Crossover
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Autore: Odinforce    01/07/2016    4 recensioni
Una serie di one-shot ambientate su Oblivion, il mondo in cui è narrata la mia maxi-opera Interior Dissidia. Storie parallele dedicati a personaggi diversi, sopravvissuti all'eterno ciclo di guerre e che cercano disperatamente di farsi valere a modo loro. Idee scartate dalla storia originale, ma non per questo dimenticate o mai avvenute.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Torna a casa, Forrest
 
Quel giorno, su Oblivion dominava la calma. Un fatto piuttosto raro, che poteva avvenire solo nei brevi intervalli tra un ciclo di guerre e un altro. Quella, dunque, era solo un’altra quiete prima della prossima tempesta. La città al centro di quel regno di caos era dunque avvolta dal silenzio; i Senzavolto, spettri imitatori della gente comune, percorrevano le strade come ogni giorno, ignare comparse di uno spettacolo che non potevano comprendere.
Una figura solitaria camminava per le strade con passo tranquillo, come se sapesse di non avere nulla da temere. Non era un Senzavolto, bensì qualcosa di molto più misterioso: costui indossava abiti neri sotto un lungo soprabito bianco dotato di cappuccio, che gli oscurava il volto. Era dotato anche di un’altra caratteristica che lo rendeva superiore a un uomo normale – per non dire inquietante – ma in quel momento la nascondeva.
Il suo nome era Nul, ed era il padrone indiscusso di Oblivion. Il Mai Nato. Servitore di una volontà suprema, il cui ordine era di distruggere tutti gli eroi di tutti i mondi.
Presto si sarebbe rimesso all’opera, ma nel frattempo passeggiava tranquillo, godendosi la breve pausa. La sua passeggiata lo condusse fino a un piccolo parco in centro, grigio e tetro come il resto della città: il prato era secco, giostre e panchine erano in rovina. I Senzavolto lo percorrevano come se nulla fosse, indifferenti a tutto.
Qualcosa attirò l’attenzione di Nul. Una piuma svolazzava davanti a lui, mossa dal debole vento che soffiava in quel momento. L’afferrò, incuriosito: era una normalissima piuma, bianco-grigia, ma non sapeva dire da dove provenisse. Oblivion non era certo posto per colombi o piccioni, e non lo sarebbe mai stato. A lui non poteva sfuggire nulla, nel suo regno, ma anche ai suoi occhi quel particolare era decisamente insolito.
Nul alzò lo sguardo, incuriosito da un nuovo elemento che riteneva estraneo. Poco più avanti, su una panchina all’esterno del parco, sedeva un uomo. Non un Senzavolto, ma un uomo reale: era alto, vestito con giacca e pantaloni bianchi, e teneva in mano una scatola di cioccolatini; a giudicare dal cartello posto accanto alla panchina, era evidente che aspettasse l’autobus. Costui sembrava non fare caso a ciò che aveva intorno a lui: il parco in pessimo stato, i Senzavolto, il cielo oscurato dalle nuvole eterne... niente. Era come se non gli importasse, o forse era troppo stupido per rendersene conto.
Nul capì tutto nel giro di un istante. Mentre guardava quell’uomo la sua mente si riempì delle informazioni necessarie, tutto ciò che doveva sapere a riguardo. Strinse la presa sulla piuma che aveva afferrato poco prima e avanzò, andando a sedersi sulla panchina accanto al signore. 
L’uomo si voltò a guardarlo subito, e fece un sorriso cordiale.
« ‘Giorno » disse. « Mi chiamo Forrest, Forrest Gump. »
« Uhm? Oh, piacere » salutò l’incappucciato. « Io mi chiamo Nul. »
Ci fu una pausa, durante la quale Nul continuò a scrutare il suo vicino. Aveva un’aria normale, ma la voce era strana, come se avesse un lieve ritardo mentale... ma questo già lo sapeva.
« Aspetta l'autobus? » domandò Nul.
