gajeel fece una smorfia. Quella sera l’avrebbe sentita eccome, sua mamma, una volta saputa quella storia.
- Un bel sedere comunque, non c’è che dire – commentò Metallikana tornando sotto alla macchina.
- Pa’, ti prego…
- E smettila! Ho guardato per te, sai. Sappiamo tutti quali sono i tuoi gusti. E non esci con una ragazza da mesi.
- Non avevo bisogno di Cupido, sai?
- Certo certo. Asciugati la bava, figliolo.
Gajeel grugnì, ma senza farsi notare si passò una mano sulla bocca. No, non aveva davvero sbavato.
Quella sera, quando sua madre gli fece notare che aveva le labbra nere di sporcizia e Metallikana rise, colpevole, Gajeel rischiò seriamente di fare a botte con il padre.
 
- E poi? – indagò Belno, seduta sul divano, con un braccio di Metallikana stretto in vita.
- E poi niente, siamo usciti insieme il venerdì sera, abbiamo iniziato a messaggiare, abbiamo scoperto di avere amici in comune e ora lui si è quasi trasferito da me, nella casa dei miei – concluse Levy. – E comunque sei davvero un pervertito.
Gajeel ridacchiò e le pizzicò una chiappa, facendola urlare in protesta. Abbracciata a lui, però, sul divano, non aveva una grande capacità di movimento.
- Ti sei dimenticata di dire che io sono stato un santo a sopportare i tuoi sbalzi d’umore dovuti alla perdita dei tuoi genitori… - disse Gajeel.
- Tesoro, un po’ di sensibilità! Levy è stata fin troppo forte! – lo rimbrottò Belno.
Levy sorrise tristemente e posò la testa sul petto di Gajeel. – No, ha ragione. Senza di lui sarei in qualche centro psichiatrico. Mi ha ridato parte di ciò che avevo perso.
Il ragazzo le posò un bacio tra i capelli.
- Oh… che dolci. Non sono dolci, Met? – gongolò Belno, posando il bicchiere di vino ormai vuoto sul tavolo. – Ora vammi a prendere le foto di quando eri piccolo, Gajeel.
Il ragazzo sbiancò. – Non ci provare.
- Oh sì. Vero Levy?
La diretta interessata ridacchiò e annuì.
- No.
- Sì, Gajeel. Se vai a prendermele tu, prometto che non mostrerò quelle in cui posavi nudo, da piccolo.
Gajeel avvampò e si paralizzò dall’imbarazzo, per poi scattare di sopra a recuperare le foto.
Cinque minuti dopo, Levy era piegata in due dalle risate mentre osservava i trascorsi del suo ragazzo quando ancora era un bambino.
- Ma qui aveva le sopracciglia! Non ci credo!
- Certo cara – confermò Belno. – Se l’era bruciate tutte a causa di un incidente con la saldatrice, e non sono più ricresciute. Gli abbiamo permesso di mettersi quei piercing a dieci anni, in modo che i bambini smettessero di deriderlo, e lui ci ha preso gusto. Diciamo che erano troppo terrorizzati per prenderlo in giro.
Gajeel grugnì e si diresse in cucina, sperando di andare a casa il prima possibile. Sua madre lo stava rovinando. Però Levy non sembrava troppo intenzionata a fuggire.
Fino a quel momento.
- Siete una gabbia di matti, io me ne vado. Già è difficile sopportare le stranezze di Gajeel, ma voi due siete fuori come dei balconi! – gridò la ragazza di punto in bianco, alzandosi dal divano.
Gajeel tornò in soggiorno e fissò la scena esterrefatto. – Cos…?
- Siete pazzi, io me ne vado. Non cercarmi mai più, Gajeel! Ti faccio trovare la tua roba fuori casa!
Prima che il ragazzo potesse registrare ciò che stava accadendo, Levy aveva già inforcato la porta, ed era uscita sbattendola alle sue spalle.
