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Autore: Sandra Prensky    01/07/2016    1 recensioni
ATTENZIONE: Non è una traduzione del libro "Black Widow: Forever Red". Avendolo letto, mi sembrava che ci fosse troppo poca attenzione su Natasha, e allora ho deciso di riscriverlo con tutta un'altra trama.
Natalia Alianovna Romanova, Natasha Romanoff, Vedova Nera. Molti sono i nomi con cui è conosciuta, molte sono le storie che girano su di lei. La verità, però, è una questione di circostanze. Solo Natasha sa cosa sia successo veramente nel suo passato ed è ciò da cui sta cercando di scappare da anni. Quando sembra finalmente essersi lasciata alle spalle tutto, ecco che scopre che la Stanza Rossa, il luogo dove l'hanno trasformata in una vera e propria macchina da guerra, esiste ancora. Solo lei, l'unica Vedova Nera traditrice rimasta in vita, può impedire che gli abomini che ha visto da bambina accadano di nuovo. Per farlo, però, dovrà immergersi nuovamente nel passato che ha tanto faticato a tenere a fondo, e sarà ancora più doloroso di una volta: tutta la vita che si è costruita allo SHIELD, tutte le persone a cui tiene sono bersagli. Natasha si ritroverà di nuovo a dover salvare il mondo, affrontando vecchi e nuovi nemici e soprattutto se stessa.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IX.


 

She wants to go home, but nobody’s home
Is where she lies, broken inside
With no place to go, no place to go
To dry her eyes, broken inside

Her feelings she hides
Her dreams she can't find
She's losing her mind
She's falling behind

She can't find her place
She's losing her faith
She's falling from grace
She's all over the place yeah

(Avril Lavigne – Nobody’s home)


 

Volgograd, Russia

48°42’N 44°31’E

Thursday, 10th December 2015

11.35am

 

