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Autore: Kim WinterNight    30/06/2016    2 recensioni
«Samuele era un ragazzo allegro.
Amava salire sul palco e cantare, suonare, improvvisare, qualsiasi cosa.
Amava modulare la sua voce, amava renderla sempre migliore e amava sperimentarla durante i live.
Gli piaceva da matti l’idea di avere un pubblico, ma non si montava la testa.
Samuele era semplicemente se stesso.»
Una storia introspettiva, una storia d'amicizia, di musica e d'amore.
Semplicemente una storia, la storia di Samuele.
Una dedica speciale va alla persona che mi ha ispirato. Probabilmente non leggerà mai queste righe come io ascolto le sue canzoni, però sono certa che ha già compreso quanto sia riuscito a rubarmi l'anima in una sola serata.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Samuele'
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ReggaeFamily

Magia





«Mi preoccupa.»

«Chi?»

Io e Francesco eravamo stesi sul suo letto, nel suo appartamento. Eravamo rientrati da poco dopo un giro con alcuni suoi amici, dopodiché mi aveva chiesto di fermarmi da lui per quella notte. Non avevo mai dormito fuori casa, non con un ragazzo almeno. I miei non avevano fatto storie, ma era quasi certo che un po' fossero preoccupati.

In quel preciso momento stavo pensando a Samuele: da quando Jessica se n'era andata, lo vedevo sempre più spento e distante. Continuava a dedicarsi alla musica, ma di parlare con me o con qualcun altro non ne voleva sapere, senza contare che aveva smesso definitivamente di uscire con noi. La situazione mi dava fastidio, perché io avevo fatto di tutto per stargli accanto da quando ci eravamo conosciuti, però la cosa più grave era rendersi conto che lui stava male e rifiutava di farsi aiutare, fingendo che tutto fosse come prima.

«Samu» mormorai, mettendomi su un fianco per osservare meglio Francesco.

«Secondo me l'ha presa proprio male» concordò lui, carezzandomi distrattamente un braccio.

«Cosa possiamo fare?» gli domandai, come se sperassi che in lui risiedesse ogni risposta ai miei cupi dubbi.

«Lasciare che sia» rispose lui senza esitazioni.

Rimanemmo in silenzio e io mi ritrovai stranamente d'accordo con lui. Anche se per natura ero abituata a farmi in quattro per aiutare le persone che amavo, in questo caso sapevo che non sarebbe servito a nulla, semplicemente perché Samuele non voleva l'aiuto di nessuno. Avrei potuto spronarlo all'infinito, cercare di convincerlo ad ascoltarmi, ma la sua risalita dipendeva esclusivamente da lui e da ciò che desiderava per il suo futuro.

«Mia, non essere triste» sussurrò Francesco dopo un po', prendendomi tra le braccia e cullandomi dolcemente.

Chiusi gli occhi e abbandonai il viso contro la sua spalla, pensando a tutto ciò che avevamo condiviso tutti insieme. Sapevo che Jessica stava bene, che si stava abituando rapidamente alla sua nuova vita, ma sentivo che anche per lei sarebbe stata lunga la guarigione. Sia lei che Samuele avevano passato dei momenti davvero difficili ultimamente e non avrei mai potuto pretendere che ne uscissero illesi.

«Mi sento quasi in colpa» ammisi con un sospiro.

«In colpa?»

«Sto così bene qui con te, sto sempre bene da quando ti ho incontrato, noi due non abbiamo mai avuto grossi problemi. Loro invece...»

Francesco mi allontanò bruscamente da sé e cercò i miei occhi, i quali erano smarriti in ricordi che parevano lontani anni luce da quella sera di fine ottobre.

«Ascoltami bene. Non puoi sentirti in colpa per il semplice fatto di essere felice, non devi! Non è colpa tua se le cose non sono andate bene tra Jess e Samu, hai capito? Forse non è colpa di nessuno» mi rimproverò lui, sfoggiando un'espressione talmente seria da sembrare quasi solenne.

Annuii senza troppa convinzione, poi mi allungai verso di lui per baciarlo sulle labbra.

«Ne usciremo tutti più forti, Mia. Non temere» mi rassicurò con estrema dolcezza, per poi tornare a baciarmi.

E fu bellissimo fare l'amore con lui, fu come morire e rinascere senza che esistesse distinzione alcuna tra le due cose, fu come ritrovarsi finalmente a casa dopo un lungo e travagliato viaggio.


* * *


Canta che ti passa.

Mi dicevano così quando ero piccolo. Ma ovviamente non potevano sapere che le ferite del cuore e dell'anima che avrei dovuto sopportare nel mio futuro sarebbero state così difficili e dolorose.

Ero in studio, dovevo registrare un singolo da far uscire in digitale e in free download, giusto per avere un po' di pubblicità. Il riddim era pronto, Fabiano ci aveva lavorato ed era riuscito, come al solito, a fare qualcosa di spettacolare, rendendolo unico.

E ora stavo lì, con il microfono in mano e non riuscivo a concentrarmi. Avevo scritto da me il testo e lo conoscevo abbastanza bene, eppure la mia testa era totalmente vuota.

