Libri > L'ospite
Ricorda la storia  |      
Autore: Newdark    24/06/2016    2 recensioni
[Ambientato prima dell'Epilogo, di cui non si tiene conto]
Per una volta, Wanda non può uscire in missione e accade il disastro. Forse, però, gli imbarazzanti suggerimenti di Melanie riusciranno a sbloccare la situazione.
___________________________
«Tu non capisci, Wanda. Mi avevi persa ma sei riuscita a recuperarmi!». Mel aveva gli occhi sgranati e parlava a raffica. «E immagino tu non abbia dimenticato come».
Anche i miei occhi si spalancarono, ricordando il bacio di Jared – risolutivo in quell’occasione – ma soprattutto quello di Ian. Il mio cuore scricchiolò. «Non vorrai...» balbettai, temendo ciò che Melanie stava quasi certamente per suggerire.
Melanie mi fissò infervorata. «C’è una cosa che non hai ancora provato a fare, per svegliare Ian!».
Ricambiai l’occhiata, inerme. «Io devo... io dovrei... baciarlo?» azzardai, avvampando al solo pensiero.
Melanie apparve improvvisamente incerta. La guardai con perplessità. «Beh, eh. Puoi provare. Ma vista la situazione così... delicata... insomma, pensavo a qualcosa di un filino più drastico».
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian, Viandante
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Salve a tutti!
Non ho molto da dire, se non che spero tanto che la mia storia incontri gli occhi e il gradimento di qualcuno.
Un responso è ben accetto!
Buona lettura,


NewDark


Ultima modifica:
febbraio 2022

 

 

 

 

 

Calling Ian Back

 

 

 

 

 

   «A-aiuto! AIUTO!».
  L’urlo rimbombò in lungo e in largo per buona parte della caverna, richiamando a raccolta quasi tutti gli inquilini.
  - Che c’è? - Che succede? - Si è fatto male qualcuno? -. La piccola folla raggiunse l’uomo che aveva gridato, la cui voce, distorta dalla risonanza, non era stata riconosciuta.
  I cavernicoli rinvennero Aaron nelle vicinanze dell’ingresso, mentre reiterava la sua richiesta di soccorso. Fu raccolto, malconcio, per essere trasportato in fretta verso l’ambulatorio, mentre decine di domande iniziavano ad affastellarsi le une sulle altre. Aaron rientrava in solitaria e in condizioni pietose da una missione per la quale erano partiti in cinque. Come si era ridotto così? E dov’erano finiti gli altri quattro?
  Mentre lo caricavano, l’uomo parve riacquistare le forze e si dimenò perché lo mettessero giù.
  «No!» urlò, rauco. «Dobbiamo fuggire tutti! Subito!».
  Il fragore della folla si spense, e seguì un silenzio spaventato. Aaron girò la testa a destra e a sinistra – oh, come gli doleva il collo – per sincerarsi che fossero tutti lì a prestargli attenzione. E allora sganciò la bomba.
  «Li hanno presi. Tutti» dichiarò, più bianco d'un morto.







   Me ne stavo rannicchiata sotto le coperte, tremante, sfidandomi a non starnutire più di una volta ogni dieci secondi – avevo perso il conto delle sconfitte, mentre la massa di fazzoletti appallottolati ai piedi del mio materasso andava crescendo ad un ritmo vertiginoso.
  Confinata a letto ormai da tempo immemore, a causa di una banale influenza stagionale che era stata, tuttavia, perfettamente capace di farmi retrocedere di parecchi gradini nella scala evolutiva terrestre, tentavo di stimare le probabilità che avevo di eludere l'attenta sorveglianza delle mie sentinelle e di sgattaiolare via dalla mia clinica privata – prima che arrivasse Melanie col beverone, magari.
  Da quando mi ero ammalata, non avevo più avuto pace.
  D'accordo, avevo esattamente l'aria di una che poteva sfiorare la tomba per un semplice raffreddore e d'accordo, ero diventata il pupazzo coccoloso dell'intera comunità – con quel mio nuovo corpo, il passo da alieno infingardo a tenero bambolotto era stato sorprendentemente breve persino per i miei più accaniti detrattori – ma mai avrei potuto immaginare l'effetto che la mia indisposizione avrebbe prodotto su tutti loro.
  Dal momento in cui ero comparsa a cena, una sera, bianca come un lenzuolo e sudaticcia, tremebonda e mucillaginosa, avevo firmato la mia condanna ad un ricovero forzoso al quale ero ancora assoggettata.
  «Hanno tutti la sindrome della balia mancata, qua dentro» aveva spiegato Mel, facendo spallucce, ed avevo persino riso con lei della definizione, un attimo prima che m'infilasse in bocca a tradimento una cucchiaiata di liquame putrido, gesto che mi ero sentita in pieno diritto di considerare un'offensiva bellica e che mi aveva condotta ad un patetico tentativo di fuga nei più profondi recessi di quelle intricate gallerie. In realtà, avevo arrancato malamente fino alla stanza da bagno, prima che accorressero in massa a recuperarmi. Ero stata ricondotta a forza nella mia stanza a suon di prediche, rimproveri, minacce e diagnosi – era saltato fuori che avevamo trentacinque dottori, lì dentro.
  L’interesse morboso che tutti manifestavano nei confronti del mio stato di salute non si era sgonfiato nemmeno davanti alle rassicurazioni di Doc sul fatto che non sarei morta di tisi, e da quel giorno avevo dovuto arrendermi a farmi amorevolmente tiranneggiare da una dozzina di affaccendate baby-sitter improvvisate. 
  In verità, il loro desiderio di prendersi cura di me mi riempiva il cuore di tenerezza. Tutti mi coccolavano, più o meno esplicitamente, ronzandomi intorno come tante infermiere apprensive. Avrebbe potuto essere meraviglioso… e invece era un incubo, perché le nostre scorte di medicinali alieni erano pressoché esaurite e perciò i miei umani mi costringevano a subire i loro rozzi e spesso brutali tentativi di cura, la qual cosa comprometteva irrimediabilmente ogni possibilità di diletto. Ero stata obbligata a mandare giù intrugli amari e puzzolenti, a mostrare la gola almeno venticinque volte al giorno e a tossire a comando, e quando avevo avuto la febbre alta mi avevano coperta di pezze ghiacciate – avevo battuto i denti per ore.
  Se non altro, in questo oceano di disgrazie, la sera avevo la mia ricompensa.
  Al termine della giornata di lavoro, Ian veniva a dormire con me, nella stanza che condividevamo ormai da due mesi. Dal momento in cui compariva sulla soglia, stanco ma sorridente, il mio cuore non aveva più pace, e non la smetteva di saltellare impazzito. Mi faceva una carezza, mi domandava come stavo e si stendeva accanto a me. Ancora piuttosto intimidita dal nostro rapporto non ben definito, mi accoccolavo al suo fianco nel mio bozzolo di coperte sempre freddo. Dopo poco, mi sentivo avviluppare e tirare contro di lui, che si addormentava subito. Io impiegavo di norma dai trenta ai sessanta minuti per riacquistare una respirazione normale, dopodiché trascorrevo una notte serena e finalmente al riparo dal gelo: tra le sue braccia faceva sempre tanto caldo.
  Ma erano ormai sette notti che dormivo – o che provavo a dormire – da sola. Ian era dovuto partire in missione insieme a Kyle, Travis, Andy e Jared – per la prima volta senza di me, da quando mi ero unita alla squadra – e stavo male, malissimo, ogni volta che pensavo a quanti pericoli e quanta fatica avrei potuto risparmiare loro se soltanto non mi fossi ammalata o se almeno fossi stata in grado di reggermi in piedi per seguirli.
  Avevo provato a convincerli a portarmi fuori lo stesso – con una semplice visita alla farmacia avrei risolto subito ogni problema, dopotutto – ma non avevano voluto darmi retta. Dicevano che ero troppo stanca, che per una volta si poteva fare senza di me, e Kyle era in fibrillazione all’idea di tornare alle sue vecchie abitudini di razziatore. Non avevano atteso oltre che mi rimettessi in sesto ed erano andati. Così il cuscino accanto al mio era rimasto vuoto.
  L’improvvisa assenza di Ian aveva scatenato nel mio nuovo corpo reazioni impensabili. Ansia divorante, batticuore continuo, crisi di panico e inarrestabili scoppi di pianto erano diventati i compagni più stretti delle mie giornate. Luna mi aveva lasciato dei bei grattacapi da fronteggiare: la sua emotività impossibile mi stava creando parecchi problemi. Così, malgrado mi fossi più o meno rimessa da qualche giorno – violento raffreddore a parte – i miei amici continuavano a trattarmi come un'inferma.
  Quella mattina era Mel che si prendeva cura di me. Era diventata un'impresa, starmi vicino: bastava l'accenno di una parola sbagliata e all'istante i miei occhi si gonfiavano di lacrime. Per Melanie, impetuosa com'era, doveva essere uno strazio, eppure era lì con me, come sempre, pronta a tentare di tirarmi su il morale.
  Sembrava una mattina uguale a tutte le altre – vuota come tutte le altre, da quando lui non c'era – quando entrò Jeb. In quei giorni era piuttosto insolito vederlo nella mia stanza, dal momento che, se era vero che tutti gli altri mi rigiravano nel velluto, Jeb si muoveva con decisione in tutt'altra direzione – come sempre, del resto. Si rifiutava di trattarmi come una menomata soltanto perché il mio uomo era in missione senza di me; riteneva che non potesse giovare al mio “sviluppo emotivo”, o come accidenti l'aveva chiamato.
  Ogni volta che arrivava lui, il mio pianto era assicurato: perciò i miei premurosi badanti avevano iniziato a scacciarlo malamente ogniqualvolta lo scorgevano nel raggio di venti metri da me. Jeb minacciava sempre di mettere mano al fucile, ma poi alzava le spalle e se ne andava borbottando.
  Melanie gli lanciò un’occhiataccia, pronta a battibeccare, ma Jeb non si avvicinò. Le fece discretamente segno di uscire, mentre lanciava a me un sorriso tirato.
  Mel strinse la mia mano, rassicurante, poi seguì lo zio, lasciandomi sola. Per un po’ mi tormentai con le mie solite paranoie, domandandomi se fosse successo qualcosa di brutto, se non avrei dovuto seguirli, se Ian fosse tornato. Poi mi assopii, e non mi destai che un paio d’ore più tardi, trovando ad attendermi una scena alquanto bizzarra. E preoccupante.
  Seduti accanto a me sul letto, o in piedi ai lati della stanza, stavano i miei umani. Trudy, Lily e Jeb. Brandt e Doc, e altri. Jamie era lì al mio fianco e mi teneva una mano, lo sguardo basso. Mel non c’era.
  Iniziai immediatamente a sudare freddo.
  «Che succede?» domandai con la mia vocina scampanellante, resa stridula dal timore. Nessuno rispose, nessuno sembrava avere il coraggio di guardarmi negli occhi. Tranne Jeb. Guardai lui. «Che succede, Jeb?» insistetti, quasi soffocando per l’ansia che mi aveva attanagliata.
  Jeb mi guardò a lungo, come meditando sulla risposta che più si confacesse. Poi sospirò.
  «Non sono tornati, piccola».
  Restai come sospesa, rallentando volutamente la comprensione di quelle parole. Finsi che ciò che aveva detto non significasse nulla, che fosse una normale notizia di cronaca e non un epitaffio.
  «E...?».
  Jamie alzò su di me uno sguardo inondato di lacrime.
  «E non torneranno, Wanda».







   Nelle ore successive dovette esserci un bel trambusto intorno a me, ma io non potevo rendermene conto. Ero svenuta pressoché all’istante, come tutti si aspettavano, e continuai a riprendere conoscenza e a smarrirla per il resto del giorno. Nei rari e brevissimi sprazzi di lucidità domandai più volte di Mel, di Sole, di Paige, senza mai riuscire a cogliere la risposta, se mai me ne avessero data una.
  In un colpo solo le nostre quattro vite si erano infrante, ed erano a rischio quelle dell’intera comunità. Se i quattro uomini erano stati catturati – nei miei rapidi, smarriti pensieri non potevo evitare di anteporre quel se assolutamente folle – presto sarebbero venuti a prenderci.
  Bisognava fuggire.
  I preparativi fervettero per una notte ed un giorno. Quando mi riprendevo, vedevo gente che correva da ogni parte. I volti dei miei umani erano tesi, furibondi, spaventati, rassegnati, combattivi: c’era di tutto nei loro cuori. Nel mio, soltanto disperazione.
  Scoppiai a piangere, e Jamie accorse immediatamente: sospettavo che continuasse a sorvegliarmi. «Su, su Wanda» mormorò frettolosamente, ma la sua voce tremava come quella di un bimbo.
  «Dov’è Mel?» singhiozzai per l’ennesima volta. Non mi rispose, non lo faceva mai. Mi sollevai di scatto dalla brandina: ero debole e spossata, ma sarei andata a cercarla. Jamie mi risospinse indietro, preoccupato: la mia protesta fu uno strillo acuto che lo fece sobbalzare. Lo guardai con un misto di fierezza e vergogna. Il modo in cui mi comportavo mi imbarazzava, ma non potevo – né volevo – farci niente.
  Gli sfiorai una mano, tremante. «P-perdonami, ma ho bisogno di v-vederla» balbettai, mettendo a terra un piede malfermo. Il ragazzo, mio fratello, mi studiò per un nanosecondo, poi si decise. Mi prese tra le braccia – pesavo quanto una dodicenne, forse meno – e mi condusse via, attraverso i cunicoli. Seppi che ci stavamo avvicinando quando iniziai a riconoscere delle grida di donna. Mel.
  Scalpitai perché Jamie mi mettesse giù, e mossi qualche incerto, frettoloso passo finché non mi ritrovai a correre verso di lei. Spalancai la tenda e irruppi nella piccola caverna in cui si era rintanata. Jeb e Sharon erano accanto a lei, nel vano tentativo di calmarla. Melanie strillava come un’ossessa, accoccolata per terra con le ginocchia strette al petto, dondolandosi avanti e indietro. Quando mi videro, zio e cugina fecero un passo indietro, poi uscirono entrambi a capo chino.
  Mi feci avanti lentamente, caddi in ginocchio accanto a lei e l’abbracciai. Mel aprì gli occhi e mi riconobbe. Il suo viso si contorse in una smorfia di atroce dolore, e gli spasmi ripresero a scuoterla mentre mi stringeva tanto forte da rischiare di spezzarmi in due. Ma non importava, ero dove dovevo essere: accanto a mia sorella, piangendo con lei la scomparsa dei nostri compagni, dei due uomini che amavamo sopra ogni altra cosa.
  Potevano essere trascorse molte ore oppure pochi minuti, quando in lontananza esplose un frastuono tremendo. Io e Mel ci scambiammo un’occhiata: probabilmente erano arrivati i Cercatori. Ci sollevammo da terra insieme, molto incerte sul da farsi. Tentennammo a lungo, lasciando che il tempo continuasse a scorrere.
  Tutt’a un tratto Jamie caracollò nella stanza, il volto arrossato e gli occhi lucidi, i capelli dritti sulla fronte per la corsa. Si piazzò davanti a noi e ci guardò. Poi esplose.
  «Kyle e Andy sono tornati!» esclamò, fuori di sé dall’agitazione.
  Io e Melanie quasi crollammo di nuovo per terra.







