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Autore: Fogli    25/06/2016    0 recensioni
Una strada privata sotto le candide luci pomeridiane. Una ragazzina di ritorno a scuola. Una donna che sembra avere tanto da nascondere. La storia di una scelta difficile e di una realtà in cui il tempo può essere cambiato.
"Lasciò andare la presa. In quel momento la cosa più naturale da fare sarebbe stata etichettare quella donna come pazza e scappare, ma tutto il mio corpo era bloccato. I ricordi di quel giorno sono ora così annebbiati nella mia mente che non ricordo cosa pensai in quel momento. Ma probabilmente non fui neanche capace di ragionare lucidamente, abbagliata da una scioccante verità. Quella donna non solo mi assomigliava, ma aveva le mie stesse fattezze, i miei stessi lineamenti e soprattutto la mia stessa faccia."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una scelta difficile


«Ciao Bea, ci vediamo domani!» Irene mi sorrise, raggiante. Per quanto ricordassi, i suoi occhi verdi erano sempre stati per me una fonte di luce. Quando ero triste, c’era sempre stata lei a darmi una mano, ma mai il contrario. Riflettendoci, potevo tranquillamente dire di non avere mai visto Irene piangere.
Era la mia unica e migliore amica lì, e ancora oggi non riesco a capacitarmi di come sia riuscita a passare il suo tempo con una come me che di allegro e solare a ben poco. L’unica cosa certa è che le sono veramente grata per questo.
La salutai anch’io, e rivolsi un cenno anche agli altri miei compagni di classe i quali risposero tiepidamente con un flebile sorriso. Sgattaiolai quindi via indisturbata, cercando però di non attirare l’attenzione e risultare il più naturale possibile. Un passo dopo l’altro, piede destro, piede sinistro, ma sarebbe stato facile per chiunque rendersi conto di quanto risultasse meccanica la mia camminata perfettamente calibrata, e le facce perplesse della gente me ne diedero la conferma.
Appena svoltata la strada, mi passai una mano tra i capelli e tirai un sospiro di sollievo. Un’altra giornata di scuola era finita, tutto era andato per il meglio e non avevo avuto particolari grattacapi. Ancora cinque anni e cinque mesi e mi sarei diplomata.
Niente più scuola, niente più problemi. Avrei ottenuto un lavoro modesto e avrei vissuto una vita felicemente modesta.
Mi fermai per riprendere fiato. Oramai mancava poco a casa, le vie non erano più affollate, anzi erano proprio deserte. Anche se avessi corso, avessi urlato, mi fossi buttata a terra, nessuno mi avrebbe detto niente. Un piccolo mondo in cui ci sono solo io. Un piccolo mondo senza preoccupazioni o problemi.
Da lontano, incominciai a sentire uno scalpiccio. Erano dei rumori impercettibili, ma piano piano diventavano sempre più forti.
Rumore di passi.
In una strada privata.
Mi girai per vedere chi era. Nessuno. Invece di tirare un sospiro di sollievo, mi allarmai: ormai era assodato, nei dintorni c’era qualcuno e probabilmente mi stava seguendo. Aumentai il passo, ma mi accorsi che la camminata che sentivo diventava sempre più forte e si trasformava in corsa. Improvvisamente, sentii qualcuno afferrarmi il braccio. In quel momento, non ebbi la forza di sottrarmi. Chi era? E soprattutto cosa voleva da me? Sapevo benissimo che c’era solo un modo per rispondere a queste domande.
Presi fiato, e usufruendo di tutto il mio coraggio, mi girai.
 La persona che teneva con tutta la forza la manica del mio giubbotto era una donna. I suoi capelli erano castani come i miei, ma tenuti sciolti e lunghi, che sventolavano avanti e indietro sulle sue spalle. Pensai che fosse una capigliatura strana per una donna della sua età. Quando questa si accorse che la stavo guardando sorrise. Ma nella sua espressione non c’era niente di felice. Ella indebolì il sorriso, e mi rivolse uno sguardo carico di speranza. Mi bloccai: riconoscevo quegli occhi blu. Quelli erano i miei occhi blu.
«C-Chi sei?» chiesi con un fil di voce.
La signora sorrise di nuovo, ma questa volta il suo sguardo aveva un che di instabile: «Io sono per te la te stessa di trentacinque anni nel futuro» poi tossì «e tu sei per me la me stessa di trentacinque anni fa»
Lasciò andare la presa. In quel momento la cosa più naturale da fare sarebbe stata etichettare quella donna come pazza e scappare, ma tutto il mio corpo era bloccato. I ricordi di quel giorno sono ora così annebbiati nella mia mente che non ricordo cosa pensai in quel momento. Ma probabilmente non fui neanche capace di ragionare lucidamente, abbagliata da una scioccante verità. Quella donna non solo mi assomigliava, ma aveva le mie stesse fattezze, i miei stessi lineamenti e soprattutto la mia stessa faccia. Era l’esatta figurazione della persona che credevo sarei diventata all’età di circa cinquant’anni. Ma dopotutto, poteva anche essere una mia sosia.
