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Autore: The Spark of Life    30/06/2016    1 recensioni
Lady Mormont non era l'erede dell'Isola dell'Orso: suo padre era un cavaliere rinnegato, condannato a morte e sua madre era divenuta fra le sgualdrine più famose di Essos. Lady Mormont si trovava presso la nobile Casata Frey per stipulare un contratto matrimoniale con uno dei figli legittimi del patriarca.
Nessuno si attendeva altro da lei, doveva unicamente obbedire e mostrarsi graziosa ma nel bagno di sangue del Red Wedding, riesce a salvarsi, divenuta ostaggio può solamente essere riscattata per essere l'ingranaggio di un nuovo piano.
Stavolta, la giovane, troverà un modo per manifestare la propria volontà?
{OC. AU}
Genere: Guerra, Horror, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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PoV Sylvia Mormont. Capitolo I



Erano trascorsi ventinove giorni, Sylvia ne era sicura perché, circondata dall'oscurità, il tempo era l'unica, imprecisa coordinata. La sua cella era sprovvista di feritoie, aveva la sensazione fosse rasente all'acqua almeno sul lato destro comunque, riusciva a scorgere il cono di luce diurno nel corridoio o il bagliore soffuso delle lampade a petrolio utilizzate dalle guardie notturne, non fossero bastati quegli indizi, aveva ricevuto ventinove piatti con del pane nero, del formaggio duro quanto il cuoio e del pesce così viscido da scivolarle in gola, ventinove boccali di vino annacquato e aveva anche una brocca di acqua, alta quanto la sua mano, riempita di tanto in tanto, mentre assai più raramente, i carcerieri si occupavano del secchio nell'angolo estremo dell'antro, la cui aria era resa fetida dalle sue stesse necessità.
'Questa non è vita.' si era scoperta a pensare, rabbrividendo: 'Mi tengono per qualche scambio o credono sappia dei piani del re. Vogliono stremarmi per estorcermi informazioni.'
Sylvia Mormont ricordava lo sguardo terrorizzato di Dacey, mentre veniva colpita dalla spada, la sua gola non era riuscita a produrre alcun grido.
«Scappa.» aveva ordinato qualcuno, che non riusciva a distingue nel groviglio di incubi e realtà, Sylvia si era alzata prontamente con un calice nella mano sinistra, lo smilzo Frey dai denti sporgenti, armato di pugnale aveva riso del suo gesto, una risata aspra e rauca di catarro mentre Dacey si accasciava al suolo, senza ardore nello sguardo.
Sylvia si era avventata sul bastardo di lord Walder Frey con disperazione, aveva fatto calare il boccale sul naso sino a quando non era stata investita dagli spruzzi di sangue e di muco, aveva tentato di forzare la mascella per calcare la coppa nel palato, sentiva i denti frantumarsi, i suoi versi erano osceni per questo faceva pressione, li avrebbe coperti col bicchiere. Il ragazzo aveva graffiato il suo volto, il collo conficcando le unghie nella pelle, aveva cercato di spingerla lontano, ma lei l'aveva trattenuto sul pavimento lurido, sedendovi sopra. Lo smilzo aveva strappato qualche ciocca di capelli, l'aveva stretta con foga, poi aveva staccato le cuciture della manica destra, il broccato era un tessuto pesante, era passato a tempestarla di pugni sui fianchi e solamente una freccia, scoccata dai musici, aveva posto fine alla loro lotta.
La Mormont era crollata sul fianco, in tempo per sentire un calcio in pieno addome.
'Ora, le piogge piangono nella sua sala'.
Sylvia non era riuscita a scrollarsi di dosso quella canzone, aveva la netta impressione che venisse suonata di continuo.
Era stata svegliata, mentre era sdraiata supina sul sacco di pagliericcio della cella, troppo basso e troppo lercio per essere paragonato a un materasso.
Era stata incatenata per i polsi ad una serie di pensanti anelli fissati alla parete alle sue spalle, era stata annichilita dalla sofferenza fisica e mentale, estranea al presente per secondi.
'E nessuno a udirne il pianto'.
Era sormontata da due soldati, illuminati dalla torcia sorretta dal terzo, il più tarchiato, simili tra loro a sufficienza da essere fratellastri. La visione aveva prodotto un tremito convulso, aveva ritratto le gambe in grembo. Non era stata fermata.
'Ad alcuni uomini piace vincere la resistenza'.
Le parole brutali di Maege Mormont avevano spezzato l'apatia in cui era affondata, aveva chinato il viso, scoprendo di essere avvolta in una coperta di lana. Aveva sentito lo stomaco rivoltarsi la bile ritornare nella gola, irritandola.
Sylvia Mormont non si sarebbe abbassata ad implorare, né avrebbe cercato pietà laddove era impensabile trovarne; avrebbe lasciato ai vincitori il bottino offerto da una vergine ed avrebbe trovato una fine onorevole, degna di una figlia dell'Isola dell'Orso.
Aveva stretto la mascella, rabbiosa.
«Sei una gatta randagia.» aveva riso quello tarchiato, alzando la torcia: «Le femmine del Nord sono tutte puttanelle violente.»
Lei non l'aveva guardato, la sua voce era un suono stomachevole.
«Potresti comunicarlo a lady Sansa Stark.» non era riuscita a tacere, né se ne era pentita nel ricevere un manrovescio, la testa aveva battuto contro la pietra sotto al sacco.