   Era tutto vero, come scoprimmo pochi istanti più tardi: Kyle e Andy erano di nuovo tra noi, in discreta salute fisica e indubbiamente più umani che mai.
  I due uomini subirono un vero e proprio assalto, raggiunti da ogni dove da braccia ansiose – per prime, quelle di Sole e di Paige, che singhiozzavano di gioia appese ciascuna al collo del compagno – travolti dal frastuono insopportabile delle decine di voci angosciate che si accalcavano le une sulle altre in cerca di risposte su quel che era stato, e su quel che doveva venire. Per semplificare le cose, Jeb indisse immediatamente una riunione nella sala dei giochi, e spinse personalmente verso la meta tutti quanti tentavano di avvicinarsi ai due superstiti per avere qualche informazione in anteprima.
  Io e Melanie seguivamo la processione, in coda, con il cuore in gola. Cosa stavamo per ascoltare?
  Prendemmo posto nella sala scarsamente illuminata, circondate da un intenso mormorio. Andy e Kyle, pure visibilmente spossati, erano in piedi al centro, accanto a Jeb. La gente li esortava a parlare, partivano domande da ogni direzione e il fragore aumentava. Jeb fece scattare il fucile e tutti tacquero istantaneamente, poi l’uomo sedette. Sotto la pressione di decine di sguardi, Kyle si schiarì la voce.
  «Allora, che cosa è successo?» gridò un impaziente.
  «Dobbiamo abbandonare le grotte o no?».
  «Dove sono Ian e Jared?» chiese un altro. Mel e io sussultammo, mentre i nostri compagni ripetevano quei due nomi, insistendo per avere notizie dei due assenti.
  «Condurranno a noi i Cercatori, vero?» insinuò Lacey, sprezzante.
  «Ma dove-» attaccò un altro.
  «Basta, maledizione!» ruggì Kyle, zittendo la platea. Prese a misurare lo spazio centrale a grandi passi, sotto lo sguardo attento della compagnia. Poi si fermò e le sue labbra si mossero come per dire qualcosa, ma dalla sua bocca non uscì nulla. L’uomo si portò una mano alla fronte e socchiuse gli occhi, visibilmente scosso.
  «La verità è che nemmeno io so che cazzo devo dire» mormorò con voce rauca. Intravidi chiaramente un bagliore argenteo luccicare sulla sua guancia destra: Kyle stava... piangendo? «Oh, al diavolo tutti voi!» esplose, furioso, e fece per passare tra la gente seduta e abbandonare la sala.
  Qualcosa si mosse in me, e prima che potessi riflettere mi ritrovai in piedi, traballante ma determinata. Mel aveva lo sguardo perso nel vuoto.
  «Kyle» chiamai, la mia voce era poco più che un sussurro. Ma l’uomo si fermò, e si voltò lentamente verso di me, quasi con timore. «Kyle» ripetei. Ormai le lacrime avevano ripreso a scendere. «Dov’è I-Ian?» singhiozzai. Il fratello dell’uomo che amavo mi guardò, incerto. Continuammo a fissarci per un pezzo, ma sapevamo entrambi che a me avrebbe dovuto rispondere.
  «Mentre eravamo in viaggio ci hanno sorpresi, e incastrati» sussurrò alla fine, con un’espressione smarrita che non gli avevo mai visto prima. «Aaron è riuscito ad allontanarsi per correre ad avvertirvi, ma noialtri... eravamo in trappola. Stavamo per ricorrere al cianuro, quando Ian ha... deciso di fare da esca». Kyle deglutì con evidente sforzo sotto i nostri sguardi sconvolti.
  Il mio cuore parve arrestare i suoi battiti.
  «Ian si è lasciato catturare per permettere a me, Jared e Kyle di scappare. Ecco cos’è successo» intervenne Andy, secco, senza incrociare lo sguardo di alcuno dei presenti.
  «Così lo hanno preso» soffiò Kyle, rivolto più a se stesso che agli altri, stringendo un pugno e premendoselo sul viso con forza.
  Mi fischiavano le orecchie e probabilmente avevo iniziato ad oscillare pericolosamente, ma udii la domanda di Mel penetrare il silenzio innaturale – funebre – che si era creato.
  «E Jared?».
  Fu ancora Andy a rispondere, con un sorriso dolorosamente rassegnato. «C’è da chiederlo? Ha deciso di seguirli, per riportare Ian indietro».







    Fu così che per Mel e me il tempo smise nuovamente di scorrere. Ce ne stavamo immobili per ore, senza renderci conto di nulla se non che loro mancavano. Malgrado non condividessimo più lo stesso corpo, eravamo tornate a vivere in simbiosi. Di tanto in tanto venivano a portarci del cibo che nemmeno degnavamo di un’occhiata.
  Avevano deciso di attendere fino all’ultimo, per la fuga; in fondo lasciare la grotta equivaleva quasi ad una condanna a morte. Ma il tempo passava, e potevamo leggere nei solchi sempre più profondi sui visi delle persone che ci giravano intorno che nessuno si aspettava di essere ancora vivo di lì a pochi giorni.
  Poi una notte ci svegliammo di soprassalto. In lontananza, ma ben udibile, era scoppiato un intenso clamore. Di nuovo, credemmo si trattasse dei Cercatori.
  Non ci movemmo.
  «Forse è finita, Wanda» mormorò Melanie. La sua voce era roca, erano giorni che non aprivamo bocca.
  Annuii.
  Poggiammo il capo l’una sulla spalla dell’altra e chiudemmo gli occhi. Meno di un secondo dopo, udimmo delle urla. Qualcuno chiamava Melanie, e si avvicinava sempre di più.
  «Melanie!».
  Ci separammo, guardandoci stranite. Si sarebbe detta...
  «Melanie!».
  ... la voce di...
  «Mel, tesoro!».
  Un uomo irruppe come una furia nella nostra piccola caverna e si fermò, ansante, a due passi da noi. Poi si gettò su Melanie e la sollevò da terra, stringendola a sé. Mel rimase per qualche istante con una strana espressione in viso, poi vidi la lucidità riaffiorare nei suoi occhi.
  «Jared!» urlò allora, incredula, avvinghiandosi all’uomo con tutte le sue forze. Si baciarono con foga, in lacrime, sotto il mio sguardo sbigottito.
  Jared era tornato.
  Continuai a fissarli senza vederli, mentre le mie tempie iniziavano a pulsare dolorosamente. Scattai in piedi, traballante, e Jared mi notò, e notò la mia espressione. Si staccò da Melanie e mi raggiunse rapidamente, si chinò su di me e mi abbracciò stretta. Ricambiai debolmente, ero come in trance. Ma lui seppe darmi la scossa.
  «Te l’ho riportato, Wanda» sussurrò, la voce gonfia di emozione. «Ti ho riportato quel disgraziato di O’Shea».
  Il mio cuore ricominciò a pompare sangue ad una supervelocità, la testa mi girava. Mi separai da Jared ad occhi sgranati. «Dov’è?» esclamai con il respiro già accelerato e la voce più acuta che mai, pronta a correre in qualsiasi direzione.
  La presa delle sue mani sulle mie braccia si fece più salda, frenandomi, e il suo sguardo divenne cauto. «In infermeria. Prima che tu possa parlare con lui» aggiunse in fretta, vedendo che scalpitavo, pallida e sull’orlo del collasso, «Doc dovrà liberarlo dell’ospite indesiderato».
  Quasi gridai.
  «Gli... gli hanno impiantato un’Anima?» balbettai con voce stridula, mentre grosse lacrime riprendevano a scendere lungo le mie guance. Jared strinse con foga le mie mani, tentando di calmarmi.
 «Non ho fatto in tempo ad evitare che accadesse. Mi dispiace» mormorò con voce contrita, trasmettendomi il suo accoramento con lo sguardo.
  Osservai il suo viso, magro e segnato da occhiaie molto evidenti, e le sue mani e le sue braccia piene di lividi ed escoriazioni. Doveva averne passate di tutti i colori.
  Strinsi la sua mano in una presa spasmodica. «Io...» singultai, sforzandomi di penetrare quella cappa di angoscia che mi avviluppava da tempo per manifestargli la mia profonda gratitudine. «Io... ti ringrazio di averlo salvato» esalai.
  Jared socchiuse gli occhi.
  «Ho soltanto restituito il favore» sospirò, poi mi rivolse un sorriso stanco. «Vedrai che non si farà aspettare, Wanda. Tornerà presto da te» tentò di rincuorarmi, mentre Mel mi stringeva commossa.
  Risposi stirando anch’io le labbra, ma dubitavo che fosse sufficiente a farlo sembrare un sorriso. Speravo solo che avesse ragione.







   Oramai Doc e Mandy costituivano una squadra perfetta. Insieme avevano portato a termine l’espianto in pochi minuti: non avevano nulla da invidiare ai migliori Guaritori.
  La metà degli abitanti della caverna era stipata nell’ambulatorio, l’altra metà aspettava fuori. Il silenzio, tuttavia, era pressoché totale.
  Ian era disteso su una barella, privo di conoscenza.
  Avevo afferrato la sua mano sinistra e la stringevo convulsamente dal momento in cui ero mi ero precipitata lì, affannata e col cuore in gola. Di fronte a me, Kyle era il mio gigantesco specchio, aggrappato alla mano destra del fratello come se la sua vita dipendesse da quel contatto.
  Le braccia di Melanie e Jamie mi circondavano le spalle e il busto, e parole gentili, appena sussurrate, sfioravano di tanto in tanto, senza raggiungerle davvero, le mie orecchie otturate da un ronzio cupo. Sole abbracciava Kyle da dietro – o almeno ci provava – e Doc incombeva al capezzale di Ian lanciando di tanto in tanto occhiate nervose a me e Kyle, come se si aspettasse che dessimo di matto da un momento all'altro. Poco più in là, su un’altra barella, stava il crioserbatoio che aveva accolto l’”ospite indesiderato”.
  Io e Kyle chiamavamo a turno l’uomo sdraiato tra di noi, toccandolo, stringendolo, accarezzandolo. Ma lui non dava alcun segno di percepirci.
  Man mano che il tempo passava, sentivo l’aria intorno a me farsi più pesante. Vari sussurri iniziarono a rincorrersi tra le decine di persone che si affollavano in quello spazio angusto. Non sapevo cosa si stessero dicendo, ma avvertivo la loro ansia. I miei occhi si gonfiarono di nuovo.
  Quando vide l’effetto che le chiacchiere producevano su di me, Jeb cacciò via tutti. «Andate a lavorare!» grugnì alla calca, sfoderando lo spingardino. In pochi minuti l’ambulatorio e il corridoio antistante si svuotarono. Prima di andare, Mel mi strinse con forza e Jared sfiorò la mia mano intrecciata a quella di Ian, poi non rimanemmo che io e Kyle a vegliare quell’anima smarrita.
  Prima di uscire, anche Jeb mi si accostò e mi posò una mano sulla spalla.
  «Coraggio, piccola. Tornerà, il ragazzo è forte» sentenziò, burbero. «E tu, bell’addormentato» proseguì alzando la voce, rivolto a Ian, «vedi di non farci aspettare troppo, ché abbiamo di meglio da fare che farti da baby-sitter». Immaginai la faccia che Ian avrebbe fatto se avesse potuto ascoltare quelle parole e mi sfuggì un sorriso stentato. Jeb mi fece l’occhiolino e se ne andò.
  In assenza di tutta quella massa di persone, la tensione finalmente si allentò un poco. Mi massaggiai le tempie doloranti, sospirando, poi Kyle ed io ci disponemmo all’attesa, sistemandoci su due brandine ai lati del “bell’addormentato”.
  Fu allora che mi sentii finalmente libera di osservarlo sul serio. Era bello davvero, mi scappò di pensare, bellissimo. Un’ondata di tenerezza mi travolse, mentre sollevavo la sua mano inerte per posarvi un bacio e bagnarla di lacrime.
  Mi era mancato così tanto.
  Ora era lì, davanti a me, fisicamente vivo. Ma non avevo ancora il coraggio di domandarmi cos’avrei fatto se i suoi occhi non si fossero riaperti.
  Gli altri, benché addolorati, non potevano non sentirsi anche molto sollevati. Non saremmo dovuti fuggire, dopotutto: Jared aveva sorvegliato attentamente la situazione, là fuori, ed era certo che Ian non avesse fornito ai miei simili alcuna informazione. Era una gran bella notizia: ma a me, egoista come soltanto l’amore umano poteva rendere, al momento questo non importava.
  D'un tratto Kyle cominciò a parlare al fratello, strappandomi alle mie meste considerazioni. Dapprima tentennando, quasi imbarazzato, poi a ruota libera, dimenticandosi forse persino della mia presenza.
  Mi sembrava di rivederlo con il corpo di Jodi. Allora non era finita come Kyle aveva sperato, anche se poi le cose con Sole avevano preso una piega interessante. Ma se in quell'occasione mi era apparso infuocato di speranza e di passione, ora non sembrava altro che un uomo solo sull'orlo di un abisso. Non avrei mai creduto di poter guardare Kyle e scorgere, in lui, il ritratto della fragilità. Evidentemente avevo ancora molto da imparare.
  Al solito, comunque, non pareva in grado di rivolgersi al fratello senza spacconeggiare o insultarlo scherzosamente. Ascoltavo i suoi discorsi solitari con un misto di commozione e disapprovazione. «Guarda che gli riferirò quello che stai dicendo» lo minacciai ad un certo punto con un vago sorriso. Kyle sobbalzò e parve ricordarsi che c’ero anch’io solo in quel momento. Scoppiai in una risata esausta.
  Mi rivolse un sorriso colpevole.
  «Accidenti, Wanda, mi hai interrotto la serenata» protestò, mostrandosi stizzito. «Ma forse è meglio così, non vorrei diventare troppo melenso».
  Risi più forte – un suono terribile, una specie di rantolo, sembravo un trattore rotto: avevo perso l'abitudine. «Credimi, non c’è questo pericolo».
  Kyle rise con me, poi si rivolse di nuovo al fratello. «Ma non ti vergogni? Sei arrivato al punto di dover essere difeso da una ragazzina? Che razza di mammoletta». E gli mollò un pugno sul braccio.
  «Kyle!» lo rimproverai, gli occhi al cielo e le labbra appena piegate all'insù.
  Lui mise su un’espressione serafica, poi si alzò stiracchiandosi. «Diavolo, ho parlato almeno due ore. Credo di aver bisogno di un po’ d’acqua, e di aria». Si voltò verso di me con uno strano sorrisetto. «Ora tocca a te intrattenerlo un po’».
  Annuii perplessa, senza afferrare il senso di quel suo sguardo furbo. Prima di uscire si girò ancora a guardarmi, esclamando a voce altissima: «Vedete di non combinare sconcerie, voi due, tornerò tra poco!». E si allontanò sghignazzando.
  Restai immobile, assolutamente sbigottita. Quell’uomo era proprio fuori di testa. Mentre tornavo a guardare Ian, però, assorbii di colpo le sue parole e non potei evitare di avvampare di imbarazzo. Chinai il viso, presumibilmente viola, vergognandomi come se Ian avesse assistito alla scena.
  «Che... cretino» biascicai, sforzandomi con tutta me stessa per cavare fuori quel blando insulto umano. «D-dovresti davvero svegliarti, quanto tempo vuoi farmi passare con tuo fratello?» domandai preoccupata, lanciando un’occhiata incerta alle mie spalle.
  Tornai a rivolgere timidamente lo sguardo sull'uomo disteso accanto a me, ma le parole di Kyle continuavano a rimbombarmi nella testa. I miei battiti accelerarono. «Accidenti» boccheggiai, respirando più faticosamente del normale. Come avrei fatto a trascorrere una vita intera in quel corpo così agitato? Con Ian, poi – un'altra opzione non era contemplabile – a cui bastava sfiorarmi per ridurmi ogni volta sull’orlo del collasso.
  Abbassai di nuovo lo sguardo, arrossendo ancora, e fu così che Jamie mi trovò qualche minuto più tardi, quando, dopo la scuola, venne a vedere come stavamo. Mi abbracciò e, benché molto più grande del mio nuovo corpo, riuscì ad accoccolarsi contro di me. Dopo poco tornò anche Kyle, esibendo ancora un’incredibile faccia da schiaffi, e la veglia riprese, condita di quando in quando dalle visite dei nostri compagni.
  Trascorremmo così minuti, ore, giorni, finché non fummo più in grado di stabilire con certezza quanto tempo fosse passato. Non ci staccavamo mai se non per andare nella stanza da bagno. Mangiavamo e dormivamo lì. Avevamo la schiena a pezzi e la gola perennemente secca, a forza di parlare a Ian.
  Io e Kyle eravamo ormai legati indissolubilmente, come avvolti insieme in un nodo strettissimo fatto di attesa, dolore, silenziosa speranza. Tra di noi parlavamo poco, ma potevamo sentirci, e sapevamo di essere gli unici, lì, che potevano comprendere davvero l'uno il dolore dell'altra. Vivere insieme quel patimento indescrivibile, piuttosto che da soli, era lievemente confortante.
  Quando Doc ci comunicò, chissà quanto tempo dopo, che Ian aveva bisogno di nutrirsi e idratarsi, o non ce l’avrebbe fatta, e che l’ambulatorio non disponeva di attrezzature adeguate per supportare indefinitamente quel coma, Kyle impiegò del tempo a realizzare cosa ciò significasse. L'idea era talmente lontana da tutto quello che avrebbe mai potuto prendere in considerazione che per un po' il suo volto apparve confuso. Ma poi capì, e le sue urla inferocite rimbombarono in lungo e in largo per le caverne.
  «Non rimetterai quel coso dentro di lui!» ringhiò a un Doc rassegnato. Non era disposto a ripetere quanto fatto con Sole. Mai. Non poteva accettarlo, non poteva sopportarlo. Non con suo fratello. Non l'avrebbe permesso, maledizione!
  «Kyle» lo chiamai con le lacrime agli occhi. «Preferisci che... c-che muoia così?» singhiozzai, trafitta dalle mie stesse parole.
  Stava per rispondere affermativamente, lo lessi nel suo sguardo un attimo prima che incontrasse il mio. Arretrai, terrificata, iniziando a scuotere convulsamente la testa. «No» soffiai, inciampando nei miei stessi piedi e tuttavia scansando Doc, accorso in mio aiuto. «No» ripetei, a voce più alta. «No, no, NO!» gridai, disperata, furente. Guardai fisso verso Kyle, allucinata, e scoprii che ero pronta a battermi con ogni mezzo. «Io non te lo permetterò» scandii nella bizzarra imitazione di un ringhio, senza distogliere lo sguardo da quello di colui che all'improvviso, a tradimento, tornava ad essere mio nemico.
  Di colpo lui parve titubare. Sotto la sua espressione fiera e sdegnosa potevo vedere il suo cuore incrinato iniziare ad andare in pezzi. Avrei voluto che potesse vedere il mio – sanguinava allo stesso modo.
  «Kyle» sussurrai, tornando appena in me, il viso gocciolante lacrime e disperazione, «ti prego».
  Lui chiuse gli occhi. Le sue mani tremavano. Infine crollò il capo con aria sconfitta. «E sia» concesse con voce strozzata. «Ma non credo di avere la forza di guardarlo negli occhi» mormorò, e con uno sguardo di scuse verso di me imboccò la galleria e scomparve.