Nevicava di nuovo. Un’altra volta Natasha si trovò da sola per le strade, intrappolata nella giostra dei fiocchi che cadevano veloci. Eppure, quella volta nemmeno la neve poteva sollevarla dal peso che avvertiva dentro il suo petto e che le rendeva difficile muoversi. Non era mai tornata in quella città, non dopo la Stanza Rossa. Aveva passato una vita a scappare dai fantasmi del suo passato, che l’avevano rincorsa ovunque andasse, e ora stava tornando nell’esatto posto al quale la maggior parte dei fantasmi appartenevano. Stalingrado era più moderna ora, ma sempre bella come se la ricordava. Volgograd, non Stalingrado. Era nel 2015 e ancora non aveva imparato a chiamarla col nome giusto... Certe abitudini sono dure a morire. Era davvero magnifica e lo sarebbe stato anche di più se lei non avesse visto sangue ovunque. Ricordava uno per uno i suoi primi incarichi, i primi omicidi. Ricordava chi aveva assassinato in ogni angolo, sorda delle loro preghiere di risparmiarli. Quasi poteva ancora vederli, mentre camminava per le strade, quei corpi senza vita riversi a terra, quelli che lei aveva strappato alle rispettive famiglie, proprio sotto lo sguardo della statua della Madre Russia. All’epoca era giovane, aveva degli ideali. Faceva ciò che la Stanza le ordinava di fare senza fiatare. Pensava di essere intrappolata con loro e che per lei non ci fosse via di fuga, non conosceva un’altra vita. Il ricordo di tutti gli errori commessi, ben piantato nella sua memoria, diventava ogni passo meno sostenibile. All’improvviso recarsi alla sede originale della Stanza Rossa non le pareva più un’idea così brillante. Purtroppo, non aveva grandi alternative. Ormai stava esaurendo le idee. Dopo Nizhniy Novgorod non aveva più intenzione di mettere a repentaglio la vita di nessun altro informatore. Ormai sapeva di essere seguita, o almeno tenuta d’occhio. Aveva già corso un pericolo enorme a recarsi da Lev a Mosca, ma aveva fiducia che lui se la sarebbe cavata, lo faceva sempre. Le sembrava di trovarsi davanti a un’equazione nella quale aveva più incognite che termini noti. Tutti coloro che aveva incontrato con dei collegamenti alla Stanza sembravano sapere non solo la sua identità, ma si aspettavano anche che sarebbe arrivata. Aveva ucciso Vasnetsov e la ragazzina di Nizhniy Novgorod, ma la ballerina e l’uomo che aveva incontrato a Mosca erano ancora vivi, quindi ormai la Stanza doveva essere perfettamente al corrente della sua presenza in Russia e delle sue indagini. Sapevano che aveva la copia di Anna Karenina. Lei invece cosa aveva in mano? Un quadernetto con delle iscrizioni che, sebbene le ricontrollasse ogni giorno, non avevano alcun apparente senso. Una boccetta di sangue di una ragazzina con una sostanza che conteneva il DNA di un’altra Vedova Nera, morta da anni. Un libro comunissimo in tutto il mondo con nessuna iscrizione particolare se non dei cerchi sui numeri di certe pagine, apparentemente casuali anch’esse. Sapeva che un “lui” aveva previsto che lei sarebbe tornata per loro, sapeva che c’erano delle nuove Vedove Nere in giro e che una di quelle era una ballerina il cui corpo guariva immediatamente dalle ferite, sapeva che c’era un bunker pieno di cadaveri mutilati di ragazzine. Il giorno precedente, prima di lasciare Mosca, aveva speso quasi tutto il dì a fare ricerche in biblioteca. Aveva letto esami e analisi di Anna Karenina, aveva cercato se i numeri delle pagine cerchiate corrispondessero a qualche serie matematica, aveva cercato sull’archivio qualsiasi frase che comparisse sul quadernetto di Vasnetsov. Più indagava, meno riusciva a capire. Quella faccenda stava diventando più grande di lei. Per quanto sarebbe riuscita a gestirla? Forse avrebbe fatto semplicemente meglio a mollare tutto e tornare in America. Dubitava fortemente che lo SHIELD o Clint l’avrebbero perdonata, però magari Steve o Melinda... Scosse la testa. Magari loro sarebbero anche riusciti a scusarla, ma lei stessa non sarebbe mai più stata in grado di guardarsi allo specchio. Non avrebbe più lasciato che venissero compiute altre angherie. Santo cielo, gli anni con lo SHIELD l’avevano proprio cambiata. Qualche anno prima non si sarebbe preoccupata minimamente di proteggere nessuno, tanto meno se c’era da mettersi contro la Stanza Rossa. Ma questo era prima di conoscere Occhio di Falco e diventare un’Avenger... Si passò una mano nei capelli fulvi e si fece forza. Si chiese come facesse Captain America a trovare sempre la resistenza di lottare contro tutto e tutti, ma d’altronde Steve era sempre stato uno che non si sottometteva facilmente alle idee degli altri. A volte le sarebbe piaciuto essere come lui. Questa volta però, ne era quasi sicura, aveva fatto la scelta giusta. Forse fu solo quel pensiero che la spronò ad andare avanti. Arrivò alla fermata di un autobus e aspettò pazientemente. Per quanto le piacesse camminare, specialmente sotto la neve, la sua destinazione era lievemente fuori città, tra i boschi confinanti, e non aveva alternative se non prendere un mezzo pubblico. Si aggiustò il basco che portava sulla testa e si concentrò nell’osservare un gatto nero che si rotolava nella neve poco più avanti di lei, in modo da tenere a bada i fantasmi. Quell’animaletto le ricordava molto un randagio che si faceva spesso vedere nel suo appartamento a New York. Lei lo aveva soprannominato Liho ed era solita tenere una scatoletta di cibo per gatti nel caso lui si presentasse. Clint la prendeva in giro dicendo che l’aveva vista essere molto più gentile con quel trovatello che con la maggior parte delle persone. Si ricordava di aver pensato di avere in comune molte cose con quel gatto, a partire dal fatto che entrambi non avevano un luogo di appartenenza. Poi sapeva perfettamente cosa volesse dire amare la solitudine, ma ogni tanto uscire dalla propria campana di vetro per provare a interagire con il mondo, sebbene si potesse vivere perfettamente anche senza di esso. Era più una prova per controllare di essere ancora vivi. Chissà che fine aveva fatto Liho, se ogni tanto andava ancora a cercarla per trovare solo un appartamento vuoto.

