~Dopo essere passato a ritirare il denaro che gli spettava ad un bancomat sotto l'edificio, Saverio prese la decisione di tenersi il denaro appena ottenuto e di non perdere tempo a cambiare le banconote di talleri borgognoni che ancora aveva nel portafoglio, e quindi andare a piedi fino alla sua destinazione, situata a a nord-est rispetto a Piazza Corvetto. Così, fattosi una lunga camminata sul marciapiede di Via Assarotti – via che a causa di recenti eventi era stata allargata e i cui edifici erano stati per la maggior parti ricostruiti seguendo le linee guida dello stile più in voga – e dopo essersi infilato in una viuzza secondaria, una intitolata ad un pioniere minore di nazionalità italo-siriana della tecnologia che permetteva lo spostamento fra linee temporali, Saverio arrivò finalmente alla sua destinazione, una palazzina le cui inferriata verniciate di bianco mostravano vistose tracce di ruggine e squamature significative, con la facciata ridotta a nudo cemento intervallato da intonaco e misere tracce di graffiti commissionati dal Comune, ed un portone in vetro smerigliato con vistose crepe ed una struttura di supporto in ferro ossidato.
Saverio, salito sui due gradini in cemento scheggiato e ricoperti con un un mosaico di ceramica verde ormai mezzo distrutto, voltò il suo sguardo verso il muro alla sua sinistra, ove vide il bronzeo citofono a quattro campanelli ma una sola targhetta leggibile.
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Saverio scosse le spalle ed entrò, attraversando l'atrio, un rettangolo con le pareti arancioni chiazzate di muffa, tanto spoglio quanto odorante dell'odore di spazzatura lasciata al sole per giorni e medicine scadute, e salendo le scale in cemento e pietra grigia accompagnate da una ringhiera fatta con i resti di cassette di frutta sia di plastica sia di legno, superando pianerottoli con porte blindate sgangherate lasciate aperte su muri di mattoni e cumuli di immondizia ostruenti gli angoli, fino ad arrivare al terzo piano: lì lo aspettavano una porta di metallo verniciata a strisce verticali nere, gialle e rosse e due vasi contenenti due cactus ad un passo dal decesso. Non appena Saverio mise piede sul piano, la porta s'aprì d'improvviso, rivelando così il signor Aerts: un uomo sulla sessantina, con radi capelli grigi e barba sul collo maltenuta, indossante una camicia cammello con pantaloni larghi dello stesso colore e pantofole nere, le sue mani -- raggrinzite e piene di voglie come quelle d'un uomo più anziano di lui – l'una teneva fermamente una canna di bambù chiusa da ambedue estremità da due tappi di plastica rossa e l'altra era molto probabilmente occupata ad usare la maniglia come supporto.
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Saverio espresse il suo rifiuto con un <
Storcendo il naso e resistendo al desiderio di fare versi sconvenienti, Saverio seguì Eugène svoltando a destra e facendosi accompagnare nel cucinino ricoperto di sporcizia varia e con un frigorifero dall' aspetto così dimesso che, se fosse stato trasformato in un essere umano, si sarebbe suicidato per la depressione.
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Il volto del suo cliente s'illuminò d'improvviso.
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Saverio si schiarì la gola con un falso colpo di tosse e, messo il foglietto dinanzi ai suoi occhi, si piegò in avanti.
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Due squilli di tromba, seguiti dalle prime note de "Il Canto dei Valloni" lo interruppero sovrastando le sue parole e spingendo Eugène ad estrarre dalla tasca posteriore dei pantaloni un cellulare inglobato in un bozzolo in gomma rosso-giallo.
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Saverio scrutò il volto di Eugène, cercando di comprendere ciò che la sua espressione poteva tradire riguardo la verità, data la situazione.
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Saverio, non molto convinto ma neanche troppo interessato ad indagare più a fondo, annuì e rialzò la testa.
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Eugène si piegò in avanti, massaggiandosi il mento e mormorando per circa un minuto, prima di emettere un responso.
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Saverio scosse la testa in segno di conferma, gli strinse la mano, poi prese le banconote dalle sue mani e se le infilò in tasca con un unico fluidissimo gesto.
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Una volta fuori dalla palazzina in cui abitava il signor Aerts, Saverio si era diretto a cambiare i suoi talleri alla filiale vicina a casa sua di una grande banca, poi s'era incamminato verso casa sua, un appartamento non troppo lontano dal centro di Genova, contenuto all'interno di una palazzo costruito al posto di una succursale di una catena di accessori tecnologici un tempo famosa e rispettata: tale palazzo coperto in un tripudio di statue, sia contenute dentro delle nicchie sia usate come cariatidi e atlanti, ma tutti agghindiate negli stili più diversi d'ogni tempo e universo alternativo conosciuto; piani a muro dipinto a marmo alternati a lastricature in pietre policrome; ed infine balconi con tende sostenute da bronzi di forma arborea.
Aperto con le chiavi il portone in bronzo e legno figurante una breve storia di Genova, Saverio entrò nell'atrio pavimentato in marmo grigio e con le pareti in rosso pompeiano ricoperte con arazzi intessuti ad arabesco nei colori più svariati. Le scale in granito erano accompagnate al lato sinistro da una ringhiera con sostegni a spirale e al lato destro da pareti grigio-lavanda, intervallate a ciascun piano da una riproduzione a fresco in scala maggiorata di un dipinto quattro-cinquecentesco o uno effettivamente barocco.
Dopo cinque rampe di scale, Saverio una riproduzione in affresco della "Giuditta con la Testa di Oleoferne" apparirgli dinanzi agli occhi, segno che era giunto al suo piano. Senza pensarci su, prese il suo mazzo di chiavi, selezionò ed infilò la chiave della porta blindata nella serratura, per poi girare a sinistra facendola schioccare con forza. Fatto ciò, Saverio s'appoggio al gigantesco pomo in ottone e spinse, entrando finalmente nel suo appartamento.
Passato attraverso lo stretto e scarno corridoio, Saverio arrivò nel suo salotto-cucina, si sdraiò sull'infeltrito divano color verde foglia con bordi del colore della castagna, e levò un profondo sospiro, mentre fissava il soffitto scamorza e gli stucchi botanici bianchi ai bordi. Il suo breve riposo fu subito interrotto da un assordante raglio d'asino, cosa che lo fece balzare in piedi e correre verso il tavolo in legno scintillante di lacca al fine di afferrare il cellulare che giaceva sul tavolo, afferrandolo con la mano ed urlandogli <
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Saverio si coprì il volto con una mano, grugnendo infastidito.
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Egli sospirò un'altra volta, prima di avviarsi verso il frigorifero con ante in finto mogano intagliato a stemma nobiliare.
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