Prima di avventurarsi nella
lettura di questa fanfic, vi prego di dedicare un minuto del
vostro tempo alle righe che trovate qui. Ma si, qui
sopra, sopra al titolo!
Trovate?
Bene.
Quella
che state per leggere non è propriamente una fanfic demenziale, non è il mio genere. E’ una, ehm... love comedy
con situazioni demenziali. (Spero che non lo
diventi troppo, comunque °ç°). Poi, beh, specifichiamo: se pensate di trovarvi
davanti una fanfic seria e drammatica, cliccate sull’adorabile “X” rossa proprio li, in cima alla
vostra pagina web. Ed andati
a cercare una storia abbastanza seria&drammatica
che vi soddisfi.
Ora vi
starete chiedendo: “ma il serio\drammatico
non è il tuo consueto genere di scrittura?”.
Si, vi
rispondo io. Ma non lo sentite il richiamo dell’estate?
Non sentite anche voi crescere la voglia di scrivere una love
commedy leggera e senza impegno, col solo scopo di
intrattenere e strappare un sorriso ai lettori?
.... Ehn, no, probabilmente no, vero? Ma
non fa niente.
Quello
che voglio segnalarvi, comunque, è la mia fonte
d’ispirazione per la fanfic che state per leggere: As you want, una bellissima fanfic
su HP scritta da Pendragon. L’ho letta, ne ho amata e
ne sono divenuta dipendente... e cosi, ho deciso di cimentarmi in una storia
che sia più comica (anche se in questo, la mia non si
avvicina neppure lontanamente all’ispiratrice).
I
personaggi... beh, li troverete probabilmente OOC, per esigenze di trama
(soprattutto Renji, in questo prologo XD). Il tempo
in cui la storia accade non è ben definito, ma penso che Aizen
sia stato gia ucciso. Da chi, non chiedetemelo
ù_____ù.
Poi,
ultima precisazione... questo è il prologo, ciò implica che la vera storia
partirà dal secondo capitolo, il quale sarà meno demenziale (come situazioni,
intendo. Leggete e capirete) e darà inizio ad un qualcosa tra Ichigo e Rukia, qualcosa quasi totalmente assente nel
prologo.
Credo di
aver detto tutto... hun, che aggiungere più,
recensite e fatemi sapere se avete gratito quest’esperimento <33333.
Lovely rhapsody
Prologo:
Pensi forse che il mio armadio porti a Narnia !?
***
Sbuffo.
Fingo di
essere estremamente
interessato al calendario dalle pagine colorate che fa bella mostra di se
attaccato alla parete, accuratamente ripiegato sulla pagina di luglio.
Sbuffo
ancora, stavolta più forte.
Torno a
concentrarmi sul calendario.
Strano, commento, tra me e me. Non l’avevo mai notato. L’ho attaccato obliquo.
Tamburello
distrattamente con le dita sul piano liscio della scrivania, immergo il naso
tra le pagine profumate del libro che sto leggendo.
Inutile.
Coraggio,
fragolino. Non cedere. Non cedere. Non...
«BASTA,
E CHE CAVOLO!».
Il mio
amico dai capelli rossi s’immobilizza sul posto e si gira a fissarmi,
lentamente, mooolto lentamente.
Sbuffo
ancora. Temo che possa diventare un’abitudine.
«Ehm...».
Renji pare confuso. Mi scruta come se indossassi una qualche ridicolo tutù rosa, o stessi eseguendo la macarena in equilibrio sull’alluce destro. «“Giorno, Ichigo». Commenta infine, con naturalezza, sollevando
appena una mano un segno di saluto.
Calma, Ichigo, calma.
Mi
sforzo di non gridare.
Sono
calmissimo. Calmissimo.
«Potrei
sapere, di grazia», dico, in tono falsamente pacato e
gentile. «cos’è che stai facendo da circa
ventiquattro minuti buoni (cronometrati) nel mio armadio?!».
Spero
di non essere stato troppo brusco.
Non lo
sono, vero?
Renji mi fissa con uno sguardo pericolosamente
simile a quello delle trote di lago che ho studiato ieri a biologia. Non
promette nulla di buono.
«Cerco
il mio gigai, ovviamente»,
commenta, enfatizzando appena l’ultima parola. Spero che non lo stia facendo
apposta.