- Che diavolo avete fatto!? – sbraitò, muovendosi per seguire la sua ragazza.
- Assolutamente nulla, siamo stati noi stessi! – si giustificò Belno, mentre Metallikana annuiva.
- Proprio quello che temevo… - bofonchiò Gajeel uscendo di casa.
La moto era ancora parcheggiata nel vialetto, ma di Levy non c’era traccia. Sembrava sparita.
Gajeel la chiamò al cellulare, ma partì la suoneria.
Che cavolo era successo?
- Ma si può sapere perché è scappata? Vi rendete conto che avete fatto fuggire la mia ragazza? Poi vi chiedevate come mai non ve l’avevo ancora presentata? Levy mi ha lasciato per colpa vostra!
Gajeel era nero, arrabbiato come non mai, e ferito nel profondo.
Levy non lo aveva davvero lasciato, vero?
Levy lo amava.
Non poteva aver… lei non…
- Cosa faccio se mi ha mollato? – esclamò lasciandosi cadere sul divano, mentre la disperazione si faceva largo dentro di lui.
- Morto un papa se ne fa un altro – commentò Metallikana andando in cucina.
- Papà tu stai zitto! Io vi giuro che se Levy è davvero scappata da me, non metterò mai più piede qui dentro. Dimenticatevi di aver mai avuto un figlio. Chiaro?!
- Come sei tragico! Magari è stata una cosa buona la sua dipartita, no? – suggerì Belno. – Hai visto quanto poco dotata era!
- Cosa stai dicendo?! Levy è perfetta! Non è che siccome ha meno tette di te allora è inferiore, mamma! Quante stupidaggini stai sparando!?
- Oh va be’, pazienza. Se non è abbastanza forte da stare con noi, meglio perderla che trovarla.
- Tu non… non puoi dire sul serio! Non posso crederci! Torno a casa sua, prima o poi dovrà passare da lì. Le dirò che ho tagliato i ponti con voi – decise, alzandosi. – Razza di cretini.
Quando ormai aveva la mano posata sulla maniglia della porta d’ingresso, la risata di Belno lo bloccò. E quella di suo padre lo indusse a girarsi.
- Ma che…?!
Belno rideva come una matta, per un momento Gajeel pensò per davvero che i suoi fossero impazziti.
Poi sua madre urlò: - Levy cara, vieni dentro! Devi vedere la sua faccia!
Dalla cucina, Metallikana aprì la portafinestra che dava sul retro della casa, sul giardino, e Levy entrò sorridendo. Senza perdere d’occhio Gajeel, si lasciò cadere sul divano e si fece abbracciare da Belno, per poi ridere insieme a lei.
- Cosa sta succedendo? – sibilò Gajeel, ancora fermo sulla porta.
- Sta succedendo che ci siamo vendicate, figliolo – disse Belno.
- Non sei stato affatto corretto con i tuoi genitori e hai mancato di fiducia nei miei confronti – specificò Levy.
- Ma di che diavolo state parlando?
- Io ho già conosciuto tua mamma, Gajeel. E anche tuo papà. E non parlo dell’incontro in officina.
- Ma come…?
- Viviamo a dieci minuti di distanza, pensi che sia così grande Fiore?
- Aspettate un attimo. Non sto capendo un emerito…
- Gajeel! – sbottò Belno, mentre Metallikana ridacchiava. Erano tre contro uno. – Siediti e taci che ora ti raccontiamo la storia di come ci siamo conosciute.
 
Cinque mesi prima…
Levy spinse il carrello strapieno verso il reparto degli affettati, sbuffando.
Gajeel mangiava per tre e aveva una predilezione per il salame ungherese. Nel giro di dieci minuti le aveva inviato diciassette messaggi identici.
Ricordati il salame ungherese.
Ricordati il salame ungherese.
Ricordati il salame ungherese.
Per diciassette volte.
Ma non doveva lavorare?
