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Autore: Solounaltrarosarossa    04/07/2016    3 recensioni
A chi ci dimostra che forse la magia esiste e che forse non è un bel sogno ad occhi aperti.
[...] Avrebbe potuto ucciderli, certo, ma non volle, perché la sua esistenza non era né un pericolo né un peccato, lui era solo sogni e speranze, come tutti quelli della sua specie. Sogni di luce e fiori gialli, di sole e desideri e stelle. Speranza della fine del buio e delle rocce, di aria fresca e pura, di monti e colline, di oceani e laghi. Era solo speranza e sogni. Ma quando giunse sulla scalinata del castello tutto questo diventò solo polvere. [...]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Asriel Dreemurr, Flowey, Frisk
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era una volta un ragazzo che era diventato un fiore. Gli umani chiamavano quelli della sua specie “mostri”, in senso dispregiativo, come se il loro solo esistere fosse un pericolo e un peccato. Gli umani avevano dimenticato la guerra che c’era stata tanto tempo fa tra il loro mondo e quello della specie che tanto disprezzavano, avevano dimenticato di averli relegati sottoterra, di modo che non potessero vedere la luce del sole e esprimere i loro desideri sotto le stelle. Tuttavia, i mostri non avevano dimenticato e mai lo avrebbero fatto. Come avrebbero potuto, d’altronde? Ogni volta che un mostro muoveva un passo e alzava la testa, ogni volta che esprimeva un desiderio, le uniche cose che riusciva a scorgere erano rocce e buio. Ma questo fiore, quando era ancora un ragazzo, aveva visto il sole e si era immerso nel suo tepore; aveva visto i fiori gialli, identici a quel che lui poi sarebbe diventato. Aveva visto gli umani e si era chiesto perché questi sostenessero che i mostri fossero così differenti da loro. Aveva visto i fiori gialli, identici a quel che poi lui sarebbe diventato e vi aveva deposto il corpo del proprio amico, del proprio fratello. Aveva visto gli umani e questi l’avevano ferito, perché era un mostro ed esisteva, perciò era per loro un pericolo e un peccato. Avevano pensato che avesse ucciso il suo amico, suo fratello, perché lui era pericolo e peccato, mentre voleva soltanto che questo riposasse tra  i fiori, quelli che aveva visto e che erano identici a quel che lui poi sarebbe diventato. Avrebbe potuto ucciderli, certo, ma non volle, perché la sua esistenza non era né un pericolo né un peccato, lui era solo sogni e speranze, come tutti quelli della sua specie. Sogni di luce e fiori gialli, di sole e desideri e stelle. Speranza della fine del buio e delle rocce, di aria fresca e pura, di monti e colline, di oceani e laghi. Era solo speranza e sogni. Ma quando giunse sulla scalinata del castello tutto questo diventò solo polvere. C’erano dei fiori gialli, nel giardino del castello. Il primo dell’anno sbocciò quel giorno, quando tutto era polvere. E fu così che Asriel Dreemurr, il principe, le speranze e i sogni dei mostri, diventò un fiore dai petali sgargianti, proprio come quelli che aveva visto e per i quali era stato ucciso. Diventò un fiore in un triste laboratorio, grazie ad un esperimento fallito già troppe volte. Ma quando si svegliò non era più un ragazzo, un principe, una speranza o un sogno. Era un fiore, e non provava più niente, la sua anima era come danneggiata e lui era solo un fiore, e non sperava, non sognava più. Non amava. Era diventato quel che gli umani avevano sempre creduto che lui fosse. Era un pericolo un peccato, e non era più un ragazzo, non c’era più Asriel. Ora era Flowey, solo un fiore. Non era un mostro, non era umano, non era niente e non sentiva niente. Ma restava una cosa a divertirlo, una cosa che lo faceva andare avanti, che lo faceva sentire vivo per davvero, anche se non lo era più. Gli piaceva giocare, proprio come piaceva a quel ragazzo dimenticato dal tempo e dai sogni. Ma il suo gioco preferito non era nascondino o acchiapparello, il suo era un gioco crudele, pieno di sogni e speranze infranti, di morte, di lacrime. E ci giocava e ci rigiocava, ricaricava i salvataggi più divertenti, uccideva, ancora e ancora, dimostrando che anche gli umani erano pericolo e peccato. E si chiedeva ancora, ogni