   Quella volta fui io ad assistere Doc, a consegnargli personalmente quel mio fratello arrivato tra noi in modo così disperatamente inopportuno.
Non volevo odiarlo. Con tutte le mie forze, non volevo. Ma il dolore era accecante, la mia mente lucida solo a tratti. Il mio cuore piegato su se stesso.
  Quando gli occhi di Ian si aprirono sotto una volontà che non era la sua, tremai, orripilata. Mai come in quell’istante seppi con assoluta certezza che quello che avevamo commesso era stato un vero e proprio crimine. La consapevolezza della crudeltà che avevamo dimostrato nei confronti della razza umana mi lasciò un senso di orrore profondo, l’ennesimo colpo che non ero preparata a ricevere.
  Ci vantavamo di essere creature intellettualmente e moralmente superiori, i soli capaci di portare e mantenere la pace sul bel pianeta Terra, ma mai come allora realizzai con forza che non eravamo altro che presuntuosi assassini.
  Come avevano potuto fare quello a Ian? A quell’uomo così straordinariamente buono, una delle prove migliori di quanto gli umani potessero essere nobili – ben più di quanto non potesse esserlo un’Anima, per cui la docilità era una dote innata e non uno sforzo. Conoscere il baratro ed innalzarsi nei cieli: quella era la grandezza umana, quella che noi non avremmo mai potuto eguagliare.
  Il corpo di Ian si tirò su, incerto, e poi si guardò intorno. Quando scorse le facce cupe di Jared, Jeb, Mel e degli altri si tirò indietro con un’espressione di terrore che non gli apparteneva.
  «Wanda!» mi chiamò Doc, allarmato.
  Scattai in avanti, ignorando gli scricchiolii del mio cuore, per impedire all’Anima di far del male a sé stessa e, soprattutto, al corpo.
  Non appena mi vide, l’espressione sul viso di Ian mutò radicalmente. Mi fissò, quasi incantato, mentre lo raggiungevo. Avere il suo sguardo addosso sapendo che non era davvero il suo rischiava di farmi impazzire, ma dovevo tener duro.
  «Viandante» esalò ad occhi sbarrati.
  Udire la sua voce dopo tanto tempo, sentirle pronunciare il mio nome con tanto sentimento, mi causò una fitta di dolore così acuta che percepii immediatamente le guance bagnarsi.
  «Tu sei Wanda» continuò, e vidi che anche i suoi occhi si inumidivano.
  Annuii con il fiato corto.
  «Sei davvero tu» esalò, incredulo. «Ti ho trovata davvero» mormorò, quasi in lacrime, serrando per un istante gli occhi e riaprendoli come per verificare di non star sognando. «Non posso quasi crederci». Non sapevo che cosa rispondere, e tacqui.
  «Ma dove siamo?» continuò l’Anima, gettando un’occhiata inquieta alla grotta e a coloro che la riempivano. «Loro sono tutti... umani? Così tanti? Perché sei qui con loro? Sei stata catturata?». Si voltò di scatto verso di me, spaventato. «Ti hanno fatto del male?».
  Scossi la testa, tentando di mascherare la mia sorpresa di fronte alla sua reazione. «Sono amici. Nessuno ci farà del male» mormorai, rauca.
  Il suono della mia voce lo fece sobbalzare.
  «Amici» ripeté un attimo dopo, cauto, come soppesando la parola. Annuii, sforzandomi di abbozzare un mezzo sorriso incoraggiante. Osservò le persone intorno a noi con una preoccupazione estrema dipinta in volto, ma quando tornò a guardare me la sua angoscia parve svanire di colpo. «Mi fido di te» disse semplicemente, ignorando il fruscio delle voci sorprese dei miei compagni.
  «Wanda» sussurrò un momento dopo, come se ancora non potesse credere ai propri occhi. «Sei davvero tu» ripeté, il viso carico di meraviglia. «In queste settimane non ho fatto altro che sognarti» confessò, lo sguardo fisso – incantato – nel mio e ricolmo di una tenerezza che mi lasciò senza fiato. Sbarrai gli occhi, arrossendo di sorpresa.
  «Ma perché sei qui con loro? Perché mi hai fatto portare qui? Perché non sei venuta tu a cercarmi?».
  Mi schiarii la voce, intorbidita da settimane di silenzio. «Loro sono la mia famiglia, ora» mormorai. Quanto al resto, non ero neanche certa di poterglielo spiegare. La mia espressione doveva avermi tradita, però, perché quando i nostri sguardi si incontrarono di nuovo lessi nel suo della dolorosa consapevolezza. Sul suo viso non c’era quell'orrore che mi aspettavo di scorgere, però – c’era piuttosto rassegnazione. 
  «Ah» disse soltanto, mordendosi il labbro, e nel silenzio assoluto della grotta la sua voce, che era appena un sussurro, parve rimbombare. Il dolore sincero, intenso, nei suoi occhi e il sorriso triste, sconfortato, inaspettato, che spuntò sulle sue labbra furono come una pugnalata dritta al mio cuore. «Tu... non vuoi me, vero?» domandò. Il mio silenzio gli valse come la conferma che cercava, e l’Anima sospirò, annuendo debolmente. «Tu cerchi il tuo compagno umano» mormorò. E chinò la testa con aria sconfitta, mentre una lacrima scivolava giù indisturbata fino al suo collo.
  Credevo di aver oltrepassato da un pezzo il punto di rottura. Come al solito, mi sbagliavo.
  Crollai a terra, in ginocchio.
  «M-mi dispiace» esclamai, afferrando le sue mani e stringendole con foga contro il petto, nascondendo il viso nelle maniche della felpa che indossava. «Mi dispiace, mi dispiace» ripetei, scossa dai singhiozzi, accasciandomi su me stessa.
  Le sue mani scivolarono gentilmente via dalla mia presa assassina e al loro posto due braccia familiari, insolitamente esitanti, mi avvolsero in un abbraccio timido. Alzai il viso gonfio di pianto sull’Anima, calata in ginocchio davanti a me, e poi mi lasciai stringere al petto da colui che, volente o nolente, mi aveva portato via tutto.
  «Ho bisogno di lui» mugolai contro la sua spalla, incapace di trattenermi. «Perdonami».
  Mi lasciò una carezza goffa sulla testa. Piansi in silenzio.
  «Io capisco» mormorò al mio orecchio, così piano che stentai a udirlo. Quando registrai le sue parole, mi separai da lui quel tanto che bastava per mostrargli lo shock che il mio viso doveva certamente riflettere. Accennò un sorriso incerto. «Non posso fingere di essere davvero sorpreso» ammise, tirando un po’ su col naso. «Sono stato qui dentro abbastanza a lungo. Ho capito quello che c’era da capire».
  Le mie labbra ripresero a tremare. Tirai su col naso anch’io.
  «Ma sei venuto lo stesso».
  «Sono venuto lo stesso». Abbassò lo sguardo. «Ti amava disperatamente. Non avevo davvero scelta».
  Mi scappò un singhiozzo. Annuii tra me. Conoscevo bene quella storia. Era anche la mia.
  «Mi amava» ripetei con voce rotta.
  «Sì».
  Strinsi gli occhi con violenza, il groppo in gola quasi mi impediva di respirare quando formulai la domanda definitiva. «Da quanto tempo lui non è più con te?».
  Non ebbe bisogno di pensarci. «Una settimana».
  «Che cosa è successo? Lo hai... cacciato via?» chiesi, angosciata, ripensando ai miei estenuanti, inutili tentativi di liberarmi di Mel. Ian era certamente tenace quanto lei: come poteva essere stato... cancellato?
  Ma l’Anima scosse la testa. «Se n’è andato lui».
  Per la prima volta, il silenzio totale che regnava nell’ambulatorio fu rotto da una serie di esclamazioni sconvolte da parte degli umani che assistevano alla scena. Io stessa guardavo l’Anima a bocca aperta, travolta dallo smarrimento.
  «Co-come sarebbe a dire?» esalai alla fine.
  L’Anima sospirò e si morse il labbro, indecisa. Mi guardò a lungo prima di parlare di nuovo. «Come puoi immaginare, sono stato impiantato in questo essere umano con la missione di scoprire da dove venisse e se esistessero altri come lui» spiegò, disponendosi al racconto e lanciando un'occhiata intensa agli umani intorno a noi.
  Annuii in silenzio.
  «Naturalmente, lui lo sapeva dal momento in cui era stato catturato, perciò, quando mi svegliai, lo trovai già pronto a nascondermi tutti i suoi segreti. Non ero il benvenuto, ma inizialmente, con mia sorpresa, voleva soltanto ignorarmi. Però mi lasciò capire che se avessi tentato di mettere il naso nei suoi affari, tra di noi sarebbe stata guerra aperta. Ma io dovevo fare quello che mi era stato chiesto».
  L’uomo sospirò, assorto, sotto i nostri sguardi ipnotizzati.
  «Per un po’, malgrado i miei tentativi di infiltrarmi nei suoi pensieri, continuò a non mostrarsi bellicoso. Di tanto in tanto riuscivo a carpire qualche suo ricordo, che... mi affrettavo a riferire a chi di dovere». I volti dei miei umani si scurirono, ma nessuno osò interrompere il racconto. L'Anima, comunque, non pareva essersene accorta.
  «Mi resi presto conto che era lui stesso a mostrarmi quello che vedevo, e che si trattava di informazioni inutili e spesso completamente false. Compresi che lo faceva per il timore di venire eliminato. Temeva che se avessi stabilito che era impossibile cavargli fuori qualcosa lo avremmo... scartato subito». Sobbalzai a quelle parole, rammentando con fin troppa chiarezza la volta in cui ero stata io stessa a prospettargli un rischio del genere.
  «Quando si accorse che avevo compreso quello che stava combinando, e che la possibilità di essere eliminato si faceva dunque più concreta, fece di tutto perché la mia mente diventasse un vero inferno». Si passò una mano sul viso, come provato dal ricordo. «Ho vissuto momenti tremendi, qui dentro». La sua voce si affievolì.
  Noi tutti pendevamo dalle sue labbra.
  «Mi sommerse di pensieri orribili, mi riversò addosso una rabbia che non ero preparato ad affrontare. Avevo nausea ed emicrania da mattina a sera e non potevo reggermi in piedi, tanto che trascorsi molti giorni a letto. Non ero neanche in condizioni di chiedere aiuto, poiché Ian riusciva a confondermi al punto di impedirmi di parlare. Lui mi... stravolgeva completamente. Mi sembrava di dover cavalcare un cavallo imbizzarrito».
  Con la coda dell’occhio notai gli umani accanto a me sorridere compiaciuti. Notai l’espressione rapita e ammirata di Melanie e mi trattenni a stento dall’alzare gli occhi al cielo. Io non potevo essere fiera di lui per una cosa del genere, vero...?
  «Sentivo che cercava di prendere tempo, ma non capivo perché. L'idea che attendesse un... aiuto da parte di qualcuno non mi aveva nemmeno sfiorato. I giorni passavano, ed erano un’agonia continua per entrambi. Alla fine, lui si stancò. Scatenarmi contro quella tempesta rabbiosa lo aveva provato, e così, in qualche suo momento di debolezza, nei nostri pensieri iniziò a comparire il tuo viso». Riprese fiato, guardandomi all’improvviso con sorprendente dolcezza.
  «Io... ti amai da subito, credo, già soltanto per il fatto di aver interrotto quel supplizio» confessò arrossendo e chinando il capo, subito imitato da me.
  «Di ora in ora i suoi ricordi di te si facevano più numerosi e più intensi, eri l’unico pensiero che non riusciva più ad evitare. La sua passione mi travolse, ed in poco tempo iniziai io stesso a pensare a te con nostalgia» sussurrò, il viso rosso e gli occhi bassi.
  «Non appena se ne rese conto, Ian… si infuriò». L’Anima rabbrividì al ricordo, scegliendo di non scendere nei dettagli. «Alla fine smise di pensarti, ma ormai lo facevo io». Mi sorrise timidamente. «Quando capì che ti avrei cercata, parve terrorizzato. Adesso capisco perché». Si guardò di nuovo intorno, posando gli occhi sulle decine di umani allibiti che ci attorniavano.
  «Incominciò a spulciare tra i miei pensieri per capire quanto mi avesse lasciato scorgere dei suoi ricordi. Si convinse che avevo visto fin troppo, che mi sarebbe bastato poco per completare il quadro e trovarti, e che mi sarei servito dei Cercatori pur di raggiungerti. Era spaventatissimo all’idea. Da quel momento iniziai a percepirlo sempre meno, e sempre meno frequentemente. Ci volle un po’ prima che capissi che stava tentando di andarsene, pur di negarmi con assoluta certezza ogni accesso alla sua mente, ma in ogni caso non potevo impedirglielo. La sua presenza si fece sempre più flebile finché, sette giorni fa, rimasi solo».
  Il silenzio che accolse la fine del suo racconto era assordante.
  Mi occorsero parecchi minuti prima che potessi digerire quelle parole. Poi, nascosi il viso tra le mani e mi sfuggì l’ennesimo singhiozzo.
  Sarei mai riuscita a riportarlo indietro o Ian era perduto per sempre?
  L’Anima era ancora seduta sul pavimento freddo, vicino a me. Avvertii la sua mano premere con delicatezza sulla mia spalla. Alzai gli occhi e la trovai ad osservarmi addolorata.
  «Se piangi, però, mi spezzi il cuore» bisbigliò tristemente.
  Arrossii e distolsi lo sguardo. «Non ti ho nemmeno chiesto come ti chiami» mi rimproverai, amareggiata, strofinandomi gli occhi gonfi.
  A quelle parole, l’Anima si illuminò del primo, vero sorriso, e i suoi occhi blu – gli occhi di Ian – brillarono. «Oceano Luminoso» rispose, e il nome mi parve azzeccatissimo. Compresi anche come mai narrasse così bene: era stato un’Alga.
  «Oceano Luminoso...» ripetei tra me, poi alzai su di lui uno sguardo disperato e risoluto insieme. «Ti prego, aiutami a riportarlo indietro» lo implorai, senza far caso alle mie lacrime che cadevano sulle nostre mani intrecciate.
  Lui diresse la sua attenzione su quel groviglio umido e per qualche istante lo contemplò in silenzio. Il suo sorriso si era intristito di nuovo. Sospirò, poi tornò a guardarmi, con due occhi carichi di una dolcezza sorprendente. «Non potrei rifiutarti nulla, Wanda» mormorò alla fine.