Persa nella sua mente, quasi non si accorse dell’autobus che stava arrivando alla fermata. All’ultimo scosse la testa quasi a scrollare i suoi pensieri e salì sul mezzo. Rimase a guardare la strada dal finestrino mentre partivano, osservando il gatto nero rimpicciolirsi sempre di più fino a quando girarono un angolo e sparì dalla vista. Natasha si mise comoda sul sedile. Il pullman era vuoto, eccezione fatta per lei e per una gitana al fondo, addormentata. Il silenzio era interrotto solo dal raschiare dei tergicristalli sul vetro del bus. Appoggiò la testa sul finestrino di fianco a lei, noncurante della leggera vibrazione, e lasciò che le palpebre si chiudessero in cerca di un po’ di riposo.

 

One hour later

 

L’autobus inchiodò, portandola così a un brusco risveglio. Fortunatamente aveva i riflessi pronti, o si sarebbe trovata per terra come la gitana in fondo, che al momento era impegnata a rendere tutti i presenti partecipi della sua vasta conoscenza del turpiloquio russo. Natasha si alzò e andò a chiedere spiegazioni all’autista. La sera prima c’era stata una tempesta, e un albero era caduto proprio in mezzo alla strada, bloccando loro il passaggio. Le alternative erano scendere e cercare un passaggio, tornare indietro o aspettare che venissero a rimuovere l’ostacolo. Era caldamente sconsigliato di lasciare il veicolo a piedi, un’altra tempesta si stava avvicinando e la nevicata era abbastanza fitta da impedire la vista. La rossa optò comunque per quella opzione, l’idea di dover rimanere ferma per ore ad aspettare non le piaceva particolarmente. Ormai, il sonno era andato via. Si stiracchiò e avvolse una sciarpa rossa attorno al proprio collo, a coprire metà del viso. Si risistemò il basco e il redingote e uscì sotto la nevicata sempre più fitta. Scavalcò agilmente il tronco, allontanandosi dal pullman. Nel giro di pochi secondi, non lo vedeva già più: la moltitudine di fiocchi copriva tutto ciò che distava più di un paio di metri. Anche il vento non aiutava, lo sentiva sferzare in faccia con l’intensità di uno schiaffo. Forse avventurarsi in una semi tempesta era stata un’idea ancora peggiore che dirigersi a Volgograd. Complimenti, Natasha. “Venti punti a Serpeverde”, avrebbe aggiunto Clint come faceva sempre quando voleva prenderla in giro. Sperò vivamente di ricordarsi la strada abbastanza bene da non ritrovarsi da sola persa nel bosco con la tempesta. Non voleva fare la fine di Captain America. Avanzò a fatica, una mano tesa davanti al viso per ripararsi gli occhi, aspettando di scorgere il sentiero che doveva imboccare. Quando lo trovò, sperando che fosse quello giusto, si ritrovò a dover camminare in una montagna di neve. Le arrivava fino alla coscia. Ringraziò di aver messo i pantaloni pesanti. A fatica, procedette sulla strada. Fortunatamente, il bosco a un certo punto si faceva talmente fitto da filtrare almeno in parte la caduta dei fiocchi. Almeno riusciva a vedere meglio. Si fece forza e si avventurò verso il luogo dove ricordava trovarsi la sua destinazione. Affrettò il passo, desiderava terminare quella visita il prima possibile. Il suono degli stivali sul suolo era attutito dalla neve. Passò quasi un quarto d’ora prima che vedesse la sagoma dell’edificio in lontananza. Si bloccò, d’istinto, per prendere dei respiri profondi e costringersi a rimanere calma. Non era per niente variata in tutti quegli anni, forse era un po’ più rovinata di come se la ricordasse, ma ben poco. Davanti a lei si stagliava la prima sede della Stanza Rossa, quella in cui lei era stata cresciuta. Sentiva il cuore esploderle in petto. Non capiva come, dopo tutto quel tempo, la sola vista di quella semplice costruzione di cemento potesse provocarle ancora tale reazione. Era un edificio imponente di inizio Novecento, somigliante a una fabbrica per evitare di attirare l’attenzione dei velivoli che si ritrovassero a passare nei paraggi. La pianta era a forma di U, nel centro vi era un grande cortile, anch’esso totalmente di cemento. Al centro di questo si ergeva una villa, costruita con lo stile del primo dopoguerra. Quella era il comando centrale, dove le Vedove Nere e tutti i medici, allenatori e capi della Stanza Rossa risiedevano. Tutto il complesso era