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Autore: FigliadiDurin    03/07/2016    1 recensioni
XVI secolo, la galea Incubo dei mari navigava nei pressi delle coste inglesi pronta per il rientro in patria. La giovane rematrice Eloisa guardava la realtà con ansia e timore: da ormai settimane il suo sonno era disturbato da spaventosi incubi e l’unica cosa che ricordava al risveglio erano i magnetici occhi gialli.
Storia partecipante al contest "Apocalisse: Vivere o Morire" indetto da ManuFury sul forum di Efp
Genere: Horror, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Rimani in silenzio se vuoi vivere


Oceano Atlantico 49°13’45’’N- 5°30’14’’W
XVI secolo


Fresco
«Comandante, credo che issare le vele sia una scelta ben più saggia di remare»
«Zitta donna, gli ordini li do io» sentenziò il capitano Alfieri, sputando sulla grossa galea prima di ridere compiaciuto sotto i baffi.
Nonostante il vento favorevole l’Incubo dei mari procedeva grazie alla forza di instancabili rematori. Non si poteva certo dire che il capitano preferisse rimanere altre settimane sul mare piuttosto che riavere un tetto sotto la testa, ma provava un malvagio divertimento nello schernire e umiliare l’unica donna a bordo. Se soddisfare il suo bizzarro desiderio significava posticipare la data di rientro, quello era stato tempo ben utilizzato.
Nessuno sulla nave aveva stretto amicizia, né aveva mostrato il minimo segno di rispetto per la giovane Eloisa, gracile rematrice allo stremo delle forze. Senza mai darsi per vinta la sciagurata aveva accettato il suo destino cercando di svolgere il suo compito nei migliori dei modi, impresa che tuttavia le aveva riservato un paio di soddisfazioni. A causa della salute cagionevole non poteva di certo contare sulle sue deboli braccia, ma presto scoprì che affidarsi alla sua mente era un’attività assai migliore e confortevole.
Gran parte degli altri rematori erano tutti galeotti. Ladri e stupratori nei migliori dei casi, assassini o nemici del re nei peggiori. Eloisa non voleva confondersi con quella gente, aveva paura di loro e di quello che erano capaci di farle e dirle quando alzavano troppo il gomito con il vino. Gli ufficiali erano ancora peggio; altezzosi ma di basso lignaggio, usavano la loro carica come un mezzo per vantarsi. L’unico che le aveva riservato un sorriso amichevole era stato il cambusiere, ma lui era morto durante l’ultima tempesta e ogni speranza di essere accolta era andata in frantumi.
Abbassò il viso per fingersi vergognata ed intimorita a causa del rimprovero, aspettò in silenzio che i compagni smettessero di ridere e quando lo fecero continuò a remare rimanendo in silenzio. Voleva ritornare a casa più di tutti per riabbracciare la sua famiglia e sentirsi finalmente libera, ma se questo era un primo motivo se ne aggiungeva un altro più profondo e misterioso. La notte non dormiva più e anche di giorno il remare non la distraeva dagli incubi che le stavano rendendo la vita molto difficile. Di tanto in tanto alzava gli occhi al cielo per assicurarsi che fosse ancora azzurro e si meravigliava nel constatare che il mondo, così come lei lo conosceva, non era cambiato. Doveva riposarsi se voleva che la sua unica arma, la mente, non l'abbandonasse nel momento della battaglia.

***


Quel giorno il sole calò presto; se da un lato la prospettiva di non avere più le spalle esposte a quel naturale pericolo era allettante, dall'altro un tramonto così repentino era qualcosa di allarmante.
«Un’ora e venticinque di anticipo, che cosa sta succedendo?» osservò il capitano conservando l’orologio da taschino nel malandato panciotto, mentre si picchiettava la testa pensieroso. Contava spasmodicamente, da ormai settimane, l’ora esatta in cui il sole sarebbe tramontato, rammaricandosi nello scoprire che l’astro lo batteva sempre in velocità. In un primo momento, Eloisa e perfino gli altri membri dell’equipaggio avevano giustificato gli accaduti nei calcoli sbagliati del comandante, ma con il passare dei giorni non era stato necessario nemmeno avere pergamene od orologi sotto mano; l’anticipo del calare del sole si percepiva chiaramente.
La rematrice avvertì un brivido di freddo lungo la schiena. Chiuse gli occhi cercando di godersi il rumore del mare e isolarsi da quello cacofonico dei compagni, ma gli incubi riaffiorarono velocemente e pensare le annebbiava la mente. Provò pena per il capitano, così superbo nel bacchettarla, così piccolo davanti a quell’alone di mistero che lo perseguitava. Avevano però qualcosa in comune; due anime che portavano il peso di incomprensibili preoccupazioni, attente guardie disarmate di quel mondo così fragile che, da giorni, era sempre più intimorito da una minaccia sconosciuta.
Sulla galea sembravano gli unici a possedere un’anima viva, scalpitante, famelica di sapere, potere e libertà. Eloisa sembrava accorgersene, ma condannata a stare dietro ad un grosso remo di legno preferiva non dire niente. Il capitano era immerso in quella sua aurea di superiorità che non gli permetteva di sfruttare le sue potenzialità.
Non si poteva di certo definire affascinata da quell’uomo, anzi era semplicemente disgustata davanti a quella riprovevole idea. Rimaneva un uomo rozzo e burbero, bieco e poco incline al sentimentalismo, lacerato dall’odio per i ceti più umili e dal disprezzo verso il genere femminile. Il suo modo di sorridere facendo vedere i denti marci, il viso deturpato da una profonda cicatrice che partiva dall’orecchio sinistro fino a quello destro la mettevano in soggezione più di ogni altro volgare scherno nei suoi confronti. Era spaventata da quell’uomo ed aveva imparato ad odiarlo giorno dopo giorno, per ogni umiliazione, per ogni offesa al suo corpo e alla sua mente. Avrebbe voluto sfidarlo, vincere e vedersi trionfante, ma il presente che stavano vivendo avrebbe proposto ad entrambi una battaglia ben più difficile ed epica.



Ritorno dopo molti mesi con una storia completamente nuova. Prima volta che mi cimento in un racconto con ambientazione apocalittica ed è stata una vera e propria sfida per me. Non mi ritengo pienamente soddisfatta della storia ma come ogni mio operato ci tengo particolarmente, spero comunque di non aver fatto un brutto pasticcio. Questa è peraltro la prima volta che scrivo un thriller e non sono nemmeno tanto sicura che possa rientrare in questo genere; in ogni caso ho voluto esaltare anche il mio genere preferito ovvero quello horror.
Vi chiedo scusa per gli errori e ringrazio la beta che si è presa la briga di correggere questo racconto.
Spero che vi piaccia.
Un abbraccio
Francesca
   
 
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