tanto, mentre quelle persone smettevano di lottare, quando si arrendevano, perché gli umani sostenessero che i mostri fossero così differenti da loro. Un giorno come tanti altri, precipitò dal monte un umano, atterrando su un letto di fiori gialli. Gli ricordava suo fratello, quello che lui stesso aveva deposto in superficie. Gli ricordava i proiettili e le parole che lo avevano ferito, che lo avevano ucciso. Ma ora non gli facevano più lo stesso effetto. Ora era un fiore, e non avrebbe esitato ad uccidere, non avrebbe commesso quello stesso errore, non avrebbe mostrato pietà, non di nuovo, non per morire ancora. Eppure quell’umano era strano, mostrava pietà a tutti quelli che volessero ucciderlo, quasi non gli importasse di morire fino a che riusciva a mettere in salvo un solo mostro. Più che a suo fratello quello strano umano era simile a lui quando era ancora un ragazzo. Un giorno arrivò alla Sala del Trono, da suo padre, che aveva già fatto costruire la bara col nome del ragazzo. Ma il ragazzo aveva un anima forte, nonostante non avesse mai fatto del male a nessuno, perciò sconfisse suo padre e lo risparmiò. Flowey non riuscì a sopportare oltre: non poteva permettere che il ragazzo mostrasse pietà, come aveva fatto lui in passato, che commettesse il suo stesso errore per trovarsi intrappolato in un fiore, senza poter provare niente, senza poter scappare, senza più speranze e sogni, intrappolato nel buio e nel vuoto. Non voleva, non poteva permettere che un altro umano finisse su un letto di fiori gialli, che morisse per esser stato gentile, per aver sperato e sognato. Il ragazzo non aveva imparato, non aveva ascoltato la sua lezione. “In questo mondo è uccidere o essere uccisi” gli aveva detto. Doveva dimostrarglielo… era il suo gioco… non poteva, non doveva perdere. Non voleva. Il fiore uccise il padre di un ragazzo svanito nel buio, prese la sua anima e le altre anime umane con essa. Diventò simile ad un Dio. Uccise l’umano tante volte, salvò la sua morte, la riprodusse. Eppure l’umano non si diede per vinto, e continuò a chiedere aiuto al buio. Nessuno rispose, ma vennero a salvarlo. Il ragazzo sconfisse quel che un ragazzo non era più, ma non lo uccise. Per quanto Flowey lo avesse pregato, non lo fece. Il fiore fuggì. Che stesse sbagliando lui? No, impossibile, quello era il suo gioco, non poteva sbagliare. Lui avrebbe vinto, sempre. Altrimenti… altrimenti nessuno avrebbe più voluto giocare con lui e sarebbe rimasto solo, impaurito, di nuovo. Non era pronto a dire addio a un’altra persona come quella… non poteva. Eppure il ragazzo ritornò, stavolta con tutti i suoi amici nella Sala del Trono. Il fiore era stanco di essere tale. Diventò quindi di nuovo un principe, ma non era il ragazzo di una volta. Tentò di uccidere l'umano, ma non ci riuscì mai, per quanto ora fosse potente. Semplicemente, egli rifiutava di morire. L'umano salvò i propri amici, non avendo la forza di salvare se stesso, e volle salvare qualcun altro, ad ogni costo. Volle salvare un ragazzo intrappolato nel buio, da troppo tempo. Volle salvare le speranze e i sogni, le stelle e i desideri. E ci riuscì, quel ragazzo salvò tutti, perché non sapeva, non voleva perdere. Non poteva, perché non poteva dire addio ai suoi amici, non poteva semplicemente lasciarli morire. E il fiore così tornò ad essere nulla più che un’ombra, un’anima semitrasparente, l'anima di un ragazzo, un principe. Quella stessa ombra liberò i mostri, perché era ancora le loro speranze e i loro sogni e i desideri sotto le stelle e la fine delle rocce e del buio. Lui era Asriel Dreemurr, e aveva perso al suo stesso gioco. Ora era solo, spaventato e dispiaciuto. Non poteva più sovrascrivere i dati sulla felicità di tutti gli altri. Così fece l’unica cose che avrebbe potuto fare un ragazzo, un'ombra come lui. Abbracciò l’umano, salutò gli altri e si prese cura dei fiori che suo fratello aveva tanto amato. In fondo, per quei fiori era morto un ragazzo che ora aveva ritrovato se stesso nel buio, un ragazzo che non poteva essere salvato. Quello che c’era una volta e che era diventato un fiore. Quello che c’era una volta e che adesso non c’è più.
   
 
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