«Come puoi provarmelo?»  
Questa volta replicò con tono di sfida, inarcando un sopracciglio: «Hai ragione, è logico diventare sospettosi in certe situazioni, ma non vorresti provare ad ascoltarmi invece di stare da sola a pensare alla tua futura e normalissima vita dopo il diploma? »
Come faceva a sapere cosa stavo pensando prima?
Aprii la bocca, pronta per domandarlo, quando ottenni risposta prima di chiederla.
«Semplice. Me lo ricordo»
Un brivido freddo mi trafisse la schiena. Questa donna sapeva… cosa stavo pensando…?
No, ormai era assodato, questa donna non era una comune sconosciuta, questa donna ero io. Le mie gambe non ressero sotto il mio peso e cedettero, facendomi cadere a terra.
«Immagino che tu non sappia perché sono qui»
Annuii impercettibilmente, incapace di rialzarmi.
«Tra vent’anni circa inventeranno il JIPD, un piccolo microchip che istalleranno in tutte le persone del globo. Questo monitorerà la loro vita, e darà a queste una straordinaria opportunità: in caso di decesso prematuro, esse potranno tornare indietro nel tempo e cercare di rimediare. Anch’io sto usufruendo di questo servizio»
Trasalii. Per quanto fosse strano il fatto del JIPD, in quel momento mi parve di secondaria importanza. Se quello che la me stessa del futuro aveva detto era vero, significava che la mia vita sarebbe finita prematuramente, a soli cinquant’anni. No! Questo non era previsto nella mia normalissima esistenza già programmata. Io volevo arrivare minimo ad ottant’anni, perché si vive una sola volta e poi…
«Ascoltami» quella voce mi parve quasi rassicurante, perché mi impedì di andare nel panico e riversare quelle calde lacrime di disperazione che già erano pronte nei miei occhi «Sì. Tra esattamente trentacinque anni, ovvero nel 2064, io sarò uccisa. Verrò colpita con il calcio di una pistola; la botta mi causerà un’emorragia celebrale che mi porterà al decesso dopo pochi minuti»
Incominciai a tremare, e intimandomi di non piangere -benché fosse un comando impossibile da attuare- e cercai di pensare lucidamente. Peccato che non ci riuscii.
 Io non volevo morire così. Io…non potevo. Non dovevo. Io…
«P-Perché?» dalla mia bocca uscì un suono più simile ad un gemito che ad una voce umana.
«Io sono al corrente di un informazione che un normale civile non dovrebbe sapere. »
«Per esempio? »
Si guardò intorno, come se avesse paura di essere sentita: «Per esempio il nome dell’artefice di un pluriomicidio»
Mi chiesi quando esattamente lei si fosse trasformata in una donna così forte. Già, perché io non avevo neanche un briciolo del suo coraggio.
«Ma per tutto c’è una soluzione»
«E sarebbe?» la domanda mi uscì spontanea.
La me stessa adulta si guardò intorno con circospezione, e con un tono che non ammetteva repliche, poco dopo sentenziò, guardandomi negli occhi: «Se vuoi saperlo, vieni con me»
Mi tese una mano e mi rialzai in piedi, pronta a seguirla. Nel mio cervello, le parole e i fatti si accavallavano senza trovare un ordine comune. Erano troppi gli interrogativi e la situazione fin troppo assurda per la mia piccola mente da teenager, ed era ormai assodato che al momento ero incapace di ragionare lucidamente. Così mi limitai a camminare nel mio solito metodo meccanico, oramai più simile ad un automa che ad altro, senza quasi notare quale fosse il terreno sopra a cui mettevo il piede. Davanti a me una donna che mi sorrideva rassicurante, ma che col passare del tempo sforzava sempre di più la sua espressione, cercando di mascherare quello che sicuramente era un viso malinconico.  Cosa stava rattristando quella signora così forte che aveva parlato della sua morte con tanta tranquillità?
Improvvisamente la me stessa adulta si fermò. Quando alzai gli occhi dal pavimento, trasalii. Davanti a me c’era una villetta appartata con il cancelletto in acciaio e le persiane verdi: riconoscevo quella casa. Lì ci abitava Irene.
«…Cosa? »
«Devi sapere che esistono tre regole fondamentali per l’uso del JIPD. Regola numero uno, interagire soltanto con la te stessa del passato per evitare di influenzare avvenimenti esterni al programma. Regola numero due, non puoi interferire con la linea temporale del tuo aggressore. Questo significa sostanzialmente che non puoi andare indietro nel tempo e ucciderlo, perché così facendo agiresti nel rancore. L’unico modo ammesso è il modificare il flusso temporale di una persona vicina a questo apportando di conseguenza cambiamenti alla vita di entrambi. Ultima regola, l’unico attrezzo cui ti sarà concesso usare sarà lo stesso usato dall’assassino. Nel nostro caso, si tratta di una pistola»
«Cosa…? Perché mi stai dicendo tutte queste cose, io…»
La me stessa adulta strinse i pugni, e sputò queste parole, come se fossero veleno: «Secondo queste condizioni, l’unico modo per attuare il programma con successo è uccidere la madre di questo. Beatrice, devi sapere che la madre di Irene il prossimo anno partorirà il nostro assassino» Mi porse la pistola.
