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Autore: Angie Mars Halen    23/06/2016    0 recensioni
Dopo anni trascorsi senza mai vedersi, Nikki e un’amica di vecchia data, Sydney, si rincontrano durante il periodo più difficile e turbolento per i Mötley Crüe. Questa amicizia ritrovata, però, non è sconvolgente quanto la scoperta che la ragazza vive da sola con suo figlio Francis, la cui storia risveglia in Nikki ricordi tutt’altro che piacevoli. In seguito a ciò il bassista comincia ad avvertire un legame tra loro che desidera scoprire e rinforzare in nome della sua infanzia vissuta fra spostamenti e affetti instabili. Si ritrova così a riscoprire sentimenti che aveva sempre sottovalutato e che ora vorrebbe conquistare, ma la sua peggiore abitudine è sempre pronta a trascinarlo nel buio più totale e a rendere vani i suoi sforzi.
[1987]
[Pubblicazione momentaneamente sospesa]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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19
SYDNEY





I due cerchi concentrici dell’insegna luminosa del Target emettevano una fioca luce rosata come quella dei lampioni che si erano appena accesi nel parcheggio. Mi guardavo intorno in attesa di scorgere la Corvette nera che stava venendo a prendermi e tenevo una mano appoggiata sulla cartellina in carta cuoio color ocra che conteneva le fotografie. Sorrisi quando ricordai che dentro c’era anche un disegno che avevo fatto nei giorni precedenti. Avevo voluto copiare l’immagine di Nikki e Frankie per ingrandirla e renderla un po’ più personale. L’avevo colorata con gli acquerelli perché ricordavo che a Sixx piacevano i disegni dipinti con quella tecnica, in particolar modo quelli che era abituato a vedere nel mio vecchio appartamento.

Erano già le cinque e mezza e di lui non c’era ancora traccia. Il sole stava tramontando sulle colline in fondo al viale, il traffico si stava intensificando, e presto la gente che era uscita dal lavoro avrebbe riempito il parcheggio per andare a fare la spesa. Pensai che, forse, nonostante mi fossi fermata nel punto più appartato e la sua auto avesse i finestrini oscurati, darmi appuntamento in un posto del genere non era stata una grande idea.

Stavo per andare a cercare una cabina telefonica e chiamarlo quando intravidi un’automobile sportiva che entrava nel parcheggio, risparmiando i consueti rumori che l’autista può far fare al motore per annunciare il suo arrivo al mondo intero. Non c’era alcun dubbio: Nikki si era finalmente degnato di arrivare e mi sentivo stranamente contenta.

La Corvette si aggirò per l’enorme piazzale finché non riconobbe la mia auto ammaccata degli anni Settanta, accelerò appena, si fermò di fianco a me, e il finestrino si abbassò scoprendo un volto come il sipario di un teatro.

“Salta su,” mi esortò Nikki con un sorriso. “Abbiamo un po’ di strada da fare.”

Scesi dalla macchina, salii a bordo della sua con una velocità che non riuscii nemmeno a spiegarmi e, quando mi trovai finalmente al posto del passeggero, nascosta dai vetri oscurati e con il rumore del motore in sottofondo, ricambiai il sorriso. “Dove andiamo?”

“Nel mio ristorante preferito,” rispose mentre guardava il viale a quattro corsie davanti a sé, poi si voltò verso di me. “Se ricordo bene, ti piace molto il cibo cinese.”

“Ricordi bene,” confermai compiaciuta, poi sollevai la cartellina. “Ti ho anche portato le foto.”

“Francis come sta?” chiese ignorando ciò che avevo appena detto. Ma se da un lato la sua domanda mi irritò perché per una frazione di secondo mi aveva fatto pensare che non gli interessasse nulla delle foto, dall’altro mi intenerì perché si era preoccupato per Frankie.

“Sta bene. Ha detto di salutarti e oggi è tornato da scuola con una cosa per te.” raccontai divertita.

Nikki si limitò a sorridere, stavolta in modo meno evidente di prima, poi continuò a guidare in silenzio lungo la freeway infinita. Eravamo già nella contea di Ventura quando svoltò a destra per imboccare un’uscita. Sfrecciammo lungo il viale principale, una strada a più corsie con un largo spartitraffico in cui erano stati piantati arbusti scuri, costeggiata da edifici nuovi nei cui giardini crescevano palme e oleandri rigogliosi. Tutto era immerso nel buio e nella vegetazione selvaggia della California, raramente interrotto da qualche luce al neon.

“Ci siamo quasi,” mi rassicurò. “Devo solo guidare per delle strade meno trafficate, ma non ci perderemo.”

“Bel posto, Westlake, no?”

“Forse un indomani mi trasferirò qui,” bofonchiò. “Van Nuys sta diventando troppo noiosa.”

“Venice e Westlake sono lontani.”

Voleva essere una semplice constatazione, ma mi resi conto che dietro si nascondeva ben altro e forse non ero stata neanche l’unica ad aver percepito l’ambiguità nella mia stessa frase.