Non lo
fa apposta ad irritarmi, vero?
Incrocio
le braccia al petto, indispettito.
«Questo
lo so. Mi chiedevo solo, ecco... perché accidenti tu lo stia cercando nel mio armadio».
La mia
voce suona stranamente atona, disinteressata. Ho paura di ciò che potrebbe
dirmi. Ho paura di ciò che...
«Beh, è
da un po’ che lo tengo li, a dir la verità». Renji infila nuovamente la testa ad ananas nell’armadio,
per poi ritirarla fuori qualche secondo dopo, l’espressione avvilita. «però, è diventato davvero difficile trovare qualcosa, qui
dentro... c’è un tale caos».
Non
dovrebbe esserci caos nel mio armadio.
Anzi, non c’è caos nel mio armadio!
«Figuriamoci»,
commento, «saranno i soliti peluche e le solite
lenzuola, oppure qualche altra cosa che Ruk...».
M’immobilizzo.
Renji ha appena tirato fuori dal
mio armadio qualcosa di assurdamente simile ad un grosso orologio a pendolo.
Beh,
non può essere. Non c’è un orologio a
pendolo, nel mio armadio... neppure ci entrerebbe.
Devo
avere le allucinazioni.
Mi
strofino gli occhi e li stringo forte, fino a vedere nient’altro che piccole
macchie di colore che oscurano il mio campo visivo.
Poi
li riapro, piano.
Ecco,
ora dovrebbe essere tutto a posto... Renji
è scomparso ed io sono nuovamente da solo, immerso nella quiete domenicale
della mia camera, a leggere il mio libro in tranquillità... senza orologi a
pendolo, e...
Okay, questo non è esattamente ciò che mi aspettavo di vedere. E
quello che ho davanti non è esattamente un orologio a pendolo, ma potrebbe
assomigliarvi... forse... piuttosto, è abbastanza simile a...
«Uno
scaldabagno!», concludo, soddisfatto, battendo la mano
chiusa a pugno sull’altra.
Poi, un
orribile sospetto si affaccia ai meandri della mia testa; non dovrebbero esserci scaldabagni nella mia stanza. E nemmeno orologi a pendolo. E nemmeno shinigami
psicopatici dalla testa a carciofo...
Calma, Ichigo. Sei calmissimo. Calmissimo....
«REEEEEEEENJI!».
....
Ecco.
Calmissimo.
Come
non detto.
«Si può
sapere...», esalo, additandolo disperatamente con un indice tremante, «... che
diamine... sta succedendo qui?!».
Scorgo Renji occhieggiare disperato alla porta, così mi affretto a
raggiungerla e girare più volte la chiave nella toppa con una velocità che non avrei pensato di poter raggiungere.
«Allora?»,
incalzo. C’è un che di omicida nella mia voce. Dovrei
controllarmi.
«Ehm....».
Il mio cosiddetto “amico” lancia uno sguardo alla finestra, che ho già provveduto a sigillare. «... cioè,
insomma... Urahara...».
Urahara. Lo sapevo, lo sapevo che doveva
averci qualcosa a che fare, quel pazzo coi sandali da
bagno!
Quando il pianeta terra sarà distrutto, lo riterrò
colpevole.
«Siiiiiiii?».
Renji arretra pericolosamente contro l’anta chiusa
dell’armadio. «ecco, Urahara-san, ha... non mi ammazzi se te lo dico, vero?».
«Ma no, Renji», mento, mellifluo.
Un intero anno di convivenza con Rukia sta dando i
suoi frutti.
«Beh, ecco, se è cosi...». Si raddrizza, decisamente più calmo. «Urahara-san...
ha trasformato il tuo armadio in una sorta di... come posso definirlo... ecco, deposito spazio-temporale
per gli shinigami. Veniamo tutti qui a riporre le
nostre cose, e... AVEVI DETTO CHE NON MI AVRESTI UCCISO!», piagnucola, quando
minaccio di cavargli un occhi con la matita.
«Ti
prego, ti prego, ti prego, sono giovane ed ancora verg...». Si blocca.
Gli
rivolgo uno sguardo truce.
«Chi?». Domando, pur essendo già certo della risposta.
«Eh...»
«Chi gli ha dato
il permesso!», preciso, furente.
