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Autore: hypatia_of_alexandria    30/06/2016    7 recensioni
Nettuno, nella sua essenza più profonda, non le aveva mai mentito: le aveva mostrato, fin da subito, il suo dovere di guardiana e la minaccia di una nuova apocalisse.
Il mare è di nuovo quieto, ora, ma Michiru ha compreso che è amaro il sapore della sua premonizione.
[Haruka x Michiru; Terza serie, prima della Cattedrale Marina]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza serie
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DISCLAIMER: È tutto di Naoko Takeuchi. Io sono come Jon Snow, non so niente.

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Breathe



… Lo sento.
Le note si rincorrono rapide e precise, corsa a perdifiato di un suono cristallino.
È in piedi davanti al leggio, lo spartito aperto eppure inutile: tiene gli occhi chiusi quando suona in questo modo. Una specie di viaggio onirico, di dissociazione dell’Io.

L’ambiente è grande, ordinato. Le vetrate dell’appartamento lasciano entrare una luce quasi rigenerante.
La composizione dell’esercizio non dà preoccupazione alle sue mani esperte: la musica esce dallo strumento - da se stessa, come un gorgo di potenza incontrollata. Sente il bisogno di liberare le note, senza spiegarselo.
La luce percorre il bordo della libreria; avvolge il pianoforte, rifrange e luccica sui tasti candidi. Riesce ad ascoltare, nella sinfonia, i battiti del proprio cuore.
Lo sento.
È una selva di cemento intorno al Mugen, eppure Michiru lo sente, il respiro del mare.
Lo sente dentro.
Muove le dita sul violino, onde che increspano la superficie.
Sente il mare inquieto in un modo che non sa interpretare. Negli abissi, qualcosa si espande in vibrazioni che oscillano creando un ovattato mondo privo di suoni.
Ha imparato, Michiru, a controllare il proprio respiro quando si esercita in partiture complesse. Il suono si fa rabbioso e rimbalza sulle pareti quasi con la violenza di un maremoto.
Sul fondo di quel mare anomalo, Nettuno la attende e le prende la mano per accompagnarla nel pulsare profondo della dimensione astratta, impalpabile, delle sue sensazioni. È in quel modo che, dal giorno del Risveglio, ha imparato a comprenderne la natura.
Non può vedere, ma non ne ha bisogno. Si muove fluttuando in quello spazio che è il proprio elemento e ascolta.
Ascolta il sussurro distante ed enigmatico del suo pianeta.
Lo sento.
Eppure non riesce ancora a decifrarlo: è smarrita da questa atipica incapacità di comprenderlo immediatamente.
Il pulsare accelera, ogni percezione si espande.
Quella calma surreale la confonde, sa che è solo un inganno. Nel petto si radica un timore ancestrale che germoglia nel ricordo della caduta del Silver Millennium.
Il Risveglio.
La visione della distruzione torna vivida ai suoi occhi.
Ora può vederlo: Nettuno le mostra la fine del suo passato, la ragione della sua essenza presente, il dispiegarsi incerto del suo futuro.
Il pulsare si ferma in un boato sordo eppure quieto che si espande in lei, sospingendola fino alla superficie di quella vacua bolla.
La corda del La si spezza, la melodia si interrompe acremente: la sgradevolezza del suono la spinge ad aprire gli occhi, ma senza vedere ancora.
Lo sento.
Sento che succederà presto.

Il petto si alza in un respiro, aria nuova dopo interminabile apnea. Ora osserva il violino e la sua corda spezzata quasi con perplessità: muove un passo per posarlo piano nella custodia e si lascia quindi lo studio alle spalle.
Fuori il cielo risplende di un azzurro accecante; un aereo si incunea tra sottili strati di nuvole e scompare.
Il silenzio dell’appartamento è un grembo che la protegge dal frastuono risonante della divinazione.
Nettuno, nella sua essenza più profonda, non le aveva mai mentito: le aveva mostrato, fin da subito, il suo dovere di guardiana e la minaccia di una nuova apocalisse.
Il mare è di nuovo quieto, ora, ma Michiru ha compreso che è amaro il sapore della sua premonizione.
Si stringe nelle braccia, e con il dorso delle dita scivola sulla pelle morbida della propria guancia: sa che il vento si insinua nell’oceano e lo sfiora, accarezzando i flutti con incrollabile costanza.
E sa che dovrà nascondere ogni inquietudine perché sulla sua strada vi è solo la necessità assoluta di ritrovare i talismani - la sua missione imprescindibile.
La loro missione.
Ritrovare Uranus era stato fonte di gioia e allo stesso tempo di profonda sofferenza: legate da uno stesso destino ingrato, sulle spalle un fardello pesante ed impossibile da condividere con l’idealismo delle guerriere del sistema solare interno. Entrambe ponevano il ritrovamento dei talismani al di sopra di qualsiasi assennata logica: ciò era fonte di incrollabile forza e, allo stesso tempo, di pesantissimi dubbi.
Si guarda intorno, Michiru: c’è un bicchiere accanto al lavabo e si chiede perché sia rimasto lì. 
Respira e allunga la mano a toccare la coda del pianoforte.
Lo sento.
Ora che sente l’avvicinarsi di qualcosa di terribile, sarà in grado di lasciare andare Haruka?
Non è pronta alla risposta, e la domanda resta sospesa nell’oblio dei pensieri.
Dei passi, un rumore oltre la porta che quindi si spalanca piano.
“Michiru.”
Nel suo nome Haruka racchiude l’essenza di tutto il loro mondo.
Entrambe hanno ancora indosso la divisa dell’istituto Mugen, dove vivono come spie per carpire segreti e anomalie.
“Il vento è inquieto.”
“Lo so.” Mormora lei. “Anche il mare lo è.”
In quella casa hanno imparato a capirsi.
Non hanno ricordi della loro prima incarnazione ma colgono gli sguardi, i gesti; sanno attribuirne il giusto significato, e spesso sorridono di ciò che sembrano deja-vu perpetui.
Michiru lascia che Haruka le prenda la mano: decide di guardarla perché non sa per quanto ancora potrà farlo.
Nel tempo concesso, hanno anche imparato ad amarsi.
Con dolcezza, spogliate dei vestiti e delle responsabilità, abbracciate al suono di battiti del cuore impazziti e speculari. Imprimendosi nella mente ogni espressione, ogni odore, ogni sapore.
Con dolore, con graffi e schiaffi e pugni sull’anima, la brevità di quel tempo fragile capace di rendere ogni cosa più intensa.
Lo sento.
“Lo sento, Michiru.” Haruka non lascia la sua mano: sa che la sua pelle è un mare tranquillo quando l’uragano la destabilizza.
Sorride.
Respira.
“Sì è rotta una corda del mio violino.” Dice, cambiando argomento all’improvviso. L’altra inclina appena il capo.
“Vuoi che la sostituisca?”
Non risponde, Michiru, e con un passo indietro tira appena le dita di lei, invitandola ad avanzare.
Chiude la porta dello studio quando la oltrepassano, il violino non ha più molta importanza.
Nell’instabilità cercano le proprie certezze una nel corpo dell’altra. Ma sanno che stavolta non ci sarà quiete.
Lo sento.

 E nel silenzio, il respiro del mare si agita di nuovo.

   
 
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