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Autore: secretdiary    02/07/2016    0 recensioni
Storia partecipante a ‘The Darkness Within Contest’ indetto da _Malika_. Quali sono stati i pensieri di Regulus Black quando è divenuto un Mangiamorte? Quali sono stati i fattori che lo hanno spinto a seguire il Signore Oscuro?
Stringendo i denti per combattere il dolore, Regulus abbassò lo sguardo sul suo avambraccio: la pelle candida ora era tracciata con linee rosse, sanguinanti, che rapidamente stavano trascolorando nel nero mentre il marchio si imprimeva sulla sua pelle. “È questo il mio posto. È qui che appartengo” pensò alzando gli occhi, incrociando quelli di Bellatrix. Quella era la sua famiglia.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regulus Black, Tom Riddle/Voldermort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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R.A.B.
 
Qualcuno aveva gettato un giornale nel camino. L’odore di carta bruciata riportò la mente di Regulus indietro di un paio d’anni: aveva assistito in prima persona, nascosto dietro lo stipite della porta, alla furia di sua madre. Walburga aveva estratto la bacchetta, sprigionando fiamme dalla sua punta per bruciare l’arazzo dei Black. Non tutto, naturalmente, solo un volto. Il suo volto. Sirius aveva deciso di voltare le spalle alla sua famiglia. Se n’era andato. Regulus era stato partecipe del lento distacco che aveva allontanato il fratello maggiore e sapeva di chi era la colpa: quei tre Grifondoro gli avevano portato via Sirius. Senza di loro, avrebbe avuto ancora suo fratello. Perché, sì, Sirius poteva essere diverso dagli altri Black, ma non se ne sarebbe andato dai Potter se James Potter non ci fosse stato. Aveva spiato Sirius uscire di casa con le sue poche cose radunate in un paio di bauli. Aveva sentito la sua risata simile ad un latrato, probabilmente una risposta ad una battuta di James –naturalmente, Potter era stato presente all’abbandono di Sirius di Grimmauld Place, come avrebbe potuto perderselo?- e aveva sentito il rombo della motocicletta di Sirius lanciarsi lungo la strada prima di sollevarsi in volo. Regulus, all’epoca, non aveva compreso quanto quei suoni gli sarebbero entrati dentro, quanto sarebbero stati parte di lui. Non aveva creduto che avrebbe portato dentro di sé il peso di quell’abbandono: era sì deluso, si era sentito sì tradito, ma non immaginava fino a quel punto. Invece a distanza di anni, ogni volta che ripensava a suo fratello il suo stomaco si stringeva in una dolorosa morsa. Perché non riusciva ad accettare l’abbandono di Sirius? Era una questione di orgoglio? Non riusciva a tollerare il pensiero che suo fratello avesse preferito degli estranei a lui? Era affetto? Nella famiglia Black non si parlava di argomenti così superficiali come i sentimenti. Da che ne aveva memoria, Orion e Walburga non gli avevano mai detto di volergli bene, non lo avevano mai lodato per qualcosa, fatta eccezione il suo smistamento in Serpeverde. Ma anche in quel caso non si trattava di un vero e proprio complimento, quanto parole fiere, più indirizzate a lodare il loro stesso operato come genitori che a premiare l’indole del figlio. O, ancora, si trattava di una forma di distacco? Regulus voleva prendere le distanze da Sirius, non dargli il potere di farlo soffrire, e dunque aveva dato alla sua vita una piega completamente differente, una piega che lo avrebbe portato a percorrere la strada opposta a quella del fratello?
«Regulus, andiamo.» La voce di Bellatrix strappò Regulus dai suoi ricordi. Lanciò un’ultima rapida occhiata al camino scoppiettante, cercando di allontanare l’immagine dell’arazzo di famiglia ormai privo del volto di suo fratello dalla mente. Non era lì per lui. Non c’entrava assolutamente niente! Allora per quale ragione continuava a ripeterselo, per quale ragione continuava a pensarci? “Sirius non fa più parte della tua vita” ripeté la sua mente, risoluta.