Fabiano sbuffò e si sporse nella mia direzione, poi domandò: «Allora? Cos'hai?».

Spostai per un attimo lo sguardo sul mio amico, incrociando i suoi occhi chiari e indagatori, poi tornai a fissare il vuoto, non sapendo minimamente cosa rispondere.

«Ce la fai o no a cantare? Il singolo esce la settimana prossima, l'hai annunciato. Non dimenticartelo» mi ammonì lui con durezza, incrociando le braccia sul petto.

«Lo so, oggi sono fuori» mi limitai a replicare.

«Non hai il testo appresso?»

Scossi il capo e mi ritrovai a fissare il microfono con il cuore in gola. Avevo scritto quella canzone quando ancora una luce splendeva nella mia vita, quando ancora credevo nel mio futuro e quando ancora ero illuso che dopo il dolore infertomi da Julieta non potesse esserci qualcosa di peggio, non così presto.

«Il testo me lo ricordo» aggiunsi in tono piatto.

«Allora andiamo?» ritentò Fabiano, pronto per andare in rec non appena fossi stato pronto.

La verità era una sola: avevo il terrore di provare le emozioni che sapevo mi avrebbero invaso, non appena avessi pronunciato le parole della mia canzone. Non sapevo come sarebbe stato, anche perché ero un po' agitato ed emozionato per il semplice fatto di trovarmi in studio a registrare un mio brano. A differenza di tante altre persone, io non mi ero ancora abituato a quel magco momento in cui la musica diventa perfezione.

«Andiamo» sospirai.

E la terrificante magia ebbe inizio, avvolgendomi in una spirale senza tempo né pietà nei confronti del mio cuore martoriato.

Non ero più lo stesso Samuele, non ero più capace di amare con genuinità, non ero più in grado di lasciarmi andare con il prossimo e progressivamente stavo diventando molto chiuso e riservato; l'unico momento in cui riuscivo a espormi e dare tutto me stesso si riduceva alla mia “carriera” musicale, per il resto ero di pietra, di ghiaccio, di marmo.

Canta che ti passa.

Chi afferma ciò non ha mai conosciuto il vero dolore che solo la musica riesce a comprendere e far affrontare, non permettendo a nessuno di ignorarlo.

A nessuno.


* * *


«Ho paura, Ste» mormorai.

«Non devi, sono qui con te.»

«Non mi lasci?»

«No, scema. Sono qui. Allora?»

Sospirai e cercai lo sguardo di Stefano, trovandovi sempre quell'ancora, quel porto sicuro a cui appigliarmi nei momenti più bui. Grazie a lui stavo crescendo, mi sentivo ogni giorno più donna, ed era una sensazione strana e inebriante al tempo stesso.

«Devo proprio?» mi lagnai.

«Certo che devi. Insomma, vuoi o non vuoi fare qualcosa per te stessa?» mi incoraggiò con un sorriso gentile.

Ci trovavamo in biblioteca, piazzati davanti a un computer, io con le mani tremanti sospese sulla tastiera e lui che mi cingeva la vita con un braccio. Da un po' di tempo io e lui discutevamo sulla possibilità di una mia iscrizione su un sito per scrittori emergenti, si chiamava EFP. Mi era sempre piaciuto scrivere poesie a tempo perso, e un giorno Mia aveva riesumato un mio vecchio quaderno, facendo leggere i miei scritti a Stefano e Francesco. Io, neanche a dirlo, mi ero sentita in profondo imbarazzo e mi ero rinchiusa in bagno per nascondermi da qualsiasi giudizio.

Sorprendentemente, quei due erano stati veramente entusiasti di ciò che avevano letto e da allora Stefano si era attivato per cercare un luogo in cui potessi pubblicare quelle che, a detta sua, erano meraviglie.

E così quel pomeriggio mi aveva trascinato fuori di casa, annunciando che aveva trovato una soluzione e che sua cugina gli aveva consigliato un sito magnifico in cui era solita leggere e recensire anche lei. Avrei potuto iscrivermi da casa, ma da sola non avevo il coraggio di farlo, mi sembrava che stessi sbagliando tutto.

Ed eccoci qui, come due anime nel purgatorio, in attesa di qualcosa che nessuno dei due sapeva come sarebbe andato a finire.

«Dai! Basta un indirizzo e-mail, un nick e una password. Se non ti fidi di me, mi sposto e scrivi tutto da sola» riprese Stefano.

«No, ti prego! Resta qui!» lo implorai, afferrandogli con forza la mano.

«Va bene, va bene!» ridacchiò, baciandomi sulla guancia.

Fissai per qualche altro attimo la schermata di registrazione di EFP, poi cominciai a compilare i pochi campi obbligatori senza neanche accorgermene.

E la magia avvenne, senza controllo, senza che io potessi evitarlo e senza che mi rendessi conto di quanto stesse accadendo.

