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Autore: Hitsuki    24/06/2016    1 recensioni
Kazuma smise di accarezzare i capelli di Bishamon e chiuse gli occhi. Voleva rimanere così, a palpebre chiuse, con le mani fra i capelli di lei, senza vedere né sapere nulla. Gli bastava toccare quel poco di luce che rimaneva in Bishamon, impaurito dall'idea che quel battito di sole potesse volare via lasciando vuoto il letto dove lei soffriva; ogni cosa attorno a loro si scioglieva e riduceva il fuoco a una fiamma sommessa. ☼ kazuma/bishamon, lievi spoiler?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bishamon, Kazuma
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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ORO FRA I CAPELLI

I riflessi spenti dei capelli di Bishamon rendevano lucidi gli occhi di Kazuma, seduto silenziosamente accanto alla sua dea. Sfiorava quell'oro con le dita, avendo paura di sfiorirlo maggiormente; si soffermava sulla pelle scolorita, gli occhi chiusi, il corpo rabbiosamente debole – era una sofferenza triste, lenta, piena di urla non gridate. Kazuma smise di accarezzare i capelli di Bishamon e chiuse gli occhi. Voleva rimanere così, a palpebre chiuse, con le mani fra i capelli di lei, senza vedere né sapere nulla. Gli bastava toccare quel poco di luce che rimaneva in Bishamon, impaurito dall'idea che quel battito di sole potesse volare via lasciando vuoto il letto dove lei soffriva; ogni cosa attorno a loro si scioglieva e riduceva il fuoco a una fiamma sommessa. Kazuma non avrebbe dovuto chiudere gli occhi.
   Kazuma riaprì gli occhi.

