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Autore: emmegili    28/06/2016    2 recensioni
- Hai intenzione almeno di dirmi come ti chiami o dovrò tirare ad indovinare?
- Hai intenzione di smettere di interrompermi mentre leggo o devo imbavagliarti?
- D’accordo, tirerò ad indovinare.
- D’accordo, mi toccherà imbavagliarti.
- Sei davvero adorabile, te l’hanno mai detto?
- Sei davvero un rompipalle, te l’hanno mai detto?
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Ma Oliver... Oliver non muove un muscolo, nemmeno gli occhi. Mantiene lo sguardo fisso nel mio, come un salvagente nel mare in tempesta. Ogni volta che sto per affogare, mi aggrappo alla sua sicurezza.
--
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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1.

Autobus numero 3, colonna alla destra dell’autista, quinta fila, sedile accanto al finestrino che, oggi, è rigato dalle gocce di pioggia.
Senza nemmeno porci troppa attenzione, mi vado a sedere in quel posto. E’ sempre stato il mio posto, in fondo. Perché cambiare?
Appoggio la testa al freddo vetro, metto i piedi sul sedile accanto al mio. Tanto è sempre stato vuoto.
Lo zaino lasciato sul pavimento, sotto il sedile, prendo il cellulare dalla tasca e infilo le cuffiette nelle orecchie, facendo partire le canzoni. Sospirando, chiudo gli occhi.
 
Appena accennando la melodia della canzone che ormai sta finendo, riapro gli occhi e mi decido a mettere via il cellulare, temendo che la batteria si possa scaricare.
Decisa a leggere qualche pagina del libro che il professore di letteratura ha assegnato per casa, mi allungo fino a recuperarlo dal fondo dello zaino.
E mi immergo in un mondo diverso dal mio.
 
- Scusa?
Catapultata fuori dalle parole del libro in un modo fin troppo brusco, alzo lo sguardo in direzione della voce, con un’espressione, ne sono quasi certa, assassina.
Accanto al sedile che uso come appoggio per i piedi, un ragazzo mi guarda. Faccio fatica a mantenere l’espressione che mi ero decisa ad assumere, tanto è bello. Ma non sono quei suoi comunissimi occhi scuri o gli altrettanto noti capelli bruni, a renderlo bello. E’ quel suo semplice, tenero sorriso sghembo che gli illumina il volto a renderlo diverso. A renderlo più bello di qualsiasi altra persona che io abbia mai conosciuto.
- Sì? –chiedo.
Il ragazzo sorride, impacciato. Poi indica il sedile accanto al mio.
- E’ occupato? –domanda.
Rimango zitta per qualche secondo.
- Evidentemente, sì –rispondo, seria.
Il ragazzo, sbigottito, si passa una mano sul collo.
- Ah. Okay. Scusa...-balbetta imbarazzato, deciso a voltarsi ed andare da qualche altra parte.
Lo guarda mentre si allontanava dal suo posto. Oh, accidenti a me...
- Ehi, aspetta –esclamo.
Il ragazzo si volta di scatto, inarcando un sopracciglio.
- Hai fatto la domanda sbagliata –mormoro, restando seria.
Il ragazzo corruga la fronte.
- Cosa? –chiede.
Sospiro, mordendomi un labbro.
- Mi hai chiesto se era occupato, non se potevo spostare i piedi per fartici sedere –borbotto gesticolando con le mani.
Il ragazzo sorride e si avvicina.
- Se la metti così...allora...potresti spostare le gambe dal sedile, per favore?
- D’accordo –annuisco fissandolo negli occhi. Lui mantiene il suo sorriso divertito.
Sposto i piedi dal sedile, riportandoli a terra. Subito dopo lui si siede accanto a me.
- Grazie, davvero gentile –sorride.
Gli lancio un’occhiata, poi riprendo a leggere.
 