circondato da due alte fasce di recinzioni di filo spinato. Certo, quando lei ancora abitava lì a chiunque malauguratamente cercasse di oltrepassarle, sia dall’esterno sia dall’interno, si prospettava molto di più che qualche semplice graffio per il filo o il fiatone per la scalata fino in cima. Seguì il percorso della recinzione, fino ad arrivare al punto che stava cercando: la porta, ormai scardinata. Bene, non avrebbe dovuto forzarla. Non fu altrettanto fortunata con la porta della fascia interna, ma un paio di minuti di lavoro con una forcina bastarono a far scattare la vecchia serratura. Si mosse a passi veloci verso la villa al centro. Se sperava di trovare qualsiasi indizio, l’avrebbe trovato lì. Il complesso intorno era solo una facciata. Il KGB l’aveva usato per un periodo durante gli anni di guerra come fabbrica per costruire armi, che in parte finivano alla Stanza, ma era stato abbandonato verso l’inizio della Guerra Fredda. Arrivò alla villa col fiatone, non causato però dalla distanza percorsa quanto dalla sensazione di paura e ansia che il luogo le dava. Molto bene, Natasha. Ci siamo. Rovistò nella borsa, in cerca di un congegno dello SHIELD in grado di aprire qualsiasi tipo di porta. Lo posizionò all’altezza della serratura e attese qualche secondo, fino a sentire lo scattare di un rumore metallico. La porta si aprì leggermente. La spinse, producendo un cigolio acuto. Sperò vivamente che non vi fosse nessuno a sentirla. Certo, il luogo era abbandonato da anni, ma adesso che sapevano che lei era in Russia avrebbero potuto tenderle un’imboscata in qualsiasi posto. Quello poi era probabilmente uno dei primi luoghi in cui sarebbero andati a cercarla. Entrò, chiudendo la porta dietro di sé. Era immersa nella penombra, le finestre erano troppo sudicie per lasciare entrare la poca luce che già c’era all’esterno. C’era uno strano odore, come di legno marcio. Sentiva lo zampettare di diversi topi dietro le pareti e c’erano ragnatele ovunque. Le ci volle tutta la propria forza di volontà per trattenere i brividi. Nonostante lo stato generale di decadenza, non era cambiata molto da come se la ricordava. La disposizione dei mobili era sempre la stessa. Salì le scale per dirigersi verso il dormitorio. Il piano di sopra era ancora più buio e i grossi lampadari di cristallo pieni di ragnatele proiettavano strane ombre sulle pareti. Arrivò alla porta che cercava, che aveva i cardini saltati per metà. La spinse in avanti con delicatezza, per evitare che si staccasse e le cadesse addosso. Uno stormo di pipistrelli la investì e solo mordendosi un labbro riuscì a impedirsi di urlare per lo spavento. Scrollò le spalle, come per togliersi la sensazione di quegli animali di dosso, ed entrò nella camera. I letti erano ancora nelle loro posizioni, fatta eccezione per un paio che erano rovesciati. Diversi materassi erano ammuffiti, qualcuno sembrava essere diventato la casa di molteplici famiglie di topi. C’era un paio di manette ancora attaccato a ogni testiera. Si guardò attorno, il cuore che le batteva all’impazzata, per verificare se ci fosse qualcosa di degno di nota. A prima vista non pareva, e decise di rimandare un’indagine più accurata a più tardi e solo nel caso ce ne fosse stato bisogno. Non moriva dalla voglia di avvicinarsi a quei letti, considerando lo stato in cui erano. Decretò che la sua seconda tappa sarebbe stata la palestra. Scese nuovamente le scale e si recò verso di essa. Entrò e fu quasi stupita nel vedere che era ancora tenuta bene, fatta eccezione per le ragnatele. Nessun attrezzo sembrava rovinato e i ring erano ancora ai loro posti. Quasi le sembrava di essere tornata indietro nel tempo. Mosse un paio di passi verso il centro, quando sentì una voce stupita chiamarla.

-Natalia?

Al suono di essa, lei si irrigidì. Era una voce roca e pesante. L’avrebbe riconosciuta tra mille, tanto il ricordo del suo proprietario era radicato nella sua mente. Non si stupì di non aver sentito nessun rumore, lui non avrebbe fatto un errore tanto stupido come far notare la propria presenza.

-Devo ammetterlo: tra tutti i posti in cui mi sarei aspettato di trovarti, questo era l’ultimo sulla lista.

   
 
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