“Dipende,” obiettò Nikki alzando le spalle.

“Da cosa?”

“Da tante cose. Siamo noi a determinare le distanze, non lo spazio. Se ci tieni, io e te siamo vicini di casa, altrimenti abito sul cucuzzolo irraggiungibile di una montagna,” rispose mentre girava il volante per svoltare. “Comunque, parlando di cose importanti, siamo arrivati.”

Riconoscere il ristorante non fu affatto difficile dal momento che si presentava come un basso edificio dall’architettura orientale e con quattro lanterne di carta rossa con dei caratteri cinesi dorati che pendevano sotto la tettoia, le frange sotto di esse che si muovevano dolcemente sospinte dal vento. A rovinare la calma di quel posto fu un gruppo ben nutrito di persone accalcate davanti all’ingresso del bar accanto, impegnate a ridere e a sbraitare, probabilmente dopo un lungo periodo trascorso senza vedersi.

“Odio la confusione,” mormorò Nikki contrariato prima di sgusciare sul parcheggio sul retro. “Per fortuna adesso entriamo nel ristorante. Non esiste posto più tranquillo di quello.”

Aprii la portiera e lo raggiunsi dall’altra parte dell’auto. “Credevo ti piacessero i locali affollati.”

Scosse il capo e mi fece cenno di seguirlo. “Non da quando non posso fare un solo passo senza che la gente mi sommerga.”

Giusto.

Attraversammo il parcheggio buio con passo svelto e camminando rasi alla siepe che delimitava l’area, certi che avremmo varcato la soglia del ristorante nel giro di poco e indisturbati. Nikki stava per dire qualcosa, probabilmente riguardo una scritta in cinese che aveva indicato, ma una voce squillante attirò la nostra attenzione e ci fece raggelare il sangue nelle vene.

“Guarda, c’è Nikki Sixx!” berciò una ragazzina sui diciotto anni mentre strattonava una sua coetanea. L’altra impiegò qualche secondo prima di realizzare e, appena lo vide, si portò le mani tra i capelli rossi e prese a gridare qualcosa di incomprensibile.

“Merda,” sussurrò Nikki quando il crocchio di persone ammassate davanti all’ingresso dell’altro locale si voltò all’unisono verso di noi, facendomi sentire come se fossi in piedi sul palcoscenico con un faro puntato addosso durante un soliloquio.

Una delle due ragazzine, quella che aveva urlato per prima, si lanciò in una corsa traballante per l’emozione verso il suo eroe, mentre l’altra stava ancora cercando di riprendersi e il gruppo di persone aveva iniziato a muoversi in massa per fare lo stesso. Ero paralizzata e, più la gente si avvicinava, più la sensazione di avere i piedi ancorati all’asfalto aumentava.

Dal branco scalpitante emerse un corpo scuro che avrei potuto riconoscere da un miglio di distanza. Emise una luce veloce, un flash che per una brevissima porzione di tempo rischiarò la scena rendendo evidenti i volti sorridenti delle persone come un lampo. Feci appena in tempo a nascondere il viso dietro la cartellina che conteneva le foto e i disegni e a voltarmi dall’altra parte prima che il proprietario della macchina fotografica premesse il pulsante per scattare.

La mano di Nikki mi afferrò per un braccio e riuscì a scansarmi. “Dobbiamo andarcene.”

“Subito, se non ti dispiace!” esclamai senza abbandonare il mio nascondiglio.

Lo sentii sbuffare mentre faceva dietrofront, portandomi con sé e guidandomi come se non fossi stata in grado di camminare da sola. Non considerò minimamente quella ventina di persone che ci avevano assaliti, nemmeno quando un paio di loro cominciarono a domandare chi fossi e perché ci trovassimo da quelle parti. Nikki accelerò il passo, si addentrò nel parcheggio e mi scortò fino allo sportello destro della sua Corvette, dove attese che entrassi prima di mettersi alla guida.

“La festa è finita,” ringhiò in faccia a un tizio invadente che stava cercando di infilare la testa dentro lo sportello. Si affrettò poi a mettere in moto, fece rombare il motore un paio di volte per spaventare le persone che ci stavano impedendo il passaggio, e sgommò sulla strada principiale finché il ristorante cinese non diventò solo una macchia rossa e soffusa all’orizzonte.

“Non posso crederci,” sibilò mentre procedevamo a velocità più moderata lungo una via residenziale che probabilmente non conosceva neanche. “Se vado spesso a cena in quel ristorante è perché è uno dei pochi locali in cui non ho mai trovato dei rompicoglioni del genere.”

Si voltò verso di me e roteò gli occhi quando si accorse che ero aggrappata alla maniglia della portiera, con la schiena incollata al sedile e ancora spaventata come quella sera in cui avevano tentato di aggredirmi a Santa Monica. Il suo tono perse subito l’inflessione dura e arrabbiata e ne assunse una più pacata.

“Non te la prendere. Se credi che abbiano rovinato tutto sappi che ti sbagli, perché ho un’alternativa.”