Levy sbuffò e, preso il bigliettino numerato, si mise in coda, aspettando pazientemente.
Il lunedì mattina il museo in cui lavorava come curatrice storica era chiuso, e lei ne approfittava sempre per fare la spesa, dato che i supermercati erano vuoti.
Quando chiamarono il numero prima del suo, Levy alzò lo sguardo e osservò il commesso che serviva una signora slanciata. La donna ordinò cinque etti di salame, e Levy non poté fare a meno di sgranare gli occhi.
Nemmeno Gajeel ne mangiava così tanto!
Preso il pacchetto dell’affettato, il commesso chiamò il numero di Levy e la signora del salame si girò per andarsene, trovandosi di fronte a Levy.
Che spalancò la bocca.
Quella che aveva davanti era la sorella di Gajeel? Una sua versione femminile?
Il suo ragazzo era forse un travestito?
La donna la fissò stringendo gli occhi, forse chiedendosi per quale motivo quella giovane la stesse osservando con espressione così perplessa. Fece per andarsene, infilando l’involto nel carrello, quando spalancò gli occhi e si rivolse alla ragazza: - Scusa se te lo chiedo, ma tu ti chiami Levy?
Lei annuì, facendo due più due: - Sei la mamma di Gajeel, vero?
A ciò che successe dopo, Levy era totalmente impreparata: la donna urlò eccitata e l’abbracciò, soffocandola, mentre il commesso urlava di nuovo il suo numero.
Se non si fosse sbrigata avrebbe perso il turno.
- Signora Redfox mi dia un minuto che ordino l’affettato e poi la raggiungo – farfugliò cercando di scollarsi di dosso la donna.
- Cosa devi prendere?
Se Gajeel era l’emblema del quieto vivere e della riservatezza, sua mamma era un vulcano di espansività.
- Il salame ungherese – ridacchiò, indicando il carrello della donna, dove svettava il cartoccio bianco.
- Ma ti do il mio! Passi al prossimo numero! – urlò al commesso, prima di allontanarsi trascinando una Levy sconvolta con sé.
- Ma… dovevo prendere il salame!
- Tranquilla, ti ho detto che ti do il mio. Tanto lo aveva preso per Gajeel, ma ho come l’impressione che non verrà spesso a casa questa settimana, e se rimane nel mio frigo alla fine finisce nei miei fianchi o nelle vene di Metallikana. E non vogliamo che questo succeda, vero cara?
Levy non fu un grado di dare una risposta coerente, così annuì e basta.
La donna ridacchiò e, accostati i due carrelli agli scaffali di una zona poco frequentata, si piazzò davanti a Levy: - Io sono Belno. Se ti abbraccio ti metto a disagio o…
La frase rimase in sospeso, e Levy impiegò alcuni secondi per capire che Belno non aveva intenzione di finirla. Aveva capelli a caschetto che le arrivavano alle spalle, perfettamente stirati e ordinati, e penetranti occhi rossi di una tonalità più scura di quella di Gajeel, meno cangiante.
Era così simile a lui, a parte i tratti più dolci del viso e il naso alla francese spruzzato di lentiggini, che la ragazza sentì un moto d’affetto naturale nei suoi confronti. – Nessun problema, tanto mi ha già abbra…
Belno la stritolò, premendole il viso contro il seno morbido.
Levy non riceveva un abbraccio così materno da mesi. Solo Gajeel la teneva stretta tra le braccia, e lei amava quel rifugio confortevole che la faceva sentire protetta e le toglieva ogni inquietudine.
Ma non era la stessa cosa di essere abbracciata da una donna, una madre, una nonna.
Levy si asciugò in fretta le lacrime per evitare che la donna le vedesse. Era tremendamente forte per essere sulla soglia dei cinquant’anni. Forte e in forma. E morbida. Aveva quasi il doppio del suo seno.
- Non respiro – mormorò Levy dopo poco, ridacchiando.