La guardai esterrefatta, sulla mia faccia il pallore era l’elemento principale. Innanzitutto: il fratellino di Irene sarebbe diventato un assassino!? Per quanto ci pensassi mi sembrava impensabile.
Ma nella mia mente questo era l’ultimo dei problemi. La cosa che mi stava mettendo più in difficolta era invece la richiesta a cui venivo sottoposta.
Uccidere la madre dell’assassino. Uccidere la madre di Irene. Uccidere la madre della mia migliore amica. Istintivamente, provai un sentimento di repulsione verso quella donna che mi guardava così intensamente dopo avermi detto una cosa del genere. Io, la ragazzina timida e sensibile che aveva pianto a sette anni per una mosca schiacciata. Non sarei mai stata capace di uccidere una persona, figuriamoci poi una mia conoscente.
Improvvisamente, nella mia mente si proiettò la faccia di Irene piangente, sì, proprio lei. Quella a cui non manca mai il sorriso, piangere. Piangere di disperazione per sua madre.
Questo era impossibile, o almeno, non l’avrei mai permesso. In uno scatto d’ira, buttai a terra la pistola e la calpestai ripetutamente. Passata la rabbia, mi chinai a raccogliere l’arma. Questa mi permise, per un secondo, di scorgere il riflesso di due occhi. La me stessa del futuro mi stava studiando, ma sembrava decisa a non rivolgermi la parola. Voleva che fossi io a decidere il destino di entrambe. Finora non avevo mai toccato un arma da fuoco prima d’ora, e non avevo mai neanche immaginato che una pistola potesse essere così pesante. Ma nulla era in confronto al fardello immateriale che essa stessa portava: questa era infatti l’arma con cui il destino doveva compiersi, uccidendo o me o la madre di Irene.
Già, ma io non avrei ucciso nessuno, mi sarei sacrificata e sarei morta a cinquant’anni. Però, nella mia mente, come un erbaccia in un prato fiorito, nacque un dubbio, che incominciò a insinuarsi nella mia mente: io volevo veramente tutto questo? Volevo veramente morire per mano di un assassino? In fondo Irene prima o poi se ne sarebbe fatta una ragione, e avrebbe continuato a vivere la sua vita anche senza la madre.
Osservai la casa: la donna al centro dei miei pensieri era proprio lì davanti alla finestra di spalle, a guardare la televisione. Sua figlia sarebbe arrivata in serata e l’avrebbe scoperta morta. Non era troppo lontana: un solo colpo, un solo e unico colpo, e non sarei più stata uccisa. Ci avrebbe pensato qualcun altro a morire al posto mio. Allungai le braccia, ferme, in tensione. Sentivo il peso della pistola incombere sulle mie esili braccia. Ce l’avrei fatta a mantenermi in piedi dopo il colpo? Presi la mira, ma dopo un attimo di ripensamento cambiai bersaglio e sparai. Un colpo, secco e forte. Fu questo che si sentì in quella via che avevo percorso tante volte per andare a trovare la mia migliore amica, fu questo che attirò fuori i vicini in massa. E poi corsi via, lasciando cadere qualche lacrima dai miei occhi.
«Avete sentito quel colpo prima?>>
«Sì, che strano, qualcuno deve aver sparato a questa recinzione. Spero veramente che non sia successo nulla di grave, in ogni caso, abbiamo già chiamato la polizia» Si sentivano molte voci che dicevano cose del genere in lontananza.  La me stessa adulta, che stava piano piano scomparendo, mi sorrise: «E’ così hai scelto questo. In fondo l’ho sempre saputo, sono sempre stata una ragazzina altruista» Quelle parole, dette in modo così calmo e dolce mi spiazzarono, facendomi cadere qualche lacrima.
«Tu» presi fiato «Tu pensi che io abbia fatto la cosa giusta? »
Mi mise una mano sulla testa, e ormai quasi fantasma, con tono gentile proferì «Non penso che in questo caso ci fosse stata una cosa completamente giusta da fare» mentre parlava diventava più pallida e incorporea a vista d’occhio «Ma se mi chiedi se sono soddisfatta di questa tua scelta, la risposta è sì»
E improvvisamente svanì nel nulla, lasciando nessuna traccia di sé.

 

^*^*^*^*^*
Buondì!
Ed eccomi finalmente tornata con una storia, stavolta non fanfiction. E, per quanto riguarda Troubles... non preoccupatevi, non l'ho abbandonata! I motivi della mia enorme assenza lì spiegherò direttamente lì, perciò ora parliamo di questa storia.
Grazie a questa one-shot ho vinto una menzione speciale in un concorso a livello nazionale (non approfondisco di più perchè altrimenti sarebbe facile rintracciare i miei nominativi). Spero che vi piaccia, anche se ammetto che molti passaggi sono molto affrettati per colpa del limite di lunghezza che avevo (massimo tre pagine).
Detto questo vi saluto, sentitevi di liberi di lasciarmi nelle recensioni qualche consiglio o parere, quelli fanno sempre comodo! (^_^)
Saluti
Fogli

 
   
 
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