“In realtà mi preoccupa il fatto che abbiano una foto di me,” ribattei.

“Sei riuscita a nasconderti in tempo, credo,” tentò di rassicurarmi, ma lo fece inutilmente. “Comunque, se vuoi, possiamo fermarci così mi fai vedere quelle famose foto. Del resto è per quelle che sei qui, giusto?”

Annuii e accostò un marciapiede vicino a un parco.

“Da queste parti non passerà mai nessuno. A quest’ora sono tutti a casa tranne noi,” spiegò prima di accendere la luce interna. “Avanti, sono pronto.”

Aprii la cartellina e gli porsi quelle che aveva scattato lui, sulle quali si soffermò solo per qualche secondo, dopodiché gli mostrai la foto in cui compariva insieme a Francis. La strinse a entrambi i lati tra l’indice e il pollice e la avvicinò al viso, gli occhi che studiavano attentamente le due figure impegnate a chiacchierare piacevolmente, spalancati e increduli. A quel punto estrassi anche il mio disegno, ansiosa di vedere la sua reazione.

“Per fare questo mi sono ispirata all’ultima fotografia che hai visto,” spiegai mentre gli passavo il foglio di carta spessa. “Vorrei lasciarteli entrambi.”

“D’accordo,” mormorò ancora concentrato sul disegno, poi si voltò verso di me con sguardo inquisitorio. “Come può un essere umano riprodurre un’immagine così fedelmente?”

Alzai le spalle cercando di trattenere un sorriso compiaciuto. “Sono anni di esperienza. Quando avevo l’età di Francis scarabocchiavo esattamente come fanno lui e i suoi coetanei e, giusto perché tu abbia un’idea, voglio farti vedere che cos’ha preparato per te.”

Tornai ad aprire la cartellina e stavolta presi un foglio A4 piegato in quattro parti asimmetriche. Nikki lo distese con una certa curiosità e si ritrovò davanti un disegno fatto con i pennarelli e in maniera piuttosto frettolosa, ma non per questo privo di significato. Lo osservò per qualche secondo per interpretarne il soggetto. La pagina era attraversata da una linea orizzontale gialla che rappresentava la battigia e, in piedi su di essa, si trovavano due omini stilizzati, uno alto con le mani davanti a sé e l’altro più piccolo e con un aspetto decisamente più dinamico. Una scritta sbilenca che riportava il nome di Nikki era collegata alla prima figura da una linea, e un’altra dello stesso colore era abbinata all’altro e si poteva leggere chiaramente il nome di Frankie.

“Di solito sono i fan giapponesi a regalarmi disegni, non i bambini,” esordì il bassista con un tono divertito ma con qualche nota amara, poi puntò un dito sul suo ritratto a pennarello. “Per caso quella roba gialla e arancione che ho in mano sono conchiglie?”

“Suppongo di sì,” risposi mentre mi stringevo nella giacca di pelle.

“Di’ grazie a Francis,” disse mentre tornava a piegare il foglio per infilarlo nella tasca del chiodo. “Non mi capita spesso di ricevere disegni dai ragazzini delle elementari.”

“Nemmeno a Frankie capita spesso di giocare con qualcuno di più grande che non sia me,” mi lasciai sfuggire mentre abbandonavo il capo sul poggiatesta. “Di solito non è così socievole, almeno non con tutti, ma con te si è comportato in modo diverso. È come se ci fosse qualcosa.”

Feci una pausa di pochi secondi durante la quale schioccai ripetutamente le dita con la speranza di trovare un termine che potesse definire adeguatamente ciò che avrei voluto dire, ma Nikki fu più veloce di me.

“Un’alchimia, forse?” azzardò, torcendosi le mani nel buio dell’auto. “Un sesto senso che ci lega?”

“Sì,” esclamai. “Penso che gli ricordi qualcuno. Deve aver fatto uno di quei giri mentali che fanno i bambini e deve averti associato a qualcuno che gli ricorda un momento bello. Forse a mio padre. Di solito è lui che lo accompagna a prendere le conchiglie sulla spiaggia.”

Mi voltai verso Nikki per controllare la sua reazione alla mia ipotesi e lo trovai pietrificato sul sedile, con le mani immobili, lo sguardo fisso sul volante e uno strano colorito del viso. Sembrava che gli avessi appena comunicato una notizia sgradevole.

“Sei pallido. Va tutto bene?” constatai per non tacere, ma Nikki non sembrò prenderla bene e scattò sull’attenti come se avesse sentito un rumore sospetto.

“Sono un po’ stanco. Oggi è stata una giornata intensa,” ribatté prima di mettere in moto. “Adesso ti riporto a Van Nuys, così potrai prendere la tua auto e tornare a casa da Francis. Credo ti stia aspettando.”




N.D’.A.: Buonasera!
Vado piuttosto di fretta, per cui taglierò un po’. Come sempre, grazie a chi segue e a chi ha ricominciato a leggere questa storia, nonostante la mia lunga assenza! ♥
Ci si rilegge la prossima settimana.
Un bacio,

Angie Mars






   
 
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