- O scusami cara. Davvero. È solo che mi sembra di conoscerti da una vita. Gajeel non fa altro che parlare di te. E sul cellulare ha solo tue foto come salvaschermo, per questo ti ho riconosciuta.
Levy si scostò e cercò di sistemarsi i capelli, ma si bloccò sentendo quelle parole. Stupita e leggermente gongolante, chiese: - Davvero?
- Assolutamente. Be’, sai bene com’è Gajeel. Non parla granché. Ma quando apre la bocca non fa altro che dirci cos’hai fatto durante la settimana o quanto sei forte.
Questa era nuova…
- Se non fosse proprio sua madre a dirmelo, non ci crederei.
Belno rise. – Sì, be’, uso anche dei metodi poco ortodossi per estorcergli i dettagli della vostra relazione.
Levy aggrottò le sopracciglia. – Come sarebbe a dire?
- Gajeel parla solo nel sonno. Ti sei accorta che parla nel sonno, vero?
La ragazza arrossì. – Mi pare di sì. A dire il vero io ho il sonno pesante, però ogni tanto l’ho sentito mugugnare qualcosa, è vero.
- Allora, tesoro, ogni tanto, giusto per essere sicura che non ti nasconda niente, dagli da mangiare per cena polpettone, peperoni rossi e purè di patate. Con questi tre ingrediente in corpo risponderà a qualsiasi domanda tu gli faccia. Garantito.
- Sul serio? Cioè io gli faccio domande mentre dorme e lui risponde?
Belno annuì, orgogliosa della sua scoperta. – Assolutamente. È in questo modo che raccolgo tutte le informazioni di cui ho bisogno sul conto di mio figlio. È un metodo così efficace che so a menadito la tua routine e certi dettagli… privati, se sai cosa intendo.
Levy avvampò. Non voleva sapere cosa quella donna avesse scoperto su di lei.
- Gajeel non è mai a corto di parole quando deve parlare delle vostre nottate, per cui fidati se ti dico che per me è come se ti avessi vista nuda decine di volte.
La ragazza gemette e si coprì il viso rosso per la vergogna.
Sapere che la mamma del suo ragazza era a conoscenza dei dettagli privati della loro vita di coppia era forse la cosa peggiore che potesse capitarle nella vita.
Belno, invece, sembrava non farci caso.
- Ti va di uscire a pranzo con me? Metallikana e Gajeel pranzano in officina, ma tu forse devi lavorare…
- No, sono libera. Mi farebbe piacere pranzare con lei. Gajeel parla spesso di voi, ma quando gli chiedo di potervi incontrare si agita e accampa qualche scusa.
Belno sorrise sadicamente. – Primo, dammi del tu. Secondo, tesoro, perché non gli organizzi una cenetta speciale questa sera? Per, sai… carpirgli qualche informazione relativa al motivo per cui non vuole che ci conosciamo.
Levy sorrise e annuì, totalmente d’accordo.
 
Tre sere dopo, in seguito a varie insistenze da parte della ragazza, Gajeel preparò per cena polpettone, purè e peperoni rossi.
Levy digerì il pasto due giorni dopo.
Ma la pesantezza di stomaco fu un dettaglio trascurabile: ciò che Belno le aveva rivelato era insospettabilmente vero.
Gajeel aveva iniziato a mugugnare nel sonno quando era ancora sul divano, appisolato con la testa sulle gambe di Levy. Fargli vedere per la decima volta Orgoglio e pregiudizio era stato il colpo finale: si era addormentato immediatamente.
Levy iniziò a fargli qualche innocua domanda, usando un tono casuale e distaccato, ma quando gli chiese se l’amava e lui rispose “più della mia stessa vita” il riserbo e l’attenzione della giovane andarono a farsi benedire.
Gli chiese delle sue ex, scoprendo che in realtà non era mai stato realmente insieme a qualcuna, gli chiese cosa amava di lei, cosa non sopportava, se la tradiva, se voleva una famiglia con lei. Domande a cui da sveglio non avrebbe mai risposto, se non tramite grugniti scocciati.