- Hai intenzione almeno di dirmi come ti chiami o dovrò tirare ad indovinare?
- Hai intenzione di smettere di interrompermi mentre leggo o devo imbavagliarti?
- D’accordo, tirerò ad indovinare.
- D’accordo, mi toccherà imbavagliarti.
- Sei davvero adorabile, te l’hanno mai detto?
- Sei davvero un rompipalle, te l’hanno mai detto?
Il ragazzo resta zitto per qualche minuto, ed io, sollevata, credo di averlo messo a tacere.
Però poi, siccome mi sbaglio quasi sempre, il ragazzo riprende a parlare.
- Grazia.
- Cosa?
- Ti chiami Grazia?
- Ti sembro una con la faccia da “Grazia”?
- Fosse per questo, non hai nemmeno la faccia da Rachele, eppure...
Alzo lo sguardò in un millisecondo dalle pagine del libro. Il ragazzo mi guarda divertito.
- Come diavolo... –borbotto.
Chiudo il libro di scatto e lo ripongo nello zaino. Mentre chiudo la cerniera, mi accorgo del braccialetto che porto al polso. Quello con i ciondoli. Quello con la targhetta sulla quale è inciso, a caratteri cubitali, il mio nome: RACHELE.
Stringo gli occhi per la frustrazione.
- D’accordo –respiro lentamente mentre mi raddrizzo sul sedile. Lo fisso cercando di decifralo.
- Comunque io sono Oliver. Oliver Dawn. Piacere di conoscerti –sorride.
- Piacere tutto mio. Dico sul serio.
- Oh, certo. Mi chiedo come facciano i tuoi amici a capire quando sei sarcastica, Rachele.
- Io sono sempre sarcastica, quando ho a che fare con delle persone fastidiose, impiccione o comunque insopportabili –sorrido falsamente.
Oliver ride.
- Andiamo, non hai la faccia da gallina, è inutile che provi a comportarti come tale.
- Ma cosa interessa, a te? –sbotto. Stavo così bene, senza qualcuno seduto su quel sedile. Perché sono andata a complicarmi così la vita?
- Scusa. Era per fare conversazione.
Mi volto verso il finestrino appannato, giocando ad indovinare quale sarà la prossima goccia a cadere giù.
- Sei nuovo, di qui? –chiedo senza distogliere lo sguardo dal vetro freddo.
Forse stupito dall’improvvisa voglia di parlottare come se fossimo vecchi amici, Oliver impiega qualche secondo a rispondere.
- Be’, sì, in un certo senso.
- In un certo senso? –ripeto con un abbozzo di sorriso sul volto.
Oliver si stringe nelle spalle. Non ha voglia di parlarne.
- E’ una lunga storia...e dubito che tu abbia voglia di ascoltarla –sorride, sfoggiando quel suo accecante sorriso verso di me.
Il mio telefono trilla, ricordandomi che l’autobus è arrivato alla mia fermata.
- Guarda che peccato, devo proprio scendere qui! –sospiro.
Oliver ridacchia.
- Ci vediamo domani mattina, Rachele.
Raccatto lo zaino e mi preparo a scendere.
 