Renji si rannicchia di più contro l’armadio e fa per
infilarcisi dentro, ma i suoi ciuffi rossi restano sempre fin troppo visibili.
«Prometti
di non commettere shinigamicidi?», pigola, facendosi piccolo piccolo.
Mi
ritrovo ad annuire, mio malgrado.
«Eh,
beh, ecco...». Coglie il mio sguardo inceneritore e si affretta a ripararsi
dietro un’anta semiaperta. «... è stata... R...Rukia».
Ah, okay.
Certo.
Bastava dirlo subito.
Nessun
problema. Nessun...
«RUKIAAAARGH!»
Come
non detto, di nuovo.
~
E ti pareva.
Arriccio il naso e stringo gli occhi, mi sforzo di
trattenere fuori dal mio campo uditivo gli strepitii
dell’individuo dai capelli color mandarino che mi sta’ strattonando malamente
per un braccio proprio in questo momento, tentando di staccarmi dal lavello a
cui sto saldamente avvinghiata.
Perché, ovviamente, io non posso godermi un po’ di relax –in casa sua, certo, ma pur sempre relax-
senza che lui debba piombarmi d’improvviso davanti, strepitando su qualche
presunta seccatura che gli ho creato e che l’ha fatto inalberare!
(Insomma, non che lui abbia detto propriamente “inalberare”, ma ho preferito raffinare
il linguaggio).
Fatto sta che me ne stavo tranquilla in cucina a
lavare i piatti insieme a Yuzu-chan, quando me lo
vedo arrivare tutto arancione e trafelato, biascicando convulsamente di orologi a pendolo e scal... scaldabagni, credo, e del
suo armadio che non porta mica a Narnia.
Perché
dunque, mi chiedo, dovrebbe portare a Narnia?
Ed io cosa
accidenti c’entro?!
Probabilmente si tratta di un gioco. Già, uno di
quei giochi di ruolo tra lui e Kon, del tipo guarda-chi-fa-arrabbiare-Rukia, che si concludono
puntualmente con Rukia-che-uccide-entrambi... ma
questa è un’altra storia.
Riesce
a staccarmi dal lavandino dopo circa un minuto e ventitre
secondi di lotta, ma sono certa che, sforzandomi, potrei fare di meglio. Prendo
un profondo sospiro e gonfio le guance, irritata.
«Si può
sapere, stolto», sibilo, con la mia solita grazia ammirevole. «che accidenti vuoi da me?!».
Grazia
ammirevole che pare farlo inalberare
ancor di più.
«Vieni
su! Ora!».
E’
livido di rabbia.
«Il
viola non si abbina al colore dei tuoi capelli», commento, esaminandomi un unghia con noncuranza.
Amo, amo farlo arrabbiare. Mi fa sentire stranamente
sicura di me stessa.
Fingo di scrutarlo con aria critica per qualche istante, poi scrollo le
spalle, arrendevole. «Okay, vengo».
Un
attimo dopo, Kurosaki Ichigo
mi sta trascinando su per le scale, furente. Mi sembra di riuscire a vedere il
fumo venir fuori dal suo cervellino, o forse dalle
narici... temo che possa andare a fuoco.
«Si può
sapere che succede?», mormoro, abbandonato il tono noncurante di poco fa.
Insomma, non mi va già l’idea di vederlo morto per eruzioni vulcaniche
interiori. Almeno per ora.
«Succede
che», sibila, senza allentare la presa sul mio braccio né voltarsi a guardarmi.
«a causa tua, del tuo amico dalla
testa ad ananas e di quel pazzo di Urahara,
la mia stanza è diventata una sorta di tasca di Doraaemon
formato gigante!».
«T...tasca
di Doraaemon?!», boccheggio. Poi, comincio a capire.
Ah. Quello.
«Eeeeehm. Ecco, vedi, quello è perché...».
Non
posso dirglielo. Avevo giurato che fosse un segreto,
un segreto tanto segreto che avrei dovuto dimenticarlo io stessa in caso di
necessità, ad esempio eventuali legilimens od Edward Cullen nelle vicinanze.
«E’...
a causa di un favore che dovevo ripagare ad Urahara.
Diceva di aver bisogno di qualcosa da trasformare in deposito spazio-temporale,
sai, i suoi esperimenti da matto...».
«... e tu hai proposto il mio armadio».