Allora Stefano mi insegnò come fare per caricare dei file sul sito, insieme studiammo il sito in lungo e in largo per un po' e alla fine fummo quasi cacciati dalla biblioteca perché stavamo occupando la postazione più del dovuto.

Quando fummo nuovamente in strada, stavamo ridendo come due cretini.

«Non era difficile come pensavo» ammisi saltellando come una scema lungo la via.

«Hai fatto la cosa giusta, quando rientro a casa mi iscrivo al sito come lettore e recensisco tutto quello che pubblichi!» finse di minacciarmi.

«Fai pure, ma non devi essere di parte!»

«Invece sì, perché tu sei la migliore!» affermò, attirandomi improvvisamente a sé.

Ci ritrovammo labbra contro labbra in un batter d'occhio, infischiandocene di trovarci esattamente in mezzo alla strada.

Stefano mi baciò con trasporto, poi mi sollevò da terra e mi fece volteggiare in aria.

Scoppiammo entrambi a ridere e io cercai di divincolarmi dalla sua presa.

«Sta arrivando una macchina, andiamo!» gridai tra le risa.

«Sono orgoglioso di te» mi disse Stefano, dopo avermi raggiunto sul ciglio della strada.

«Dai, smettila, sembri mio padre!» cercai di sdrammatizzare.

«No, sono serio. Il tuo approdo su quel sito è solo il primo passo. Sono certo che farai grandi cose, hai talento» proseguì serissimo.

«Sarà difficilissimo, ma sognare non guasta!» minimizzai.

«Invece non credo si tratti solo di un sogno. Dovrai lottare, forse affermarsi in campo letterario non è facile, però da qualcosa bisogna pur cominciare. È come per me alla fine. Non so se sarò mai qualcuno nella scena reggae come dj, ma intanto faccio quello che mi piace e me ne fotto, dando sempre il massimo.»

«Ste?»

«Eh?»

«Grazie. Senza di te sarei persa» mormorai, profondamente commossa dalla sua persona e dal fatto che ancora mi sopportasse.

«Non esagerare ora! Andiamo, scrittrice, ti offro una cioccolata, ci stai?» mi propose, prendendomi per mano e riprendendo a camminare.

Non risposi. Ero felice e, per la prima volta, intravidi qualcosa di positivo nel mio futuro. Forse Stefano aveva ragione: dovevo fare ciò che amavo, il resto non contava poi tanto.


* * *


«Sai, è come se i limiti scomparissero» sospirò Marika.

«Allora perché non ci andiamo subito?» saltai su, afferrando d'istinto la sua mano. Quasi mi vergognai di quel gesto avventato, rendendomi conto che non potevo semplicemente prenderla per mano e camminare con lei al mio fianco. Mi sentii un idiota e abbassai lo sguardo, tentando di sottrarmi alla stretta delle sue dita.

«Smettila di fare così, non è successo niente! Fabiano, guardami!» mi rimproverò, strattonandomi per attirare la mia attenzione.

«Scusa... ehm, volevo dire che possiamo andare in piscina se vuoi» balbettai.

«Non hai da lavorare?»

«Per oggi ho già dato. Allora?» insistetti.

«Devo passare a casa a prendere le mie cose e...»

«Facciamo tutto. Pronta?» tagliai corto, posizionandomi dietro la sua sedia.

«Okay, ci sto» accettò finalmente con entusiasmo.

Dopo essere passati a recuperare ciò che le serviva, ci avviammo chiacchierando verso la piscina. Si trattava di un edificio abbastanza grande con varie vasche e una piccola palestra all'interno.

«Hai problemi per cambiarti?» domandai a Marika, una volta giunti di fronte alla porta degli spogliatoi femminili.

«No, ma tu qui non puoi entrare in ogni caso!» mi schernì, spingendosi all'interno.

Mentre la aspettavo, pensai che fosse una buona cosa il fatto che la piscina fosse disponibile anche per delle ore di nuotata libera, senza che si dovesse necessariamente usufruire di un istruttore.

«Eccomi!» esclamò lei all'improvviso, distogliendomi dai miei pensieri. La osservai e trovai che fosse molto buffa con la cuffia in testa e gli occhialini sulla fronte, ma allo stesso tempo non potevo negare che fosse attraente.

Distolsi lo sguardo e la accompagnai alla vasca deserta, insistendo per darle una mano a scendere in acqua.

Faceva un caldo bestiale là dentro, ma quando Marika cominciò a nuotare sinuosamente, dimenticai ogni cosa e venni completamente catturato dai suoi movimenti; stentai a riconoscerla, era come se di fronte a me si fosse palesata una nuova Marika, una persona completamente diversa da quella che avevo conosciuto fino a poco prima.

Fu come una strana magia, un momento stupendo e indimenticabile; mi pareva impossibile che in quel corpo apparentemente fragile e debole si nascondesse tanta forza ed energia, che quel corpo funzionante per metà potesse sprigionare tanto fascino e tanta voglia di vivere e di non arrendersi.

Rimasi così stregato da Marika e dalla sua storia, comprendendo che ormai era troppo tardi per evitare i sentimenti che in me crescevano inesorabili.

  
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