- Signorina Nardi?
Faccio scattare lo sguardo verso il professore di letteratura. E’ un uomo giovane. Ha una filosofia di pensiero talmente affascinante da renderlo affascinante a sua volta. Non ha un finto parrucchino come l’insegnante di matematica e nemmeno si innervosisce se solo tossisci come la professoressa di latino. No. Semplicemente ti illustra il suo punto di vista.
E lo fa in modo talmente delicato che per i primi mesi ha spiazzato persino gli studenti più impavidi.
- Si, professore? –deglutisco, in preda al panico. Effettivamente, mi ero persa nei miei pensieri negli ultimi cinque minuti.
- Ci dica. Che piani ha lei, per il futuro? –il professore sorride calorosamente. Vuole semplicemente sapere la mia opinione.
- Piani è un parolone, prof ... –mormoro imbarazzata.
- E come mai?
Il professore non perde il sorriso mentre si siede sulla cattedra.
Mi stringo nelle spalle, arrossendo. Odio parlare di me tanto quanto essere al centro dell’attenzione.
- Non so cosa mangerò domani a pranzo, figuriamoci cosa ne sarà di me!
Qualcuno in prima fila ridacchia.
- Non ha nemmeno un’idea?
L’insegnante pare incredulo.
Prendo a tormentare il braccialetto di fili intrecciati che mi ha regalato mia madre quest’estate.
- So cosa mi piace fare. Mi piacciono i libri, adoro la musica... –borbotto.
- Ha mai pensato al giornalismo?
Resto zitta. Effettivamente, no.
Il professore sorride, come se mi avesse letto nel pensiero.
La campanella decreta la fine di un’altra lunga giornata.
- Oh, grazie a Dio! –sospira Arianna, comparendomi accanto.
Mi volto a guardarla. E’ appena finita una giornata scolastica di nove ore, e lei riesce ad apparire fantastica come alla mattina. Non v’è un ricciolo dorato fuori posto. Gli occhi sono vivaci e vispi, la bocca distesa in un sorriso luminoso.
In confronto, io devo sembrare un foglio accartocciato, con i capelli raccolti in uno chignon fermato da una matita, l’espressione stanca, gli occhi verdi vivi solo grazie al professore di letteratura che ha appena provveduto, seppur involontariamente, a farmi passare qualche secondo d’imbarazzo.
Riponendo i libri nello zaino, sento il brusio di sottofondo della voce di Arianna che parla rapida.
- Hai capito, Ele? –sorride raggiante.
Tossicchio infilando il giubbotto.
- Ele? –mi chiama.
- No, non ho capito. –sorrido imbarazzata.
Arianna sospira paziente mentre usciamo dalla classe.
- Te lo spiego dopo...
 
