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Autore: Cleo    19/04/2009    3 recensioni
Si erano incontrati il diciassette ottobre, al locale che stava al diciassette di Winchester Road, quando lei aveva diciassette anni. Non poteva essere tutta una casualità.
Genere: Triste, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Greg Sanders
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si erano incontrati il diciassette ottobre, al locale che stava al diciassette di Winchester Road, mentre lei aveva diciassette anni. Non poteva essere tutta una casualità.
Lei era una di quella ragazze con l’aria un po’ disperata e le unghie mangiate, trasandatezza che si leggeva negli occhi e la sensazione che nel formare il suo viso qualcosa si fosse lasciato a metà: il sorriso era troppo sghembo, gli occhi troppo grandi, da bambola afflitta, fatta di plastica e non di porcellana. Era una di quelle ragazze con i capelli spenti e il grigio nella pelle, di quelle che le guardi e pensi che non arriveranno al giorno, troppo occupate a cercare di capire se trascinarsi ancora un po’ oppure lasciarsi cadere sull’asfalto caldo – era sempre caldo, a Las Vegas – e farsi ricoprire di polvere e impronte di suole non curanti e sguardi della gente.
I tagli e i buchi sulle braccia erano fin troppo evidenti e la proprietaria di quegli arti troppo stanca per nasconderli; erano quasi affascinanti, violenti e rabbiosi come i disegni di un pazzo, linee blu, rosse e viola a cui le vene ingrossate facevano da contorno. La cartina stradale per l’inferno, aveva pensato Greg, però poi si era seduto di fianco a lei e aveva pensato che potesse avere qualcosa d’interessante da dire.

Si era tolto il giubbotto d’ordinanza da C.S.I. e aveva smesso l’aria da poliziotto incazzato con un sorriso davanti allo specchio, in centrale, ma lei aveva ormai imparato a riconoscere quel tipo di persone. Quel tipo di persone provavano ancora pena per lei.
E forse anche un pizzico di speranza.
“Sei vestito un po’ troppo bene per questo posto. Io starei attenta a non farmi inculare il portafoglio.“
Più che una semplice constatazione, sembrava più un avvertimento, ma Greg sorrise e ordinò due birre medie; lei la sorseggiò piano, gustandola appieno.
“Dì un po’, quanti anni hai?”
“Venticinque.”
“Diciotto, al massimo.”
“Va bene, diciassette, ti cambia qualcosa?”
“Effettivamente no, anche se ho appena offerto dell’alcool ad una minorenne, ma sono dettagli, penso.”
“Sì, beh, non è come se non avessi fatto di peggio.”
Greg la scrutò a lungo, quasi volesse penetrarla con lo sguardo, in un’impresa di leggerle l’anima che non gli riuscì, ma non sorrise.
“Ti buchi?”
Lei rise raucamente, con un suono profondo, di gola, che a Greg ricordò il richiamo di un animale feriro. Era una risata finta, amara, di chi ha già visto, sentito e provato tutto.
“Beh, dai, non si vede? A prima vista, ti credevo più perspicace.”
“Mi sembrava carino chiedertelo.”
La ragazza scosse la testa con un ghigno divertito in viso e prese un sorso dal boccale di birra, ormai vuoto per metà.
“Cosa vuoi? Vuoi scopare, vuoi dell’ero, cosa?”
“Volevo solo – rispose lui, giocherellando con il sottobicchiere – uhm, sai, parlare.”
“Ma vaffanculo, qui nessuno vuole mai parlare – lei rise di nuovo, così falsa, stanca – comunque, sono 60 dollari a volta, 70 per una pompa. Non faccio altro.“ disse, orgogliosa della sua dignità ancora intatta a mezza via, e si scrocchiò le dita delle mani.
“Sul serio, non voglio niente.”
Lo sguardo della ragazza vacillò, privato per un attimo di quelle tante certezze ciniche che aveva faticosamente costruito durante i suoi diciassette anni – quando ci pensava, le sembrava un periodo di tempo infinitamente lungo.
“Oh, beh, allora vaffanculo – sorrise fra sé e sé, poi lo guardò con occhi addolciti – e grazie per la birra. Era da tanto che non mi offrivano qualcosa.”
Il C.S.I. rispose al suo sorriso, che si era esteso al resto del volto e aveva dato luce a quelle due sfere verdi dalle pupille tremendamente dilatate.
“Quando hai iniziato?”
Lei osservò il movimento maldestro del barista che miscelava i drink e scosse le spalle. “Un anno fa, forse, o forse due, non mi ricordo.”
“E come mai vuoi morire adesso?”
“Io non voglio morire – rispose, guardandolo sgomenta – io voglio solo smettere di vivere, è diverso.”
“Ti buchi per questo?”
Lei sorrise dolcemente, ad occhi bassi, socchiusi, come se fosse un’adolescente normale e stesse parlando del suo fidanzato. “Mi buco perché non c’è altra soluzione.”
Greg la osservò senza parlare, tamburellando le dita sul tavolo.
“E non dire di quelle stronzate sull’uscire dal ghetto e costruirsi una vita migliore: da qui non si esce. Dopo che tuo padre ti ha portata qui per la prima volta a cinque anni, dopo che hai fatto amicizia con Bogsie – accennò con il capo verso un ragazzo dai capelli unticci e il sorriso sdentato, probabilmente lo spacciatore – e ti sei sparata la prima pera nel cesso di questo buco di merda, da qui non si esce, fidati. I miei amici sono qui, strafatti ad ero o anfetamina, la mia famiglia è qui – sai che mio padre è morto davanti all’ingresso? -, il mio mondo è qui.”
Greg si guardò intorno. “Ma questo è solo un bar.”
Lei si alzò dallo sgabello e sorrise. “Ho passato qui dentro diciassette anni – gli sussurrò all’orecchio e gli stampò un bacio sulla guancia non più fresca di barba -, credi che riuscirei a sopravviverne altrettanti là fuori?”
E mentre camminava verso l’uscita, con passo sicuro come una modella e il ticchettio dei tacchi che sembrava risuonasse sopra la musica, Greg contò esattamente diciassette passi.
  
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