    Nelle giornate che seguirono, mi ritrovai a vivere una vita davvero strana.
  Il mio unico obiettivo era diventato quello di “svegliare” Ian, e nei miei pensieri, come nei miei tormentati sogni, non c’era spazio per nient’altro. Oceano Luminoso, che come Sole prima di lui aveva accettato l’impensabile per uno della nostra specie – aiutarmi a riportare indietro il possessore originario del corpo che abitava – era con me in ogni momento della giornata. Non ci separavamo se non per dormire e la mia missione, da mattina a sera, non si fermava mai.
  Anche i miei amici erano perennemente al mio fianco, e tutti quanti tentavano, come potevano, di essermi d’aiuto e di sostegno, benché la mia compagnia dovesse risultare molto poco allettante. Mi pareva di essere circondata da una nube di sconforto tale che non mi capacitavo di come gli altri potessero sopportare la mia vicinanza. Forse stavo facendo progressi, nel dissimulare i miei stati d'animo, o più probabilmente, invece, apparivo così derelitta che nessuno si sentiva sicuro a lasciarmi sola.
  I miei umani, quasi tutti, trattavano Oceano Luminoso con grande cortesia, e non soltanto per riguardo nei confronti di Ian e miei, ma anche perché quell’Anima innamorata sembrava averli profondamente turbati.
  Certamente aveva turbato me. Anche i dettagli del suo recupero, che avevamo appreso nei giorni seguenti e che ricordavano alla lontana quello che era accaduto con Sole, avevano contribuito ad impressionare i miei umani.
  Dopo che Oceano Luminoso era stato dimesso dall’ospedale, Jared lo aveva seguito; il nostro compagno aveva trovato rifugio in una casa vicina a quella del suo bersaglio, provvidenzialmente libera dai proprietari in vacanza – il frigo non era pieno ma Jared sapeva adattarsi – e da lì aveva incominciato la sua sorveglianza. Nei primi giorni, il via vai di visitatori era stato pressoché continuo. Cercatori, per lo più, a caccia di informazioni che non arrivavano. Poi le visite si erano diradate fino a scomparire del tutto. Jared aveva iniziato a sospettare che dietro l’improvviso isolamento dell’Anima ci fosse lo zampino di Ian – che O’Shea avesse iniziato a fargli passare le pene dell’inferno era fuor di dubbio, a giudicare dalle urla – soffocate, ma non abbastanza da sfuggire all’umano appostato a notte fonda con l’orecchio teso – che qualche volta sfuggivano al malcapitato ospite, e dal suo aspetto malaticcio e sconquassato che non di rado Jared riusciva a scorgere dalla propria finestra.
  L’uomo avrebbe desiderato poter approfittare di quella condizione così favorevole per portare a termine il sequestro – la forza del corpo di Ian avrebbe potuto costituire un problema non indifferente, altrimenti – ma la situazione era così complessa – l’attenzione in città era ancora così terribilmente alta, dopo la cattura di Ian – che Jared si era visto costretto ad aspettare.
  Poi, un giorno, l’Anima era riemersa dalla sua tana, ed ecco che all’improvviso sembrava essere troppo tardi. L’usurpatore non esibiva più quell’insopportabile aria da bambolotto che Jared ricordava dal primo giorno in cui l’aveva visto, e che stava così male in faccia a Ian; aveva un’espressione seria, ora, concentrata, a tratti grave, insolita sul volto di un’Anima, e tuttavia non sembrava più impegnata in una lotta mentale all’ultimo sangue. Jared l’aveva osservata riprendere a condurre una sorta di normale esistenza con inquietudine sempre crescente.
  Sentiva che era il momento di intervenire, che la faccenda aveva preso una brutta piega. Nessun Cercatore si era più presentato alla sua porta, però – un cauto respiro di sollievo poteva essere tirato. Jared aveva sorvegliato Oceano Luminoso abbastanza a lungo da essersi ormai assicurato che nessuna informazione vitale fosse trapelata. Era arrivato il momento di tirare Ian fuori da lì.
  Jared aveva iniziato a pianificare attentamente le proprie mosse – un rapimento nel bel mezzo di una città in cui erano comparsi degli umani non era la missione più semplice da portare a termine. Poi, un pomeriggio, l’Anima era uscita in giardino con un paio di quadri appena dipinti e li aveva stesi sotto il sole per farli asciugare. Non era la prima volta che accadeva, perciò Jared non aveva prestato subito attenzione ai soggetti dipinti – normalmente, si trattava di insoliti, affascinanti paesaggi subacquei. Poi aveva notato la differenza rispetto al solito, ed era rimasto immobile per una decina di secondi buoni a fissare la faccetta angelica di Wanda sorridergli dolcemente da una delle due tele.
  Scegliendo di rischiare il tutto per tutto, il mattino seguente Jared si era presentato alla porta dell’ignaro vicino con una scusa qualsiasi e Oceano Luminoso lo aveva accolto in casa senza alcun sospetto. Senza perdere tempo – non doveva essere stato piacevole ritrovarsi nella tana del nemico – Jared gli aveva comunicato di averlo cercato per conto mio, la sua Wanda, e che io lo aspettavo con impazienza.
  Era stato un azzardo bello e buono, quello. Basandosi solo sull'esperienza mia e di Sole, Jared aveva sperato che l'Anima ospitata dal corpo di Ian fosse scossa dall'ardente desiderio di ritrovarmi.
  Aveva funzionato un'altra volta.
  Oceano Luminoso lo aveva seguito subito. Se anche aveva fiutato qualcosa di storto – malgrado i suoi sforzi, Jared aveva un'aria provata e selvatica, molto poco usuale per un'Anima – non aveva resistito a quell'invito. Si era lasciato guidare attraverso il deserto, confuso e smarrito, ma mai pentito. Era stato introdotto bendato, senza capirne il motivo, nelle caverne – tutto, pur di trovare me – ed era stato condotto da Doc che lo aveva addormentato a tradimento. Non era dunque difficile comprendere come mai, i primi giorni, l’Anima sobbalzasse e si stringesse al mio fianco con aria inquieta ogniqualvolta incrociavamo Jared o Doc.
  Pian piano, però, parve abituarsi a quelle presenze che in fondo non avevano un'aria ostile ed iniziò a ricambiare i loro saluti. Fu allora che il suo carattere cominciò a rivelarsi pienamente.
  Oceano Luminoso era straordinariamente socievole. Non appena comprese che era possibile, per lui, intrattenere rapporti più o meno civili con le persone che gli giravano intorno, si scatenò. Mantenerlo in silenzio divenne un'impresa disperata.
  Era anche piuttosto iperattivo, e non si fermava mai. Correva da una parte all'altra delle caverne pronto a dare una mano a chiunque, sempre sporco di sabbia, di farina o di argilla. La sua gentilezza ed il suo infaticabile zelo, accompagnati da quel sorriso pressoché onnipresente, fecero sì che entrasse nelle grazie della collettività ad una velocità impressionante.
  Lavorava volentieri insieme agli altri, e ancor più volentieri chiacchierava. Chiacchierava moltissimo, in effetti, ma i miei umani trovavano la sua compagnia particolarmente interessante. Anche lui aveva vissuto su diversi pianeti, prima di approdare sulla Terra, e dunque anche lui aveva la sua quota di storie da raccontare. Perciò, nei momenti di pausa, eravamo quasi sempre circondati da umani curiosi.
  Kyle, invece, ci evitava.
  Da quando l’Anima si era svegliata, non avevo avuto più modo di scambiare una sola parola con lui.
  Oceano Luminoso avrebbe desiderato incontrarlo, ma niente pareva più impossibile, al momento. Nel preciso istante in cui noi mettevamo piede in una grotta, Kyle la lasciava.
  «Quell’idiota» sbottava di tanto in tanto Jared. «Il suo aiuto potrebbe essere utile e lui gioca a fare il marmocchio capriccioso».
  Ma io potevo capirlo molto meglio di tutti gli altri, e per questo lo scusavo di cuore. Sì, io comprendevo perfettamente come Kyle doveva sentirsi. Più o meno, supponevo, come mi sentivo io ogni volta che Oceano Luminoso posava gli occhi – gli occhi di Ian, ma senza Ian – su di me.
  Trafitta da mille coltelli.
  Ma lui, l’Anima, era profondamente buono e non meritava di vedere soltanto lacrime. Per questo stavo bene attenta a mantenere le mie regolari crisi di pianto lontane da lui.
  Col passare dei giorni, della sua iniziale timidezza non era rimasto quasi nulla.
  Oceano Luminoso era straordinariamente curioso, sembrava un bambino piccolo – e in un certo senso lo era – e, una volta iniziato, non la smetteva più di fare domande.
  Su qualsiasi cosa.
  Voleva sapere tutto di me, della mia vita nel corpo di Melanie, dei miei coinquilini, delle grotte, di Ian, di Jeb, della storia del genere umano, della Terra, del nostro sistema solare e di qualunque altra cosa gli venisse in mente. Tartassava me e i miei amici per ore, incapace di accontentarsi di risposte vaghe.
  «Mamma che suocera» brontolò una volta Mel con gli occhi fuori dalle orbite, dopo che Oceano Luminoso l'aveva sottoposta ad un meticoloso interrogatorio sulla sua vita da ospite refrattario.
  Le sgradevoli implicazioni di certe sue domande non sembravano spaventarlo, e non si fermava davanti a niente, nemmeno davanti all'eventuale imbarazzo dei suoi interlocutori.
  Le relazioni umane sembravano affascinarlo sopra ogni cosa. Lo sorprendevamo spesso a seguire incantato uno scambio di battute pungenti, maliziose o sarcastiche che un'Anima non avrebbe mai nemmeno potuto immaginare, anche se io, in tal senso, di strada ne avevo fatta. Una volta, mentre attraversavamo la grotta dell’orto, ci arrivò alle orecchie un vociare confuso che sapeva di litigio. Alla fine ne emerse, chiarissimo, un «Succhiamelo, stronzo!». E non ci fu verso di distogliere l’attenzione di Oceano Luminoso da quell’uscita infelice.
  «Che cosa deve succhiare?» continuava a domandare, guardando ora me, ora Jared, ora Jamie. Mi affrettai a tappare le orecchie del ragazzo, che nel frattempo era scoppiato a ridere diventando tutto rosso. Gli lanciai un’occhiataccia di rimprovero, mentre l’Anima ci rivolgeva sguardi carichi d’aspettativa.
  In quel momento sopraggiunse Mel.
  «Buongiorno» ci salutò con un sorriso, che si tramutò in una smorfia perplessa quando notò le contorsioni cui mi stavo sottoponendo per continuare a sigillare le orecchie di Jamie, troppo in alto per le mie possibilità. «Mi sono persa qualcosa?».
  Coi crampi alle braccia, rinunciai alla mia missione e guardai Mel con una certa titubanza. Ma Oceano Luminoso non aveva che un pensiero in testa – svelare l’arcano – e poiché era tanto audace quanto ingenuo, si voltò con decisione verso Mel e: «Succhiamelo» esclamò, convinto.
  Non riuscii neanche a distinguere il movimento del braccio di Mel mentre colpiva l’Anima, ma udii chiaramente il suono di uno sberlone di quelli che non si dimenticano facilmente. «Mel!» protestai, benché non riuscissi del tutto a biasimarla.
  Oceano Luminoso si portò una mano alla guancia viola e arretrò, spaventatissimo, ma non appena si voltò incontrò l’espressione omicida di Jared, che malgrado avesse capito cos’era successo non aveva l’aria di aver apprezzato. L’Anima corse a nascondersi dietro di me, cosa che gli riuscì malissimo data la stazza e che riuscì a far ridere tutti, persino Mel.
  «S-scusa» farfugliò Oceano Luminoso, quasi con le lacrime agli occhi, senza sapere da che parte guardare e optando infine per il pavimento.
  Mel gli scoccò un’occhiata fiera. «Ti perdono solo perché sono certa che tu non sappia quello che hai detto». Jared tossicchiò con un mezzo ghigno stampato in faccia, come a intendere Facile dirlo dopo la pigna che gli hai rifilato, «ma devi capire che non le tue siamo cavie».
  Oceano Luminoso deglutì a fatica. «Mi dispiace» ripeté, mortificato, con gli occhi lucidi.
  «Va bene» assentì Mel, conciliante. «Ma per oggi stammi lontano» lo avvertì con un cipiglio minaccioso.
  L’Anima annuì spasmodicamente e Jared e Mel si allontanarono.
  Jamie sghignazzava sotto i baffi. Di fronte al mio sguardo severo, però – dopo un intenso allenamento ero riuscita a metterne su uno quasi credibile – smise subito, e se ne andò con un sorriso imbarazzato.
  Con un sospiro stanco, guidai Oceano Luminoso verso la mia minuscola stanza. Avevo temporaneamente abbandonato quella che condividevo con Ian – non riuscivo a starci, senza di lui – e l’avevo ceduta all’Anima. Io mi ero rintanata in un buchetto grande giusto quel che serviva a me. In fondo, ormai, le mie esigenze potevano contarsi sulle dita di una mano sola.
  Oceano Luminoso sedette sul bordo del mio letto guardando fisso a terra. Mi avvicinai e mi accoccolai sul pavimento per poter incontrare i suoi occhi. Sobbalzai quando mi resi conto che stava piangendo.
  «Oceano Luminoso!» esclamai, stupita, prima di rendermi pienamente conto di come doveva sentirsi in quel momento. La violenza gli era sconosciuta, così come il risentimento. Malgrado i giorni trascorsi con Ian nella sua testa, non era preparato ad affrontare gli umani e la loro complessità.
  Capivo benissimo che cosa stesse provando.
  In un impeto di compassione mi sedetti accanto a lui e lo abbracciai. «Mi dispiace» sussurrai, sincera. «Loro sono... beh, i loro rapporti sono piuttosto diversi da quelli tra Anime. È tutto più intenso, nel bene e nel male. Non soffrire troppo per questo... incidente, Mel ti ha scusato».
  L’Anima pianse in silenzio tra le mie braccia ancora per un po’, infine accennò un sorriso storto – la guancia destra doveva dolergli ancora parecchio. «Ha la mano pesante, Melanie, eh?» scherzò, incerto.
  Scoppiai a ridere, un po' isterica. «E ti è andata bene che non fosse arrabbiata».
  Oceano Luminoso ebbe un brivido di terrore, poi ridacchiò, arrossendo, quando la mia mano disegnò, quasi di volontà propria, una carezza sul suo viso umido.
  Per la prima volta, quel giorno, attesi la sera stretta all'Anima, in silenzio.