Passeggiando tra gli scaffali, ascolto con un orecchio il lettore mp3 e con l’altro la mia amica che, ne sono sicura, mi sta saltellando dietro maledicendo i libri, gli scrittori e probabilmente anche i poeti e i dizionari.
Prendo un libro da una mensola e do una scorsa alla copertina. Interessata, prendo dallo zaino un quadernino verde ed aggiungo il titolo del libro alla lunga lista.
- Ehi, Rachele! Possiamo andare, ora? –sento cinguettare Arianna che, stufa di aspettare, mi supera e mi si piazza davanti, costringendomi ad alzare gli occhi dal libro.
- Cosa hai detto, scusa?
La ragazza sbuffa e chiude il libro nelle mie mani con un botto.
- Hai finito il tuo ottantunesimo tour in questa vecchia biblioteca, oppure devo sopportare un’amica zombie per altre sette ore?
Sorrido e ripongo il libro nella libreria lì accanto.
- A dire il vero, mi manca ancora l’ultimo piano. –scherzo.
La biblioteca è talmente grande e bella da mandarmi letteralmente fuori di testa. E’ un insieme di piani e piani di scaffali e librerie che si affacciano tutti sul piano terra. I corridoi, stretti, sono talmente tanti da perdercisi dentro. Completamente fatta di legno scricchiolante, amo passarci i pomeriggi a fare i compiti, a studiare o semplicemente a leggere.
- Non capisco perché passi tanto tempo qui dentro, se poi non prendi in prestito nemmeno un libro. –mormora Arianna facendo strada verso l’uscita.
- Te l’ho già detto, detesto prendere in prestito i libri. Semplicemente mi segno i titoli di quelli che mi interessano e poi li compro...
Mi perdo in una spiegazione che ho già dato ad Arianna più volte, ma lei non sembra ascoltare. Chissà se l’ha mai ascoltata tutta per intero, questa spiegazione.
L’impiegata dietro il bancone già si prepara a chiudere, mentre le luci vengono spente.
Arianna mi prende sotto braccio ed insieme usciamo dalla biblioteca nella fredda sera.
- Quindi, ora che sono sicura di avere la tua attenzione... –saltella Arianna eccitata mentre camminiamo verso la fermata degli autobus –Devo chiederti una cosa.
Sorrido portando una ciocca di capelli sfuggita dallo chignon improvvisato dietro l’orecchio.
- Come sono ben sicura che ti ricordi –inizia lentamente –sabato è il mio compleanno...
- Sul serio? –chiedo fingendomi stupita. Ma l’occhiata esasperata di Arianna, stanca dei miei tentativi di essere divertente, mi fa crollare in una risata, che evapora nel cielo scuro in uno sbuffo gelido.
- Come stavo dicendo, sabato è il mio compleanno...e mia madre mi ha permesso di dare una piccola festa...-il sorriso raggiante di Arianna è come un lampione di quelli che contornano la strada.
- Strano. –borbotto stringendomi nel cappotto. La madre di Arianna è sempre stata una donna simpatica e vitale proprio come la figlia, ma mentre la ragazza adora le feste, ama stare in compagnia, non vede mai l’ora di uscire con gli amici, sua madre non le ha mai dato il permesso di andare a feste organizzate da gente che non le va a genio e tanto meno di organizzarne una.
- Sì, lo so. Ma non ho fatto domande. Altrimenti avrebbe potuto ripensarci. –l’espressione al settimo cielo di Arianna è impagabile.
Ridacchio.
- Cosa devi chiedermi, Ari?
- Oh, non è una domanda. E’ il regalo di compleanno che devi farmi. Senza obiezioni. –sospira tranquillamente. Mi fermo nel bel mezzo della strada ciottolata, fissandola.
- Mi devo preoccupare, per caso? –borbotto.
- Nah. O forse sì, un pochino. Ma non credo. –risponde fermandosi a sua volta e prendendo a gesticolare con le mani. Resta in silenzio qualche secondo, giusto per creare l’enfasi necessaria.
- Voglio che tu venga alla mia festa. Ma non che mi aiuti ad organizzarla. Voglio che sia una sorpresa. Voglio stupirti. –il sorriso di Arianna sembra quello di una bambina che ha appena convinto la madre a comprarle un gelato.
- Sicuro. –esclamo subito –Cioè, voglio dire...per quanto preferirei una serata dove io e te stiamo da sole sul divano a guardare un film, so che per te questo è importante e perciò verrò alla festa. Sono la tua migliore amica, Arianna. E’ scontato.
La ragazza davanti a me per poco non scoppia a piangere.
- Oh, grazie, Rachele! –miagola abbracciandomi.
Ricambio la stretta carezzandole la schiena.
Quando mi lascia andare, si passa gli indici sotto gli occhi, raggiante.
- Bene. E ora parliamo del ragazzo che hai incontrato stamattina –esordisce prendendomi a braccetto.
La fisso sconcertata.
- E tu come fai a sapere... –inizio in un balbettio.
Arianna scoppia in una risata.
- Oh, be’, si vede, cara mia. Di solito sia quando ti vedo alla mattina che quando ti lascio la sera hai gli occhi stanchi e spenti, ma oggi hanno brillato tutto il giorno. Ne avevo solo il sospetto, ma tu me l’hai confermato proprio ora. Allora, come si chiama il fortunato?
- Oliver. –rispondo senza nemmeno accorgermene. Quando me ne rendo conto, scuoto la testa con violenza.
- Voglio dire... –mi correggo velocemente – Non ho incontrato nessuno di particolare. Non che mi faccia illuminare gli occhi nel modo che hai detto tu, per lo meno.
Arianna continua a ridere mentre raggiungiamo la fermata dell’autobus dove una corriera è pronta per partire.
- Certo, certo.
- Insomma, si è seduto vicino a me in corriera, tutto qui. Ha indovinato il mio nome grazie al bellissimo bracciale che mi hai regalato e non ha chiuso bocca durante tutto il viaggio. –sbotto salendo sull’autobus che mi riporterà a casa.
- Ti comporti sempre nello stesso modo quando parliamo di ragazzi, Ele. –ridacchia Arianna restando sul marciapiede.
Sul secondo gradino del mezzo, mi blocco e mi volto verso di lei, sistemando meglio lo zaino sulla spalla sinistra.
- Non è importante, sul serio. –sospiro.
Lei alza gli occhi al cielo, poi mi guarda sorridendo.
- Ci vediamo domani. –ridacchia.
- A domani. –la saluto mentre le porte dell’autobus si chiudono alle mia spalle.
Autobus numero 3, colonna alla destra dell’autista, terza fila, sedile accanto al finestrino dal quale vedo, sempre più in lontananza, la figura di Arianna che mi saluta.
 
