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Autore: Rota    27/06/2016    0 recensioni
Scosta la tenda, in punta di dita.
Sul vetro della piccola finestra c'è calore appannato, sia sui bordi che un poco più all'interno – soltanto una minuscola aureola è rimasta trasparente, e mostra con la chiarezza sognante tipica delle sere d'inverno un esterno ammantato dell'ultima neve candida di Febbraio. Le sue dita morbide lasciano una scia sottile, una curva dolce che finisce nel nulla lì dove sono state sollevate dalla superficie verticale, e i polpastrelli hanno raccolto l'angolo delicato del tessuto bianco per tenerlo sospeso nel vuoto, in bilico come una parete davvero tangibile: non è un segreto ciò che in quel momento viene mostrato, ma è ugualmente prezioso e caro, avvolto da un'atmosfera di malinconia che sfoca già ogni labile definizione più dell'ora tarda.
Aiichirou sospira con sguardo affranto, e una folata di vento davvero freddo fa danzare di fronte al vetro un agglomerato di grossi fiocchi di ghiaccio, trasportandoli poi via; lui si sporge, come se potesse continuare a vederli muoversi, ma torna alla propria posizione pochi secondi dopo.

[MomoTori principalmente; MakoHaru&SouRin]
[Au Sovrannaturale]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Momotarou Mikoshiba, Nitori Aiichirou, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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41. Capitolo quarantuno



 

-Il seme di quei fiori me lo aveva dato Yamazaki-kun. La notte del matrimonio non erano ancora abbastanza grandi per farci una corona, ma poi sono cresciuti sempre di più. Il giorno in cui sono morto stavo portando i fiori alla scogliera, per gettarla in mare, in modo da donarla allo spirito del mio amico. Ma sai? Avevo un altro rimpianto, oltre a quello. Io ero ancora un ragazzino, non avevo mai vissuto al di fuori del tempio della mia famiglia. Tuttavia, quella notte vidi qualcosa che riuscì a toccarmi il cuore, e che mi cambiò radicalmente. Fu una notte importante anche per me, perché conobbi il significato dell'amore. Ma ero invidioso, molto invidioso, perché io non sapevo ancora cosa significasse davvero amare. Lo desideravo: desideravo tanto impararlo. E ora, grazie a te, ci sono riuscito. Ho capito cosa si prova.
Non aveva capito, all'inizio – o forse, non aveva voluto capire. Mentre stava per dissolversi in una nuvola di vapore lucente, Momotarou gli aveva sorriso con tutta la propria forza, e lo aveva stretto tanto.
Più nulla lo avrebbe ancora legato a quella dimensione terrestre, e quindi il suo posto era in un altro luogo. Paradiso o inferno, come lo si sarebbe voluto chiamare: comunque, lontano da lui. Aiichirou, nell'istante in cui lo ha realizzato, ha mutato espressione, e ha balbettato parole sconnesse.
Di diniego, di assoluto diniego, di incredulità e di assenza.
Non avrebbe potuto finire così, all'improvviso, senza neanche l'opportunità di rimediare. Non avrebbe mai voluto salutare Momotarou, non aveva neanche contemplato l'idea.
Eppure, Momotarou già stava sparendo, e la sua fisicità svaniva di secondo in secondo.
Aiichirou si era ritrovato a piangere ingoiando le proprie stesse parole.
-N- non voglio-
Momotarou aveva sorriso, spiegando le ali che gli erano cresciute sulla schiena, per prendere meglio il volo. La sua espressione apparteneva già a un'altra dimensione, mentre aveva seguitato a parlargli, per dire la cosa più crudele e dolce di sempre.
-Ti ringrazio, Ai-senpai. Ti ringrazio per avermi insegnato ad amarti.
Si era chinato a donargli un bacio soffice, quasi inesistente; poi, si era dissolto, esattamente come un bel sogno. Lasciando Aiichirou da solo, a piangere e urlare nella dimensione degli esseri umani vivi.