« Oh, sì » rispose Forrest. « Devo prenderlo per andare da Jenny. »
« Uhm, Jenny... sì, capisco. È molto che aspetta? »
« No, aspetto da pochi minuti. Spero che l’autobus arrivi presto, però. »
« Uh-uh. Vedrà che arriverà. »
Forrest si voltò a guardare Nul, soffermandosi sulla testa.
« Come mai tiene il cappuccio alzato? » domandò curioso. « Non piove ancora. »
« Non è la pioggia ciò da cui voglio ripararmi » rispose Nul. « Piuttosto, sono gli sguardi della gente che mi danno pensiero. »
« Non capisco. »
Nul scosse la testa.
« Non mi aspetto che lei possa capire. Ma ho le mie ragioni per non mostrare la mia faccia a nessuno. »
Forrest scrollò le spalle, lasciando cadere il discorso con un « Ok ». Poco dopo porse a Nul la scatola che teneva tra le mani.
« Vuole un cioccolatino? »
« Perché no? Grazie mille. »
Forrest sorrise, e ne prese uno anche lui.
« Potrei mangiarne una tonnellata, di questi qui » disse nel frattempo. « Mamma diceva sempre: "La vita è uguale a una scatola di cioccolatini..." »
« “...non sai mai quello che ti capita” » completò Nul.
Forrest assunse un’aria molto sorpresa.
« Giusto! Come fa a saperlo? La sua mamma lo diceva anche a lei? »
« Non esattamente. È stato mio padre a insegnarmelo. »
« Oh, ok. »
Nul sospirò.
« Mio padre mi ha insegnato un sacco di cose » disse dopo aver mandato giù il cioccolatino. « Tutto quello che lui ha imparato nella sua vita, lo ha trasmesso a me. Mi ha creato praticamente a sua immagine e somiglianza. »
Il sorriso di Forrest si fece più largo. Sembrava davvero un bambino troppo cresciuto, tanto era innocente e ingenua la sua espressione.
« Suo padre deve essere un uomo molto in gamba » commentò. « Non deve essere facile fare il padre... non saprei dire. »
« Perché? »
« Non ho mai conosciuto mio padre. Mamma diceva che papà era andato in vacanza, e non è più tornato. »
« Oh... mi dispiace. »
« Va bene così » aggiunse Forrest con una nuova alzata di spalle. « Ho avuto la mamma, e Jenny, e Bubba, e il tenente Dan. Non sono mai stato davvero solo, finora. »
« Capisco » fece Nul. « Eppure è sempre triste vivere senza un genitore. Nessun bambino dovrebbe vivere così. Lo so perché posso dire lo stesso, in un certo senso. Io non ho mai avuto una mamma. »
Stavolta fu Forrest a essere dispiaciuto.
« Heh... va bene così » replicò Nul. « Mio padre ha fatto molto per me... eppure non abbastanza, devo dire. »
« Come mai? »
Nul non rispose subito. La calma di cui era pervaso rischiava ora di spezzarsi, a causa dell’argomento di cui si erano ritrovati a parlare. Sentì l’irritazione minacciare di emergere, pronta a trasformarsi in rabbia che avrebbe sfogato di conseguenza su tutto lo scenario. Ma non poteva permettersi di perdere il controllo, non in quel momento.
L’incappucciato strinse i pugni, sospirando ancora. Forrest non ci fece caso.
« Mio padre... non si è impegnato a fondo nel realizzare il suo sogno » disse Nul. « Un sogno di cui io facevo parte. Se avesse osato di più, io ora non sarei qui. Non ha lottato abbastanza... ha avuto paura. »
Aveva parlato con voce dura, glaciale. Il rancore in quelle parole sarebbe stato evidente per tutti... ma non per Forrest, che aveva ascoltato con interesse e innocenza.