   Una settimana dopo stavo male. Molto male.
  Non che dall’inizio di quella faccenda fossi mai stata bene. Ma quel giorno, per la prima volta, ebbi chiara l’evidenza che non potevo andare avanti.
  Sapevo che cosa mi aspettava fuori dalla mia tana: un'altra giornata alla ricerca del mio compagno, smarrito nella psiche di un’altra creatura. Un'altra giornata spesa in una ricerca che non dava speranze, ma ne sottraeva.
  Avevo trascorso ore e ore insieme ad Oceano Luminoso, tentando di richiamare Ian in ogni modo possibile. Racconti, oggetti, qualche sparuta foto. Non c’era alcun segno positivo, nulla che lasciasse sperare che, da qualche parte, Ian ci fosse ancora.
  Lo leggevo negli occhi dei miei umani, ogni giorno di più, che nessuno ci credeva ancora.
  E alla fine avevano convinto anche me.
  Così, quel giorno, non mi alzai. Restai immobile a fissare il soffitto, decidendo che non avevo più le forze per incontrare ancora quegli occhi, per udire quella voce. Non avevo più le forze per stare senza di lui e tuttavia vederlo ogni giorno.
  Sospirai, sentendo le guance tirare a causa delle lacrime secche e mi rigirai su un fianco.
  «Wanda».
  Avvertii il materasso abbassarsi all’altezza delle mie spalle e aprii controvoglia gli occhi. Melanie mi fissava addolorata.
  «Wanda» riprese, la voce ridotta ad un sussurro. «Sono tre giorni che non ti fai vedere, che non mangi». Aggrottai la fronte, confusa. «Oceano Luminoso è disperato, Jamie non mangia, tutti sono in pensiero per te, parlano pochissimo. Per favore» la sua voce si incrinò, «ti prego, alzati e torna da noi. A che serve fare così? Non è in questo modo che riporterai Ian da te».
  Mi sollevai lentamente a sedere e allora, dall’estrema debolezza fisica, realizzai che forse ero davvero scomparsa per tre giorni e che nemmeno me n'ero accorta.
  Avevo già smesso di esistere.
  «Lui non tornerà mai» gorgogliai, e le lacrime ripresero a scendere.
  Melanie mi strinse a sé, così forte da farmi male.
  «Non puoi arrenderti, Wanda. Non devi!». Pareva quasi che mi stesse rimproverando. «Nessuno può combattere questa battaglia al tuo posto, Viandante. Se tu ti arrendi, Ian è spacciato. Non puoi mollare così presto!». Mi stava rimproverando davvero. E stavolta non potevo sopportarlo.
  «Io muoio!» gridai allora, disperata. «Ogni giorno io muoio, quando lo guardo negli occhi e mi rendo conto che lui non c’è! Io... non posso… ancora… non ce la faccio… non ce la faccio più! Come fai a non capire?».
  «Ma io ti capisco, ti capisco» mi blandì, cullandomi al petto come un’infante. «Come potrebbe essere diversamente? Abbiamo vissuto la stessa cosa, io, te e Jared».
  «Ma non è affatto la stessa cosa!» singhiozzai sulla sua spalla. «Tu c’eri, Mel! Era lui che non voleva crederlo, ma tu eri lì! Ian invece non c’è! Non c’è più...».
  Mel mi interruppe, accorata. «Ma proprio quando Jared ti ha creduto, io sono scomparsa sul serio. E alla fine, comunque, ce l’abbiamo fatta. Ricordatelo, ce l’abbiamo fatta! Non perdere la speranza, Wanda». Scossi debolmente la testa, in un movimento vago che poteva stare per il sì quanto per il no. Non desideravo altro che tornare a perdere la consapevolezza del tempo che scorreva. «Aspetta un attimo». Melanie si separò da me trattenendomi per le spalle e mi lanciò un’occhiata nuova. Esaltata. Terrificante. «Aspetta un attimo» ripeté, e mi sembrò quasi di vedere delle rotelle nella sua testa girare freneticamente. «Mi avevi persa davvero!».
  La guardai quasi offesa. Voleva rinfacciarmelo in quel momento?
  «Sì, mi dispiace, ma io-».
  «Tu non capisci, Wanda. Mi avevi persa ma sei riuscita a recuperarmi!». Mel aveva gli occhi sgranati e parlava a raffica. «E immagino tu non abbia dimenticato come».
  Anche i miei occhi si spalancarono, ricordando il bacio di Jared – risolutivo in quell’occasione – ma soprattutto quello di Ian. Il mio cuore scricchiolò. «Non vorrai...» balbettai, temendo ciò che Melanie stava quasi certamente per suggerire.
  Melanie mi fissò infervorata. «C’è una cosa che non hai ancora provato a fare, per svegliare Ian!».
  Ricambiai l’occhiata, inerme. «Io devo... io dovrei... baciarlo?» azzardai, avvampando al solo pensiero.
  Melanie apparve improvvisamente incerta. La guardai con perplessità. «Beh, eh. Puoi provare. Ma vista la situazione così... delicata... insomma, pensavo a qualcosa di un filino più drastico».
  Continuai a fissarla senza capire, e lei iniziò a fare strani gesti che a suo avviso dovevano risultare assolutamente eloquenti, ma che si persero nel vuoto assoluto della mia mente ignara.
  «Insomma, Wanda!» sbottò alla fine, un po' esasperata dalla mia inerzia intellettuale. «Pensieri sconci!» esclamò, sferzandomi con l'ennesima occhiata ovvia.
  A quel punto, ingenua o no, era impossibile non capire. Avvertii istantaneamente tutto il sangue nelle mie vene schizzare impetuoso verso il mio povero viso, che andò irrimediabilmente in fiamme. Di colpo mi mancava l'aria. «Stai scherzando!» gracchiai, scioccata, con gli occhi fuori dalle orbite.
  Melanie mi scrutò con attenzione. «È l’unica cosa che non hai provato».
  «Non ho provato nemmeno a dargli una botta in testa, dici che potrebbe funzionare anche quello? Mel!» quasi ululai, frustrata.
  «È anche l'unica cosa che abbia funzionato, in passato» sottolineò, mantenendo su di me due occhi lampeggianti di serietà. Distolsi lo sguardo, boccheggiando, alla ricerca di una replica valida. «L'unica cosa, Wanda» ripeté Melanie, quasi con dolcezza. «Siamo pur sempre esseri umani» sussurrò, ed ebbi la curiosa impressione che i suoi occhi mi abbracciassero, mentre le sue mani stringevano con forza le mie. «Non dirmi che hai paura» mi provocò dopo un poco, scherzosa, guardandomi con un sopracciglio inarcato.
  «Tu mi fai paura, adesso».
  Melanie mi abbracciò di nuovo, dolcemente. «Non lo stai tradendo, Wanda. Beh, non nel vero senso della parola».
  «Non eri della stessa opinione qualche tempo fa, o sbaglio?». Il mio tono suonò molto più accusatorio di quanto non intendessi, ma per una volta la tentazione di scusarmi fu molto flebile.
  Melanie arrossì con aria colpevole.
  «È vero» ammise a voce bassa e un po' incerta, «ma Ian non è come me. Lui capirebbe». Incoraggiata dal mio silenzio annebbiato, Melanie era tornata determinata. «Non credi che, potendo scegliere, Ian preferirebbe tornare da te?». Mi scappò un singhiozzo, la mia testa girava sotto il peso di quei pensieri vorticosi. Melanie mi guardò più seria che mai. Qualcosa nel mio sguardo dovette indurla a battere il ferro caldo. «Lui ti spinse tra le braccia di Jared perché tu potessi ritrovarmi. Io ora ti spingo tra le sue perché tu possa ritrovare lui. Sul serio, Wanda, non... ma che c'è?».
  Avevo ricominciato a piangere.
  «Wanda!».
  Mi accoccolai contro di lei, ripiegata su me stessa.
  «Mel, io... io non posso!» mi lamentai sulla sua spalla.
  «Ma perché?».
  Non riuscivo nemmeno a guardarla negli occhi.
  «Io... insomma, noi... oh, Mel! Noi non... ancora mai...».
  Melanie si staccò di nuovo da me per guardarmi. Stavolta pareva allibita. Rimase in silenzio alcuni istanti, poi si schiarì la voce, di colpo sulle spine. «Voi due» farfugliò, «cioè, tu e Ian... mai...?».
  Scossi la testa, asciugandomi le lacrime col dorso della mano.
  «Ma... condividete la stanza da due mesi...! Che cosa stavate aspettando, che crescesse l’erba nella stanza da bagno?».
  Alzai le spalle e tirai su col naso. «Non so» dissi, ma in realtà lo sapevo benissimo.
  Il grande problema, la ragione per cui in due mesi di convivenza – con mio estremo disappunto – non era successo niente era il fatto che il mio nuovo, sovreccitabile corpo semplicemente impazziva ogni volta che si profilava all’orizzonte la più vaga possibilità di intimità fisica tra di noi. Bastava quel suo sguardo, quando certe sere la dolcezza sfumava in qualcos'altro, a mandarmi nel pallone fino al punto di ritrovarmi puntualmente distesa a letto in piena crisi respiratoria, con Ian che mi mollava pacche consolatorie su una mano e nel frattempo tentava di non scoppiare a ridermi in faccia.
  Non avevo mai capito che cosa ci trovasse di tanto divertente, dal momento che io per prima avrei potuto morire per la frustrazione – oltre che per l'imbarazzo. Ma il suo sorriso era così tenero – ed i suoi occhi maledettamente sfacciati, ricordai con una stretta al cuore – mentre si avvicinava per sussurrare tra i miei capelli che mi avrebbe aspettata in eterno, che tornavo a stringermi a lui un poco più serena, malgrado il senso di colpa e il mio stesso bruciante desiderio.
  Melanie era come smontata.
  «Oh» esordì dopo un lungo silenzio. «Allora immagino non se ne possa fare niente».
  Per calmarmi mi accarezzava il viso, Ian, e mi scompigliava i capelli. Anche lui ne sembrava affascinato, e si divertiva ad intrecciarli nei modi più strani, tanto che alla fine sembravo sempre una specie di papero con le piume arruffate.
  «Ora capisco perché non vuoi... prendere in considerazione l’idea...».
  Rideva fino alle lacrime, quando io lo facevo ridere. E mi piaceva così tanto. E adoravo quando le sue labbra ancora piegate all'insù sfioravano le mie, delicate e poi quasi selvagge – un momento di estasi prima che mi partisse la tachicardia e lui si scostasse da me con una risatina bassa, pronto a sedare il mio ennesimo attacco di iperventilazione.
  «Del resto, se le cose stanno... così, potrebbe anche essere inutile. Forse. Non so. Insomma, forse non... forse lui non...».
  Era così bello trascorrere le notti abbracciata a lui. Osservarlo mentre dormiva era diventato presto il mio passatempo preferito. Ridevo sottovoce davanti alle posizioni assurde che assumeva – perché lui ci viaggiava, su quel materasso – e sospiravo, ebbra di tenerezza, quando mi cercava nel sonno, allungando qua e là le lunghe braccia per riportarmi a sé.
  Mel sospirò, sconfitta.
  «Io non so più-».
  «Va bene».
  Mi guardò ad occhi sgranati, incerta su quanto aveva sentito.
  «Va bene» ripetei, quasi rantolando. «Voglio provare. Devo provare».
  Melanie mi posò entrambe le mani sulle spalle. Notai solo in quel momento che piangeva anche lei, chissà da quanto.
  «Va bene» ribadii una terza volta, per convincermi che non sarei tornata indietro.
  Tutto, pur di ritrovarlo. Era la mia promessa, e nel limite delle mie possibilità intendevo rispettarla.
  Per la prima volta dopo giorni, ero determinata.
  Poi mi venne in mente un dettaglio da chiarire.
  «Ma, Mel...» pigolai, arrossendo. «Esattamente, che cosa devo fare?».







   Non potevo farcela. Era impensabile, assolutamente impensabile.
  Con quel mio corpo così... suscettibile, poi. Era una partita persa in partenza. Ma dovevo tentare. Raccolsi il coraggio a due mani e mi feci forza per non svenire lì, sull’uscio della grotta di Oceano Luminoso, mentre l’Anima mi invitava ad entrare.
  Quando avevo abbandonato la mia stanza, quel pomeriggio, e mi ero riaffacciata alla vita delle caverne, ero stata accolta con grande calore da tutti. Allora mi ero resa conto di quanto i miei amici mi fossero mancati, in quei giorni di reclusione autoindotta. Ma se anche questo tentativo fosse fallito – e fallirà, fallirà, fa acqua da tutte le parti – non sapevo che cosa ne sarebbe stato di me.
  Entrai a testa bassa, il cuore a mille.
  Oceano Luminoso sedeva per terra e aveva chiuso il libro che stava leggendo. Mi osservava, con il sorriso incredulo di chi abbia appena assistito ad un miracolo insperato.
  «È bello vederti» disse, e arrossì, e io con lui.
  Cominciamo bene.
  Mel era stata molto esaustiva, anche più di quanto non ritenessi opportuno. Mi aveva istruita su cosa fare e cosa non fare. Mi aveva anche consigliato di non far parola del mio vero intento, per non “smontare l’atmosfera”. Ma io non sapevo che farmene, dell’atmosfera, e sapevo invece che non potevo essere meschina fino a quel punto. Volevo essere sincera. Almeno quello glielo dovevo.
  «Oceano Luminoso» esalai dunque, serrando per un istante gli occhi, «io devo chiederti un favore immenso».