 

***

 

Iwatobi ha ancora profonde ferite nel proprio spirito, ed è facile vedere come questo sia evidente. Basta camminare appena poco più in là, oltre gli edifici nuovi di recente fattura, dove la sfavillante allegria della festa si spegne un poco nella quotidianità consueta e tranquilla, che cambia in meno tempo e rimane più a lungo. La scalinata del tempio è addobbata di fiori sempre freschi, a ricordare le notti buie di sventura e scacciare il malocchio possibile che è restato su quelle terre. C'è un profumo lievissimo di rose, oltre l'aroma della prima neve. Aiichirou e Haruka passano oltre, lasciandosi anche quel pezzo di dolore alle spalle.
Makoto non è con loro: è rientrato a casa con una scusa, andando a prendere i propri fratelli dalla noia di una domenica mattina. Ha preferito lasciarli soli, dopo essersi assicurato che il proprio amico stesse bene e che la sua famiglia non presentasse ancora feriti gravi. Rimaneva un ragazzo dolce quanto attento, dopotutto, e sembrava ritenere Haruka il più adatto a parlare con Aiichirou, in quel momento.

Forse, ha anche ragione.
Aiichirou nasconde quel poco di tensione che ha addosso in saltelli irregolari, che seguono l'andamento delle mattonelle della pavimentazione. Lo guarda di rado in viso, con una giustificazione ben precisa.
-I ragazzi del club stanno bene?
Haruka trova strana la domanda, ma poi capisce cosa sottintende. Rimane un po' rattristato, e tuffa le mani infreddolite nelle tasche della propria felpa.
-Non hai intenzione di andarli a trovare.
Non è una domanda, quanto piuttosto un'affermazione. Aiichirou nasconde un sorriso un poco amaro, un'espressione con una punta di malinconia.
-No, per ora no.
-L'avrai nel futuro?
-Necessariamente.
Altri tre saltelli, di fila.
Il giorno si è colorato con un cielo acceso, che riscalda appena e non riesce a sciogliere i duroni di ghiaccio che la neve ha formato agli angoli più nascosti delle strade, quelli che rimangono all'ombra la maggior parte del tempo. Per poco, anche Aiichirou non cade, mettendo male il piede sopra uno di quelli – poi però ride, preso al volo dalle braccia pronte del compagno, che lo guarda male e lo lascia andare.

-Gou non ha mai saputo dirci che cosa ti fosse successo, quel giorno.
-È stato molto doloroso anche per me.
-La tua famiglia?
-Stanno tutti bene, ma dubito torneranno in questi luoghi. Io ho bisogno di tempo, ma tornerò.
Sospira e rallenta un poco il passo. Sembra tutto così normale, anche se stanno parlando di sentimenti gravi. Aiichirou è forte, Haruka non può che ammirare il suo spirito tenace, e per qualche secondo, lo ammira abbastanza da voler assomigliargli almeno un poco.
Dopo il sorriso di lui, e quegli occhi spalancati alla completa adorazione, lo distraggono.
-Tu e Tachibana-senpai avete deciso cosa farete il prossimo anno?
-Sì, siamo riusciti a capire cosa vogliamo.
-Ne sono felice.
Ma sono tutti modi per tergiversare, Aiichirou lo sa bene: sta intenzionalmente ignorando la domanda principale, quella a cui Haruka non rinuncerà mai. E se lo deve dire a qualcuno, in effetti, forse è bene che lo dica proprio a lui.
Sospira di nuovo, e rilascia il primo pezzo di verità.
-Quella notte ho visto il limite della mia impotenza, Nanase-senpai. Non avrei potuto essere più forte di allora, eppure non è bastato.
-Hai salvato tutti, non credi di pretendere un po' troppo da te stesso?
Aiichirou lo guarda, ed è la stessa durezza che una volta è riuscito a convincerlo a trovare la forza dentro di sé. Anche Haruka è gentile, seppur non dolce; crede nei propri amici, e ha fiducia nelle loro capacità. Poter chiamare amica una persona del genere è, per Aiichirou, un grande privilegio.