- Sono tornata! –urlo chiudendomi la porta alle spalle.
Appoggio a terra lo zaino ed appendo il cappotto all’appendiabiti fissato alla parete.
Il calore del camino acceso in salotto mi raggiunge, coccolandomi.
Supero l’ingresso e, passando per il soggiorno, sento mia madre salutarmi dalla cucina.
- Ciao, tesoro! –esclama. La raggiungo.
Sta preparando la cena, sommersa tra pentole, scodelle sporche e farina.
Mi appoggio al frigorifero dopo averne tirato fuori una bottiglietta d’acqua fresca.
- C’è l’acqua del rubinetto, Rachele... –borbotta passandomi accanto, baciandomi sulla guancia e procedendo rapida verso il forno.
- Allora, com’è andata? –mi chiede infornando Dio solo sa cosa.
- Al solito. Lucas?
Mia madre tossicchia mentre gira, forse per la terza volta, attorno al tavolo.
- E’ in camera sua. Doveva finire i compiti. –borbotta –O almeno è quello che ha detto. Non mi sorprenderei di trovarlo davanti al computer...
Sorrido.
- Senti, mamma... –inizio –Sabato è il compleanno di Ari.
- Sì, lo so bene. –risponde lei lavando una ciotola.
- E sua madre le ha dato il permesso di dare una festa.
- Cosa? Teresa le ha dato il permesso di dare una festa? –chiede stupita voltandosi a guardarmi.
- A quanto pare... –ridacchio –Comunque Arianna mi ha supplicato di andarci, per poco non si metteva a piangere. E’ molto contenta. Non vede l’ora di mettersi ad organizzare tutto.
- Sabato sera, hai detto?
Annuisco.
-Posso andarci?
Mia madre resta zitta qualche istante.
- Be’, si, non c’è problema. Mi fido di Teresa. –mi sorride benevola.
- Grazie, allora. –ricambio il sorriso - Ti serve una mano?
Si pulisce le mani sul grembiule, lanciando un’occhiata all’orologio appeso al muro.
- No, vai pure a farti una doccia, che poi ceniamo. E passa a controllare Lucas, per favore. –sorride fermando i capelli ramati con una pinza.
- Sarà fatto. –esclamo uscendo dalla cucina.
Salendo le scale, mi chiedo se sia il caso di entrare nella camera di un bambino di dieci anni, sicuro di poter fare quello che vuole perché la madre è occupata in cucina. Chissà come potrei trovarlo.
Passando per il corridoio mi blocco davanti alla sua porta. Busso un paio di volte.
- Lucas? –lo chiamo –Sto per entrare. Ti ricordo che dovrei trovarti seduto alla scrivania a fare i compiti.
Quando apro la porta, mio fratello è seduto alla scrivania, intento a scrivere.
- Ciao, Ele. –sorride.
Mi avvicino al tavolo e lancio un’occhiata al libro che ha sottomano. E’ sottosopra.
Ridacchiando, lo prendo e lo capovolgo.
- Non sapevo riuscissi a leggere i libri al contrario. Mi stupisci ogni volta di più, dico sul serio.
Lucas mi lancia un’occhiata supplichevole.
- Non dirlo a mamma. Per favore. –sussurra.
- Basta che riesci a farli tutti entro domani. Oppure la maestra se ne accorge e finiamo in punizione in due. D’accordo?
Gli carezzo la testa, per poi uscire dalla stanza.
- Grazie! –lo sento urlare prima che chiuda la porta.
Sorridendo, raggiungo la mia stanza.

ANGOLO AUTRICE:
Salve gente!
Se state leggendo queste righe, allora non posso che ringraziarvi! Avevo pubblicato questo primo capitolo come One Shot, ed ora ecco qui la storia bella e fatta! Che ve ne pare?
Mi piacerebbe tantissimo sapere il vostro parere, sopratutto le critiche costruttive: ogni appunto è ben accetto.
Grazie!
emmegili

P.S. La storia è presente anche su Wattpad: 
https://www.wattpad.com/story/76525625-autobus-n-%C2%B0-3-la-storia-del-poeta-e-della

 
   
 
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