E poi gli fece la domanda per la quale aveva organizzato tutto quel piano: - Perché non vuoi che incontri i tuoi genitori?
- Perché… - biascicò lui, russando, - scapperesti. I miei… sono spaventosi se… non li conosci. Tu… scapperesti via…
Quella risposta lasciò Levy interdetta.
 
- Questa è mancanza di fiducia nei tuoi confronti e mancanza di rispetto nei miei – sbottò Belno quando Levy le disse ciò che aveva scoperto, una settimana dopo.
La ragazza annuì, non sapendo bene che altro fare.
- Gliela faremo pagare. Eccome. Ho un’ideuccia…
La risatina di Belno non era… particolare come quella di Gajeel, ma poteva assumere la stessa sfumatura inquietante.
 
Gajeel fissava la due donne con gli occhi sgranati, incerto se credere a quella storia oppure no.
- Cioè, voi mi avete estorto informazioni mentre dormivo?
- Già.
- E vi conoscevate già?
- Eh sì.
- A mia insaputa?
- Ovvio.
- Non ci credo. Prima vi siete viste per la prima volta! Vi siete presentate e Levy è rimasta un po’ scossa e…
- Si chiama recitare, Gajeel – lo bloccò Levy, sorridendo con orgoglio.
- Ma voi non siete mai uscite insieme! Lo avrei saputo, altrimenti!
- Gajeel, ti ricordi che mi hai detto che ultimamente sono uscita con Lucy un po’ troppo spesso?
Il ragazzo assottigliò gli occhi e annuì.
- Ecco, metà delle volte in realtà andavo in giro con tua mamma.
- Impossibile – sancì lui, incrociando le braccia e appoggiando la schiena al divano. Non si era nemmeno accorto di essersi irrigidito durante il racconto.
- Tu dici? Vuoi sapere chi è stata a regalare a Levy quel completino intimo di pizzo nero che ha portato a casa il mese scorso? – intervenne Belno.
Gajeel rischiò di soffocarsi con la sua stessa saliva. O con l’aria, dato che aveva la gola completamente secca.
- Siamo andate a fare compere insieme e io le ho regalato quel completo. Se non ci conoscessimo già come potrei saperlo? – chiese retoricamente Belno.
- Voi due siete delle streghe! – sbraitò Gajeel poco dopo, alzandosi dal divano e fissando il padre in cerca d’aiuto.
Quest’ultimo scosse la testa: doveva cavarsela da solo.
- In realtà non siamo noi le streghe, Gajeel – rivelò Levy. – Sei stato tu cattivo. Pensavi che scappassi solo perché hai una famiglia strana, è questa la fiducia che nutri nei confronti del mio amore?
- Ti rendi conto che mi hai offesa profondamente? – intervenne Belno, anche se dal tono si evinceva quanto fosse finta l’offesa subita. – Tua madre, per te, farebbe scappare la tua fidanzata? Tesoro, se non è fuggita dopo un anno e mezzo con te, non fuggirà di certo a causa mia. E nemmeno per colpa dei cugini di tuo padre!
Metallikana la fissò con sguardo torvo, ma alla fine ridacchiò. Suo cugino Igneel e suo figlio Natsu, pompieri, potevano essere terrificanti a volte. Specie quando andavano in giro con il carro dei pompieri con le sirene spiegate solo per divertimento. Per non parlare di quando usavano il tubo dell’acqua per infradiciarti e scappare.
Levy si avvicinò a Gajeel e lo pungolò al petto con l’indice, il collo teso per poterlo guardare in volto: - Sei stato cattivo con me. Io te li avrei fatti conoscere i miei genitori – mormorò mettendo il broncio.
Lui non ci pensò due volte a seppellirla nel suo abbraccio, baciandole la nuca: - In quel caso, io li avrei fatti scappare.
