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Autore: Scarlett_Brooks_39    02/07/2016    0 recensioni
Sentivo urla non tanto lontane, urla che conoscevo molto bene.
Urla disperate, che imploravano aiuto.
Aiuto.
E poi il nulla.
Quelle grida venivano ovattate dal suono dell'acqua e poi venivano strozzate dalle fauci dell'assassino.
Partecipante al contest "Survivors: una serie di sfortunati eventi" indetto da meryl watase sul forum di EFP
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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The Lone Survivor



Capitolo 2
 

“Sarà una vacanza indimenticabile!” - urlò April prima ancora di salire in macchina. Era l'ultima delle quattro, adesso potevamo partire per San Francisco, ci attendeva una settimana di solo divertimento e, soprattutto, surf. Abitavamo a Portland, una cittadella nello stato della California, non avevamo molte occasioni per surfare, ma ogni anno organizzavamo una vacanza solo per noi e per il nostro amore verso il mare. Decappottabile, bikini, occhiali da sole e molti mojito erano i nostri unici accompagnatori. Niente fidanzati, niente drammi o problemi. Solo noi.

“Half Moon Bay, stiamo arrivando!”- gridò Jess, seguita in coro dalle altre. La nostra amicizia durava ormai dall'infanzia, ci eravamo conosciute poiché i nostri genitori erano migliori amici e noi non avremmo interrotto la tradizione. Il nostro amore per il mare sbocciò nella tenera età, quando ci portarono in vacanza sulla costa californiana. A dire il vero, il rapporto col mondo marino iniziò in maniera fin troppo violenta per una bambina di cinque anni. Fui la testimone di un'atroce spettacolo: uno squalo tigre di tre metri che divorava un surfista. In ogni modo i miei hanno cercato di allontanarmi da questo sport, ma io non ho mai voluto dar loro retta. Io amo il mare, amo il contatto con l'acqua, la sensazione che provo quando l'onda vuole abbattersi su di me e la soddisfazione nel cavalcarla, nel mostrarmi in un certo senso più potente dell'oceano.

Il nostro Hotel era meraviglioso, ma decidemmo di andare subito in spiaggia. Tavola da surf, bikini ed attrezzatura, niente altro. Corremmo fino alla spiaggia più vicina, ci sfilammo i vestiti di dosso appoggiandoli sotto l'ombrellone e ci tuffammo in acqua. Era gelida, ma la sensazione fu strabiliante. Cavalcammo le onde senza mai stancarci, ne eravamo le regine.

Ma ben presto un altro sovrano notò la nostra presenza, e fece la sua comparsa per metterci in guardia ed affermare il suo dominio sul mare: lo squalo bianco. Un giovane squalo di tre metri fece spuntare la sua pinna caudale dall'acqua, tagliando le onde. Eccola lì, la mia più grande paura. Jemma cadde dalla tavola da surf, mentre cercava di domare un'onda troppo grande. Io, April e Jess abbandonammo la tavola e nuotammo fino allo scoglio più vicino.

“Adele, non possiamo lasciarla lì! Morirà!”

“Dobbiamo fare qualcosa!”

“Basta, io mi butto”- April si gettò in acqua, vedendo che lo squalo si stava dirigendo verso Jemma. Voleva fare da esca, in modo da distrarre la sua attenzione. Ma a quel mostro non interessava, aveva puntato la sua preda e non era interessato a cambiare idea. Jemma era convinta di riuscire a tornare a riva, ma non aveva fatto bene i calcoli: lui infatti arrivò da dietro e noi vedemmo solo la sua figura scomparire nel blu cristallino che ben presto si tinse di rosso. Io e Jess rimanemmo abbracciate, come a sostenerci a vicenda, sullo scoglio che ci garantiva un rifugio abbastanza sicuro.

Gridavamo ad April di tornare da noi, di mettersi in salvo e fu ciò che cercò di fare, ma lui era troppo veloce e lei troppo lontana dallo scoglio.

Cercammo di salvarla, tendendole le mani per tirarla su, ma fu tutto inutile: lo squalo le azzannò un piede, trascinandola in acqua, di nuovo.