« È normale avere paura, signore » disse lui. « Tutti hanno paura. Ho avuto paura anch'io, qualche volta. »
« Uhm. Davvero? »
« Sì, signore. In Vietnam, per esempio, quando c'era la guerra. Ora, io non sarò un pozzo di scienza, ma so che significa avere paura. Quando si va in guerra, si porta con sé tanta paura... paura di morire. Se non avessi fatto come Jenny mi ha detto di fare, forse la paura mi avrebbe vinto... e sarei morto laggiù. »
« E cosa ti ha detto Jenny? » chiese Nul, pur sapendo benissimo la risposta.
« Mi ha detto di correre » disse Forrest. « E io ho corso. So che forse non ci crederà, ma io corro come il vento che soffia. Ho corso per salvarmi la vita e quella dei miei compagni. Ma... non abbastanza per salvare tutti. »
« Mi dispiace molto. »
Forrest tornò a guardare avanti. L’autobus non era ancora arrivato. Intorno a loro dominavano ancora la quiete e il debole vento, e sullo sfondo i Senzavolto continuavano a vagare.
« Mamma diceva sempre che è normale avere paura » disse Forrest, « e non c'è da vergognarsi. La paura si può combattere. Lei non crede? »
Nul annuì.
« Sì, ci credo eccome. Ho visto un sacco di gente affrontare le proprie paure... e vincerle. Loro sì che erano veri eroi. »
« Bene. Chissà, forse suo padre ha solo un momento in cui ha paura, ma poi gli passerà. Forse, quando starà meglio, farà quello che... sì, insomma... quello che non avrà più paura di fare. »
« Sì... forse. »
Nul guardò Forrest, che continuava a sorridere con innocente ottimismo. Che ne poteva sapere un tipo del genere di ciò che stava passando? Dell’abisso in cui era precipitato per colpa della Volontà Suprema? Del caos che aveva contribuito a spargere su quelle stesse strade, annientando innumerevoli vite?
Tutto perché suo padre aveva paura...
Incredibilmente, si trovò a dargli ragione. Ed ecco un altro insegnamento di suo padre tornargli alla mente, anche se non ne ricordava l’origine: “La speranza più forte è quella che proviene dagli esseri più innocenti”.
Chissà, forse non tutto era perduto. Fu sul punto di crederci sul serio, quando la voce di Forrest lo riportò a quel cupo presente.
« Lei dov'è diretto, signor Nul? »
« Io? » fece lui, incerto. « A dire il vero non devo andare da nessuna parte. Ma la mia destinazione non è un problema. Il vero problema è un altro, e quello sei tu, Forrest. Non dovresti essere qui. »
Forrest non sembrò capire.
« Perché no? Questa è la fermata del bus. »
« Lo so... ma tu non dovresti essere qui comunque. Presto accadrà qualcosa di molto brutto, qui, tra queste strade. Su questa terra. Su questo mondo. »
Forrest cominciò ad avere un’aria preoccupata.
« Che cosa accadrà, signore? »
Nul pose una mano sulla sua spalla.
« Qualcosa che non puoi capire » mormorò. « Non perché sei stupido, ma perché sei innocente. Tu non lo sai, ma sei stato molto importante per mio padre... gli hai insegnato molto, e lui ha trasmesso questi insegnamenti a me. Ecco perché so cosa diceva sempre tua madre: lei era una donna davvero in gamba; ti ha insegnato bene, e so che tu farai lo stesso nel tuo futuro. »
Calò il silenzio per qualche secondo, mentre Forrest cercava di assimilare quanto gli era appena stato detto. Alla fine, la sua risposta fu decisamente breve.
« Ok. »
Nul fece un sorriso che nessuno avrebbe mai visto.
« Hai ispirato più gente di quanto tu creda, Forrest Gump... e lo hai fatto semplicemente correndo. Ecco perché non dovresti essere qui... e non ci resterai. »
Un rumore alla loro sinistra attirò l’attenzione di entrambi, interrompendo il dialogo. Si voltarono, e videro un autobus in avvicinamento; un incrocio lo separava dalla fermata, in attesa che scattasse il verde del semaforo.