«Lo dico a te, lady Sylvia Mormont.» aveva ringhiato questi, ritraendosi: «Muoviamoci. Sono stanco di stare in mezzo ai topi.» aveva fatto una pausa: «E alle cagne.» gli altri due avevano riso sguaiati.
Sylvia con in bocca il sapore del sangue, si era accorta di non avere la freccia nella carne, avvertiva il pulsare ritmico di un male caldo, quasi stordente, aveva cercato di dimenarsi ma era stato inutile, la coperta era stata sollevata, il bustino dell'abito strappato dalle mani degli uomini, divenuti taciturni.
'Sì, ora le piogge piangono nella sua sala. E non c'è una sola anima ad udirle'
Aveva chiuso gli occhi asciutti, i muscoli rigidi avrebbero fatto opposizione.
«Infetta.» aveva sentenziato il più anziano, come fosse stata una carta di poco valore, in un partita: «S'era detto lino fresco, sopra l'impacco. Hanno fatto un pasticcio.» aveva borbottato.
Sylvia aveva aperto gli occhi, aveva tratto un breve sospiro.
«Non guardare.» aveva consigliato a mezza voce, incurante di quanto potesse far male, aveva rimosso la stoffa e con una sorta di spatola stretta, sottile, aveva raschiato la crosta, poi il pus.
Sylvia aveva stretto la lingua tra i denti, serrato i pugni furiosamente, mentre il metallo stava raschiando come un maiale in cerca di ghiande.
«Era chiusa e non sanguinava!» aveva protestato uno dei tre: «Se vai più a fondo, ci possiamo fare il brodo con le ossa.» aveva poi sbuffato: «Io non ho voglia di affrontare...»
L'altro era riuscito a zittirlo: «Era stata contaminata, sotto cresceva soltanto tessuto sporco. Lo vedi?» aveva sbottato con tracotanza: «Tolgo questo lerciume, lascio che il sangue cattivo esca sino all'ultima goccia. E la chiudo.» aveva pure sospirato, neanche fossero stati bimbi.
Sylvia era stata scossa da tremiti improvvisi, si era graffiata i palmi delle mani, qualche lamento aveva lasciato la sua bocca, alcune lacrime erano scese sino al mento.
«Andrà meglio, quanto avrò pulito.» l'aveva rassicurata l'uomo, poi aveva preso una bacinella in cui raccogliere il sangue vischioso, che traboccava dalla spalla. «Illumina, devo capire com'è il sangue» aveva ordinato al tarchiato.
«Pare sempre lo stesso.» aveva borbottato questi.
«Te sei un asino e non capisci.» aveva spiegato: «Questo è il sangue ammalato, vedi che è scuro, poco liquido?» aveva fatto un verso col naso: «Somiglia alla carne col pus. L'avete sentita la puzza?»
«Pareva morta.» aveva osservato il secondo.
«Sì, perché la parte era morta e morte diffondeva. Il sangue era stato contaminato.» aveva terminato il soldato.
Sylvia non avrebbe saputo quantificare il sangue che era stato asportato, le voci si erano accavallate tra loro.
'I miei artigli sono lunghi ed affilati, mio lord, lunghi ed affilati quanto i tuoi'.
Sylvia aveva sentito una sensazione gradevole, fresca, una spugna stava tamponando la pelle, l'acqua stava dando sollievo ai lividi, alle ferite. Era seguito l'impacco umido dal profumo aromatico, trattenuto da fasce di lino.
«Domani, avrai la febbre.» aveva detto il Frey: «Gli altri giorni, non posso dirlo. Dovrai mangiare, dovrai bere, mettere i vestiti e stare sotto la coperta. Io ti dovrò medicare ancora e ancora, forse, dovrò tornare raschiare. Tu mangia, bevi, resta al caldo.» aveva finito la sfilza di ordini, tirò su col naso, spuntò all'esterno della cella.
«Perché dovrei farlo?» Sylvia aveva un respiro rauco al posto della voce, non era possibile distinguere un tono, forse neppure le sillabe, nel suono pastoso e secco quanto la ruggine.
Il più vecchio si era fermato, non c'era stata ombra di compassione nello sguardo, non la considerava una vittima, stava fissando come l'occupante della cella. Sylvia aveva compreso cosa significasse essere una semplice prigioniera.
«Per vivere.» aveva detto senza enfasi: «Perché si suppone che la gente del Nord non si lasci abbattere da così poco.» a questa frase, erano seguite due risate sarcastiche. «Perché hanno pagato per vederti fuori di qui. Lord Frey non vuole ridare i soldi. Tu vivi, sei stata benedetta dagli Dei. Non sfidarli con l'ingratitudine, ragazzina.»
La porta era stata chiusa. Sylvia era rimasta con un topo, alcuni scarafaggi e con l'inesorabile scorrere delle ore.
Una serva era arrivata, sgraziata e di pessimo umore; l'aveva aiutata a disfarsi del vestito rovinato, le aveva infilato una tunica di lana, calze e zoccoli duri; la ragazza con la delicatezza con cui si è soliti pelare le patate, aveva intrecciato i capelli neri di lady Mormont, le aveva portato il necessario per pulirsi, inclusa l'acqua gelida, aveva svuotato il secchio ed era andata via senza aprire bocca, volutamente ostile.
Erano trascorsi ventinove giorni, Sylvia Mormont era stata preda della febbre per otto, aveva mangiato, aveva bevuto, aveva cercato il secchio per espletare i suoi bisogni, aveva sanguinato, a causa della Luna, in uno stato di tetra confusione, il Frey aveva cambiato la fasciatura tredici volte, la serva l'aveva cambiata ad ogni alba.
Era stata benedetta dagli Dei con la vita, aveva pensato, come un'ingrata, maledicendola, vi si era aggrappata.

   
 
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