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Autore: vause91    29/06/2016    0 recensioni
Questa fanfiction ha come personaggi Taylor Schilling e Laura Prepon, e in maniera minore anche Natasha Lyonne ed altri attori legati alla serie. E' più che altro una fantasia ormai diffusa quella di vedere nelle Laylor un rapporto che vada oltre alla semplice relazione professionale.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Alex Vause
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 5. Let’s get it started! (II)



 
“Possiamo andare via?”
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P-o-s-s-i-a-m-o? Ma in che senso? Ma insieme? Da sottona quale sono sempre stata e sempre sarò, di quelle con la “S” tatuata a fuoco sulla fronte proprio, emisi un flebile “Certo… Certo.” – per fortuna Natasha non era presente alla scena: mi avrebbe versato della benzina addosso lanciandomi un fiammifero acceso. Ti fai trattare di merda per mesi da una psicopatica con problemi di identità e poi, dopo averti sedotta nuda e bagnata in piscina ti piange addosso? Ma perché tutte le lesbiche hanno questo senso del dramma così fortemente sviluppato? Sì: è il nostro sesto senso. Tatto, udito, olfatto, gusto, vista e DRAMMA. Forse questo avrebbe dovuto convincermi sulla sessualità di Laura: una performance da record mondiale lesbodrammatico.
Comunque: tornando al racconto, quella notte durò almeno tre giorni. Sono passati ormai due mesi da quando è accaduta, e ora sono qui a ricostruirla, a cercare di rimettere insieme i pezzi per cercare di capire cosa successe allora.
Mi prese la mano – non l’aveva mai fatto prima. Strizzò il vestito con una mano sola, aiutandosi con le gambe. Se lo rimise addosso, ma fece fatica perché non le entrava. Così cercai di darle un aiuto ma disse che avrebbe fatto da sola. Mi stringeva la mano talmente forte che mi faceva male. Io non dovetti rivestirmi: mi aveva lanciata nell’acqua vestita. Stavo immobile ad aspettare che avesse finito e potessimo andare. Mi sentivo un cane in attesa del suo padrone.
Iniziò a camminare barcollando sui tacchi. Le andai dietro. Sembravamo ubriache, di quando ti prende quella ciucca triste che non sai perché ma piangi sempre. Iniziammo salire le scale che portavano alla terrazza dove Tash stava ancora tenendo banco ballando – ma che ore erano? sono sempre più convinta che quella donna non sia umana.
Mi fermai subito prima che le nostre teste potessero spuntare.