Conclude Ichigo, con una smorfia
a metà tra sconcertata e furiosa.
Non so
cosa dire, perciò mi ritrovo ad annuire, il capo chino. In effetti, forse, e
solo forse, avrei dovuto prima chiedere il permesso a lui...
Ma non è tanto grave, no?
Cioè, si può sempre rimediare... credo.
«Ehm, andiamo a vedere cos’è successo», consiglio, nel tentativo
di evitare lo sguardo furioso che mi trapassa la schiena. Poso la mano sulla
maniglia e l’abbasso piano, dopodichè infilo la testa dentro la stanza per un
attimo... e la ritraggo in fretta, prima che un oggetto non ben identificato,
appena sfrecciatomi dinanzi al naso, possa tranciarla
di netto.
Mi
volto verso Ichigo, lievemente sconvolta. «Ehm, non
credo che sarebbe una buona idea entrare».
Lui
solleva un sopracciglio in una smorfia incerta. «Doushite?»
«Cioè, ecco...».
Un
grido di natura imprecisata si leva dalla stanza alle mie spalle e ci fa sobbalzare
entrambi. Assomiglia ad un gallo al quale stanno per tagliare la gola...
«Renji», fa Ichigo scioccato. Mi
supera in fretta e spalanca la porta, dopodichè resta impalato dinanzi allo
spettacolo che si para ai suoi occhi.
Renji, -il mio
amico Renji!- sta in equilibrio precario su un
aspirapolvere acceso, il quale continua a scorrazzare allegramente nella
stanza, portando con se libri, fogli e quant’altro.
La
prima cosa a venirmi in mente è che dovrei ridere, ma non ci riesco.
La
seconda cosa a venirmi in mente è che dovrei piangere, ma non ci riesco.
La
terza è che spero ardentemente che Ichigo scelga un
modo civile e poco doloroso, quando deciderà di ucciderci entrambi.
La
quarta cosa è... beh, credo non ci sia. Almeno per ora.
«Re...Reeenjiiii...».
Lentamente, mooolto lentamente, mi volto verso
il mio arancio-amico. Beh, è... decisamente simile a Goku in versione Super Sayan,
direi.
I
capelli... beh, i capelli sono giallastri, come
sempre. E gli occhi bruciano. Letteralmente.
Temo
che possa andare in bankai da un istante all’altro. O Hollowificizzarsi. O scagliare una Maledizione Cruciatus
sul mio sfortunato amico d’infanzia...
Spero
caldamente che Renji sia esperto in controfatture.
~
Calma,
fragolino, calma.
Calma...
Com’è
che faceva, quella filastrocca per rilassare i nervi?
Centocinquantaduemilaottocento scimmiette
si dondolano su un ramo...
«Ichigo... sicuro di star bene? Ti, ecco..
ti esce il fumo...».
... uccido una scimmietta, ne restano centocinquataduemilasettecentonovantanove...
«Benissimo»,
mormoro.
E se uccidessi un’altra scimmietta?
Centocinquantaduemilasettecentonovantotto...
Chiudo
gli occhi. Li riapro. Li chiudo ancora.
Percepisco
Rukia scuotermi per un braccio, blaterando qualcosa a
proposito di maledizione Cruciatus... controfatture... kamehameha? Cos’accidenti c’entra la kamehameha?
Riapro
gli occhi e, mentalmente, massacro un’altra scimmietta.
Centocinquantaduemilasettecentonovantasette.
Sento
le mie labbra distendersi involontariamente in un sorriso beato, che stupisce
me stesso.
Al
mio fianco, Rukia s’irrigidisce e sbianca
pericolosamente.
«Eeeehm... Ichigo?
Sicuro di star bene? Mi sembri,
ecco... folle...».
«Mai
stato meglio», recito, candido, il sorriso che si allarga da un orecchio
all’altro.
Ho
appena terminato di strappare le braccia all’ennesima scimmietta;
è davvero un passatempo divertente, questo. Ed
istruttivo, sopratutto.
Un
angolino remoto della mia testa mi urla che c’è
qualcosa che dovrei fare... tipo, rincorrere l’aspirapolvere impazzita che mi
sta distruggendo mezza camera, e arrecare al suo sventurato passeggero la
stessa sorte delle ormai numerose scimmiette...