Il ragazzo più giovane si commuove, e non fa niente per nascondere il principio di pianto che gli bagna gli occhi.
-Nanase-senpai... Ti ringrazio. Le tue parole significano molto, per me.
Haruka si accorge solo in quel momento dove il passo di Aiichirou li sta conducendo. Può intuire il suo scopo, ma non azzarda ipotesi. Certo è che avvicinarsi alla spiaggia dei fuochi, dove si è svolta sei mesi prima la festa della strega, non può essere davvero un caso.
Lui, tra le altre cose, sta cominciando a sentire davvero freddo.
-Dopo quella notte, io e la mia famiglia siamo scappati. Siamo davvero scappati. Siamo tornati alla nostra vecchia casa, in montagna. Mio padre ha avuto diverse crisi di panico, gli sono stato vicino. Mia madre è dovuta tornare a lavoro per mantenerci. Ma stiamo bene, davvero. Davvero!
Ride, per convincere più che altro se stesso. Haruka non ha bisogno di rassicurazioni per credere alle sue parole, e lo quieta con domande semplici, per quanto dirette.
-Perché sei qui?
-C'è ancora una cosa che devo fare. Ora sono pronto a dire addio a una persona.
-Vuoi che ti accompagni?

-No, grazie. Devo farlo da solo.
Il ragazzo più grande si ferma alla base della scogliera, lì dove un'altra scalinata dolce porta alla cima della vetta, dove si dice che la strega sia morta. Si stringe nella propria tuta, con le braccia alte a tenere le spalle.
Aiichirou gli sorride, grato.
-Ti aspetto qui, allora.
-Grazie.

 

C'è una panchina, appena prima della ringhiera che protegge la camminata dalla ripidità della scogliera: negli anni, qualcuno ha pensato bene di far qualcosa per evitare spiacevoli incidenti.
Aiichirou decide di sedersi lì, dopo essere arrivano fino in cima con una lemma che suggerisce una certa ansia. Passo dopo passo, si è goduto il panorama che gli veniva offerto, guardando la meraviglia dell'oceano in tardo autunno e l'agitarsi dei venti in lontananza, ben distante dalla riva e dalla spiaggia sulla quale viveva metà della popolazione locale.
A ogni respiro, si sentiva fisicamente bene.
Prese a far danzare, sotto la parte orizzontale della panchina, le proprie gambe, in un gesto piuttosto fanciullesco. Si guardava i guanti di pelle, scuri, che nascondevano alla vista le dita sottili, ancora così fragili e delicate. Non era più riuscito a toccare nessuno, da quel giorno, e ancora la cosa gli pesa.

Sa che Iwatobi ha contato delle vittime, sotto l'attacco della strega. Un paio di signori anziani che non sono riusciti a raggiungere la zona del raggruppamento di emergenza, rintanatisi quindi in casa nell'attesa che tutto fosse passato, e un agente delle forze dell'ordine che ha dimostrato troppo zelo nel proprio lavoro e quindi, per questo, paradossalmente punito. Il ragazzo ha pregato per loro per interi giorni, sprecando diverse lacrime per la salvezza delle loro anime. Ma non è riuscito a rivolgere una sola parola a qualcuno cui era più abituato.
Ha deciso, però, che è arrivato il momento per farlo, perché portarsi dentro un dolore simile non può fare che danno. Specialmente in vita.
Quindi prende un respiro profondo, e comincia a parlare, forse troppo concitato.
-Momotarou-
Fa una pausa e ride di se stesso, pieno di ansia. Se ne libera un poco e riprende a respirare con calma – ma deve fare almeno altri due tentativi come il primo per riuscire davvero a mettere più di tre parole le une dietro le altre.
Alla fine si irrita e basta, e trova un attacco davvero ignobile.
-Sei uno stupido!
Strabuzza gli occhi: si è piegato in avanti col busto, e il ventre gli fa abbastanza male. Torna in una posizione dritta, e guarda il cielo sopra di sé. Trova le parole.
-Sei uno stupido, Momotarou, e io lo sono stato molto più di te. Ho aspettato più di tre mesi per riuscire ad arrivare qui, su quella che dovrebbe essere la tua tomba.
Guarda in basso, sul suolo di cemento che prima ha calpestato: non ha davvero idea di come Momotarou e suo fratello siano veramente morti, ma può immaginare mille modi in cui Sousuke li può aver richiamati a sé; sarebbe bastato poco, anche una piccola malattia, di quei tempi.

Non vuole pensarci – torna a guardare in alto, perché è lì, ormai, che Momotarou si trova.
-C'è molto più silenzio ora che non ci sei tu. Posso dormire tranquillo e passeggiare per casa senza avere la paura di uno dei tuoi agguati. Sai? Le prime volte era piuttosto imbarazzante. Avevo quasi paura di te. Poi sei diventato una noiosa abitudine, un po' come lavarsi i denti dopo un buon dolce.