«Bishamon, hai fatto un brutto sogno?» i sospiri delle gocce d'acqua ricadevano sul corpo di Bishamon ed i suoi capelli fradici le coprivano il viso. Kazuma la conosceva troppo bene: quel suo continuo ostinarsi a non dire nulla a nessuno, sperando così di evitare il dolore, la rendeva peculiarmente fragile – era un muro di cristallo, che nulla tranne la luce era capace di trafiggere. Bishamon era incredibilmente testarda, così testarda da non volerlo ammettere.
«No, nulla di particolare». Kazuma tentava sempre di scalfire un po' quell'ostinatezza ma lei, sempre fiera, evitava orgogliosamente di essere sincera.
Kazuma sospirò. «Di nuovo», si limitò a dire. Gli incubi di Bishamon non erano mera bruttezza, ma vera e propria realtà: Kazuma sapeva, vedeva ogni cosa. Certe volte si domandava come lei facesse a sopportare con tanta grazia, con tanta forza, e l'ammirava; ma la accusava sovente di essere troppo testarda, caratterizzata da una costante forza d'animo che la indeboliva, e accusava anche lui stesso, che non era capace di togliere dalla sua amata quel muro fatto di sogni distorti.
   Con Bishamon si vedono nuovi colori dietro allo spessore fisico – il giallo sta nel blu, l'oro nell'indaco. Si diramano attorno ai pensieri e rendono il mondo brillante. I colori sono utili e belli: un'accoppiata estremamente rara che va curata attraverso l'equilibrio.
Bishamon, dopo il suo continuo sbilancio, si rialza. Il suo corpo è lo stesso, così come la mente, ma è una specie di reincarnazione: dalla carne lacerata ne nasce una nuova, come fosse una muta liscia e morbida, al contrario della pelle squamosa dei serpenti. Kazuma ne è grato, riversando tutta la sua gratitudine in Bishamon stessa, sorridendo di fronte all'utile bellezza nel suo massimo splendore. Il mattino ha l'oro in bocca, così come il risveglio arcaico. E Kazuma si sveglia ogni mattina senza un peso nel cuore, pensando a Veena e dicendo fra sé e sé: «Amo la vita». Bishamon lo sentiva, senza bisogno di stare accanto a lui – c'è sempre un colore a svilupparsi nella loro distanza, vibrando di bianco. 
   Tutti sono malleabili. Si creano, si disperdono. Quando respirano si plasmano in animali ed un attimo dopo, mentre parlano, sono uomini; in seguito, lì dove il cuore batte, sono umani; ancora più in là trascendono il divino. I colori si tracciano di sfumature a vicenda e gli déi notano questi dettagli con i loro occhi astrali. Bishamon catturava le mutazioni altrui e le conservava nel cuore. 
   Ella inoltre ricordava vagamente i primi albori del mondo, dove gli uomini non sapevano parlare ma comunicavano in versi gutturali. Era buffo, in un certo senso affascinante: risvegliava il lato selvaggio della fortuna, lei che era la primitiva dea della guerra. Bishamon affermava che gli uomini, faticando a capire gli altri, decisero di produrre parole affini ai loro versi. E poi ai versi fonetici si affiancarono quelli della poesia. E poi ritornarono, nei momenti più brutti, quei sospiri e quelle grida antiche sopite nell'uomo. «Io, nonostante tutto, ho sempre compreso gli uomini» affermava Bishamon quando Kazuma le accarezzava i capelli. «Soprattutto quando non parlavano. Nel loro silenzio li rendevo affini a me. E li amavo: Kazuma, io amo gli uomini. Ma sono la dea della guerra e dunque li uccido; su questo ci rimuginai a lungo. E decisi che, dopo le loro tragiche morti, li avrei tenuti sotto la mia ala. Avrei nuovamente mostrato loro il mondo, altre cento volte, con tutto il mio affetto». L'uccidere era un gesto che diventava dolce, così come gli uomini possono tramutare in divinità; gli uccisi vivevano nel cielo – il cielo, essere volubile – al fianco degli déi. L'uccidere si poteva definire un gesto che tentava disperatamente di diventare un dono – e riusciva nell'intento. Bishamon infatti era una dea dal grande cuore. Spalancava le porte a tutti, dando loro una casa; ma lei non si apriva mai a nessuno.
   Lui lo sapeva. L'ha imparato a poco a poco, vivendo assieme a lei accanto al suo fragile affetto, realizzando che i suoi occhi avevano visto più di quanto qualcuno potesse vedere – e non importava se poteva reincarnarsi, perché lui non riteneva corretto vedere una dea ridotta a pelle marcia e lacrime brucianti.
Tutti sono malleabili. Colui che crea è anche capace di distruggere. Colui che è forte è anche capace di essere fragile. Bishamon era un individuo ancor più malleabile: non solo catturava le orbite altrui, ma portava il peso glorioso delle sue reincarnazioni precedenti, tenendo una cicatrice affissa nel suo petto. E nonostante questo, Bishamon rimaneva sempre lei – era Veena, un'incredibile artista militare che conviveva con il lato altruista del divino. Veena era per Kazuma un presente splendido, valeva una vita intera: e sapeva che, quando erano vicini, nessuno dei due aveva paura. Non più. 
   Kazuma ammirava il bagliore mattutino – ama le persone che cominciano ad alzarsi, ama il mondo che si sveglia, ama gli déi che sono sentinelle senza tempo – e sorrideva.
   Bishamon era splendente; il sole, quando lei riposava ai primi chiarori dell'alba, allungava i raggi e ne baciava i capelli d'oro.
 
 

ndanoragami mi è piaciuto tanto e noragami aragoto ancora di più: ne ho amato i personaggi, la trama, i feels. ma una coppia in particolare è quella che amo (ed è molto più in alto rispetto alle altre): la kazubisha. senza contare che bishamon è la mia preferita e kazuma la segue subito dopo! auguro loro tutto il bene di questo mondo ed anche quello divino, bless. 
con questa ff non so bene dove io sia voluta andare a parare, mi sembra… un po' senza contenuto, ma tant'è. è da qualche mese che non pubblico quindi ho pensato di cogliere l'occasione! e nonostante parli di una coppia è una storia molto introspettiva sia dal lato di bishamon che da quello di kazuma – non ci posso fare niente, una volta che inizio a scrivere devo approfondire i personaggi –; in alcuni punti è anche un po' più, uh, spirituale i guess? appunto perché bishamon è una dea. inoltre ho riletto il tutto meno volte rispetto al mio solito, quindi ditemi pure se c'è qualcosa che non va!
non ho molto altro da dire, in realtà sto tentando di scrivere in modo abbastanza serio con scarsi risultati lmao;;;; uhm, non so davvero cos'altro dirvi. potrei anche rischiare di scrivere troppo, ahah. quindi bye-bye!!
  
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