   Non mi guardava.
  Mentre io attendevo una risposta, consumandomi lentamente d’angoscia, lui fissava un punto imprecisato sul pavimento. Era pensieroso, e il suo viso aveva assunto un'aria triste – ancora una volta, per causa mia.
  «M-mi dispiace» balbettai, «mi dispiace così... tanto di averti chiesto una cosa del genere. È... orribile, e io... io mi sento un verme» ammisi, deglutendo faticosamente. «Ma non so che cos’altro fare. Questa è... la mia ultima speranza».
  Oceano Luminoso incontrò il mio sguardo addolorato e per un po’ stette lì a fissarmi, in silenzio. Chinai lo sguardo, incapace di sostenere il suo.
  «Va bene» sospirò alla fine, con un filo di voce.
  Mio malgrado, sollevai di scatto la testa, col respiro che già accelerava. Notando la mia reazione, lui fece un mezzo sorriso.
  «Non volevo che andasse così» farfugliai frettolosamente, gli occhi sgranati e fissi nei suoi. «N-non volevo usarti in questo modo, io-».
  Ma lui m'interruppe.
  «Io ti amo, Wanda». Sussultai, come attraversata da una scossa elettrica, il cuore che batteva come un forsennato. «Se posso aiutarti, voglio farlo» proseguì, e si alzò in piedi. «E questo non è un sacrificio, per me. Io...» arrossì, e fece un passo verso di me.
  Tremai, lanciando con la coda dell'occhio uno sguardo verso l'uscita. Malgrado tutto, la voglia di scappare non mi era passata.
  «Io ti amo, e ti desidero» sussurrò, abbassando lo sguardo. «Questo corpo, il tuo compagno, ti ama e ti desidera. È grazie a lui che io posso provare tutto questo per te. E anche se fa male, è bello. È un groviglio di emozioni di un'intensità straordinaria, qualcosa che non avrei mai neanche potuto immaginare di sperimentare. La vita umana è quanto di più incredibile si possa vivere e per questo, nonostante tutto, è un onore per me essere qui dentro. E sarà un dolore e un piacere insieme poterti amare per restituirti l'uomo che tu ami».
  Ormai piangevo apertamente, travolta da quelle parole e incapace di accettare una situazione come quella. Perché qualcuno doveva necessariamente soffrire? Perché doveva essere tutto così difficile?
  «E dopo starò male, certo. Ma questo, ora, non importa».
  Inghiottii il magone che minacciava di soffocarmi. «E cosa importa, allora?».
  L’Anima sorrise mestamente. Poi sollevò una mano, lentamente.
  E la puntò verso di me, indicandomi. Invitandomi.







   Quando Oceano Luminoso compì un altro passo verso di me, seppi che dovevo fare la mia mossa.
  Gli andai incontro, tremando come un ramoscello al vento. Mi abbracciò, ricambiai. Le nostre labbra si sfiorarono, ma la sua delicatezza cedette presto alla passione. Era vero, lui mi voleva davvero.
  Mi baciò con foga, cercai di assecondarlo come meglio potevo. Le sue braccia mi stringevano, mi teneva avvinta a sé. Le sue labbra non lasciavano le mie se non per recuperare un po’ d’aria, e capii che avrebbe potuto andare avanti così per ore, che non aveva bisogno di nient’altro. Lasciai che si godesse quei baci ancora per un po’, tentai di essere dolce. Poi lo sospinsi delicatamente, ma fermamente, verso il letto.
  All’improvviso eravamo sul materasso, lui mi sovrastava. Riusciva ad essere gentile malgrado fosse evidentemente molto coinvolto. Come Ian, mi guardava come se non potesse desiderare nient’altro dalla vita, nonostante tutto. Gli occhi ripresero a pizzicarmi.
  Si slacciò la camicia e fui io, con mani tremanti, a lasciarla cadere a terra. Posai i palmi sul suo petto e lui chiuse gli occhi. Non riuscivo a provare altro che dolore e paura, ma non potevo non ammirare, almeno un po’, la bellezza di quel corpo. Non avevo mai visto Ian nudo, e pensare che stavo per farlo senza di lui mi faceva sentire alienata.
  Non mi accorsi che mi aveva spogliata finché non avvertii le sue labbra sulla mia pelle. E fu stranissimo, mi confuse così tanto che le lacrime caddero copiosamente.
  Oceano Luminoso mi accarezzò il viso con dolcezza. I suoi occhi erano tristi e ardenti allo stesso tempo. «Va tutto bene» mi rassicurò, col respiro un po’ agitato. «Puoi... puoi chiamarlo, se vuoi» mormorò, appena esitante, e mi strinse a sé. Tentai di fare qualcosa, qualsiasi cosa e gli lasciai un bacio sul collo. E un altro, e poi ancora – una volta iniziato era più semplice. Sospirò con aria rapita.
  Gli bagnai di lacrime il petto, baciandolo. Malgrado tutto, desideravo che lui stesse bene. Oceano Luminoso stava lasciando che mi servissi di lui per aiutarmi, proprio come aveva fatto Ian quando avevo perso Mel.
  Erano più simili di quanto credessi.
  Non potei più trattenermi dall'esplodere in singhiozzi.
  «Chiamalo, Wanda» mi invitò ancora, accarezzandomi la schiena e scendendo a baciarmi una spalla.
  Sentivo la sua presenza contro di me ed iniziava ad essere difficile mantenere la concentrazione. Perché, malgrado tutto, quello era il corpo di Ian, ed io desideravo che Ian mi toccasse in quel modo, desideravo baciarlo come stavo baciando Oceano Luminoso.
  I minuti passavano e tutto si faceva confuso. Diventava difficile capire dove iniziasse lui e dove finissi io, e dove stessimo andando e perché. In un tripudio di abbracci e carezze, si profilava però chiara davanti a me l'evidenza che non avrei potuto sopravvivere ad un fallimento. Non dopo tutto quello.
  Stretti, sempre più stretti, mi mancava l’aria. E non succedeva niente. Nient’altro che non fossimo noi due prossimi all’unione.
  Io e Oceano Luminoso.
  «Ian...» gemetti all'improvviso, stravolta. «Ian...».
  Oceano Luminoso spalancò gli occhi, quegli occhi, e presa da un bisogno spasmodico mi avventai sulle sue labbra semidischiuse. Lo baciai con foga, disperata.
  «Ian, Ian, Ian» continuavo a chiamarlo ogni volta che dovevamo riprendere fiato, sussurrandolo vicino al suo orecchio, sulla sua bocca, sul suo collo.
  Stavo spezzando il cuore di quell’Anima così cara, ma non volevo fermarmi a considerare quanto avrei dovuto odiarmi in seguito. Ingoiai il senso di colpa e non mi fermai.
  La mia voce salì in intensità, tremante a causa del pianto che non potevo arrestare.
  «Ian, ti amo. Ti amo, torna da me! Ian! Torna… ti prego!».
  Oceano Luminoso si sbottonò i pantaloni.
  «Ian!» gridai, mentre mi sfiorava. «Per favore...» singhiozzai. «Ian...».
  Attesi con rassegnazione quel che doveva succedere, serrando gli occhi.
  Ma non accadde nulla.
  Dopo qualche istante mi decisi a riaprire prima un occhio e poi l’altro, confusa.
  Oceano Luminoso incombeva su di me, ancora vestito dalla cinta in giù, e mi fissava ansimando.
  Credetti che avesse deciso di darci un taglio. Come biasimarlo? Aveva sopportato fin troppo.
  Allungai una mano verso il suo viso e gli lasciai una carezza timida. Lui tremò e allora notai i suoi occhi lucidi. Lo osservai con più attenzione e il suo sguardo era diverso. Il mio cuore balzò avanti molto prima del mio cervello ed iniziò a battere con una violenza impressionante. Avvertii la mia mano bagnarsi, lui stava piangendo.
  Spalancai gli occhi ed iniziai a respirare così affannosamente che la testa cominciò a girarmi.
  «I-Ian?» balbettai. Lui posò una mano sulla mia guancia e sorrise, sorrise col viso tutto bagnato e quei suoi occhi così vividi che splendevano come mai prima di allora.
  «Oh... ah... tu... sei tu?» e mentre parlavo iniziai a ridere, coprendomi la bocca con le mani.
  Lui mi guardò quasi incredulo e poi si tuffò su di me, stringendomi come se dovesse risucchiarmi all’interno del suo corpo.
 
  «Ian» piagnucolai, pazza di gioia. «Ma dove ca-cavolo stavi?».







   Ricordo la corsa verso l’ambulatorio come una delle più sfrenate della mia vita nel corpo di Luna.
  Era notte fonda e in giro non c’era nessuno. Il silenzio era totale, non fosse stato per i nostri passi frettolosi che risuonavano nelle gallerie buie.
  Nell’ambulatorio, deserto anch’esso da quando Doc era tornato a condividere la stanza con Sharon, i led dei crioserbatoi vuoti brillavano in un angolo.
  Quando Oceano Luminoso sedette su una brandina e mi sorrise con calore, mi slanciai ad abbracciarlo con tutte le misere forze di cui disponevo, senza trattenere le lacrime.
  «Grazie» sussurrai, la voce rotta dall’emozione. «Nessuna parola può valere abbastanza, ma ti prego di accettare la mia gratitudine eterna e totale. Tu sei un angelo».
  Lui ricambiò la stretta, commosso.
  «Avevo promesso di aiutarti. Non avrei potuto fare diversamente».
  Strinsi più forte quell’Anima buona, desiderando ardentemente che, ovunque andasse, potesse finalmente ricevere tutto quell’amore che non aveva potuto ottenere da me e che invece meritava così tanto.
  «Dove... dove vorresti andare?» domandai con un filo di voce, avvolgendo le sue grandi mani nelle mie, minute e tremanti.
  Desideravo che rimanesse con noi. Volevo che entrasse a far parte della nostra grande famiglia per davvero, e non al posto di qualcun altro. Ma era una richiesta egoista, che non avevo il diritto di avanzare. Perciò tacqui, in trepidante attesa di una sua risposta.
  Oceano Luminoso aveva chinato il capo ed era arrossito. Quando rialzò su di me uno sguardo timido, il mio cuore ebbe un sussulto di speranza. 
  «Tu pensi...» esordì a voce bassa e incerta, lanciandomi un’occhiata in tralice. Lo guardai incoraggiante, col sorriso più luminoso del mio repertorio. «Tu pensi che sarebbe possibile, per me... restare qui?».
  Posai le mani sulle sue spalle e lo guardai con tutta la tenerezza che nutrivo per lui. Poi, annuii.
  Oceano Luminoso si lasciò addormentare col sorriso sulle labbra.
  Avrebbe riaperto gli occhi, un paio di stupefacenti occhi verdi, tre settimane più tardi, e avrebbe preso il suo posto nella nostra comunità benvoluto da tutti – in modo particolare e particolarmente felice da Lily. Ma questa, in effetti, è un’altra storia.
  Effettuai l’operazione con la massima concentrazione, malgrado il cuore mi ballasse nel petto e le mani, talvolta, tremassero, rallentando il mio lavoro. Quando infine terminai, mi accoccolai su una brandina, stringendo saldamente la mano di Ian finché un paio d’ore dopo, alle prime luci dell’alba, la sentii contrarsi nella mia.
  Ian sorrise ancora prima di aprire gli occhi. «Wanda» sussurrò.
  «Sono qui». Ma perché non riuscivo a far altro che piangere?
  Lui voltò la testa nella mia direzione e spalancò i suoi straordinari occhi blu su di me. «Ciao» disse, e il sorriso si allargò, accecante.
  «Ciao» singultai quasi incomprensibilmente. E poi mi gettai su di lui.