“Laura… Ma se ci vedono tutti così, anche Jenji e la produzione… Ecco, non credi sia troppo?”
“Non mi interessa nulla. Andiamo a casa.”
Ma quale casa? A casa sua? Mia? Forse avevamo una casa “nostra” di cui io non sapevo l’esistenza? Ma poi.. Non era la sua festa? Che dramma.
“Va bene.” replicai. Aspettavo che da un momento all’altro sbucasse fuori quello di Candid Camera – gli avrei dato un limone che se lo ricordava per tutta la vita. Non successe. Quella era la vera vita di Taylor Schilling. Beautiful in confronto era una barzelletta.
Facendo finta di niente, Laura fece il suo ingresso alla sua festa. Era quasi mezzanotte. Eravamo state tre ore nel Fantastico Mondo di Amèlie per poi spuntarne fuori impresentabili. Adottai la tattica del “carini e coccolosi” e mi stampai un sorriso in faccia. Mi fecero anche una foto quella sera. Tash l’ha stampata e ce l’ha appesa in camera vicino a quella di David Bowie.
Accadde esattamente quanto pronosticato: proprio nessuno si accorse di noi, no. No no.
Il dj appena ci vide interruppe la musica e gridò “finalmente, ecco la nostra festeggiata!” – in un nanosecondo avevamo almeno 300 occhi puntati addosso nel totale silenzio. Laura sembrò non accorgersi di nulla, attraversammo la sala per mano, gli occhi dritti in avanti, recuperammo le borse e ce ne andammo.
Si sentì un brusio che faceva più rumore dei miei pensieri. Dopo qualche minuto, sentimmo la musica ripartire e la festa andò avanti fino al mattino.
“Prendiamo la tua?”
Santa Madonna. Ma chi era la donna che avevo vicino? Prima di quella sera nemmeno era mai riuscita a rivolgermi la parola senza chiamarmi “Piper” e ora si atteggiava come se ci conoscessimo da sempre. Nota bene: non che la cosa mi desse fastidio. Ma si stava prendendo degli spazi che non aveva mai avuto con una velocità che mi lasciava sempre più senza parole.
In quel momento pensai a Tash. Sarebbe dovuta tornare indietro da sola. Risposi ugualmente di sì. Non so, tra l’altro, per quale ragione non potessimo prendere la sua macchina lussuosa invece del mio catorcio da mercatino dell’usato.
Salimmo in macchina. Misi in modo. Non feci in tempo a voltarmi per chiederle dove fossimo dirette, che la vidi addormentata sul sedile. Era distrutta. Non l’avevo mai vista in questo stato e non sapevo proprio cosa fare. Così, guidai fino a casa mia. Mi scese una lacrima, ma cercai di trattenerla.
Trovai parcheggio proprio davanti al portone di casa. Che culo, pensai. Bene: e ora? Devo svegliarla? Devo abbandonarla in macchina? Devo portarla a casa sua? Che dramma infinito.
Optai per cercare di prenderla in braccio, non visualizzando che era alta tre volte me e con delle ossa mastodontiche, senza contare il peso di quel cervello testa di cazzo che aveva nel cranio. Cercando di non svegliarla, le misi un braccio intorno al collo e uno sotto le ginocchia, e la strinsi a me. Era freddissima…e anche io stavo gelando. Cercai di tirarla su… senza successo.
La sentii sorridere, sorrisi anche io.
“Dai… Puoi fare di meglio, Taylor…”
Cercai di nuovo di tirarla su, ma il suo corpo era completamente abbandonato nella mia presa.
“C’è solo un modo per farmi alzare.”
“Sì, lo vedo… Ma sono stanca Laura, non ce la faccio. Vuoi che ti porti a casa?”
“Vieni qui, scema…”
Mi attirò a sé con la sola forza del suo sguardo. A sapervelo descrivere, lo farei. Era stanca, sciupata, addormentata. Il trucco le colava dagli occhi, le sue labbra erano semi-aperte in un sorriso. Mi guardò con quei suoi occhi disarmati e disarmanti al tempo stesso. Senza che me ne rendessi conto, le nostre labbra si sfiorarono per un istante. Pensai che se ne sarebbe andata di nuovo, che mi avrebbe detto di portarla a casa… E invece riprese ancora a baciarmi, di baci stanchi e abbandonati. Le sue labbra facevano attrito sulle mie, si incollavano e facevano fatica a staccarsi.
Le porsi la mia mano, lei la prese e uscimmo dalla macchina. Le cinsi la vita col braccio e salimmo le scale di casa scambiandoci degli stanchi sorrisi.
Aprii la porta dopo svariati tentativi. Il cuore mi batteva forte nel petto ed ero preoccupata. La casa era uno schifo, lei era bellissima. L’ansia da prestazione stava piano piano facendosi largo in me come un germe. Ero chiaramente agitata e lei se ne accorse, ma sembrò non badarvici.
Mi prese le chiavi dalla mano e le appoggiò sul tavolo. Mi guardò, e mi fece quello sguardo. Così mi lasciai guidare… E lei lo fece. Come se sapesse perfettamente com’era fatta casa mia, mi portò in bagno, mi tolse i vestiti e si tolse anche i suoi. Accese l’acqua nella doccia. Vi entrò per prima, si buttò sotto l’acqua bollente e rimase immobile, con la tenda aperta. L’acqua le scorreva addosso accarezzando le forme sinuose del suo corpo perfetto. Le sfiorava il collo, per poi fare uno scivolo sui suoi capezzoli e scenderle sulla pancia. La osservai mentre si lasciava pulire dall’acqua. Così decisi di entrare anche io nella doccia. Mi misi davanti a lei… L’acqua mi impediva la vista, mi entrava negli occhi e nella bocca. La baciai di nuovo, tirandola verso di me dolcemente. Lei si lasciò baciare. Rimanemmo lì, coi nostri pensieri, i nostri baci interminabili, i nostri sorrisi.
Con tutte le cose che avrei potuto fare, mi venne solo di abbracciarla.
Così la strinsi forte a me, le misi le braccia intorno alla vita, appoggiai la mia testa sulla sua spalla. Lei mi cinse il collo con le braccia e iniziò ad oscillare. Spensi l’acqua della doccia. Iniziammo una danza, lì, insieme, io e lei. Ballavamo un lento, di quelli che si possono vedere alle sagre, quando due vecchietti che sono sposati da cinquant’anni si dimenano nei lisci. Ci cullavamo a vicenda, oscillando un po’ da una parte un po’ dall’altra.
“Andiamo a dormire? Sono veramente stanca…”
Me lo disse con un tono dolcissimo. Così uscimmo dalla doccia, ci asciugammo a vicenda, con qualche risata… Io pettinai i suoi capelli, lei i miei.
Non fece in tempo a toccare il materasso che si addormentò. Guardai l’ora. Erano le 3,56. Tra qualche ora, Laura sarebbe scomparsa dalla mia vita.
   
 
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