Ancora una pausa, perché viene distratto da una nuvola.
-Poi però sei diventato indispensabile, Momotarou.
Crede di sentire un rumore di passi, e allora si zittisce all'istante. Arriva invece un gattino curioso, che guarda il ragazzo con occhi vispi e allegri, per sparire dietro un cespuglio di rovi e far cadere a terra un mucchio di bianca neve. Aiichirou sospira, e si rilassa contro lo schienale della panchina.

Mantenere lo sguardo verso l'altro, con il collo abbandonato sul bordo freddo, è più facile, così.
-Ancora oggi mi chiedo se avessi potuto fare qualcosa per trattenerti qui. E lo so che sarebbe stata una crudeltà nei tuoi confronti, perché il tuo posto non era qui con me da moltissimo tempo. Tu eri morto, e dovevi andare dove vanno i morti. È stato giusto che tu sia andato via, dopotutto. Non hai più dovuto vivere il dolore di Yamazaki-san. Però, Momo, ho provato dolore io. E non qualcosa di tollerabile, o di passeggero. Qualcosa che possa essere dimenticato. È stato come pensare di averti lasciato morire una seconda volta, e di non poterti mai più rivedere. Perché, Momo, io ho capito di aver bisogno di vederti e di averti vicino. Ho capito che tutte le volte che mi era concesso toccarti per me era una benedizione.
Si toglie il guanto dalla mano, senza guardare, e rivolge il palmo aperto verso le nuvole silenziose.
-In cuor mio, senza che me ne rendessi conto, ho benedetto la maledizione di Yamazaki-san. Quale atto più blasfemo di questo? Non ne conosco. Ma credimi che io l'ho trovato dannatamente giusto, Momo. Perché, con tutto il male che quella maledizione ha fatto, mi ha permesso di incontrare te. Siamo nati in epoche sbagliate, Momo. Tu non dovevi nascere cento anni fa, e io non dovevo nascere diciassette anni fa. Questo è davvero sbagliato, non l'amore di Yamazaki-san per Matsuoka-san. Io dovevo essere il tuo migliore amico, il tuo compagno, avrei dovuto esserci ogni giorno che passava e ancora di più. Avrei dovuto sentire ogni tuo respiro e ogni tua risata. Invece, mi è toccata soltanto la tua morte opalescente.
Sente pizzicare gli occhi, di irritazione, e solo in quel momento si accorge di aver cominciato a piangere. I singhiozzi rallentano le sue parole, ma non le fermano – niente può più fermarlo, ormai.
-Mi sarebbe bastata anche quella, se fosse stata eterna. Sono egoista e stupido, ma preferisco averti piuttosto che sopportare l'idea di rimanere solo per sempre. Capisco Yamazaki-san, lo capisco sinceramente. Come si può volere questo? Come si può sopportare questo dolore?
Si copre gli occhi, perché non riesce più a guardare niente.
-Io ti amavo, e ti ho perduto per sempre.

Piange e singhiozza, lasciando però la mano nuda protesa verso l'alto, dimenticata lì per caso.
Cade, dal cielo, una piuma illuminata da un bagliore anomalo, che si deposita piano sul suo palmo.
-Non è vero, Ai-senpai.
Aiichirou sente prima la voce che la sensazione sulla pelle; sobbalza, e guarda cosa è caduto tra le sue dita. Cerca attorno a sé dei segni che confermino l'ipotesi folle che gli è capitata in testa, e si deve persino alzare, per riuscire a vederlo.
Non è un fantasma, non più.
Il vestito è lo stesso, ma ha quelle stesse strane ali bianche che lo hanno portato in cielo, e che ora lo sostengono mentre lo guarda tranquillo. Sorride come sempre, sotto la capigliatura rossiccia e spettinata.
Il suo angelo custode. Quello che un tempo fu Momotarou Mikoshiba, un essere pieno di luce.
Aiichirou si china a terra, e continua a piangere più forte – Momo gli si avvicina, e lo chiude tra le sue ali in un abbraccio tutto bianco.

 

And I will love you, baby - Always
And I'll be there forever and a day - Always
I'll be there till the stars don't shine
Till the heavens burst and
The words don't rhyme
And I know when I die, you'll be on my mind
And I'll love you - Always

[Bon Jovi – Always]

   
 
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