   Quando ci affacciammo nella grotta principale, la giornata lavorativa era ormai incominciata da un pezzo.
  Mentre camminavamo, Ian osservava i nostri compagni intenti nelle loro operazioni quotidiane come se non li avesse mai visti prima. La mia mano era ancora avvolta nella sua, e dubitavo che almeno per quel giorno avrei accettato di lasciarla andare.
  La gente che ci passava accanto ci salutava, cordiale. Non così Kyle, che non appena ci scorse, dall’altra parte della caverna, si voltò per andarsene. Come sempre.
  «Ehi!» urlò Ian allargando le braccia.
  Si girarono tutti a guardarlo, confusi, ma lui fissava Kyle.
  Qualcuno notò qualcosa di diverso e parve iniziare a capire, forse dalle nostre mani intrecciate o forse dal sorriso tutto denti che esibivo io e che rischiava di farmi slogare la mandibola, o forse semplicemente dallo sguardo che Ian stava rivolgendo al fratello, ma nessuno sembrava volerci credere.
  Ci squadrarono, diffidenti, senza sapere cosa pensare.
  «Ehi, Kyle!» insistette Ian, mentre l'omone spariva in una galleria. «Kyle, brutto idiota, è così che saluti tuo fratello?».
  Fu un attimo.
  Un infinitesimo istante di attonito silenzio e poi la grotta esplose in grida di giubilo, e tutti si fiondarono verso di noi, verso l’ennesimo insperato miracolo.
  Mani afferravano Ian da ogni parte e lui rideva, lo sguardo fisso in direzione di Kyle, rientrato di corsa e con una faccia che non era possibile descrivere.
  «Branco di pecoroni, che diavolo è questo casino?». Per una volta l’intervento di Jeb non sortì effetto, anche perché non appena il vecchio comprese cos’era successo non poté far altro che tacere e sorridere il suo sorriso migliore.
  Doc, in un angolo, si massaggiava la fronte con aria felicemente allibita e Jared, accanto a lui, annuiva soddisfatto. Al suo fianco, Melanie si sbracciava per attirare la mia attenzione, e quando l’ebbe mi lanciò un bacio volante e una strizzata d’occhio. Jamie, accorso prima degli altri, era stretto a me con la faccia più felice di questo mondo.
  Kyle si fece urgentemente strada tra la piccola folla fino al fratello che lo aspettava con un gran sorriso divertito. Quando lo raggiunse, e si ritrovò davanti quella sua solita faccia strafottente, Kyle ululò di gioia e gli mollò un pugno sul braccio, così forte che avrebbe spezzato in due un alberello – ma non Ian, che sghignazzò.
  «Certo che intanto potevi pure prendere qualche lezione di buone maniere, testone violento che non sei altro!».
  Kyle scoppiò a ridere. «Le femminucce come te hanno bisogno delle buone maniere».
  Ian si voltò a guardarmi. «Andiamocene» mi invitò in tono scherzoso. «Avevo dimenticato che questo qui mi sta antipatico». E si girò per allontanarsi, ma Kyle lo riacchiappò e lo strinse in una presa spaccaossa, tra i ruggiti di approvazione degli altri.
  Il resto della giornata trascorse festosamente. Tutti quanti orbitavano intorno a noi senza quasi rendersene conto, e tutti chiedevano continuamente qualcosa a Ian, per il solo gusto di sentirlo rispondere. Kyle, poi, non ci mollava più. Eravamo avvolti in un abbraccio collettivo così splendente che per un poco quasi dimenticai ogni sofferenza.
  Per l’occasione il lavoro fu interrotto prima del solito e fu giocata una gloriosa partita di calcio, cui partecipai persino io – con esiti tutt’altro che notevoli, ma poco importava.
  Quando fu ora di andare a dormire, Ian ed io ci avviammo mano nella mano verso la nostra stanza, senza fretta, assaporando quegli attimi di quiete in silenzio.
  Non appena entrammo, lui si tuffò di schiena sul materasso e sospirò di piacere, sorridendomi.
  Mi concessi un istante di contemplazione, bloccandomi in mezzo alla stanza per osservarlo meglio. Era davvero lì, riflettei con una stretta al cuore, gonfio di gioia da far male. Il mio Ian era di nuovo con me.
  «Sei stanco?» mi udii chiedere, la mia voce pareva uscire da un sogno.
  Ian scosse lentamente la testa, ma sapevo che stava mentendo. Aveva corso come un pazzo tutto il tempo, doveva essere distrutto. Si puntellò su un gomito e protese l’altro braccio verso di me.
  «Vieni da me. Per favore» mi pregò con un sussurro appena udibile.
  Non aveva ancora finito di parlare che ero già stesa accanto a lui. Si voltò su un fianco e mi prese per mano, i suoi occhi blu rilucenti di contentezza.
  Zaffiro, neve e mezzanotte. Non avevo bisogno di nient’altro.
  «Wanda... piangi di nuovo?».
  Mi coprii il viso con i capelli. «Macché» protestai, la voce ridotta ad un gorgoglio molto poco convincente. «Rido».
  Bastò una carezza per scoprire il mio volto piagnucolante e la mia patetica bugia.
  «Se questa è la faccia che fai quando ridi, Wanda, credo che dovrò smettere di essere l’uomo straordinariamente divertente che sono» scherzò, sfiorandomi teneramente uno zigomo bagnato col pollice. «Accidenti, sembra che ti abbiano appena portato via il cane». Mi sfuggì un risolino acquoso che somigliava a un singhiozzo, mentre lo spingevo via senza alcuna convinzione.
  Ridacchiò, e non mi lasciò andare. Invece, mi strinse di più a sé e affondò il viso nell’incavo del mio collo. Sussultai e sorrisi, beata, sotto la delicata pressione delle sue labbra. Ian sollevò appena la testa per rivolgermi un sorriso splendente. «Mi piaci lo stesso» mormorò, con il tono di chi stia facendo una gran rivelazione, «anche se probabilmente non avrò mai l’occasione di venirti ad applaudire a Broadway».
  Scoppiai a ridere sul serio – un suono che avevo quasi dimenticato, e che fece appena in tempo a perdere quella sfumatura rauca dovuta alla disabitudine prima di morire sulle labbra di Ian, calate sulle mie con improvviso fervore. Il bacio fu travolgente ma fulmineo, ed un attimo dopo lui si era ritirato, sprofondando nel mio grembo con un grugnito che sembrava irritato. Io sbattevo le palpebre, frastornata, cercando di capire che cosa accidenti fosse successo.
  «In ogni caso, ci sono difetti peggiori che possedere scarse doti attoriali» mugugnò Ian, alzando la testa con un sospiro stanco. «Non è vero, scimmione invadente?» aggiunse a voce più alta, facendomi sobbalzare per la sorpresa, guardando verso la porta con un cipiglio sardonico.
  In quel momento, la porta della nostra grotta venne scostata e la faccia di Kyle fece capolino. Appariva eccezionalmente intimidito mentre ci rivolgeva un sorriso incerto.
  «Giuro che non ho visto niente» disse, sollevando le mani in segno di innocenza.
  Ian fece una smorfia. «Non c’era niente da vedere proprio perché c’eri tu che incombevi dietro la porta come un gigantesco babau guardone. Ti ho sentito, sai. Delicato come una mietitrebbia». Tornò a brontolare sul mio stomaco. «Dico davvero, a chi pensi debba innaffiare i cactus o spazzare la grotta per poter essere lasciato in pace con te per qualche ora?».
  Mi morsi le labbra per non scoppiare a ridere di nuovo, accarezzandogli la testa e assestandogli contemporaneamente un colpetto sulla spalla per spingerlo a non fare il cinico senza cuore.
  Sapevo perché Kyle era lì – e se non lo avessi saputo, sarebbe stato sufficiente guardarlo in faccia. Il suo bisogno disperato di appurare che Ian era davvero ancora lì, vivo e presente a se stesso era scritto a grandi lettere sul suo viso, ed era, del resto, anche il mio.
  Lo sapeva anche Ian, che si arrese con un sospiro, e si alzò e raggiunse Kyle nel corridoio. Li udii incamminarsi insieme, poi il rumore dei loro passi svanì.
  Per un po’ restai dritta e rigida con lo sguardo fisso sulla porta socchiusa. Malgrado ogni ragionevole buon senso, il pensiero che si fosse allontanato da me mi provocava un’angoscia che stentavo a controllare. Mi raggomitolai nel letto e mi resi conto che quel terrore di non vederlo ricomparire mi avrebbe accompagnata per molto, molto tempo.
  Quando, chissà quanto più tardi, udii la porta strisciare sul pavimento, mi rizzai nuovamente dritta. Dovevo avere un’espressione terribile, perché Ian si precipitò verso di me, allarmato.
  «Wanda! Che succede? Stai male?». Non mi ero accorta di respirare affannosamente. Mi concentrai per calmarmi e scossi lentamente la testa. «Sei... bianca come un lenzuolo, ti senti male?» ripeté, tastandomi la fronte freneticamente.
  «Sto bene» bisbigliai, fioca. «Adesso sto bene». Strinsi le sue mani nelle mie, contro il mio petto, e sospirai.
  «Oh» esclamò lui un istante dopo, e sedendo accanto a me mi avvolse tra le braccia. Mi rannicchiai contro di lui, riguadagnando pian piano la mia pace. «Perdonami, io non ho pensato...». Masticò un qualche improperio contro di sé. «Mi dispiace» mormorò poi, la voce vibrante di costernazione.
  «Adesso sto bene» ribadii, carezzandogli una guancia. «Ma...m-mi sei mancato così tanto, io... ho temuto di impazzire. N-non lasciarmi più».
  «Non ci penso proprio» sentenziò, strofinando la fronte contro la mia.
  «Mai più» precisai, implorante.
  «Mai più» assentì con un sorriso. Poi parve impensierirsi. «Ma avrò ancora il permesso di andare in bagno da solo?» si domandò in tono quasi serio.
  «Oh, Ian».
  «No, sul serio. Cioè, sarebbe... imbarazzante».
  Gli lanciai un’occhiata scettica e divertita insieme. «Vorresti farmi credere che tu sappia che cosa sia l’imbarazzo?».
  Alzò le spalle, fin troppo compiaciuto.
  «Ma certo che so cos’è. Me lo hai insegnato tu» ribatté, sfoderando a tradimento un occhiolino dal potere devastante. Avvertii un'improvvisa secchezza in bocca ed un calore sospetto al viso. «Per l'appunto» sghignazzò allegramente Ian. «È quello che provi ogni volta che esercito il mio irresistibile fascino su di te, non è vero?».
  Scoppiai a ridere, ma non potevo che dargliene atto. Con un piccolo colpo di coda che mi fece arrossire furiosamente ancor prima di aprire bocca.
  «È proprio quello» confermai. «Ma comunque non avresti di che vergognarti, perché ti ho già visto mezzo nudo e mi sei piaciuto tanto». Avevo abbassato lo sguardo, balbettato miseramente e certamente bruciato qualche anno di vita, ma l’avevo detto e non l’avrei rinnegato. E affrontai la conseguente tachicardia con una certa fierezza.
  Di fronte a quella mia uscita così straordinariamente inusuale, il suo sorriso si spense immediatamente. Sotto il mio sguardo esterrefatto, il suo viso si colorò appena.
  Lo guardai a bocca aperta.
  «Sei arrossito?» esclamai di punto in bianco, incredula. Il rossore sulle sue guance si intensificò e Ian sbuffò, mostrandosi stizzito. «Tu sei arrossito?». Accidenti, ora sì che le avevo viste proprio tutte. «Non ci credo» insistetti, avvicinando il mio viso al suo per contemplare meglio quello spettacolo insolito.
  «La vuoi smettere?» brontolò tentando di scansarmi, ma gli veniva da ridere.
  «Non ti facevo così timido» sghignazzai, toccandogli la punta del naso con un dito.
  Ian mi fece una linguaccia. «Non lo sono, infatti» ribatté con un’alzata di spalle, «ma non sono abituato a sentirmi dire certe cose da te». Spinta dal mio inaspettato successo, stavo per ribattere a tono – più o meno – quando lui esibì un sorrisetto che gridava pericolo da ogni piega. «Io, invece, non ti facevo così sfacciata» mi provocò, mentre un lampo di malizia gli attraversava gli occhi. E con un movimento fulmineo serrò la punta del mio dito nella sua bocca.
  La sorpresa – e che sorpresa – fu tale che sobbalzai come sotto l’effetto di una scossa elettrica, avvampando come una torcia ed emettendo un gridolino davvero imbarazzante, iniziando ad agitare convulsamente la mano libera come se mi fossi scottata.
  Le labbra di Ian, strette intorno al mio indice, si piegarono all’insù di fronte al mio ritrovato pudore, e i suoi occhi brillarono di divertimento. Quando avvertii la punta della sua lingua sfiorarmi il dito, però, compresi che le cose potevano solo peggiorare, perché il mugolio che abbandonò le mie labbra non aveva nulla di umano.
  Ian sgranò gli occhi e dallo stupore mollò la presa.
  Gli attimi immediatamente successivi furono un po’ confusi, perché la mia testa pulsava così violentemente che a stento mi rendevo conto di star ansimando in maniera indecorosa.
  «Ma era un suono di apprezzamento, quello, o cosa?» chiese Ian a bruciapelo, con quella che sembrava sincera curiosità, e per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. Poi la sua guancia premette contro la mia e le sue labbra mi sfiorarono l’orecchio. Rabbrividii. «Posso rifarlo, se vuoi» si offrì con un sussurro. Riuscivo a malapena a sentirlo, sopra il rimbombare forsennato di quella specie di martello pneumatico che avevo nel petto al posto di un cuore umano.
  «Tu...» deglutii a fatica, tentando di scacciare il calore ustionante dal viso. «Tu sei...». Non mi veniva in mente un insulto – o un complimento, ero un po' indecisa – adatto alla situazione che io fossi in grado di usare. «Sei...».
  Ian si era scostato da me e mi guardava, sorreggendosi su un gomito, con aria apertamente canzonatoria. «Compro una vocale».
  Sbattei ripetutamente le palpebre, spiazzata.
  Mi ci volle un po’ perché mi rendessi conto che stavamo ridendo come due idioti e che ero tornata ad allacciarmi a lui come un polipo. La sensazione dei sussulti del suo corpo contro il mio era talmente appagante che dubitavo mi sarei più mossa di lì. Almeno finché lui non decise di riaprire bocca.
  «Allora» esclamò quando tornammo a respirare quasi normalmente, «... posso rifarlo?».
  Mi ritrassi di scatto, arrossendo violentemente. «IAN!» starnazzai, a corto di una replica più pregnante. E quando sul suo viso fece capolino il sorriso losco di poco prima, mi affrettai a rifugiarmi sull’altra metà del materasso, il cuore che batteva impazzito ed una assurda, meravigliosa voglia di ridere.
  Non si prese neanche la briga di tirarsi su.
  «Ma che risposta è?» protestò con un sopracciglio inarcato, seguendomi con lo sguardo e sorridendo in un modo che mi fece tremare da capo a piedi. Si stava proprio divertendo.
  Finsi di ignorarlo.
  «Wanda... vieni qui» mi invitò in tono suadente. Deglutii una quantità immane di saliva ma non lo guardai. «Per favore, non farmi alzare» mi pregò ridendo, passandosi una mano sugli occhi stanchi.
  Dopo un attimo di indecisione, gattonai fino a trovarmi col viso sopra il suo, al contrario. Gli lanciai un’occhiata temeraria e Ian ricambiò lo sguardo, divertito. «Tu ci stai provando con me» esclamai di punto in bianco, senza capire se lo stavo accusando o mi stavo congratulando con lui.
  Il suo sorriso si allargò, più provocante che mai. Arrossii inevitabilmente. «Sfacciatamente» convenne, senza fare una piega. «Perciò potresti tornare qui? Mi renderesti l’approccio un po’ più comodo».
  Sobbalzai di fronte alla sua faccia tosta, ma non volli dargliela vinta. Strinsi gli occhi in due fessure nel tentativo di risultare battagliera – ma più probabilmente sembravo soltanto miope. «Allora prendimi» lo sfidai con voce malferma – non mi ero mangiata le parole, però: tutto sommato c'erano progressi seri sulla mia strada, quella notte.
  La mia determinazione scemò alla velocità della luce sotto il suo sguardo di colpo acceso, e prima che potessi perdermi in congetture su cos’avesse intenzione di fare, lui l’aveva già fatto. La sua mano attirò il mio viso a sé e le sue labbra intervennero irruente a spezzare il filo dei miei pensieri. Quando infine ci separammo – io ero in fiamme e ricordavo a stento il mio nome – Ian sorrise soddisfatto.
  «Presa» decretò, e mi strizzò l’occhio.
  Ero semplicemente troppo annebbiata per mettere su un broncio anche solo vagamente credibile, perciò rinunciai in partenza. E mi arresi con un sospiro alla muta richiesta delle sue braccia, allungate verso di me, e tornai a stendermi al suo fianco. Ian mi trascinò letteralmente addosso a lui, schioccandomi due baci rumorosi sulle guance che mi fecero ridere.
  «Cielo, Wanda, quanto ti amo» sospirò tra i miei capelli, rigirandosi alcune ciocche dorate tra le dita. Per tutta risposta mi accasciai contro il suo petto, avvertendo le mie membra farsi stranamente molli.

  Per un po’ smettemmo di parlare. Lo osservai in silenzio mentre, con gli occhi chiusi, mi carezzava i capelli, sparsi su di noi. Ascoltai. Ora potevo sentire il suo cuore martellargli nel petto, e i respiri agitati, quasi tremanti, che prendeva. Allungai una mano, esitante, e gli accarezzai il viso. Sussultai quando fu il mio turno di avvertire la punta delle dita inumidirsi. Lui mi afferrò la mano, intrecciandola alla propria, e se la portò alle labbra. Strofinai il viso contro il suo petto, sospirando.
  «Ian» sussurrai, pianissimo, forse qualche minuto, forse un’ora, dopo.
  Lui sospirò.
  «Mmm».
  Cercai di ignorare le deliziose vibrazioni che si trasmisero dal suo corpo al mio. «Vuoi… vuoi parlare con me?».
  Rise sotto di me. «Voglio sempre parlare con te» disse, affettuosamente.
  Sorrisi tra me, accarezzando gentilmente ogni parte di lui che mi capitava sotto mano. «Vorrei sapere come stai» mormorai. «Vuoi dirmelo?».
  «Sono sdraiato sotto di te. Sto benissimo». Gli mollai una pacca sul braccio e lui rise di nuovo. Ripresi ad accarezzarlo, aspettando. La sua mano scivolò sulla mia schiena, muovendosi in sincronia con la mia. Anche il suo respiro era andato modellandosi sul mio, tornando profondo.
  «Vivo» sussurrò. «Grazie a te». Chiusi gli occhi, di colpo faticando un po’ a respirare. «E non sto parlando solo di ieri» soggiunse dopo un po’, accarezzandomi la schiena quasi sovrappensiero. «Ma prima… quando tutto questo è iniziato…». La sua voce si era abbassata e vibrava in un modo che mi faceva rimbalzare a tempo tutti i neuroni che avevo in testa. «È a te che pensavo, quando ho deciso di non prendere quella pasticca».
  Raccolsi un respiro tremulo. Immaginare Ian che si lasciava morire tra i tormenti del cianuro era uno degli incubi che avevano preso ad angosciare le mie notti solitarie.

  «Sono stato un pazzo incosciente, e un egoista» disse. Sollevai la testa di scatto, scandalizzata. Lui parve pregarmi con lo sguardo di non difenderlo. «Cercavo di convincermi del fatto che lo stavo facendo anche per gli altri. Che lasciandomi prendere vivo avrei permesso agli altri di scappare – che stavo salvando i miei compagni – e forse era anche così, forse in parte era vero…». Chiuse gli occhi. «Ma l’unica verità di cui sono certo è che io volevo tornare da te».
  Ero tornata ad accucciarmi sul suo petto, mordendomi con forza le labbra tremanti.
  «Volevo tornare da te» ripeté, con un sussurro così dolente da spezzarmi il cuore, «e da morto non avrei potuto. Molto meno eroico di quanto credano gli altri» ammise con un sorriso triste. Poi sbuffò una mezza risata. «Per fortuna ero certo anche che quel babbeo di Howe non potesse vivere senza di me». Le sue dita picchiettavano delicate sul mio collo, mentre io pendevo dalle sue labbra.
  Chissà se si era accorto che tremavo? 
  «Ero convinto di essere abbastanza forte, capisci. Sono stato un po' troppo presuntuoso. Credevo di farcela, ma era ogni giorno più dura. Senza di te, Wanda...». La sua voce si spezzò. «Senza di te mi mancava l'aria» sussurrò. Le mie mani avevano artigliato le sue spalle, e mi aggrappavo a lui come se fosse stato l’unico appiglio per non cadere in un burrone.