Levy ridacchiò, chiedendosi come sarebbero andate le cose se i suoi genitori fossero stati ancora vivi. Probabilmente nello stesso modo, perché l’incidente alla macchina non aveva nulla a che vedere con la loro morte.
Si immaginò Gajeel che, pieno di piercing, con il suo sguardo torvo e i capelli lunghi e ribelli, stringeva la mano di suo padre, nettamente più basso di lui. E sua madre che, intimorita, gli chiedeva se il pollo gli andava bene o se doveva preparare dell’altro, qualcosa di suo gradimento.
Ma lei non avrebbe mai avuto paura di vederlo scappare. Perché ad amarsi erano loro due, e niente e nessuno avrebbe mai potuto mettersi in mezzo alla loro relazione. Sarebbero stati insieme anche se i loro parenti fossero stati i Montecchi e i Capuleti.
- Mi porti a mangiare qui più spesso? – chiese Levy dopo un po’, la voce soffocata dalla maglia del ragazzo.
- Basta che non inizi a preferire loro a me – acconsentì lui, facendola ridacchiare.
Dalla paura alla gelosia. Gajeel era proprio prevedibile.
- Tutto sommato è andata bene oggi, no? – chiese Metallikana dopo un po’, avvicinandosi alla moglie che aveva seppellito il naso in un album di vecchie foto.
- Mh-mh – confermò il figlio, liberando Levy dall’abbraccio, senza però toglierle le braccia dalla vita. – Niente di troppo…
- Levy ho trovato le foto di Gajeel quando era appena nato! – esclamò Belno.
Non fece in tempo a concludere la frase che la ragazza si era buttata a pesce sulle sue gambe, ridendo e lanciando gridolini inteneriti alla vista del suo fidanzato nudo e inerme nei primi mesi di vita.
- …imbarazzante – ringhiò lui, concludendo la frase che in quel momento era diventata a tutti gli effetti falsa.
La risata tonante di Metallikana lo fece vergognare ancora di più.
Non bastava sapere che sua mamma sapeva tutto della loro vita sessuale.
Pure le foto di quando a Gajeel portava gli occhiali doveva far vedere alla sua fidanzata!
 
 
 
MaxB
Ringrazio ancora C63 che mi h inavvertitamente fatto partire l’idea bislacca che è questa storia.
Ho iniziato a scriverla sabato sul cellulare e ho pensato. “Ma sì, una storiella di 5 o 6 pagine senza pretese, giusto per…”
Quando ho trasferito la storia, incompleta, sul pc, ho preso un colpo: 12 pagine. Ovviamente. Non so fare cose piccole tipo drabble o flash-fic. No eh? Troppo difficile per il mio cervello bacato.
Inutile dire che amo qualsiasi AU basata su Gajeel e Levy, in qualsiasi tipo di “ambiente civile” li si collochino. Mi sono divertita da matti a scrivere questa storiella, e spero che a voi piaccia leggere.
Note: Belno non è ovviamente la Belno del Concilio. Ho solo rubato il nome perché per la madre di Gajeel non mi venivano in mente. In quanto al cognome… su Wikipedia non viene nominato, così ho letto Belno e poche righe sotto ho letto “Etherion” e ho pensato: “Bon, fatta”.
Chiedo scusa se non è una delle mie migliori storie, ma tanto ormai l’ho scritta e quindi la condivido ahahah.
A presto,
MaxB

 
 
 
 
Bonus
- Mi sono divertita tanto dai tuoi – ripeté Levy per la decima volta.
Si tolse il casco, che tese a Gajeel, e scese dalla moto. Poi aprì il cancello e gli permise di parcheggiarla nel suo garage.
- Mpf – bofonchiò lui, ancora imbarazzato per quanto Levy aveva visto.
Fino ai dieci anni era stato un tipo mingherlino e occhialuto senza sopracciglia a causa di uno spiacevole incidente. Era ben lontano dall’uomo sexy e accattivante che era diventato con la palestra.