E’
troppo.
Sto
sognando. Devo star sognando.
Ora
aprirò gli occhi, e...
Un
attimo, questa l’ho già provata, e credo d’averne ben chiari
i risultati.
Forse, se soltanto mi decidessi a tirar fuori Zangetsu e tranciare le gambe, i capelli e qualcos’ altro al caro Renji...
L’ennesima
scimmietta esala l’ultimo respiro.
Istintivamente, volto il capo verso la mia scrivania
semi-distrutta, come in cerca di conforto... e lo vedo.
Lui. Cosi
piccolo, tenero ed indifeso, tanto bisognoso
della mia protezione, eppure adesso tanto malridotto.... ed a quel punto, sento
di dover far qualcosa.
Qualcosa
che non renda vano il suo sacrificio, qualcosa che ne conservi la memoria in
eterno.
Stringo
tra le mani la matita che avevo dimenticato di riporre
al proprio posto, scampandola cosi al massacro. Poi, il cuore colmo di rabbia e
rancore, mi avvento sul nemico.
«Tu...
TU
Accanto
a me, avverto distintamente Rukia emettere un lungo
sospiro rassegnato.
~
«Sono
un emerito babbuino deficiente», cantilena Renji, gli
occhi bassi e le labbra arricciate.
Accomodato
accanto a lui, Ichigo si rigira la matita tra le mani
e gli rivolge un’occhiata eloquente.
«Ancora
una volta», ordina, gelido.
Renji si rannicchia contro il muro, offeso, senza
tuttavia opporsi in alcun modo. «Sono un emerito babbuino deficiente...»
Ichigo solleva appena un sopracciglio. «E...?».
«E cosa?!»,
piagnucola esasperato il mio migliore amico. «Non mi hai mica detto come continuare la frase!»
«Giusto».
L’altro finge di pensarci un attimo, le dita sul mento e gli
occhi socchiusi, dopodichè s’illumina in una sorta di ghigno diabolico. «“Sono
un emerito babbuino deficiente, e se mi permetto di mettere di nuovo piede
nella stanza di Ichigo, lui
gli ficca quell’aspirapolvere su per il...”».
«Ha
capito il concetto!», l’interrompo io, dandogli una cuscinata
dritta sulla testa arancione.
Siamo
entrambi accomodati sul letto di Ichigo,
lui intento a leggere il suo ormai celebre libro, io ad osservare il mio
migliore amico che percorre la stanza avanti ed indietro più e più volte,
facendo del suo meglio per riparare i danni subiti.
E come se non bastasse...
«Sono
un emerito babbuino deficiente...».
... il caro Ichigo gli ha imposto di
ripetere questa frase almeno duecentomilasettecento volte, pena la castrazione
chimica.
Lui
sostiene che si tratti del metodo più efficace per assicurarci la sua
obbedienza a vita, ma io non ne sono poi tanto convinta.
Coraggio,
Renji... un po’ di nerbo! Un po’ d’orgoglio maschile!
«...
sono un emerito babbuino deficiente...».
Okay, come non detto.
Mi
abbandono contro il muro e chiudo gli occhi. Adesso che quei due hanno smesso
d’insultarsi, l’unico suono che riesco ad udire (oltre
agli occasionali schianti provocati dai tentativi di Renji
di riparare ai danni, causandone altri ben più gravi) è il lieve fruscio prodotto
dalle pagine del libro di Ichigo che vengono voltate
di tanto in tanto.
Anche senza guardarlo, riesco ad immaginare le sue dita
sottili indugiare sulle pagine e le sopracciglia aggrottate mentre le parole
gli scorrono rapide davanti agli occhi, una dopo l’altra.
Devo
costringermi ad arricciare forte gli occhi perché non si posino
involontariamente su di lui.
Un
altro tonfo mi annuncia l’ennesimo disastro commesso da Renji;
probabilmente avrà dato fuoco all’armadio, oppure
scaraventato la scrivania fuori dalla finestra. Non mi do la pena di aprire gli
occhi per controllare.
Un
altro suono... passi veloci, su per le scale.
Credo
che qualcuno in casa si sia finalmente reso conto –ed era
ora, oserei dire- che sta decisamente
succedendo qualcosa di strano, su nella camera del caro fragolino.