Inspiegabilmente, April non lasciò la mano di Jess e la portò con sé, verso una morte certa.

Non potevo perdere anche lei.

La mia mente vacillava in uno stato di totale shock, non riuscivo a ricordare niente che potesse essermi utile.

Il panico s'impossessò di me, non ero capace di pensare.

Improvvisamente, un barlume di lucidità, dovuta all'adrenalina, non so, si fece spazio nel caos della mia mente.

Ricordai un libro dalla copertina blu, in pelle. Un libro sul mare e su i suoi abitanti. Mia madre mi aveva trascinata in biblioteca per una questione di lavoro ed io mi ero messa a curiosare. Ricordai di aver letto che gli squali sono creature fameliche, ma molto sensibili. Gli occhi ed il muso sono le parti che, se colpite, possono destabilizzare l'animale.

Scattai in piedi, sciogliendo l'abbraccio: presi un sasso abbastanza massiccio e lo scagliai contro di lui, che emise un lamento terrificante, ma che allo stesso tempo mollò la presa e si allontanò, scomparendo. Spronai Jess a salire sullo scoglio, al riparo, ma non voleva darmi ascolto. Diceva che non ne era in grado, che le sue gambe non ce la facevano, che aveva bisogno di qualche minuto. Diceva di stare tranquilla, perché ormai se n'era andato, che il mio colpo lo aveva messo KO. Ma come potevo stare tranquilla? Lei era ancora in acqua, ancora nel suo territorio ed ancora in pericolo. Un predatore come quello difficilmente abbandona una caccia, specie se sente ancora l'odore del sangue. E di sangue, su Jess, ce n'era troppo.

“Dai, adesso cerca di fare un ultimo sforzo e tutto andrà bene. Prendi la mia mano, fra poco sarà tutto finito.”- la vidi guardare verso il basso e poi subito verso di me. Aveva il terrore negli occhi, quello che ha chi ha visto la morte in faccia. Lasciò la mia mano, malgrado io le gridassi di riafferrarla, perché dovevo metterla in salvo e si allontanò dallo scoglio. Cosa stava cercando di fare?! Iniziò a scuotere la testa velocemente e grosse lacrime rigarono la sua pelle color cioccolato.

“JESS! Prendi la mia mano!”

Fu tutto inutile. In una manciata di secondi quel mostro riapparve, stavolta dal basso, tendendo un agguato.

Con un salto, una forza ed una velocità assurde, venne fuori dall'acqua ed azzannò Jess, trascinandola poi in profondità per finire ciò che aveva iniziato.

Il mio grido squarciò il mare.
In preda al panico ed allo shock, ancora non riuscivo a rendermi conto di quel che era successo. Un'onda mi venne addosso, facendomi cadere in acqua. Ecco, adesso è il mio turno. Non mi sarebbe importato essere il dessert del magnifico pranzo di quel mostro, ormai ero solo carne da macello, nient'altro. L'anima mi era stata estirpata nel momento in cui quell'animale mi aveva portato via le parti migliori di me. Mi aggrappai ad uno scoglio, abbracciandolo. Lasciai che l'oceano di cullasse, prima di ricevere il colpo finale.
In fondo avrei raggiunto le mie amiche, senza le quali non avrei potuto vivere.

Non era poi una così cattiva idea.

Peccato non essere morta.

Ma essere la sopravvissuta.

 

 

E adesso, che ero inerme davanti alle loro tombe, avevo voglia di urlare, di piangere e di provare una rabbia incontrastata per il mare, perché avevo suggerito io di andare ad Half Moon Bay, era stata solo colpa mia. Il mio amore mi aveva portato a perdere le mie migliori amiche.

Ero decisa ad abbandonare per sempre il surf, la mia tavola ed il mare.

In quel momento, davanti alle loro tombe, chiesi scusa e piansi, piansi tanto. Io ero la sopravvissuta, dovevo andarne fiera.

Allora perché il senso di colpa mi opprimeva a tal punto da non lasciarmi respirare?

 

  
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