- Che hai ora? Possibile che tu sia geloso? – lo incalzò lei entrando in casa, dopo aver chiuso il garage.
- Sono solo arrabbiato per lo scherzo che mi avete fatto – mormorò lui.
- Ti sta bene Gajeel. Spero che tu abbia imparato la lezione.
Gajeel seguì Levy in camera, dove la ragazza si tolse orecchini, fascetta per i capelli, braccialetti e l’anello di sua mamma.
- Non è stato carino impedirmi di conoscere la donna grazie alla quale sei nato, sai? Devo tutto a Belno. Senza di lei tu non saresti qui ora.
Gajeel incontrò gli occhi della ragazza allo specchio, e non ebbe il coraggio di ghignare con aria compiaciuta.
Quelle che Levy gli aveva rivolto erano le parole più belle che avesse mai sentito.
- Devi essere grata anche a mio papà, allora.
- Certo, ma lo sai che siamo noi donne a fare tutto il lavoro. Voi uomini… pff! Una botta e via! Chi è che vi allatta e vi porta in pancia nove mesi, eh? Razza di ingrati egoisti.
Gajeel ridacchiò mentre Levy si infilava nel bagno attiguo alla camera, lasciando una scia di vestiti alle sue spalle.
Quando sentì l’acqua della doccia che iniziava a scorrere, si avvicinò al mobile dove erano disposti ordinatamente i gioielli di Levy, e prese delicatamente in mano l’anello di sua madre.
La suocera che non avrebbe mai potuto conoscere.
Lo infilò in una bustina trasparente che fregò dalla scrivania di Levy e se lo ficcò in tasca. Poi sgusciò in bagno e osservò la schiena della ragazza tra i vapori dell’acqua calda. – Piccoletta io esco un attimo, ho dimenticato una cosa a casa dei miei.
Levy fermò il getto dell’acqua e si voltò a guardarlo. Pulì il vetro appannato della doccia per osservarlo meglio e disse: - Non puoi andare dopo la doccia?
Ormai quella di fare la doccia insieme era diventata un’abitudine, e a Gajeel scocciò parecchio dover rifiutare: - Se la prossima volta aspetti e mi chiedi, invece di fare come vuoi…
Levy aprì la bocca. – Ma sei scemo? Cosa ne sapevo io che ti eri dimenticato qualcosa dai tuoi? Ora devo pure chiederti quando fare la doccia?
Gajeel la fissò di sbieco. – Va be’, tanto questa sera te la faccio rifare – concluse uscendo dal bagno.
- Ehi! – sbraitò Levy, battendo con i pugni sul vetro della doccia. – Razza di cafone, col cavolo che faccio la doccia con te questa sera. Mi senti?! Stupido Gajeel, sei odioso!
- Mi ami anche per questo – urlò lui di rimando, ridacchiando mentre scendeva le scale per uscire di casa.
Levy bofonchiò una risposta inintelligibile mentre si riempiva i capelli di shampoo.
Gajeel portò di nuovo la moto in strada e prese la strada opposta a quella della casa dei suoi genitori.
Aveva mentito alla sua ragazza.
Si assicurò che l’anello fosse salvo nella tasca dei suoi pantaloni prima di partire alla volta della gioielleria.
L’idea gli bazzicava in testa già da un po’, ma quel pomeriggio ne aveva avuto la conferma: Levy era l’unica ragazza che voleva al suo fianco, per sempre.
L’unica che potesse sopravvivere alla sua famiglia di pazzoidi.
L’unica che potesse sopravvivere a lui.
E tenergli testa.
Doveva a tutti i costi evitare che Levy scoprisse che aveva rubato l’anello di sua mamma per prendere le misure per quello di fidanzamento.
E questo significava che avrebbe evitato polpettone, purè e peperoni rossi per… be’, almeno fino al matrimonio.
 
  
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