Sirius non aveva assolutamente nulla a che vedere con la sua decisione di imprimere il Marchio Nero sulla sua pelle. Non era una vendetta nei suoi riguardi, non era una ripicca. Non era un modo per dirgli che non lo aveva ferito il suo allontanamento. Regulus non desiderava sottolineare la differenza tra di loro: davvero sposava la visione del Signore Oscuro. La comunità magica andava ripulita. Era per il bene della società, Regulus aveva osservato la società, l’aveva studiata, e aveva capito che occorreva che i Maghi, i veri Maghi facessero qualcosa. Non potevano lasciare che chi non era degno della magia se ne appropriasse. Era una rapina! La comunità magica doveva essere rinnovata. Occorrevano leggi ferree, occorreva ricostruire completamente la società. Quelle parole provenivano da Regulus, sebbene fossero terribilmente simili ai discorsi che aveva udito, sin dalla più tenera infanzia, dai Black e dai loro amici. Regulus credeva fermamente in tali assiomi e non riusciva a vedere dell’ingiustizia nelle sue parole. Aveva sentito alcuni discorsi, ad Hogwarts, di Nati Babbani o di Mezzosangue che commentavano l’ascesa di questo Mago Oscuro e definivano i suoi intenti completamente folli. Ma era naturale che simili persone coltivassero una simile ideologia. Regulus, tuttavia, era convinto che se la situazione fosse stata invertita, quelle stesse persone che gridavano al razzismo, all’ingiustizia, avrebbero compiuto la sua stessa scelta. La società magica era alla deriva! La sua famiglia aveva ragione, Sirius sbagliava. Ancora Sirius! Regulus gonfiò il petto in un respiro profondo. Basta, quando la sua pelle sarebbe stata marchiata, Sirius Black sarebbe morto. Per Orion e Walburga il ricordo del primogenito era già sepolto, ma Regulus, in cuor suo, aveva seguitato a pensare a lui. Sirius era come un terribile tarlo che si era insinuato nella sua mente e che non voleva andarsene. Forse perché durante gli anni di studio ad Hogwarts aveva avuto modo di incrociarlo per i corridoi, aveva visto quanto fosse felice in compagnia di quei tre Grifondoro. Lo aveva visto sereno, gioioso, allegro, nonostante a casa le liti fossero all’ordine del giorno. Come se a Sirius non importasse nulla dei Black, come se non soffrisse per quel clima familiare difficile. La sua famiglia era spezzata, ecco cosa aveva pensato Regulus quando a casa era arrivata la lettera, fredda, distaccata, con la quale Sirius comunicava di essere entrato tra i Grifondoro. Diceva ai suoi genitori che il Cappello aveva compiuto la scelta giusta, che lui sarebbe stato bene tra i Grifondoro. E aveva avuto ragione, poiché sembrava davvero che Sirius fosse stato bene durante quei sette anni ad Hogwarts. Lui, invece, era mai stato così felice tra i Serpeverde? O i sorrisi che tagliavano il suo volto, così terribilmente ambigui, in netto contrasto con la risata aperta di Sirius, erano solo frutto di una finzione? Stava realmente bene tra i Serpeverde? Aveva degli amici? Persone che si sarebbero schierate dalla sua parte per difenderlo, per proteggerlo in caso di bisogno? O tutti i legami che aveva costruito al castello erano solo votati ad un tornaconto personale? Sì. La risposta doveva essere affermativa, perché Regulus non conosceva altra vita. E, in tutta onestà, non desiderava un’altra vita.
Regulus seguì la cugina per i corridoi dell’immensa villa dei Malfoy, abbandonando il salottino dove era stato confinato in attesa di poter essere ricevuto, raggiungendo il salone principale dell’abitazione. Il sole era tramontato ormai da diverse ore e l’unica fonte di luminosità della stanza proveniva da un secondo camino. Regulus non percepiva alcun calore provenire da esso, solo una fredda luce quasi biancastra. Lui, l’Oscuro Signore, colui-che-non-deve-essere-nominato era seduto su una poltrona. Emanava grandezza, imperiosità e Regulus si sentì immediatamente in soggezione. Quel Mago era un condottiero, lo rivelavano i suoi occhi che promettevano vastità, come se garantisse la sua vittoria, come se non contemplasse la sconfitta. Regulus rimase immobilizzato sulla soglia mentre sua cugina Bellatrix si avvicinava al Mago Oscuro, presentandolo. Lord Voldemort posò il suo sguardo scuro, profondo, sul ragazzo.
«Bellatrix mi ha detto che ti sei appena diplomato» commentò alzandosi in piedi. Non era una domanda, egli lo sapeva, così come, Regulus immaginava, sapeva anche di suo fratello. La macchia dei Black gli avrebbe impedito di entrare tra i Mangiamorte? Regulus annuì, avvertendo la secchezza della sua gola. A passi lenti l’Oscuro Signore gli si avvicinò, agguantandogli il mento con la mano destra, conficcando le unghie nella sua carne. Lord Voldemort era un uomo, un condottiero; i suoi lineamenti parevano essere ancora più definiti, resi più luminosi dal potere che scorreva nelle sue vene, come se esso fosse una sostanza liquida capace di lasciarsi intravedere sotto la pelle diafana. Gli occhi di Regulus si persero in quegli abissi di profondità del suo Padrone. Per quale motivo lo considerava un Padrone? Era stato quello sguardo ad indurlo a perdere così rapidamente ogni rivendicazione di indipendenza? A sottometterlo? Il ragazzo sentì le sue difese abbassarsi, si sentì totalmente in balia di quell’uomo. Era come quando ad Hogwarts gli era capitato di incrociare lo sguardo di Silente: entrambi parevano essere in grado di scrutare nella sua anima. Regulus si sentì nudo, vinto. Si sentì vuoto. «Porgimi il braccio, giovane Black. Sei mio, ora.» Un ordine al quale il ragazzo non riuscì a disobbedire. Mentre la pelle di Regulus bruciava sotto il contatto della bacchetta del Signore Oscuro, il volto di Sirius nella sua mente scompariva, divenendo evanescente. Quella era la scelta giusta, non c’era alcuno spazio per i dubbi: quello era il suo posto. Come aveva potuto pensare alla felicità, come aveva potuto perdere il suo tempo dietro suo fratello? Stringendo i denti per combattere il dolore, Regulus abbassò lo sguardo sul suo avambraccio: la pelle candida ora era tracciata con linee rosse, sanguinanti, che rapidamente stavano trascolorando nel nero mentre il marchio si imprimeva sulla sua pelle. “È questo il mio posto. È qui che appartengo” pensò alzando gli occhi, incrociando quelli di Bellatrix. Quella era la sua famiglia. Ecco cosa si diceva mentre il suo cuore si avviluppava di nero, spegnendo i suoi dubbi con la stessa facilità con la quale un soffio spegneva una candela.
   
 
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