  «Ho resistito, per un po'. Poi pensarti è diventato indispensabile, per ricordare a me stesso il motivo per cui esistevo ancora. Ma è così che ho rischiato di condannarvi tutti» mormorò, la voce soffocata. Tirai su col naso il più silenziosamente possibile, infilando una mano tra i suoi capelli e carezzandogli la testa.
  «Persino quando ho scelto di... andarmene, però» proseguì in un sussurro, «persino allora, sentivo che in un modo o nell'altro saremmo stati di nuovo insieme. Che tu mi avresti salvato un'altra volta».
  «Come... come potevi esserne certo?» rantolai, tentando di dissimulare i lacrimoni che mi colavano lungo la faccia. Con due dita sotto il mento mi invitò gentilmente a sollevare la testa, quel tanto che bastò perché potesse baciare un punto qualsiasi del mio viso paonazzo per lo sforzo di non scoppiare in un pianto dirotto.
  «Perché mi ami, e io amo te. Non c'era luogo abbastanza lontano perché non potessi sentirti chiamare».
  Il silenzio che ci avvolse era umido.
  Ian mi accarezzò il viso con dolcezza. «Ma Wanda... Stai piangendo ancora».
  Singhiozzai più forte. «N-non è colpa mia! Tu... t-tu dici cose...».
  Sorrise, intenerito. «Anima mia, qualche cosa dovrò pur dirla» obiettò, scherzoso. «Oppure oltre a non poter più andare in bagno da solo devo anche stare zitto? Inizi a diventare esigente» mi prese in giro, carezzandomi una guancia.
  «S-stupido!» risi in modo piagnucoloso, allacciandogli le braccia al collo e affondando il viso contro di lui per respirare il suo profumo.
  «Addirittura! Ti partono parole pesanti quando ti gira, eh?».
  Scoppiai nell’ennesima risata acquosa. «Tu mi fai diventare pazza» mi giustificai, strofinando il viso contro il suo collo.
  «Lo prenderò per un complimento, assolutamente».
  Sollevai la testa per fulminarlo, pronta a ribattere, ma lui sorrideva, così evidentemente felice che non potei trattenermi oltre dal cercare le sue labbra e unirle alle mie finché non ci ritrovammo entrambi senza respiro.
  «Ti prego, picchiami se dovessi suonare meno che entusiasta, ma da dove viene tutta questa intraprendenza?» ansimò Ian, sorpreso, quando riprese abbastanza fiato da riuscire a parlare.
  La domanda mi lasciò a bocca aperta. La mia mente non poté fare a meno di tornare a quanto successo con Oceano Luminoso, e avvampai furiosamente, assalita da un’improvvisa vergogna. Distolsi frettolosamente lo sguardo e scivolai via da lui, che mi inseguì con le sue braccia lunghe, impedendomi di allontanarmi troppo dal suo fianco. Avvertivo un groppo d’ansia formarsi nella mia gola, mentre flash della notte precedente mi balenavano vorticosamente nella testa.
  Ian intuì il mutamento nel corso dei miei pensieri.
  «Che c’è, Wanda?» domandò, tracciando con un dito linee immaginarie sul mio viso arrossato.
  Mi agitai tra le sue braccia, inquieta ma un po’ – tanto – distratta dai suoi movimenti. Lui aspettava in silenzio una mia risposta, ma di secondo in secondo mi rendeva più difficoltoso concentrarmi, lasciando scorrere l’indice sulle mie tempie, sul naso, lungo le labbra, sotto gli occhi...
  «Io...» incominciai, esitante. «Beh...». I suoi occhi mi incoraggiavano a continuare, ma la sua mano non si fermava. Era impossibile parlare in quelle condizioni. «Io... pensavo... p-pensavo...».
  A che pensavo? Ma pensavo davvero, poi?
  Ian rideva sotto i baffi.
  «Non capisco niente, se fai così» piagnucolai alla fine, frustrata. Il momento di affrontare insieme quanto era successo la notte avanti sembrava essere arrivato, ma evidentemente lui non voleva collaborare.
  Ian rise, poi sbuffò e roteò gli occhi con aria esageratamente teatrale. «Credo di sapere per che cosa hai scelto di sentirti in colpa, stavolta» commentò, lanciandomi un'occhiata a metà tra l'esasperato e il divertito. Accostò le labbra al mio orecchio. «Va tutto bene, Wanda» mi rassicurò con un sussurro suadente. «So che lo hai fatto per me». E mi lasciò un bacio sul collo.
  Sussultai, rabbrividendo, ma il peso che avevo sul cuore si sciolse un poco.
  «A-allora non sei arrabbiato?» lo interrogai, speranzosa.
  Soffocò una risata contro la mia pelle.
  «Ti sembro arrabbiato?».
  Il mio cervello si ritrovò a combattere insieme la sensazione debilitante del suo tocco e l’effetto delle sue parole allusive. Non poteva finire bene. Anche perché lui non sembrava avere alcuna intenzione di comportarsi bene.
  Deglutii con immane fatica.
  «Non dico che non mi abbia... sorpreso, risvegliarmi e trovarmi in una situazione del genere... con te. Ma in fondo, a chi dispiacerebbe?».
  «... A chi?» ripetei con un fil di voce, senza aver affatto seguito il discorso. Ricordare gli avvenimenti della notte precedente con Ian che mi abbracciava in quel modo faceva tutto un altro effetto. Un effetto alcoolico, mi girava di nuovo la testa.
  «E poi – tra l’altro – non è successo niente» proseguì, come se niente fosse – come se non fossi stata sul punto di liquefarmi sotto le sue mani.
  «... Niente» ansimai, chiudendo gli occhi in pieno stato confusionale.
  «Grazie di avermi cercato, Wanda» sussurrò ad un centimetro dalle mie labbra. «Posso soltanto immaginare quanto debba esserti costato». Mi baciò sulle guance bagnate, con una tale devozione da farmi toccare il cielo. Strinsi con forza la sua maglia tra le dita, tremante, e seppellii il viso contro il suo petto, finalmente serena – ma ormai irrimediabilmente in fiamme.
  Ian si stiracchiò passandomi una mano tra i capelli. «Ora che abbiamo affrontato l’argomento, ti prego, toglimi una curiosità».
  Mi scostai appena per poterlo guardare in faccia, diffidente. La sua espressione non mi convinceva.
  Lui prese il mio silenzio per un assenso.
  «Chi ha avuto l’idea?».
  Arrossii, imbarazzata, ed esitai a rispondere. A quanto pareva, però, non serviva poi un così grosso sforzo di immaginazione per individuare la mente criminale dietro quell’operazione.
  «Melanie o Jared?» indagò, accigliandosi appena.
  Trasalii.
  «Me-Melanie!» quasi gridai, ad occhi spalancati, come a voler allontanare dalla mia testa un possibile scenario in cui Jared mi dava consigli su... oh, Cielo.
  Ian annuì, concentrato. Continuai ad osservarlo con sospetto, ma il mio sesto senso non servì comunque a parare il colpo, quando arrivò. «E dimmi, ha dovuto farti dei disegnini o vi siete intese a gesti?» domandò a bruciapelo in tono curioso, esibendo una straordinaria faccia da schiaffi. E mentre io raggiungevo la temperatura ideale per cuocermi un uovo addosso, lui provava – senza sforzarsi troppo – a non ridermi in faccia.
  Finse di guardarmi con interesse scientifico.
  «Accidenti» commentò, «non credevo esistessero così tante tonalità di rosso».
  «Smettila» boccheggiai.
  Ian esplose in una risata sorprendentemente spensierata e mi stampò un bacio in fronte che mi causò un tremito prolungato lungo la spina dorsale.
  «Stai sfoderando l’artiglieria pesante, eh?» bofonchiai, sforzandomi di non guardarlo e fallendo.
  Il suo sorriso si fece, se possibile, ancora più pericoloso.
  «Non sai di che cosa stai parlando, Wanda» sussurrò sulla mia bocca, e la sua voce era tanto seducente da farmi venire sete. Seguii i movimenti delle sue labbra come in trance. «Wanda? Sei ancora tra di noi?». Mi sventolò una mano davanti alla faccia, ridendo sotto i baffi.  
  «Tu sei... bellissimo» mi ritrovai a farfugliare, perdutamente innamorata, smarrita in un delirio emotivo che stava certamente avendo l’effetto di dipingere sul mio viso un’espressione di scarso spessore intellettuale.
  Ian sgranò gli occhi, colto alla sprovvista dalla dichiarazione,
e lo ammirai, affascinata, mentre arrossiva per la seconda volta nella stessa serata. Prima che riuscissi a formulare una qualsiasi battuta in proposito, però, il suo corpo mi sovrastò e le sue labbra aggredirono con urgenza le mie.
  La passione con cui mi baciò era qualcosa a cui non ero preparata, come lo era l’audacia tutta nuova con cui le sue mani si avventuravano tra le pieghe dei miei vestiti. La foga con cui, in risposta a quelle attenzioni infuocate, lo tirai verso di me, invece, era qualcosa a cui lui non era preparato, e per poco non mi crollò addosso.
  Esplose in una risata bassa, roca e micidiale sotto l’assalto delle mie braccia impazienti. Assecondò in fretta i miei movimenti, sistemandosi sopra di me senza pesarmi addosso, e si abbatté su di me come una tempesta.
  Nel giro di qualche secondo ero persa.
  Le sue mani erano ovunque, la sua bocca era morbida e rovente e rubava dalla mia gemiti e sospiri sempre più sonori, ed un angolo della mia mente non poteva capacitarsi di tutto il tempo che l’emotività impossibile del mio corpo così… umano aveva sottratto ad una simile beatitudine.
  «Wanda...» sussurrò, assalendo il mio collo ‒ e tutto il resto ‒ come mai aveva osato fare. «Wanda» ripeté, quasi gemendo contro la mia guancia accaldata  ̶  il colpo definitivo, per quanto mi riguardava: ancora un po' e l'avrei implorato in ginocchio.
  «Ian» annaspai, la voce ridotta ad un sospiro, inarcandomi verso di lui e urtando una notevole parte di lui con cui, fino a quel momento, non avevo mai avuto davvero a che fare. In risposta a quel contatto improvviso, Ian serrò gli occhi e si lasciò sfuggire un gemito, e le sue braccia, piantate ai lati del mio viso, tremarono visibilmente.
  Davanti ad una simile reazione, infiammata da un’eccitazione quasi selvaggia, registrai solo parzialmente il movimento pressoché autonomo della mia gamba destra, che scelse di allacciarsi ai suoi fianchi per trascinarlo giù contro di me. Quel secondo contatto, più violento, lo fece quasi ringhiare e scatenò in me una fame atavica.
  Quello, però, fu l’istante in cui Ian, quasi boccheggiando, si scostò da me. Lo guardai riprendere fiato con due occhi che dovevano essere enormi, lucidi e pieni di disappunto, trattenendo a stento un gemito di pura frustrazione.
  Malgrado l’annebbiamento, sapevo che cosa stava succedendo. L’uomo splendido che respirava rumorosamente sopra di me era il mio Ian, dopotutto. Sarebbe stato ingenuo non aspettarmi una reazione del genere da parte sua. Potevo percepire quasi fisicamente l’incertezza che di colpo lo aveva assalito.
  Lo desideravo davvero o lo stavo facendo per lui?  
  Cercai di non farmi trascinare dalla smania di averlo addosso il prima possibile e di concedergli il tempo e le parole di cui aveva bisogno per convincersi che in quella storia eravamo in due. Presi qualche respiro profondo per cercare di recuperare un briciolo di lucidità.
  Ian mi guardò con due occhi sorprendentemente liquidi, mordendosi il labbro inferiore per trattenere gli ansiti, il viso caldo e deliziosamente arrossato. Chiuse gli occhi e scosse la testa con un sospiro tremante.
  «Perdonami. Sono un animale» grugnì, e si mosse per scivolare accanto a me.
  Cosa?
  Lo fissai, sconvolta. Al diavolo le parole, decretai, cambiando idea alla velocità della luce, e le gambe allacciate intorno ai suoi fianchi d’un tratto erano due e tiravano come disperate, premendo sulla sua schiena con tutta la forza di cui disponevano, decise a trascinarlo contro di me o a perire nel tentativo.
  Ian scoppiò in una risata incredula, mentre andava subendo quell’assalto con un’espressione prossima allo shock.
  «Wanda» esalò, scuotendo debolmente la testa, la voce tesa dallo sforzo, «non deve per forza andare così».
  Per tutta risposta, agganciai un braccio intorno al suo collo e con l’altro gli circondai le spalle, e poi tirai, e tirai, determinata.
  «Accidenti» ansimò. «D’accordo, è colpa mia, ho esagerato. Perdonami, è che-».
  Il ringhio battagliero che mi sfuggì dalle labbra quando cercò di resistermi ancora, dopo che lo avevo sentito cedere terreno poco a poco, riuscì a disorientarlo al punto che, con un ultimo strattone, fui in grado di farlo cadere. Si riprese giusto in tempo per evitare di schiacciarmi – non che a quel punto mi importasse – e lanciò un lamento gutturale quando spinsi i fianchi contro di lui, impaziente.
  «Santo Cielo, Wanda» gemette, quasi ansimando. Posò la fronte contro la base del mio collo, respirando rumorosamente. «Non so se te ne rendi conto, ma non mi stai aiutando» sussurrò, la voce strozzata.
  «Magari» dissi, e anche la mia voce suonava strangolata, «magari non voglio aiutarti».
  Lo sentii ridere contro la mia spalla. Mugolai, soddisfatta, investita da quell’ondata di sussulti.
  «Non riesco… non posso pensare così» protestò. «Non posso calmarmi».
  «Non voglio che ti calmi» ribadii a bassa voce, arrossendo furiosamente, e rinforzando il concetto con l’ennesimo strattone delle mie gambe.
  Grugnì qualcosa che somigliava molto ad una parolaccia.
  «Non sono... fisicamente in grado di... opporre... ah... ulteriore resistenza» annaspò, frenandomi con un gesto della mano quando vide che stavo per aprire bocca. «Dimmi che sei sicura – se lo sei. Che non mi stai assecondando. Ti prego».
  Presi un profondo respiro. «Io ti amo, Ian» dichiarai allora in un sussurro, allungando una mano per carezzargli una guancia. «Ti amo e... ti... t-ti... desidero» proseguii, tremante, prendendo in prestito le parole di Oceano Luminoso. «Da tanto».
  Per un attimo, vidi lo smarrimento, l’incertezza balenare nei suoi occhi. Poi Ian deglutì rumorosamente, e mi restituì un sorriso quasi timido.
  «Se la metti così...» sussurrò, studiando a fondo la mia espressione per assicurarsi che non gli stessi mentendo. Sostenni il suo sguardo, imbarazzata ma decisa.
  Gli sorrisi, incoraggiante. «Sto aspettando» gracchiai. «Da mesi».
  Le sue labbra lambirono delicatamente la mia fronte, gli zigomi, la mia bocca.
  «E non è carino far aspettare una signora» ammise. Il suo respiro, nuovamente accelerato, si infranse sulle mie labbra.
  «Infatti» concordai, stordita, inarcandomi verso di lui.
  «Mi toccherà darmi da fare, allora».
  «Vedi un po’ tu». Dubitavo che avrei potuto aggiungere altro, viste le condizioni in cui versavo. Per fortuna, però, la conversazione pareva finalmente essersi conclusa.
  Dall’alto della sua posizione, i capelli neri spettinati e il sorriso più bello che gli avessi mai visto, Ian mi riservò uno sguardo colmo di una tenerezza disarmante.
  «È bello essere a casa» disse, prima di tuffarsi ancora sulle mie labbra e mettere fine alla discussione.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > L'ospite / Vai alla pagina dell'autore: Newdark