Forrest si alzò dalla panchina, afferrando la valigia e la scatola di cioccolatini. Nul fece altrettanto, e i due tornarono a guardarsi.
« Perchè mi sta dicendo tutto questo, signore? » domandò Forrest, ancora curioso.
Nul alzò le spalle.
« Heh... perché ci siamo incontrati » rispose. « Forse per caso, forse perché era destino... non saprei dire. Mio padre mi ha insegnato molte teorie, ma poche certezze. Per questo non so se abbiamo tutti un destino prestabilito, o se siamo tutti trasportati in giro per caso come da una brezza; ma io credo in entrambe le cose. Forse le due cose capitano nello stesso momento. Comunque sia, mi fa piacere che questo sia accaduto. »
Forrest sorrise ancora.
« Mi piace questo suo modo di credere. »
Nul ridacchiò.
« Bene. Allora fallo tuo, Forrest... magari può esserti utile in futuro. Ora va’... Jenny ti sta aspettando. Va’ da lei. »
L’autobus, nel frattempo, era arrivato. Il mezzo si fermò davanti alla fermata e aprì le porte; non scese nessuno, perché il bus era vuoto. Forrest si avvicinò, ma prima di andare offrì la mano a Nul; questi ne rimase sorpreso, ma la strinse con piacere. L’uomo salì quindi sullo scalino del bus, pronto a partire.
« Mi ha fatto piacere parlare con lei! » riuscì a dire prima che le porte si chiudessero.
Nul rimase immobile, mentre l’autobus ripartiva con il suo unico, nuovo passeggero. L’incappucciato alzò lentamente una mano per salutare, mentre rispondeva al vuoto che si era creato all’improvviso.
« Anche a me... ha fatto piacere. »
La stessa mano lasciò andare la piuma raccolta poco prima, che fu di nuovo portata via dal vento. Nul la seguì per un po’ con lo sguardo, muovendosi nella direzione presa dall’autobus. Questo svanì poco più avanti, illuminato da un sottile raggio di sole sbucato improvvisamente dallo strato di nuvole. Nul alzò lo sguardo, ma il varco si era già richiuso, portando con sé la luce.
Era fatta. Forrest Gump era tornato a casa, sano e salvo... lontano dal caos di Oblivion che avrebbe rischiato di distruggerlo. Quell’uomo, la sua vita, le sue idee, avevano ancora un valore per la Volontà Suprema. Per questo Nul non aveva potuto far altro che lasciarlo andare; in effetti, non avrebbe sopportato l’idea di veder morire anche quel buon signore tra le macerie del suo abisso.
Lo invidiò per questo. Forse Forrest aveva ragione, e sperò che la sua liberazione da Oblivion sarebbe servita a qualcosa... magari ad alimentare le speranze di suo padre, a liberarlo dalla paura.
Nul sospirò, malinconico. Ricordò che il suo compito non era ancora terminato, così si rimise in marcia. Non gli piaceva, ma non aveva altra scelta. Voltò le spalle al parco e prese una strada a caso, cominciando a correre. Corse a lungo, ignorando il paesaggio e i Senzavolto; ignorò ogni cosa e continuò a correre, mentre una canzone del passato risuonava nella sua mente:
 
Running on, running on empty
Running on, running blind
Running on, running into the sun
But I'm running behind.
 
Corse finché poteva, finché, inevitabilmente, Forrest Gump svanì dal suo cuore. Il gelo e l’oscurità s’impadronirono di lui ancora una volta, e tutto divenne insignificante. Dalla sua schiena emersero due grandi ali piumate, nere e cupe come quelle del corvo; smise di correre e spiccò il volo, lasciandosi alle spalle strade e palazzi.
Il momento era giunto. L’opera doveva compiersi. Il conflitto doveva infuriare, il fuoco della distruzione bruciare. La guerra doveva cominciare.
 
   
 
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