Come
l’attacco di una mandria di elefanti africani nel
periodo dell’accoppiamento.
O l’innocente visita del proprio migliore
amico dai capelli rossi... non credo ci sia molta differenza tra le due cose.
Con
un sospiro, abbandono il mio tanto agognato relax e strappo il libro dalle mani
di Ichigo, limitandomi ad un
generico “arriva qualcuno” in risposta alla sua occhiata inceneritrice.
Lui esibisce
una smorfia angosciata alla ho-appena-scoperto-di-essere-impotente
e si avventa su Renji, spingendolo con forza verso
l’armadio.
«Dentro», ordina, brusco, e gli richiude
l’anta dritta sul naso.
Sono
immensamente dispiaciuta per il mio migliore amico. Davvero tanto.
La
porta della camera si apre rivelando la figurina minuta di Karin
Kurosaki, le sopracciglia aggrottate in modo
paurosamente simile a quelle del fratello, le braccia sottili incrociate al
petto.
«Karin», borbotta Ichigo. Infila
con noncuranza il naso tra le pagine del proprio libro. «è pronta la cena,
oppure i mangiamorte hanno finalmente rapito nostro
padre?»
«Neppure
i mangiamorte saprebbero cosa farsene», sbuffa la
bambina, agitando una mano davanti al volto con aria indifferente. «Piuttosto, Rukia-chan», e si volta verso di me. «temo che un
aspirapolvere impazzito abbia appena distrutto la tua stanza».
...
Aspettate
un attimo.
Un aspirapolvere... la mia
stanza...
Ichigo salta su immediatamente e si dirige verso la
sorellina, spingendola fuori dalla stanza.
«Ehm,
grazie per avercelo segnalato, Karin... andremo... ehm...
a controllare...».
Mi pare
di vedergli rivolgere un occhiata furente in direzione
dell’armadio, ma forse è solo una mia impressione.
E mi pare di vedere l’armadio agitarsi in maniera
piuttosto sospetta, ma ripeto, dev’essere solo una
mia impressione.
La
porta si chiude alle spalle di Karin.
«L...
la mia stanza», boccheggio.
Mi
sento come Harry Potter in
fuga dai Dursdley.
Cioè, non so cosa c’entri adesso, ma sono certa di
sentirmi esattamente cosi... credo
che mi faccia male leggere tutti i libri che mi presta Ichigo.
~
Dire che la stanza di Rukia è
stata distrutta è una cosa, ma... non pensavo che Karin
intendesse questo.
Lo
scrittoio è intatto. I mobili intatti. I muri intatti. I suoi disegni sono intatti!
E mi chiedo, maledicendo tutti i kami
esistenti, perché accidenti doveva
succedere ciò!
Perché
tra tanti gadget di chappy, disegni di chappy, dvd di chappy, manga di chappy, cosi
inutili e pronti al massacro, a venir distrutto doveva
essere proprio il suo...
«Lo
sai, Ichigo», commenta Rukia,
in piedi accanto a me, con tono piatto. «penso proprio che stanotte dovrò
dormire nel tuo letto».
...
In
questo momento vorrei tanto, davvero
tanto, che il mio armadio conducesse realmente a Narnia.
Fine (per ora).
Spazio dell’autrice: Eccovi il prologo *O* Spero che, come vi
avevo preannunciato, non vi sia parso troppo demenziale XD. Tenterò di rimediare nel
prossimo capitolo <333.
Recensite
e ditemi se avete gradito quest’esperimento, in modo
che io possa provvedere a scrivere il seguito °ç°.
Ringrazio
Evyn, che ha letto la prima parte di questa storia ed
ha dichiarato di trovarla geniale. Ringrazio le blackberries,
perché esistono. Ringrazio l’Ichiruki, perché esiste.
Ringrazio Bleach, perché esiste. Ringrazio Tite Kubo, perché è nato.
E...
ringrazio il mio computer di essere ancora vivo dopo tante fanfic.
Grazie, PC. Anche se litighiamo tutti i giorni, ti
voglio bene T^T.
Perdonate
il pauroso OOC di Renji, ma cosi lo trovo divertentissimo, a dir la verità °Q° E
poi adoro quel ragazzo, ma mi diverto a tormentarlo XD.
Ci
vediamo al prossimo capitolo (se ci sarà) <33333.